Innovare o perire: le sfide organizzative nel “Teatro delle Cure”

Una medicina tecnologica, complessa e costosa. Questo è ciò che le nuove generazioni di medici e manager sanitari si trovano di fronte. Un teatro delle cure sempre più complicato dove l’innovazione organizzativa è l’unica strada per la sostenibilità.

E’ possibile salvare la medicina?

In molti paesi industrializzati ci si interroga sulla sostenibilità dei sistemi sanitari. Che ci si trovi in un sistema universalistico come il nostro, che spende quasi il 9% del PIL per la salute (tra pubblico e privato) o in un sistema di mercato come quello USA dove la spesa ha raggiunto il 17% del PIL, l’interrogativo è sempre lo stesso. Il sistema economico è in grado di sostenere le spese di una sanità sempre più tecnologica e costosa? La crescita della spesa sanitaria spinta dall’evoluzione demografica ed epidemiologica e dall’innovazione tecnologica è veramente inarrestabile? E’ possibile che il modo in cui l’assistenza viene erogata e gestita possa essere migliorato in modo tale da rendere i sistemi “sostenibili” nel tempo? Atul Gwande, Professore di Medicina ad Harvard, in un famoso “Ted Talk” (https://www.ted.com/) ha posto la domanda cruciale: è possibile salvare la medicina?

Secondo Gwande il nostro modello di gestione delle cure è oramai in difficoltà perché continuiamo a gestire i processi di cura secondo le stesse logiche che si utilizzavano ai tempi dell’introduzione della penicellina, nel 1937. Una medicina poco costosa perché con poche soluzioni, amministrate da medici che operavano come degli “artigiani”, armati di coraggio, indipendenza ed autonomia. A quei tempi gli ospedali non assicuravano soluzioni certe ma pochi strumenti in un ambiente caratterizzato da un po’ di calore umano e una attenta assistenza infermieristica. L’armamentario diagnostico terapeutico che negli anni ’30 era fatto di poche decine di opzioni oggi si compone di oltre 4000 procedure chirurgiche e 6000 farmaci. Solo nel 1970 la cura di un malato in ospedale prevedeva la collaborazione, in media, delle competenze di 4 full time equivalent: oggi la media è salita a 15. Quello che era un lavoro da artigiano (o da cow-boy, secondo Gwande) è oggi un lavoro da svolgere in team dove le competenze individuali – profondamente frammentate – vanno ricomposte in percorsi di diagnosi e cura che utilizzano mezzi costosi su un “oggetto” di lavoro particolarmente delicato: la persona umana.

E’ evidente come le dotazioni tecnologiche disponibili e le competenze dei singoli professionisti siano importanti per gli esiti nelle cure. Ma abbiamo altrettanta certezza ed evidenze che l’organizzazione del lavoro può fare la differenza e il coinvolgimento dei medici nel disegnare “l’organizzazione” delle cure sia fondamentale. Tre sembrano essere le competenze fondamentali oggi richieste ad un buon medico nella medicina “organizzata”:

  • la capacità di collegare gli esiti di salute con gli interventi adottati ponendosi costantemente il problema di quali combinazioni di risorse generano più valore; questa è la prospettiva che oggi chiamiamo “value based healthcare”;
  • la seconda competenza richiesta è quella del “problem solving”, ovvero l’attitudine all’osservare i problemi che emergono nei processi di cura per trovare delle soluzioni creative per il loro miglioramento. Un caso eclatante è rappresentato da quei medici che sono riusciti ad ottenere dall’uso delle check list pre-chirurgiche (di ispirazione aeronautica) una riduzione degli errori in sala operatoria del 47% e una riduzione della mortalità fino al 35% (dati WHO);
  • la terza competenza è legata all’”implementazione” dei cambiamenti e ha a che fare con la leadership; il medico è l’unico attore, nel “teatro delle cure”, in grado di coinvolgere gli altri spiegando l’utilità di un cambiamento garantendo così il suo compimento.

Queste tre competenze, certamente non le uniche di un buon medico, suggeriscono però che la medicina di oggi non si fonda su coraggio, indipendenza ed autonomia, ma al contrario su umiltà, disciplina e lavoro di gruppo. Un cambiamento paradigmatico che ha bisogno di uno stravolgimento nei modi di lavorare in ospedale e fuori di esso.

