Dalla digitalizzazione alla trasformazione digitale nella PA. La prospettiva organizzativa

Introduzione

Negli ultimi anni ci sono stati significativi cambiamenti di tipo culturale, economico e politico che hanno profondamente modificato il modo di lavorare delle organizzazioni pubbliche, affermando la necessità di nuovi modelli organizzativi e competenze manageriali per la gestione della cosa pubblica.

L’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), in particolare, ha profondamente rivoluzionato gli assetti organizzativi di imprese e pubbliche amministrazioni, contribuendo soprattutto nei tempi più recenti alla forte diffusione di nuovi modelli di lavoro. Nonostante le forti resistenze culturali, il lockdown dovuto all’emergenza Covid-19 della primavera del 2020 ha determinato una forte diffusione del lavoro “a distanza” (o smart working) nelle organizzazioni aziendali, riconoscendo ai lavoratori ampia autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Considerando gli effetti a un livello di analisi macro, la fluidità dei processi di comunicazione, resa possibile dalle nuove tecnologie, ha rafforzato la collaborazione tra le organizzazioni pubbliche, rendendo le strutture più permeabili e creando maggiori opportunità di interazione e cooperazione attraverso i confini organizzativi[1]. L’avvento del digitale, in particolare, sta modificando profondamente il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, ai quali è data la possibilità di partecipare un po’ più attivamente ai processi di gestione ed erogazione dei servizi pubblici. Il moltiplicarsi dei servizi pubblici on-line offre ai cittadini e alle imprese la possibilità di interagire più frequentemente con gli enti pubblici e di intervenire nei processi organizzativi aziendali, nella fase di erogazione dei servizi o al momento della pianificazione e progettazione, determinando con il proprio contributo la qualità del servizio[2].

Il coinvolgimento dei cittadini è evidente anche nelle attività di governo e di gestione della cosa pubblica. Si pensi all’attivismo di tanti movimenti politici che nascono spontaneamente da forme associative di cittadini che utilizzano prevalentemente i social network per esprimere opinioni, fornire suggerimenti, creare consensi, talvolta anche condizionando scelte politiche fondamentali per il nostro Paese. Qualche Autore parla di un recupero dei valori della democrazia, perché si allarga la base per le scelte e le decisioni politiche[3] e l’attore pubblico assume sempre più spesso il ruolo di coordinatore, con il difficile compito di bilanciare obiettivi, interessi e competenze di attori diversi nell’ambito di reti di relazioni o in altre forme di partnership. Questo approccio è stato definito di participatory governance (Kickert, Klijn e Koppenjan, 1997), un’alternativa al governo basato sul modello autoritario e centralistico di elaborazione delle politiche.

Se queste sono le principali novità introdotte nella PA grazie all’avvento delle tecnologie digitali, si riscontrano ancora tanti problemi che ostacolano un efficace processo di cambiamento organizzativo. Sul Digital Economy and Society Index (Commissione Europea, 2019), che misura lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale nei Paesi europei, l’Italia si colloca al quintultimo posto, ben lontana quindi da paesi come Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. E’ stato inoltre sviluppato un indice Desi a livello regionale per fornire un quadro più approfondito delle priorità di digitalizzazione per il nostro Paese. Considerando che tutte le regioni italiane si posizionano sotto la media europea, la regione più digitalizzata è la Lombardia, seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Liguria, Toscana e Piemonte. Con la Calabria ultima in classifica, preceduta da Molise, Abruzzo e Basilicata, l’indice regionale rivela che il gap tra Nord e Sud, anche con riferimento al grado di digitalizzazione della PA, è purtroppo ancora molto ampio. Tra gli indicatori significativi, vi è il livello di soddisfazione degli utenti (che specie nelle regioni del sud si dicono fortemente delusi rispetto alla qualità dei servizi on-line offerti dalla PA) per quattro ordini di ragioni: difficoltà di trovare le informazioni, scarsa utilità delle informazioni stesse, difficoltà a comprendere lo stato di avanzamento della pratica, difficoltà nell’utilizzo dei servizi disponibili sul sito web. La scarsa efficienza dei servizi erogati on-line, associata alla forte carenza di competenze digitali nel nostro Paese[4], ha avuto significative ripercussioni anche sul modo in cui è stata affrontata l’emergenza Covid-19, considerata la situazione di svantaggio consistente dell’Italia rispetto agli altri paesi europei, in termini di infrastrutture e attrezzature digitali e di scolarizzazione.

Gli ostacoli alla digital transformation in Italia

Diversi sono i fattori che possono essere considerati per spiegare le difficoltà nella realizzazione di un efficace processo di trasformazione digitale nel nostro Paese.

