Aprirsi alla disabilità in azienda: le sfide del disability management

Promuovere in azienda un orientamento positivo alla disabilità superando pregiudizi e discriminazioni migliora l’identità e l’integrazione dell’individuo al lavoro contribuendo alla crescita di un’organizzazione attenta alla protezione del capitale umano, orientata al valore e al benessere. Valorizzare l’impegno e il contributo dei lavoratori disabili aiuta la generazione di perfomance soddisfacenti

Introduzione

Nel panorama delle diversità che costellano la forza lavoro delle imprese moderne, il tema della disabilità ha ricevuto relativamente scarsa attenzione nella letteratura nazionale. Eppure, le differenze basate sulla presenza o meno di una condizione di disabilità possono avere effetti importanti tanto sul piano culturale che operativo – gestionale delle nostre imprese.

Aprirsi alla disabilità richiede non solo il superamento di qualsiasi barriera ambientale, fisica e, soprattutto, culturale, ma anche l’adozione di un approccio alla gestione delle risorse umane orientato a valorizzare la diversità, e in grado di prevenire o eliminare qualsiasi comportamento discriminatorio nei confronti delle minoranze. Tale approccio, conosciuto in letteratura come diversity management, mira in buona sostanza a sviluppare e dare valore al potenziale individuale delle risorse umane che, ancorché diverse, e proprio in ragione della loro diversità, sono considerate essenziali per il raggiungimento dei risultati organizzativi.

Anche il riferimento stesso alle persone con disabilità quali persone diversamente abili, negli ultimi anni, ha spostato l’attenzione dalle limitazioni di capacità verso una prospettiva di valorizzazione delle attitudini (Attanasio, 2009). Non di rado, infatti, le persone con disabilità sono considerate più un costo che un’opportunità per l’azienda. Concentrate sulle preoccupazioni legate agli adattamenti dei luoghi di lavoro, alle riorganizzazioni necessarie, alla ridotta capacità delle persone disabili e alla loro (presunta) ridotta produttività, talvolta le aziende rischiano di trascurare il grande potenziale che invece tali risorse sono in grado di offrire. La logica, infatti, dovrebbe essere completamente opposta: focalizzarsi sulla collocazione ottimale e sulla creazione delle condizioni tali da valorizzare al meglio le attitudini e le capacità delle persone diversamente abili (Borgonovi, 2009).

Proprio al raggiungimento di tale obiettivo mirano le politiche di disability management, generalmente inteso come un approccio integrato alla gestione della disabilità in azienda. L’intento primario del disability management è quello di adottare azioni, politiche e procedure tali da soddisfare i bisogni dei lavoratori disabili, valorizzare le loro abilità e, al tempo stesso, utili a diffondere una cultura della disabilità all’interno dell’azienda. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, dal momento che alcuni studiosi hanno dimostrato che i lavoratori con disabilità mostrano una soddisfazione sul lavoro sistematicamente inferiore rispetto a quelli normodotati e che, in gran parte, questo è dovuto all’esistenza di comportamenti discriminatori e di marginalizzazione.

Nel contesto così delineato si colloca la ricerca condotta da Jammaers, Zanoni e Hardonk (2016) volta a far emergere l’identità positiva dei lavoratori disabili in termini di benefici per l’organizzazione, così confutando e rovesciando il pensiero dominante che pretenderebbe di associare la discriminazione sul lavoro dei disabili come inevitabile conseguenza di uno scarso rendimento che inficia la produttività. Obiettivo del presente contributo è quello di promuovere il disability management quale approccio gestionale orientato a valorizzare la disabilità quale risorsa e identità positiva sul luogo di lavoro, che contribuisce alla crescita anche culturale di un’organizzazione consapevole del portafoglio di competenze di cui dispone ed aperta all’inclusione che conduce alla riscoperta di nuove opportunità.