L’attenzione posta sui percorsi di innovazione organizzativa nel settore della salute è significativa e crescente sia nell’ambito accademico che in quello professionale ed istituzionale.

Gli studiosi, in ambito organizzativo e manageriale, hanno visto negli ospedali uno dei campi più sfidanti per testare le proprie teorie e verificarne la validità.

L’importanza che i servizi sanitari rivestono nei sistemi di welfare di tutti i paesi del mondo, gli importanti investimenti che richiamano, l’innovazione tecnologica che stimolano e l’attenzione politica che su di essi viene posta, pongono il settore “salute” sotto osservazione per gli operatori del settore e i manager che in esso operano (Ribera et al. 2016).

Il contesto del Servizio sanitario nazionale tra innovazione e sostenibilità

In Italia, come in altri paesi dotati di sistemi sanitari pubblici ad impronta universalistica, l’esigenza di conciliare bisogni di salute crescenti e limitate risorse disponibili, sta imponendo percorsi di riorganizzazione e riforma a volte anche drammatici. In alcuni paesi Europei (come la Spagna) i governi hanno dovuto scegliere la strada del “razionamento” delle prestazioni per specifiche popolazioni rinunciando di fatto al carattere universalistico del proprio sistema di welfare.

In Italia, nel tentativo di mantenere il carattere universale dell’Ssn sono stati intraprese azioni in diverse direzioni:

  • L’imposizione di stringenti piani di rientro dal deficit per le regioni in condizioni finanziarie di forte squilibrio spesso tesi a spostare il baricentro dell’attività dall’ospedale al territorio soprattutto per la gestione delle condizioni croniche;
  • il blocco del turn-over del personale per riequilibrare la forza lavoro con le reali esigenze del sistema;
  • l’applicazione della disciplina della spending review per eliminare le variabilità che caratterizzano l’acquisizione dei beni e dei servizi in sanità;
  • la parallela centralizzazione degli acquisti per beni e servizi in sole 33 stazioni appaltanti;
  • un intervento significativo sulla spesa per i farmaci attraverso l’adozione di approcci stringenti nella fase di definizione del prezzo e delle condizioni di rimborso, favorendo l’uso dei farmaci generici, imponendo dei tetti globali alla spesa farmaceutica e al fatturato delle singole aziende;
  • l’imposizione di tetti globali per l’acquisto di dispositivi medici;
  • l’introduzione della disciplina dei piani di rientro “aziendali” previsti dalla Legge di Bilancio 2017 per ospedali e Asl in squilibrio finanziario e con parametri di performance operativa inadeguati rispetto agli standard.

Molti di questi interventi puntano a generare efficienza nel sistema sanitario chiedendo uno sforzo a coloro che offrono i fattori produttivi al sistema: l’industria biomedica, gli ospedali accreditati, il personale (vedi blocco del turn over). Secondo molti osservatori il nostro sistema non è più in grado di recuperare efficienza operando sui fattori della produzione ed è oramai indispensabile operare per innovare il sistema nei suoi assetti organizzativi e nei suoi processi operativi.

Questa è la sfida dell’innovazione organizzativa che presuppone una trasformazione radicale nei modelli organizzativi, nella gestione dei processi di cura, nei sistemi di gestione delle performance, nelle competenze professionali degli operatori e nella loro cultura organizzativa (Lega, De Pietro 2005).

Dove va l’innovazione organizzativa in sanità?

Anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore (attraverso il Cerismas, Centro di ricerche e studi sul management sanitario) ha investito le sue competenze multidisciplinari per avviare un programma di ricerca pluriennale che punta alla comprensione dei percorsi dell’innovazione organizzativa in campo sanitario ed ospedaliero traguardando l’orizzonte del 2020. Il programma di ricerca ha preso le mosse da una analisi sistematica della letteratura (Gabutti et al. 2017)  che ha poi permesso di testare alcune ipotesi grazie allo sviluppo di una molteplicità di casi di studio a livello nazionale ed internazionale sulle più svariate forme di innovazione organizzativa nel contesto ospedaliero (Gabutti, Cicchetti 2017).

L’analisi svolta durante il 2016 ha permesso di individuare 3 pilastri del dell’innovazione organizzativa in campo sanitario e 4 driver che accelerano la transizione verso le nuove forme. I pilastri del cambiamento sono tre:

  • progressive patient care;
  • patient centred care;
  • lean management.

