La leadership nell’organizzazione. Riflessioni sulla valutazione e formazione dei leader

Il presente lavoro si focalizza sul tema della leadership organizzativa presentando inte-ressanti implicazioni gestionali, utili per i responsabili delle risorse umane e, più in generale, per tutti coloro che siano impegnati nella direzione aziendale. In particolare, si evidenzia l’importanza della formazione e della valutazione della leadership sulla base di quattro dimensioni comportamentali: la dimensione manageriale, umanistica, politica e simbolica.

1. Introduzione

La leadership ha sempre costituito nella storia dell’uomo un tema di grande fascino suscitando l’interesse di storici, politologi, sociologi, economisti, psicologi e, ovviamente, studiosi di management a causa del ruolo che essa gioca nella vita delle istituzioni sociali. La letteratura in materia è vastissima e una definizione soddisfacente di leadership può ormai dirsi consolidata: la leadership è la capacità di influenzare i comportamenti dei membri di un gruppo per il perseguimento di determinati obiettivi.

La complessità delle questioni in campo è talmente elevata che nel 1988 è stata fondata una rivista interamente dedicata a questo tema: The Leadership Quarterly. La crescita esponenziale degli studi sulla leadership ha indotto la rivista a fare il punto della situazione degli studi esistenti sull’argomento presentando un rapporto sulle questioni emergenti da decenni di ricerche (Dinh et al., 2014). Lo studio ha tenuto conto anche dei dati di un precedente lavoro condotto dalla stessa rivista nel 2010 (Gardner et al., 2010). Il rapporto si è concentrato sull’analisi di ben 752 articoli pubblicati sulle 10 maggiori riviste internazionali di management, comportamento organizzativo e psicologia applicata tra il 2000 e il 2012.

I risultati di questo rapporto, oltre a essere di ovvia competenza per gli studiosi di management, mi sono sembrati di potenziale interesse per coloro che sono impegnati nella direzione del personale e di strutture aziendali. Le pagine che seguono intendono appunto presentarne i contenuti e le implicazioni pratiche. Una raccomandazione. Il lettore non si spaventi se useremo la locuzione “teorie della leadership”. Una teoria non è un’astratta parola di cui diffidare, cara solo al mondo dell’accademia, bensì la puntuale spiegazione di fenomeni che regolarmente accadono in natura così come nei comportamenti dell’uomo, fenomeni che una comunità scientifica ritiene in un determinato momento degni di essere presentati al mondo.

2. Questioni di leadership

Lo studio di Dihn ed altri studiosi del 2014, oltre a offrire una completa rassegna delle questioni di leadership, registra anche il grado di interesse dei temi nel tempo sulla base di un’analisi statistica delle pubblicazioni. Il rapporto ha individuato ben 23 filoni di studio. Per semplificare ne vengono presentati in questo articolo 15. I rimanenti o sono stati inclusi nei 15 oppure sono stati omessi in quanto ritenuti più marginali.

Iniziamo con le teorie dei tratti di personalità, le prime a essere nate nel panorama degli studi sulla leadership. Si tratta di studi che si sono concentrati su alcuni aspetti caratteriali dei leader. I bisogni di predominio e di potere, per esempio, spiegherebbero la tendenza di alcune persone ad assumere nella vita ruoli di comando e controllo. La stabilità emotiva, cioè la misura in cui una persona è in grado di controllare le proprie emozioni nelle relazioni con gli altri, è stata spesso associata alle carriere dirigenziali. Le teorie dei tratti di personalità in senso stretto sono in declino mentre si mantengono stabili se accorpate ad altre teorie della persona quali quelle delle capacità e delle competenze del leader.

Vi sono poi le teorie carismatiche idealmente legate alle precedenti per l’enfasi che pongono sulle qualità caratteriali del leader. Vi fanno parte gli studi sul leader visionario e ispiratore, sul capo-Pigmalione, sul capo-eroe che si sacrifica, sul leader dalle qualità eccezionali. Questo filone di studi continua a destare grande interesse occupando il primo posto per frequenza di pubblicazioni.

Un gruppo di studi indirettamente connesso al concetto di carisma è quello basato sulla gestione delle emozioni e, dunque, sull’intelligenza emotiva del leader. La leadership emotiva è fondata sulla considerazione che il capo debba suscitare sentimenti, emozioni, passioni nelle persone funzionali alla prestazione e alla coesione del gruppo. Sebbene ancora non frequentatissimo nel panorama degli studi sulla leadership è un filone di crescente interesse.