Dalla definizione di disabilità al Disability Management

La disabilità viene definita come lo status di persone affette da minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali di lungo termine ed è intesa come un concetto dinamico, in evoluzione, risultato dell’interazione tra persone affette da minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce loro una piena ed efficace partecipazione nella società (UN, 2006). In senso più ampio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001) utilizza il concetto di disabilità come un termine-ombrello che include menomazioni, limitazioni dell’attività o restrizioni della partecipazione. Come osservato dallo studioso Attanasio (2009), tale definizione pone per la prima volta una chiara distinzione tra i concetti di menomazione (danno organico e/o funzionale), disabilità (perdita di capacità operative a causa della menomazione) e handicap (svantaggio, difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione stessa). In Italia, il riferimento normativo per l’assistenza, l’integrazione sociale e la tutela dei diritti delle persone con disabilità è rappresentato dalla legge – quadro 104/1992, in cui la condizione di handicap è identificata nella presenza di una minorazione fisica, psichica o sensoriale, in grado di generare difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione (art. 3, L. 104/1992). Per garantire la possibilità di occupazione delle persone con disabilità, il nostro legislatore ha istituito un sistema di collocamento mirato, ovvero l’obbligo in capo ai datori di lavoro pubblici e privati con almeno 15 dipendenti di assumere una certa percentuale di lavoratori con disabilità (art. 3, L. 68/1999).

É chiaro che l’inserimento lavorativo rappresenta il primo fondamentale step per l’inclusione sociale e la realizzazione individuale delle persone con disabilità. Tuttavia, se non seguito da altrettante politiche di gestione e sviluppo delle persone disabili dopo che siano state inserite in azienda, molto spesso rischia di trasformarsi in passiva e pedissequa osservazione della legge.

Il disability management è un orientamento gestionale che pone al centro la persona disabile e la sua valorizzazione, dispiegandosi in modo pervasivo e trasversale all’interno delle aree e dei processi aziendali, dalla strategia fino alla gestione delle risorse umane, con l’obiettivo di riconfigurare l’organizzazione per accogliere e gestire i bisogni delle persone con disabilità (Angeloni, 2010). Il disability management tende ad emergere in presenza di alcuni valori condivisi e diffusi nella cultura d’impresa quali la centralità della persona, l’inclusione, l’integrità, l’equità e la fiducia nelle potenzialità della risorsa diversamente abile (Angeloni, 2010).

Sul piano operativo, il disability manager sarà chiamato a fronteggiare diversi aspetti legati alla gestione della disabilità in azienda, quali ad esempio: la predisposizione di spazi fisici idonei, l’adeguamento tecnologico, l’attuazione di schemi di lavoro più autonomi e flessibili, la definizione di programmi di formazione e di piani di tutoraggio, il monitoraggio delle condizioni di salute, della soddisfazione sul lavoro, delle relazioni e dei livelli di integrazione dei lavoratori disabili con capi e colleghi. Il compito del disability manager consiste nel progettare tutte le misure necessarie perché le persone con disabilità si sentano lavoratori soddisfatti e motivati a contribuire al successo della propria impresa. Non solo. Vuol dire anche impegnarsi a diffondere all’interno dell’impresa una cultura favorevole alla diversità e alla disabilità, in modo da evitare il dispiegarsi di pregiudizi, comportamenti discriminatori e di emarginazione. L’inclusione, infatti, è considerata uno dei presupposti indispensabili per ottenere buoni livelli di motivazione, impegno e produttività perché ha un’influenza diretta sulla qualità del clima organizzativo (Angeloni, 2010).

Questo è ancora più vero nel caso delle persone con disabilità. Come per tutti i lavoratori, anche le esperienze lavorative e la soddisfazione sul lavoro delle persone con disabilità sono influenzate da una lunga serie di fattori individuali, organizzativi ed ambientali. Tuttavia, alcuni studi hanno rilevato che i lavoratori con disabilità sono meno soddisfatti e meno committed rispetto ai lavoratori normodotati e hanno percezioni maggiormente negative delle relazioni tra manager e lavoratori, seppure tale gap si riduca nelle imprese che adottano politiche e pratiche volte alla gestione della disabilità (Jones, 2013). Gran parte di questa scarsa soddisfazione è principalmente dovuta all’esistenza di stereotipi e comportamenti discriminatori di capi e colleghi, al punto che i lavoratori disabili risultano essere maggiormente vittime di fenomeni di ingiustizia procedurale e di discriminazione subdola (Schur et al., 2009). Questi argomenti mettono in luce la natura intrinsecamente sociale della disabilità e richiamano l’attenzione su come l’esclusione di persone disabili dalla forza lavoro sia spesso fondata e costruita sulle norme dominanti delle persone normodotate, fenomeno conosciuto con il nome di ableism (Jammaers, Zanoni e Hardonk, 2016).