Il raggiungimento di queste innovazioni è facilitato da specifici e mirati investimenti realizzati in quattro ambiti (drivers/enablers);

  • lo sviluppo delle competenze;
  • la selezione e la gestione delle tecnologie sanitarie;
  • la raccolta dei dati e il governo dell’informazione;
  • il governo della performance;
Figura 1. I pilastri e i driver dell’innovazione organizzativa in sanità

I pilastri del cambiamento

Il percorso del cambiamento che sembra caratterizzare gli ospedali e le altre organizzazioni sanitarie, risulta dall’interazione dei tre pilastri che si realizza in modi, forme e tempi diversi in relazione ai contesti di riferimento.

Progressive patient care (PCC)

I principi della progressive patient care non sono certo nuovi nel contesto sanitario (Raven 1962). Già alla fine degli anni ’50 presso la Johns Hopkins University a Baltimora, il modello veniva sperimentato per la migliore gestione dei pazienti in un contesto accademico. Il modello, agli inizi del nuovo millennio, è stato riadattato alle esigenze di un sistema sanitario universalistico come quello Britannico e velocemente ha iniziato ad ispirare nuovi modelli progettuali degli ospedali sia sotto il profilo architettonico che organizzativo. L’evoluzione verso la PPC esprime la tendenza al superamento dei vecchi approcci per la divisione del lavoro basati sulla presenza di strutture organizzative “verticali” (come i dipartimenti assistenziali) popolate da clinici con la medesima specializzazione che controllano risorse, tecnologie e persone. Questo superamento conduce a modelli orizzontali in cui le responsabilità organizzative non riguardano le strutture ma i percorsi di cura e i relativi esiti. Diverse sono le etichette che in letteratura sono riconducibili a questi approcci oltre a quello della PPC: “comprehensive critical care”, “intensity of care models”, “care-focused organizations” sono i labels più comunemente utilizzati per evidenziare questa tendenza. In particolare l’approccio prevede nuove forme di aggregazione dei pazienti e l’organizzazione dei processi di assistenza al paziente attorno al livello di criticità delle condizioni dei pazienti e all’intensità dell’assistenza infermieristica necessaria per affrontarle. L’approccio delinea una nuova disciplina nella divisione del lavoro tra medici ed infermieri, affidando ai primi le decisioni cliniche e la responsabilità del percorso di cura, mentre ai secondi, la gestione dell’assistenza e delle risorse infrastrutturali, tecnologiche ed umane.

Recentemente in Italia alcune Regioni come la Toscana, l’Emilia Romagna e la Lombardia, nell’avviare il proprio piano di ammodernamento della rete ospedaliera, hanno scelto modelli architettonici e funzionali che hanno permesso l’adozione di un modello per intensità delle cure (o PCC).

Patient centred model

L’approccio centrato sul paziente (Hernandez et al. 2013) è strettamente connesso al modello della “progressive patient care” e consiste in una “filosofia” che guida l’organizzazione a rivedere tutti i suoi sforzi nella prospettiva delle esigenze del paziente, rivoluzionando la più tradizionale visione che centra il focus organizzativo sul lato dell’offerta ovvero sul lato della competenze specialistiche del medico. In altre parole, se con il modello a cure progressive l’attività è organizzata all’interno di piattaforme orizzontali e non più nelle direzioni cliniche verticali, l’approccio patient centred ha a che fare con il modo in cui queste piattaforme vengono riempite con percorsi clinici orizzontali che determinano i flussi tempestivi e fluidificati. In questo approccio il modello organizzativo tende ad una ottimizzazione congiunta dei processi clinico-assistenziali di base e quelli di supporto in quanto corresponsabili della qualità delle cure e dell’efficienza operativa. Tra i principali processi di supporto da allineare con il percorso principale di cura, certamente appare critica la logistica del farmaco, il trasporto dei pazienti, la nutrizione, le attività di laboratorio e di imaging. E’ chiaro che la qualità di questo allineamento è fondamentale in un contesto dove “produzione” e “consumo” sono simultanei, con servizi che devono essere resi nel momento preciso in cui questi vengono richiesti. Le implicazioni della trasformazione dell’organizzazione in una logica di processo sono diversi e investono le competenze professionali, le tecnologie biomediche, l’architettura dei sistemi informativi sanitari e il modo di misurare la performance.

