La gestione delle risorse umane in sanità: il ruolo del work engagement

Le performance organizzative sono fortemente legate alle competenze dei lavoratori. La capacità di auto-motivarsi degli individui costituisce una risorsa preziosa, perché crea le basi per il cambiamento. Le pratiche “progressiste” di gestione delle risorse umane sostengono lo sviluppo del work engagement dei lavoratori in settori complessi come quello della sanità.

Introduzione

Le competenze professionali e le abilità relazionali sono considerate dai teorici e dai pratictioner dell’organizzazione la premessa indispensabile per il conseguimento di performance eccellenti e, ancor più, per il supporto dei delicati processi di cambiamento. In questa visione alcuna differenza sostanziale rileva rispetto alla natura pubblica o privata dell’organizzazione, alla sua dimensione o alla natura del suo business. In ogni contesto operativo, infatti, le conoscenze e le attitudini dei singoli e la trama delle relazioni interpersonali che li unisce determinano il grado di eccellenza dell’azione organizzativa, – ma, in questa sede si intende sottolineare, soprattutto – la sostenibilità economica, la legittimazione sociale, e la capacità di elaborare visioni di sviluppo coerenti con le esigenze del contesto interno e di quello esterno. Ed è proprio su questo piano che le risorse umane segnano – ancora? segneranno per sempre? – la differenza fondamentale rispetto alla risorsa tecnologica!

Nel campo delle attività professionali, studi ed esperienze ormai consolidate evidenziano il ruolo che le competenze individuali hanno soprattutto nella gestione della relazione con il cliente/utente beneficiario dei servizi resi dall’organizzazione; le stesse evidenze teoriche ed empiriche enfatizzano il peso che in tali contesti i relativi modelli di organizzazione del lavoro attribuiscono all’autonomia dei lavoratori, alla loro capacità di auto-motivarsi e a quella di assolvere al compito di “primi controllori” del loro stesso operato.

Nella strutturazione e nella gestione dei Policy Network – reticoli organizzativi composti da organizzazioni pubbliche e private impegnate nell’attuazione di complesse politiche pubbliche – le competenze specialistiche e manageriali sono considerate il fulcro centrale, più delle risorse finanziarie che sostengono tali programmi o delle soluzioni tecnologiche e dei meccanismi che regolano le transazioni tra gli attori. In particolare, tale centralità è da tempo testimoniata ed evocata con forza nell’ambito delle politiche di tutela della salute pubblica: in questo settore, strategico per l’attenzione le collettività vi ripongono, oltre che per la sua rilevanza economica, ai manager pubblici e privati è richiesto di assicurare la migliore qualità nella cura dei pazienti, e, allo stesso tempo, di garantire ambienti lavorativi sicuri e motivanti per i propri lavoratori.

La ricerca scientifica ha analizzato questa relazione ed ha confermato l’importanza fondamentale che alcune pratiche moderne di gestione delle risorse umane hanno nel sostenere la ricerca di tali risultati positivi per i pazienti, il personale e le organizzazioni sanitarie (tra gli altri, Appelbaum e Gandell, 2003; Armstrong, 2006; West et al., 2006).

Un recente ed importante contributo indaga con attenzione ed originalità le relazioni delineate in questa sede: il lavoro di Shantz et al. del 2016 (Shantz A., Alfes K., Arevshatian L.,”HRM in healthcare: the role of work engagement”, Personnel Review, Vol. 45, Iss. 2, pp. 274 – 295) analizza la relazione esistente tra la conduzione di quattro specifiche “pratiche progressiste” di Human Resources Management (HRM) e le performance di diversi gruppi di professionisti che operano nel settore sanitario. Sulla base delle evidenze empiriche gli autori propongono un nuovo approccio all’HRM fondato su un concetto innovativo di “work engagement”.

I dati utilizzati per la ricerca sono stati estrapolati dalla Survey del 2011 del National Health Service del Regno Unito e sono stati raccolti tramite questionari somministrati a 42.357 infermieri e 26.661 amministrativi di strutture sanitarie pubbliche e private.

L’evoluzione del sistema di gestione delle risorse umane nel settore sanitario

A partire dai primi anni novanta del secolo scorso il tema della creazione di valore nelle aziende sanitarie ha assunto sempre più rilevanza nel dibattito scientifico, spingendo i Policy maker e i responsabili delle organizzazioni sanitarie verso sfide sempre più complesse circa l’efficacia e l’efficienza nel loro operato.