  1. In primo luogo, si osserva come nella pubblica amministrazione le innovazioni organizzative siano quasi sempre imposte per decreto creando la percezione da parte degli attori interessati di dover ottemperare a un adempimento normativo. Ciò è evidente anche per la digital transformation, in quanto lo sforzo innovatore si concentra spesso sulla fase della normazione più che su quella di implementazione, trascurando quindi la necessità di supportare il cambiamento con interventi significativi a livello di progettazione organizzativa e di politiche di gestione delle risorse umane. Si tratta evidentemente di una visione legalista, che oltre a contrastare con lo spirito stesso della trasformazione digitale, limita molto la portata dei progetti, su cui spesso aleggia disinformazione e diffidenza, e spinge gli enti pubblici meno convinti a fare il minimo indispensabile per la loro realizzazione; ciò ostacola i processi innovativi e non consente di cogliere le reali opportunità che il cambiamento comporta, in termini di una maggiore qualità dei servizi e di soddisfazione degli utenti.
  2. Altro problema che si rileva è l’eccessivo focus sulla dimensione tecnologica del processo di cambiamento indotto dalla digitalizzazione, che rende più difficile l’adozione di una prospettiva sistemica e unitaria. La digital transformation rappresenta un fenomeno pervasivo che investe ogni aspetto o attività di una qualsiasi organizzazione, in cui l’ammodernamento delle tecnologie informatiche va di pari passo con il ripensamento complessivo della struttura organizzativa. Non si tratta, quindi, di un processo esclusivamente tecnologico, ma di un complesso e articolato percorso di cambiamento organizzativo che richiede il coinvolgimento delle diverse funzioni aziendali, al fine di garantire lo sviluppo di percorsi di change management coerenti e di largo respiro. Eppure, ancora oggi in molte amministrazioni pubbliche le strategie di trasformazione digitale restano appannaggio esclusivo della funzione IT. Questo è il motivo per cui spesso si tende a confondere l’espressione “digitalizzazione” con “trasformazione digitale”. La digitalizzazione rappresenta il passaggio da processi cartacei a processi digitali e può interessare differenti aree di attività all’interno di una organizzazione, in modo asincrono e indipendentemente le une dalle altre. La trasformazione digitale invece richiede la necessità di un cambiamento complessivo, che renda le amministrazioni più semplici, meno burocratizzate e più attente alla soddisfazione del cliente/utente.
  3. A questo tema è collegato quello delle competenze manageriali nella pubblica amministrazione. I manager hanno un ruolo chiave nel supportare il cambiamento e nel creare le condizioni affinché una riforma di qualunque tipo rappresenti qualcosa di più di un mero adempimento, portando una reale innovazione nella pubblica amministrazione. Ma perché ciò sia possibile è necessario puntare sullo sviluppo delle competenze manageriali, con interventi mirati in termini di selezione e formazione. Nella pubblica amministrazione è facile trovare dirigenti con un elevato profilo di competenze tecnico-professionali, dotati di esperienza nell’ambito degli adempimenti e pratiche amministrative su cui sono valutati, incapaci tuttavia di cogliere opportunità di cambiamento al di là degli adeguamenti normativi che di volta in volta intervengono. Sarebbe utile in tale scenario puntare alle soft skills, così da avere manager capaci di comunicare e condividere informazioni con i propri collaboratori, coinvolgendoli su obiettivi e progetti comuni, che sappiano come organizzare il lavoro nei propri uffici, rafforzando il coordinamento interno ed esterno con colleghi di altri uffici e dipartimenti, che sappiano relazionarsi con l’esterno imparando a collaborare con gli attori del contesto (Decastri e Buonocore, 2020). Non potrà esserci mai un reale coordinamento tra amministrazioni o tra amministrazioni e cittadini se continueremo ad avere dipendenti pubblici, specie quelli preposti sulle aree di confine (boundary spanner), con atteggiamenti di chiusura verso l’esterno e privi di ogni motivazione nel portare avanti progetti di collaborazione con privati cittadini, imprese e associazioni professionali.
  4. La qualità del personale e la capacità di gestione delle risorse umane rappresentano quindi condizioni essenziali per supportare il complesso cambiamento organizzativo determinato dalla digital transformation e, più in generale, per dare alle pubbliche amministrazioni una prospettiva di sviluppo. Ciò richiede la necessità di rivedere il ruolo delle funzioni HR, spesso considerate marginali rispetto alle altre funzioni aziendali, con una scarsissima dotazione di risorse e dove tradizionalmente sono collocati i profili considerati più scarsi e senza possibilità di carriera. Uno dei motivi può ricercarsi nella scarsa attività di ricerca scientifica in ambito manageriale e organizzativo, che per molti anni nel nostro Paese ha privilegiato il settore privato rispetto a quello pubblico, fatte poche eccezioni relative alle aziende sanitarie. Ciò ha ostacolato un significativo sviluppo delle funzioni HR dal punto di vista delle strategie, prassi e strumenti di gestione delle risorse umane e un loro appiattimento nell’attuazione degli adempimenti amministrativi, contabili e previdenziali.