Lean management

L’applicazione delle logiche lean all’organizzazione sanitaria è strettamente connessa ad un approccio centrato sul paziente e, a sua volta, a un modello di governo del paziente basato sulla progressività e l’intensità delle cure. Se infatti il modello progressivo di cura dei pazienti può essere considerato come un “contenitore organizzativo” e l’approccio centrato sul paziente come un insieme di percorsi per “riempire” tale contenitore, l’approccio lean fornisce tutti quegli strumenti tecnici che permettono ai primi due di interagire fra loro. Questo approccio appare particolarmente adatto in un contesto dove il modello richiede la gestione di flussi di pazienti ognuno caratterizzato da esigenze differenziate ma che transitano nell’ambito di piattaforme logistiche (es. il reparto di degenza) e piattaforme tecnologiche (es. le camere operatorie o i servizi radiologici) con il contributo di operatori diversi. La gestione lean, applicata alla sanità, consente al personale di prima linea di individuare i problemi e di elaborare soluzioni adeguate con un duplice beneficio in termini di efficacia delle cure ed efficienza nell’uso delle risorse. L’adozione di tali logiche è già ampiamente sperimentata con evidenze significative nell’ottimizzazione dei servizi operatori e dei dipartimenti di emergenza in ospedali europei e statunitensi in particolare. Nell’ambito della ricerca svolta da Cerismas casi di un certo interesse sono stati analizzati in Italia (es. Istituto Clinico Humanitas), Svezia (Karolinska Intituet), Belgio (Ospedale Accademico di Lovanio).

I driver del cambiamento

Le tre pilastri del cambiamento si intrecciano producendo soluzioni organizzative tra le più differenziate e i casi fin qui analizzati mostrano l’emergere di forme estremamente variegate. Questa dinamica evolutiva è però spinta da fattori sottostanti che appaiono critici per dare al modello organizzativo la possibilità di realizzarsi in maniera compiuta: la tecnologia, le competenze, l’informazione e il controllo.

La velocità nell’intraprendere le tre direzioni del cambiamento dipende quindi dalla capacità di governo delle quattro dimensioni abilitanti e dagli approcci e strumenti adottati per realizzare tale governo.

Le competenze

Come in ogni organizzazione knowledge based, anche per gli ospedali la capacità di selezionare e sfruttare a pieno le competenze professionali dei collaboratori appare chiave per il conseguimento degli obiettivi. In un ospedale la questione appare particolarmente complicata dalla presenza di competenze frammentate e al tempo stesso approfondite che sono chiamate ad una cooperazione che si deve realizzare in modo rapido e tacito (come nel caso di un intervento di angioplastica coronarica in condizioni di emergenza). Nel muovere verso modelli organizzativi orientati ai processi, i soli a garantire l’integrazione tra competenze altrimenti così “distanti”, appare fondamentale lo sviluppo di nuovi profili professionali sia a livello medico (es. il medico tutor o l’hospitalist) che infermieristico (es. il case manager o il nurse coordinator). Al tempo stesso l’adozione di un modello per cure progressive (PCC), impone lo sviluppo di competenze specifiche soprattutto per il personale infermieristico di coordinamento chiamato a gestire piattaforme tecnologiche e logistiche che caratterizzano l’ospedale per intensità di cure. Team work, leadership, competenze relazionali, capacità di influenzare le scelte dei clinici sono indispensabili per un infermiere per governare la complessità di un modello organizzativo fondato sulla PCC. Da ultimo, la possibilità di implementare soluzioni “lean” implica un significativo “empowerment” in figure spesso considerate ancillari (come appunto gli infermieri) che, in questo modello, sono chiamati a scovare i problemi (es. gli sprechi) progettando ed implementando le relative soluzioni.