Promuovere identità positive al lavoro oltre le discriminazioni. La disabilità come valore per l’organizzazione

Nella ricerca condotta da Jammaers, Zanoni e Hardonk (2016), attraverso interviste rivolte a manager e impiegati con disabilità (per lo più fisica) di aziende pubbliche (agenzie locali e regionali) e private (banca e compagnia di assicurazione), emerge una rappresentazione ben diversa e meno stereotipata del disabile al lavoro che si esprime nella costruzione o promozione di una identità positiva e performance oriented oltre la siepe dei pregiudizi e delle discriminazioni. La prospettiva dominante che, nel coniugare scarso rendimento con condizioni di disabilità, tenderebbe ad emarginare i lavoratori con disabilità, viene re-interpretata, ri-elaborata e rovesciata.

In particolare, la ricerca si inserisce in un contesto territoriale e culturale, qual è quello delle Fiandre, nel Nord del Belgio, nel quale le politiche sociali hanno, storicamente, relegato l’impiego delle risorse umane cosiddette disabili su un piano secondario e di formale subordinazione rispetto alla forza lavoro cosiddetta ‘normale’. Tuttavia, le scelte di policy recentemente adottate dalle istituzioni pubbliche sono orientate ad aumentare il maggior numero di lavoratori impiegati con disabilità, seguendo scelte pubbliche di promozione e sviluppo del capitale umano incentrate sull’individuo quale soggetto attivo e protagonista nel mercato del lavoro. Una inversione di tendenza verso la riscoperta della disabilità come risorsa che genera valore, da gestire, sulla quale investire, e dal potenziale di performance largamente inespresso o non innescato.

Nel disegno degli autori la disabilità sembrerebbe configurarsi non come caratteristica psico-fisica dell’individuo ma come costruzione sociale che, nella visione delle classi dominanti, diventa forma di emarginazione degli individui nei luoghi di lavoro. Storicamente, nell’ economia industriale i lavoratori disabili sono stati considerati come un costo o fonte di disagio, meno efficaci rispetto ai lavoratori ‘normali’. La condizione di disabilità segnala inadeguatezza di comportamento o difficoltà a svolgere il compito e conduce alla formazione di aspettative e valutazioni negative sulla performance traducendosi in discriminazioni durante il percorso lavorativo e di carriera con impatto negativo sulla percezione del contributo fornito anche in termini di impegno e membership. I lavoratori disabili devono, così, continuamente confrontarsi con un paradosso. Benché assunti per svolgere una certa mansione i lavoratori disabili sono, tuttavia, rappresentati quali soggetti inadatti ad operare, privi della necessaria esperienza o delle abilità comunicative richieste anche dal cliente in una economia sempre più service oriented.

Manifestare una identità positiva al lavoro può servire ad abbattere il muro della discriminazione e del pregiudizio che inibisce la scoperta di nuove opportunità. L’identità al lavoro non è un dato oggettivo o acquisito, ma è socialmente costruita nel tempo attraverso la rielaborazione e la rappresentazione che gli individui ne fanno. In particolare, le persone non si comportano come soggetti passivi di un disegno manageriale già preordinato e legittimato, ma tendono a costruire e comunicare un messaggio positivo della propria identità al lavoro influenzando le dinamiche organizzative interne apparentemente governate da relazioni di potere già definite.

I lavoratori disabili riaffermano la propria identità positiva al lavoro sia rifiutando di accollarsi oneri e responsabilità individuali, sia contestando una visione tanto dominante quanto esclusiva del contributo del disabile alla generazione di valore, sia ridefinendo i criteri di valutazione della produttività. Emerge, in tal modo, la prospettiva di lavoratori impegnati a creare le condizioni o rimuovere gli ostacoli per il buon funzionamento dell’organizzazione, consapevoli di possedere competenze coerenti con i compiti richiesti. Nel ridefinire un’identità positiva al lavoro, il concetto di produttività viene rideterminato in termini di diligenza e dedizione al lavoro, di maggior capacità di comprensione ed empatia verso i bisogni di colleghi e clienti, con attenzione alla dimensione qualitativa della propria performance. La disabilità emerge come risorsa che permette una maggiore concentrazione e contribuisce a migliorare la performance stimolando un positivo clima sociale, il quale arreca beneficio e non danno al funzionamento dell’organizzazione. Inoltre, si riafferma il valore della membership nell’organizzazione che prescinde dalla produttività profondamente criticata come criterio chiave per la valutazione individuale dei lavoratori disabili. Si respinge la rappresentazione dei lavoratori disabili quali soggetti volenterosi ma incapaci di fare di più e bisognosi di sussidi compensativi. Condizioni di lavoro disagiate e la mancanza di adeguato supporto da parte del datore di lavoro rovesciano sull’organizzazione la responsabilità diretta per la scarsa produttività.