Conclusioni

Importanti segnali di cambiamento sono evidenti negli ultimi anni grazie alle esperienze di alcune amministrazioni per le quali la digital transformation trova una efficace realizzazione nell’ambito di un più ampio processo di cambiamento organizzativo che, da un lato, investe tutti le funzioni e le aree di attività aziendali e, dall’altro, punta allo sviluppo della qualità e delle competenze delle persone. Tali amministrazioni stanno inoltre sperimentando nuove modalità di programmazione, formazione e valutazione del personale, di selezione, di gestione delle carriere e incentivazione, cercando in questo modo di assicurare un livello quali-quantitativo di risorse umane adeguato.

Queste esperienze di buona amministrazione sono senza dubbio favorite dal nuovo orientamento formativo emerso in SNA (Scuola Nazionale dell’Amministrazione) negli ultimi anni, dove un peso crescente è rivolto ai temi della gestione delle risorse umane e della progettazione organizzativa e dove interessanti progetti per lo sviluppo delle competenze manageriali sono in corso di realizzazione. Si rilevano anche interessanti iniziative formative rivolte ai responsabili HR volte a rafforzare il loro ruolo e le loro competenze nell’ambito delle amministrazioni pubbliche. Si consideri al riguardo l’istituzione nell’ambito della SNA del Network dei Direttori del personale, che rappresenta una comunità di pratica con l’intento di promuovere un percorso di apprendimento basato su testimonianze periodiche e sulla condivisione di esperienze e best practices tra gli attori coinvolti.

Questi segnali di cambiamento evidenziano la necessità di un cambio di paradigma per la PA, necessario affinché la digital transformation possa trovare terreno fertile di realizzazione. Da modello organizzativo “complicato”, che utilizza le regole della burocrazia per non cambiare o per consentire spazi di gestione del potere non funzionali alle finalità della PA, occorre il passaggio ad un modello “semplificato”, proiettato ai risultati e alla soddisfazione degli utenti, libero dai vincoli di una struttura di potere basata sulla proliferazione delle norme. L’obiettivo è attivare processi di co-creazione nell’ambito di una rete di servizi, che coinvolge attori pubblici e privati, orientati all’innovazione e alla realizzazione di progetti importanti per la comunità. Un’amministrazione tesa ad ascoltare i bisogni dei cittadini e a fornire servizi di qualità, organizzativamente agile e flessibile, che costi meno e sia integra.

Bibliografia

Buonocore, F., & Ingrassia, R. (2020). Le organizzazioni pubbliche. In Buonocore, F., Montanari, F., & Solari, L. (Eds.), OrganizzAzione aziendale: Comportamenti e decisioni per il management (pp. 379–416). DeAgostini.

Commissione Europea (2019). Digital Economy and Society Index (DESI) Report. Available at: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi.

Decastri, M., & Buonocore, F. (2020). Organizing Public Administration. In Decastri, M., Battini, S., Buonocore, F., & Gagliarducci, F. (Eds.), Organizational development in public administration: The Italian way (pp. 3–36). Palgrave Macmillan. doi: 10.1007/978-3-030-43799-2_1.

Denhardt, J. V., & Denhardt, R. B. (2015). The new public service: Serving, not steering. Routledge.

Kickert, W. J., Klijn, E. H., & Koppenjan, J. F. (1997). Managing complex networks: Strategies for the public sector. Sage.

Osborne, S. P. (2006). The new public governance?. Taylor & Francis.

Stoker, G. (2006). Public value management: a new narrative for networked governance?. The American Review of Public Administration36(1), 41–57. doi: 10.1177/0275074005282583.

[1] Per un approfondimento sul tema delle collaborazioni inter-organizzative nel settore pubblico vedi Buonocore e Ingrassia (2020).

[2] Secondo i paradigmi teorici della New Public Service (Denhardt e Denhardt, 2015), Public Value Management (Stoker, 2006) o New Public Governance (Osborne 2006), i servizi pubblici rappresentano il risultato di relazioni complesse tra attori pubblici, privati, del terzo settore e i cittadini, dove l’attore pubblico ha un ruolo centrale nell’azione di coordinamento nonché nella formulazione e implementazione delle politiche.

[3] Nel 2019 il Mit (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) ha finanziato una serie di progetti di e-democracy in relazione ad alcuni ambiti privilegiati che riguardano l’ambiente, il territorio, interventi sociali e di urbanistica. L’obiettivo è innescare su questi temi, anche considerando le esperienze di altri Paesi europei, delle collaborazioni innovative, che puntano a coinvolgere i cittadini nella fase iniziale di un processo di decisione politica, quando si identificano i problemi e le esigenze sociali e si imposta l’agenda politica per lo sviluppo di una soluzione innovativa.

[4] L’ultima edizione del Rapporto Desi colloca l’Italia all’ultimo posto della classifica europea, in ragione del preoccupante livello di analfabetismo digitale, visto che solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’UE).

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