Un passaggio epocale negli studi sulla leadership si è verificato quando si è compreso che i tratti di personalità del leader erano troppo numerosi e inefficaci nei vari contesti e che bisognava invece concentrarsi sulla capacità del capo di adattare i propri comportamenti alle circostanze. Le teorie del comportamento affrontano proprio temi di questo tipo. Il capo dovrebbe avere la capacità di: (1) garantire le prestazioni della struttura direttiva intrattenendo nello stesso tempo buone relazioni con i collaboratori; (2) gestire gli eventi critici della vita aziendale (conflitti organizzativi, contrasti interpersonali, crisi d’impresa, ecc.); (3) delegare le attività lavorative, coinvolgere il personale, fare un uso intelligente del potere premiante (e punitivo). È un filone di studi stabile questo ma che non si colloca ai primi posti per numero di pubblicazioni.

Teorie contingenti. Molte situazioni specifiche possono influenzare i comportamenti del capo rendendolo in taluni casi meno decisivo di quanto si pensi. È come se il sistema o alcune circostanze avessero la capacità di autoregolarsi o di condizionare il comportamento del capo. Si tratta, a titolo esemplificativo, di temi come: (1) la misura in cui il capo ha a che fare con collaboratori competenti e motivati; (2) la presenza di alcune situazioni più o meno favorevoli al controllo del capo come la sua posizione di potere nell’organizzazione, il grado di discrezionalità dei compiti dei collaboratori o le buone relazioni con il gruppo; (3) la fase del ciclo di vita dell’organizzazione (una leadership efficace in una fase espansiva non è detto che lo sia in anche in un periodo di crisi o di declino); (4) il clima organizzativo vigente. Le teorie contingenti sembrano essere un filone relativamente declinante nel panorama generale delle ricerche.

Teorie centrate sui collaboratori. Non esiste potere né leadership senza le persone. Né esiste un buon capo senza validi collaboratori. I risultati dei capi dipendono dalle performance dei collaboratori. I follower hanno la loro personalità in quanto persone, nutrono atteggiamenti positivi e negativi nei confronti dell’autorità, adattano il loro comportamento agli stili del capo. Le teorie centrate sui collaboratori si basano su questi assunti. Pur essendo molto circoscritte come contenuti continuano a destare un certo interesse occupando una posizione intermedia per numero di pubblicazioni.

Una forma particolare di teorie centrate sui collaboratori possono essere considerate le teorie dello scambio sociale. Il capo si relaziona non con l’insieme dei suoi collaboratori ma con ciascuno di essi separatamente come se fossero una coppia. La reciproca compatibilità in termini di personalità, valori e caratteristiche antropologiche (razza, genere, fisico, ecc.) determina uno scambio collaborativo positivo, negativo o mediocre. Queste teorie continuano a essere molto popolari tra gli studiosi occupando la terza posizione come numero di pubblicazioni.

Capo e collaboratori possono diventare con il tempo una squadra. Le teorie centrate sul team si focalizzano sul funzionamento dei gruppi cercando di: (1) cogliere le relazioni fra il capo e il gruppo visto questo nel contesto organizzativo entro il quale opera (gruppi di progetto, operativi, consultivi); (2) comprendere quali siano le determinanti di performance del gruppo; (3) comprendere le condizioni di fondo per costruire un team e quale sia il ruolo del capo nelle decisioni del gruppo. Questo filone si colloca al secondo posto nella categoria degli studi emergenti.

Teorie basate sull’uso del potere personale. La capacità del leader di gestire politicamente fonti di potere quali l’autorità, il diritto di dare premi e sanzioni, le informazioni, il carisma, l’impressione altrui è oggetto di particolare interesse di questo filone di ricerca. Pur rimanendo un filone stabile si colloca agli ultimi posti per numero di pubblicazioni.

In continuità con le teorie del potere personale, ma con riferimento ai livelli manageriali più elevati, troviamo le teorie strategiche cioè quel gruppo di studi focalizzato sulle capacità dei leader di: (1) costruire, mantenere e accrescere nel tempo relazioni di potere interne ed esterne all’organizzazione; (2) curare la molteplicità di interessi che convergono sull’organizzazione; (3) bilanciare le posizioni dei differenti stakeholder. Sono le teorie che più si occupano del fenomeno del leaderismo nelle grandi imprese, nelle arene politiche e nelle burocrazie pubbliche. Le teorie strategiche sono le prime nella specifica classifica delle teorie emergenti.