Verso un approccio disability oriented nelle organizzazioni

Valorizzare la disabilità quale risorsa contribuisce sia a promuovere una cultura dell’inclusione sia a rinforzare l’identità e il patrimonio culturale di un’organizzazione attenta a proteggere il capitale umano e sociale di cui dispone. L’emersione positiva delle identità al lavoro dei disabili quale risposta adeguata al pregiudizio, è condizione necessaria perché le organizzazioni siano consapevoli della proprie risorse ma non sufficiente perché il potenziale in essere si traduca in generazione di una performance soddisfacente, creazione di valore, qualità e soddisfazione del cliente.

Stereotipi, pregiudizi e comportamenti discriminatori limitano il ventaglio di opportunità. Sarebbe necessario accompagnare la transizione dalla ‘disabilità come problema’ ad una ‘disabilità attiva’ attraverso scelte di gestione, disponibili ad un effettivo apprezzamento della performance generata, che sostengano il disabile nella motivazione al lavoro, ad evitare l’avversione o disaffezione al proprio contesto lavorativo legittimando, paradossalmente, una prospettiva di marginalizzazione. In assenza di uno specifico approccio manageriale alla disabilità, ne sarebbe compromesso il più ampio progetto di crescita individuale, psicologica e professionale, in termini di partecipazione economica e inclusione sociale di persone diversamente disabili.

Accettare la disabilità come risorsa che genera valore rappresenta una sfida culturale per l’azione di policy makers, imprenditori e managers attenti alla diversità quale potenziale di crescita. Valorizzare la disabilità richiederebbe politiche delle risorse umane ‘difensive’ che proteggano da pregiudizi e forme di discriminazione e ‘propositive’ che includano la persona disabile con la sua identità nella creazione di valore onde consentirne una consapevole integrazione nelle dinamiche aziendali che ne sostenga il commitment e favorisca processi di identificazione organizzativa.

Riferimenti bibliografici

Angeloni, S. (2010). Il valore delle risorse disabili per l’azienda e il valore dell’azienda per le risorse disabili. Milano: FrancoAngeli.

Attanasio, A. (2009). Il “diversamente abile” nella legislazione attuale. In Metallo, G., Ricci, P. & Migliaccio, G, (a cura di), La risorsa umana “diversamente abile” nell’economia dell’azienda. Disability management e accountability (pp. 33-48) Torino: Giappichelli.

Borgonovi, E. (2009). “Diversamente abili” in una economia concepita per la persona. In Metallo, G., Ricci, P. & Migliaccio, G, (a cura di), La risorsa umana “diversamente abile” nell’economia dell’azienda. Disability management e accountability (pp. 183-192) Torino: Giappichelli.

Jammers, E., Zanoni, P., & Hardonk, S. (2016). Constructing positive identities in ableist workplaces: Disabled employees’ discursive practices engaging with the discourse of lower productivity: Human Relations, 69(6), 1365-1386.

Jones, M.K. (2013). Disability and Perceptions of work and Management: British Journal of Industrial Relations, 54(1), 83-113.

OMS (2001). International Classification of Functioning, Disability and Health. Gardolo (TN): Edizioni Erickson.

Schur, L., Kruse, D., Blasi, J., & Blanck, P. (2009). Is disability disabling in all workplaces? Workplace disparities and corporate culture. Industrial Relations: A Journal of Economy and Society, 48(3), 381-410.

UN (2006). Convention on the rights of persons with disabilities. Fonte web: http://www.un.org/esa/socdev/enable/rights/convtexte.htm

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