In tal senso, il management delle organizzazioni sanitarie è chiamato a garantire un equilibrio sostenibile fra l’esigenza di rispondere ad una domanda di servizi di cura in crescita e quella di utilizzare al meglio le limitate risorse economiche, perseguendo al contempo, il miglioramento della qualità dei servizi offerti e, quindi, della salute pubblica in generale.

Per affrontare, con successo queste sfide, è necessario che ogni organizzazione sanitaria adotti: moderni modelli di governance, caratterizzati sempre più spesso dalla cooperazione pubblico-privato; efficaci ed efficienti assetti strutturali e modelli di gestione dei processi di lavoro, orientati all’accountability; evoluti e coerenti sistemi di gestione delle persone ispirati alla tutela dei dipendenti e alla valorizzazione dei meriti (Flyn et al., 2016).

Al fine di supportare le organizzazioni sanitarie in tali sfide, numerosi professionisti e studiosi sul campo, hanno rivolto la loro attenzione a nuovi approcci all’HRM (Michie e West, 2004; Bartram et al., 2007). L’evidenza empirica, suggerisce, infatti, che le diverse pratiche di gestione e sviluppo delle risorse umane, hanno un impatto positivo sulla performance organizzativa (Chuang et al., 2012). Tali studi affermano che, nonostante esista una vasta gamma di fattori che possono influenzare le performance organizzative, quali la struttura organizzativa, la tecnologia impiegata e la strategia condotta, il loro impatto sulla performance è minore rispetto a quello generato dal sistema di gestione delle risorse umane adottato dall’organizzazione (Marchington e Grugulis, 2000).

Nello specifico, l’impatto sulla performance si genera attivando nelle persone comportamenti orientati all’autonomia, all’assunzione di responsabilità, alla condivisione di informazioni e all’apprendimento, non solo individuale e di team, ma anche organizzativo. Per ottenere tali comportamenti, definiti di “cittadinanza organizzativa” Delaney e Huselid, 1996) diventa fondamentale l’applicazione di stili manageriali incentrati sull’empowerment e sullo sviluppo delle persone.

I processi di aziendalizzazione sperimentati a partire dagli anni novanta in ambito pubblico e, quindi, anche in ambito sanitario, hanno portato a un cambiamento di natura sia fattuale che culturale anche nel campo delle pratiche di HRM. Il tentativo ormai diffuso è di passare da pratiche di tradizionali di HRM, incentrate sul concetto di incremento della produttività attraverso incentivi e controllo, a pratiche “progressiste” o ad “alto rendimento” di HRM caratterizzate dalla ricerca del migliore impiego e della valorizzazione del capitale umano disponibile, costituito dalle conoscenze, capacità e abilità dei propri dipendenti. Ciò allo scopo di rafforzare il contributo che le persone possono dare al conseguimento degli obiettivi strategici e alla erogazione di servizi di elevata qualità (Leggat e Dwyer, 2005).

Per qualità si intende, secondo la definizione proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, “dare a ciascun paziente l’insieme degli atti diagnostici e terapeutici che gli assicureranno il risultato migliore in termini di salute, in conformità allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, al costo minore a parità di risultato, al minor rischio iatrogeno e orientato alla maggiore soddisfazione possibile per le procedure, i risultati e i contatti umani dell’organizzazione sanitaria”. Secondo Donabedian (1990), uno dei più grandi pionieri dell’applicazione del Quality Management al servizio sanitario, la qualità in sanità è correlata alla corretta gestione di due aspetti distinti ma fondamentali: le procedure tecnico-operative e i rapporti interpersonali. In altre parole, occorre distinguere tra cure (cura) e care (assistenza), oppure fra tecnica dell’assistenza e arte dell’assistenza. Più in dettaglio, per qualità tecnica si intende la capacità di orientare l’azione professionale verso risultati ed effetti prevedibili o verificabili. In un’organizzazione di qualità gli obiettivi del servizio sanitario, devono essere noti fin dall’inizio e occorre valutare se sono stati impiegati i mezzi adeguati al raggiungimento dell’obiettivo. Per quanto riguarda, invece, la qualità interpersonale, essa sottointende l’arte di saper instaurare e mantenere un rapporto solido con i pazienti e di accompagnare personalmente e rispettosamente ognuno di essi. Dunque, per garantire un miglioramento sistemico della qualità dei servizi sanitari, l’attenzione deve essere posta sia sugli aspetti relazionali nel rapporto con gli utenti, che sulla qualità tecnico-professionale dei dipendenti. Dall’efficacia delle pratiche di gestione delle risorse umane deriva, la sensibilità e la capacità dei dipendenti di agire in modo autonomo comportamenti coerenti con l’obiettivo di innalzare la qualità dei servizi sanitari erogati.