Tra le teorie che guardano all’ambiente esterno spicca il nutrito gruppo di studi sulla leadership interculturale. Le questioni trattate sono alquanto variegate. Si va dall’analisi dei ruoli femminili e delle minoranze etniche, culturali e sessuali agli studi sulle relazioni manageriali nel mondo, dall’analisi delle qualità che fanno un buon capo nelle varie culture alla leadership nelle multinazionali. Questi studi mantengono sempre un buon livello di appeal tra le teorie tradizionali collocandosi al quinto posto.

Un gruppo a parte costituiscono le teorie della leadership per la creatività e il cambiamento. Si tratta di studi che si concentrano per lo più sulle questioni aperte della visione del cambiamento, della creatività, dell’apprendimento e della conoscenza nei gruppi e in azienda. Sono al sesto posto nella classifica delle teorie emergenti.

Crescente interesse sembrano destare due gruppi di studi a mio avviso collegati: le leadership etiche e le leadership distruttive, corrotte o incompetenti. I primi si concentrano sugli atti altruistici dei leader e sui comportamenti manageriali declinati in termini etici. Le leadership spirituali e quelle autenticamente al servizio degli altri ne costituiscono alcuni esempi. I secondi si concentrano sui fenomeni del malessere dei collaboratori, degli abusi del capo, degli errori manageriali, della corruzione organizzativa. Di crescente interesse, le teorie etiche occupano un posto di tutto rispetto (quinto) nel ranking delle teorie emergenti mentre l’altro gruppo si colloca più in fondo alla classifica.

Infine segnaliamo altri due gruppi di studi emergenti. Il primo ha un approccio biologico alla leadership e si basa sull’analisi delle relazioni fra genetica e ambiente e sul contributo delle neuroscienze. Tali studi si stanno ponendo il problema di spiegare il comportamento leaderistico sulla base della struttura biologica dell’individuo e dei meccanismi di attivazione di parti specializzate del cervello umano.

Il secondo gruppo di studi è stato definito della e-leadership. Si tratta di un promettente filone di ricerche che cerca di comprendere le relazioni che intercorrono fra lo svolgimento di compiti specifici, la comunicazione digitale tramite reti in spazi virtuali e le competenze del leader in simili contesti. Le teorie biologiche e della e-leadership, pur allo stato embrionale, sono tuttavia di crescente interesse.

Ciascuno di questi filoni di ricerca si intreccia e si sovrappone sia sul piano teorico che sul piano pratico cogliendo alcuni aspetti del comportamento leaderistico che chi dirige uomini e strutture aziendali non dovrebbe mai dimenticare di rispettare. Discutiamone i contenuti.

3. Questioni di leadership: le implicazioni manageriali

Il filo rosso che tiene insieme questo apparentemente inestricabile corpo di teorie è dato, a mio avviso, da alcune dimensioni comuni che è possibile rintracciare nei vari filoni. Tali dimensioni dovrebbero concorrere a costituire un valido programma di formazione e valutazione delle capacità leaderistiche. Parlo delle dimensioni manageriale, umanistica, politica e simbolica del leader.

Formare e valutare il capo rispetto alla dimensione manageriale significa addestrarlo agli standard di prestazione attesi dalla struttura che dirige e verificare che le prestazioni effettive siano in linea con la performance complessiva del sistema nel quale opera. Formare e valutare il capo rispetto alla dimensione umanistica significa ascoltare i suoi collaboratori e chiedere loro se il capo è in grado di comprenderne la personalità, le motivazioni, le capacità al fine di stimolarne il coinvolgimento, dare loro fiducia e riceverla. Formare e valutare il capo rispetto alla dimensione politica significa accrescerne le sue capacità negoziali e valutarne i risultati in termini di bilanciamento degli interessi interni con gli interessi esterni alla struttura che dirige. Formare e valutare il capo rispetto alla dimensione simbolica significa capire in che misura egli è fonte di ispirazione e di idee per le persone, sa utilizzare i simboli organizzativi per suscitare emozioni e apprendimento, è capace di offrire prospettive e interpretazione di fatti aziendali.