La tecnologia

Nell’evoluzione verso ospedali “lean” (zero sprechi), orizzontali (patient centred) e a cure progressive (per intensità di cura), la tecnologia sanitaria deve essere selezionata, allocata e gestita in relazione all’apporto che questa fornisce in termini di “valore terapeutico” in relazione all’investimento economico necessario. Questo implica una nuova visione dell’”health technology assessment & management”, in cui la selezione della tecnologia stessa è il risultato di un lavoro di squadra dove tutti i clinici impegnati nell’ambito del percorso (e non il singolo specialista), concorrono ad analizzare il reale contributo al percorso di cura unitamente ad infermieri e tecnici (es. ingegneri clinici e farmacisti). In questi contesti orientati all’azzeramento degli sprechi e alla ricerca del valore, è evidente che la valutazione deve essere integrata con gli aspetti economici e finanziari nella più tradizionale logica HTA.

L’informazione

La capacità di governo dei dati sanitari, amministrativi e tecnici e la loro sistematica integrazione e lettura è di fondamentale importanza per garantire lo sviluppo dei tre pilastri del cambiamento. La cartella clinica elettronica, in sostituzione dei tradizionali “applicativi” dipartimentali, è la chiave per l’implementazione del modello “patient centred” in cui le scelte del percorso di cura – condivise tra diversi professionisti – devono essere indirizzate da informazioni fornite alla “comunità delle cure” in modo tempestivo e accurato. Per la gestione secondo il modello delle cure progressive, è invece indispensabile che il sistema informativo abbia una capacità di localizzazione sistematica e tempestiva dei pazienti all’interno della struttura e garantire la chiara comprensione della “fase” della cura in cui si trovano. I sistemi di “visual management” permettono una puntuale gestione del percorso di cura come nella gestione di una  “commessa” particolarmente delicata.

Il controllo

I modelli organizzativi orizzontali e per cure progressive pongono delle sfide importanti per i sistemi di programmazione e controllo e per la gestione della performance sotto due profili. In primo luogo i modelli tradizionali che misurano costi, ricavi, efficienza ed efficacia a livello dipartimentale risultano insufficienti in un modello dove le responsabilità sono associate ai percorsi di cura e condivise tra più professionisti. In secondo luogo la gestione per cicli di cura, caratteristica della PCC, si associa con una valutazione degli esiti di tali cicli da collegare ai consumi delle risorse. La conseguenza è la necessità di implementare modelli di activity based costing da associare con una attenta misurazione degli esiti utilizzando in modo combinato dati amministrativi e clinici “patient level”. E’ evidente che le complessità organizzative e gli investimenti tecnologici appaiono importanti ma aprono anche la strada alla possibilità di creare basi di dati ricchissime di dettagli che, analizzate secondo approcci adeguati (big data analytics), promettono di fornire indicazioni cruciali per i progressivo miglioramento di efficienza ed esiti delle cure.

Un nuovo palcoscenico per il teatro delle cure

Lo scenario della medicina sta cambiando in maniera repentina e il “teatro delle cure” vede molti nuovi attori su un palcoscenico che si trasforma continuamente e che ha bisogno di una nuova generazione di “registi”. Nuovi bisogni, tecnologie innovative per la diagnosi e la cura, domanda di salute sempre più accurata e informata, sostenibilità a rischio, implicano una trasformazione profonda dei modelli organizzativi e dei meccanismi di gestione. La sfida della gestione è quindi sempre più cruciale e impone nuove competenze per medici ed infermieri ma anche abilità manageriali del tutto nuove e che solo in parte sono state comprese.

Bibliografia

Gabutti I, Cicchetti A (2017): Translating strategy into practice: A tool to understand organizational change in a Spanish university hospital. An in-depth analysis in Hospital Clinic, International Journal of Healthcare Management, DOI:

10.1080/20479700.2017.1336837

Gabutti I, Mascia D, Cicchetti A (2017) Exploring “patient-centered” hospitals: a systematic review to understand change. BMC Health Serv Res. 17:364. doi:10.1186/s12913-017-2306-0

Hernandez S, Conrad D, Marcus-Smith M (2013) Patient-centered innovation in health care organizations: a conceptual framework and case study application.

Health Care Manage Rev. 38(2):166–175.

Lega F, De Pietro C (2005) Converging patterns in hospital organization: beyond the professional bureaucracy. Health Policy 74:261–281.

Raven, R. W. (1962). Progressive patient care. British Medical Journal, 1(5270), 43-44.

Ribera J, Antoja G, Rosenmoeller M (2016) Hospital of the future. A new role for leading hospitals in Europe. Barcelona: IESE Business School.

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