Pratiche progressiste di HRM e Work Engagement in sanità

Dopo il processo di selezione delle proprie risorse umane, le organizzazioni possono migliorare le task performance individuali fornendo ai dipendenti variegate tipologie di azioni di supporto, che agiscono su differenti aspetti dei loro comportamenti e sono percepiti in modo diversamente utile dagli interessati (Delery e Doty, 1996; Delaney e Huselid, 1996).

Tra le diverse e sempre più sofisticate pratiche di HRM particolare attenzione è posta nello studio di Shantz et al. del 2016 a quattro specifiche tipologie di interventi: la formazione; le azioni di sviluppo individuale; la partecipazione ai processi decisionali; la comunicazione tra dipendenti e manager.

La prima pratica, la formazione, appare sempre legata positivamente e direttamente all’impegno sul lavoro (Bartlett, 2001). Le ricerche dimostrano, infatti, che la disponibilità di risorse come la formazione conducono naturalmente ad un maggior impegno dei dipendenti, con conseguenti livelli più elevati di efficacia e di efficienza organizzativa (Salanova et al., 2005). Inoltre la formazione può migliorare la sicurezza e la qualità delle cure, poiché senza dubbio aiuta a ridurre l’errore umano. Infine, essa sembra positivamente correlata, quando ben calibrata, anche al miglioramento della consapevolezza del proprio ruolo e dell’immagine di sé del lavoratore.

La seconda pratica è rappresentata dall’attuazione di un programma di azioni di sviluppo individuale. In ambito sanitario Cho et al., (2006) hanno dimostrato, ad esempio, che creare opportunità di sviluppo e di crescita per i dipendenti (ad esempio le infermiere di un ospedale) ha impatti positivi, non prioritariamente sui risultati conseguiti con il loro lavoro, ma tra le altre cose sulla loro capacità di gestire la “stanchezza emotiva” (il che si traduceva in un impegno maggiore vero quell’ospedale) con effetti indiretti ma fondamentali sulla tenuta nel tempo delle loro performance.

Anche l’aumento del grado di coinvolgimento e di partecipazione di un dipendente ai processi decisionali che riguardano l’organizzazione del proprio lavoro appare, negli studi citati, una risorsa preziosa per stimolare comportamenti autonomi e orientati alla qualità. Tale partecipazione implica l’opportunità di esprimere preoccupazioni e di proporre suggerimenti per l’organizzazione in modo tale da svolgere al meglio di propri compiti (Lam et al., 2002). Concedere e strutturare queste opportunità rafforza il senso di engagement e di responsabilizzazione verso il proprio operato.

La quarta pratica, infine, è rappresentata da una comunicazione efficace tra manager e lavoratori, Quando questa è ben incentrata sugli obiettivi del lavoro dei propri collaboratori, ma è anche finalizzata a sviluppare una maggiore consapevolezza del loro ruolo, contribuisce positivamente ad attivare preziose risorse emotive che rafforzano il coinvolgimento degli individui rispetto agli obiettivi strategici dell’organizzazione.

Nello studio citato l’utilizzo delle pratiche ad “alto rendimento” descritte ha contribuito nel suo insieme, inoltre, a propiziare un buon clima organizzativo, promuovendo presso i dipendenti l’adozione di comportamenti individuali, discrezionali e non direttamente incentivati dal sistema formale delle ricompense. Tra questi comportamenti, la letteratura individua tra i più rilevanti l’altruismo (disponibilità ad aiutare i colleghi nei loro compiti) e la cortesia (premura nell’istaurare relazioni improntate alla gentilezza e alla cooperazione) (Delaney e Huselid, 1996)

Nello studio di Shantz et al. del 2016 le pratiche progressiste illustrate hanno nel loro insieme la capacità di influenzare lo stato di “engagement” del lavoratore che rappresenta in sostanza il cuore del modello teorico proposto dagli autori. L’engagement, definito come “uno stato mentale positivo e di soddisfazione nei confronti del proprio lavoro caratterizzato da vigore, dedizione e immersione” (Salanova et al., 2005) costituisce la risultante delle azioni intraprese dal management a beneficio dei propri lavoratori e la premessa per il miglioramento delle loro performance.