La dimensione manageriale, nella quale includerei le teorie del comportamento basate sull’interesse per le prestazioni, alcune teorie contingenti come quelle del ciclo di vita, del clima organizzativo, della leadership per la creatività e il cambiamento, della capacità di gestire eventi critici, le teorie della delega, la e-leadership, ci dice che il capo efficace è colui che è in grado essere in sintonia con il sistema, di garantirne la sopravvivenza, di rispettarne i requisiti di performance, di assicurarne il cambiamento, di gestirne le criticità. Un amministratore, un dirigente o un team leader che fallisse su questa dimensione non potrebbe essere considerato certo un buon amministratore o un bravo manager.

La dimensione umanistica, alle quali sono riconducibili le teorie dei tratti del leader, le teorie del comportamento orientate alle persone, le teorie centrate sui collaboratori e sul team, la teoria dello scambio sociale, le teorie emotive e biologiche, il management interculturale, ci dice che il buon capo è colui che è in grado di entrare in sintonia con le persone al fine di promuoverne lo sviluppo, attivarne comportamenti spontanei, liberarne le potenzialità.

La dimensione politica, alle quali sono riconducibili le teorie sull’uso del potere personale e le teorie strategiche, ci dice che il capo equilibrato è colui che è in grado di mediare gli interessi interni con gli interessi esterni al sistema non trascurando le implicazioni manageriali e umane del proprio comportamento politico. Un amministratore, un dirigente, un team leader che, pur di tutelare gli interessi di gruppi di potere interni o esterni (più o meno legittimi), si rendesse responsabile di una pilotata crisi aziendale, di un immotivato licenziamento collettivo, di un inatteso sciopero aziendale, di un dannoso turnover di personale, di una costosa causa legale (per disastro ambientale, sfruttamento della manodopera o corruzione, per esempio) non potrebbe essere considerato un capo socialmente e politicamente responsabile.

La dimensione simbolica, alle quali ricondurrei le teorie carismatiche, etiche, distruttive e patologiche, ci dice che il leader ispiratore capace di generare autentica followership è colui che è in grado di proporre interpretazioni intelligenti degli eventi aziendali, di costruire una visione comune del business (o della società) e di comunicarla in modo efficace così da suscitare adesione ai valori professati, impegno e coinvolgimento lavorativi, motivazione nei membri dell’organizzazione.

4. Formare e valutare i capi: una questione di equilibrio

Nessuna delle quattro dimensioni singolarmente presa dovrebbe prevalere sulle altre. Accettare che alcune decisioni gestionali possano compromettere i rapporti con il personale o con determinati gruppi di interesse o con la comunità locale (si pensi, per esempio, a una gestione iniqua dei premi di produttività, alla soddisfazione privilegiata di alcuni creditori a svantaggio di altri, a una inopinata delocalizzazione di una unità produttiva) potrebbe essere politicamente sbagliato. Accettare che la scarsa capacità del capo di maneggiare simbolicamente gli eventi aziendali, la reputazione di mercato, la responsabilità sociale, i valori organizzativi possa compromettere il rendimento organizzativo è sbagliato dal punto di vista manageriale.

Le quattro dimensioni dovrebbero fare parte di un organico programma di formazione manageriale e nello stesso tempo di un serio sistema di valutazione dei capi. Compito dei leader e di chi li controlla (superiori, proprietà, autorità politiche, organi amministrativi) è quello di sapere coniugare e maneggiare con equilibrio tutte e quattro le dimensioni del comportamento leaderistico.

I signori capi e i loro pregiatissimi controllori sono avvertiti!

Bibliografia

Dinh, J.E., Lord R.G., Gardner, W.L., Meuser, J.D., Liden, R.C., Hu, J.  (2014). Leadership theory and research in the new millennium: Current theoretical trends and changing perspectives. The Leadership Quarterly, 25, 36-62.

Gardner, W.L., Lowe, K.B., Moss, T.W., Mahoney, K.T., Cogliser, C.C. (2010). Scholarly leadership of the study of leadership: A review of The Leadership Quarterly’s second decade, 2000–2009. The Leadership Quarterly, 21, 922-958.

Letture consigliate in lingua italiana

Kreitner, R., Kinicky, A. (2004). Comportamento organizzativo. Milano. Apogeo.

La Bella, A. (2005). Leadership. Rimini. Apogeo-Maggioli editore.

Robbins, S.P., Judge, T.A. Bodega, D. (2016). Comportamento organizzativo. Milano-Torino. Pearson Italia.

Tosi, H.L., Pilati, M. (2008). Comportamento organizzativo. Milano. Egea.

 

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