Le ipotesi testate e i dati raccolti da Shantz e i suoi coautori dimostrano, infatti, in modo accurato che il processo motivazionale è influenzato da fattori rilevanti, definiti “job resources” e attivati dalle pratiche progressiste illustrate in precedenza, incrementando il work engagement dei lavoratori e generando un impatto positivo sulle loro performance e sul loro benessere.

Il contributo innovativo dello studio proposto è riconducibile, tuttavia, anche ad un altro aspetto evidenziato dalla ricerca empirica. La maggior parte delle ricerche condotte sui temi della motivazione in ambito sanitario, infatti, considera i dipendenti come gruppi omogenei. L’approccio innovativo di Shantz et al. è quello, invece, di esaminare gli esiti dell’utilizzo delle pratiche progressiste di HRM in modo distinto su due gruppi professionali chiave: le infermiere e il personale amministrativo. Tali gruppi sono stati scelti perché i primi rappresentano uno dei principali gruppi professionali presenti nelle strutture sanitarie, mentre i secondi rappresentano il gruppo che tende a manifestare generalmente i maggiori tassi di demotivazione e mancato impegno.

Dalla ricerca emerge, così, un dato rilevante per il dibattito scientifico e la pratica manageriale. Nella ricerca condotta nel Regno Unito le azioni di sostegno allo sviluppo delle risorse umane hanno avuto effetti differenti su gruppi diversi di professionisti: a) la partecipazione al processo decisionale e la migliore comunicazione hanno prodotto effetti più marcati sull’impegno lavorativo delle infermiere, rispetto alla formazione e all’opportunità di sviluppo; b) la formazione e le opportunità di sviluppo invece risultano essere correlate maggiormente all’impegno lavorativo del personale amministrativo rispetto alla loro partecipazione al processo decisionale e alla comunicazione. La differenziazione dei gruppi di beneficiari di un programma di sviluppo organizzativo sulla base di tali evidenze appare una via molto utile da perseguire per un management costretto spesso ad operare con risorse limitate.

Conclusioni

Le pressioni sulle organizzazioni sanitarie pubbliche per una risposta di qualità aumentano costantemente. Le organizzazioni sanitarie hanno l’arduo compito di saper gestire in maniera efficiente ed efficace la cura del paziente, assicurando contemporaneamente una migliore qualità e un ambiente più sicuro per i propri pazienti e i propri dipendenti. È quindi necessario che esse attivino nei loro dipendenti visioni e atteggiamenti orientati alla qualità, ma anche alla responsabilità e all’autonomia.

Per tutto ciò occorre meditare con maggiore attenzione sulla possibilità di “personalizzare” l’offerta di pratiche di HRM per i diversi gruppi professionali presenti nelle organizzazioni sanitarie.

Il lavoro di Shantz et al. fornisce diversi contributi importanti.

In primo luogo fornisce un punto di vista alternativo per spiegare in che modo le diverse percezioni delle pratiche HRM producano uno stato motivazionale affettivo (impegno) nei dipendenti che determina a cascata risultati positivi sulle loro performance. La ricerca dimostra, in altri termini, una relazione positiva tra la percezione delle pratiche di HRM volute dal management, il work engagement sperimentato dai lavoratori e la qualità della cura del paziente e la sicurezza dell’ambiente sanitario.

Il secondo contributo è quello di esaminare le pratiche di HRM (formazione, opportunità di sviluppo, partecipazione ai processi decisionali e comunicazione) e il loro potenziale in modo distinto rispetto ad un’ipotesi forzata di unitarietà dei sistemi di gestione del personale.

Il terzo contributo, infine, consiste nel testare il modello proposto rispetto ai due gruppi professionali più diffusi e “critici” nelle organizzazioni sanitarie: gli infermieri e il personale amministrativo.

Le possibilità di attuazione efficace dei complessi programmi pubblici di tutela della salute, appaiono dunque, strettamente connessi alla capacità manageriale di calibrare in modo opportuno e dinamico, non solo azioni di correzione e di ricompensa che orientino in modo diretto i comportamenti dei lavoratori, ma anche di azioni di supporto e stimolo che incrementino i loro livelli di coinvolgimento e di responsabilità.

Bibliografia

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