LA SCALATA ALL’IMPRENDITORIALITÀ DEI MILLENNIAL NEL TURISMO: IL RUOLO DELLA FAMIGLIA E DEI VALORI

Nel panorama economico attuale l’imprenditorialità giovanile è una leva fondamentale per sostenere occupazione e innovazione, soprattutto nel settore dell’ospitalità e turismo. Questo articolo, riconducendo i risultati della ricerca internazionale al contesto italiano, spiega come le famiglie possano sostenere con successo i propri figli nel processo imprenditoriale in questo settore.

Fare impresa nel turismo: le potenzialità dei Millennial nel “Bel Paese”

Secondo l’ISTAT il turismo è un settore che va a gonfie vele in Italia: nel 2016 gli esercizi ricettivi hanno registrato il massimo storico di circa 403 milioni di presenze (+10 milioni rispetto al 2015, pari a +2,6%) e 116,9 milioni di arrivi (+3,5 milioni rispetto al 2015, pari a +3,1%), consolidando la ripresa già iniziata nei due anni precedenti. Grazie a questi numeri nel 2016 l’Italia si conferma il terzo Paese in Europa per presenze negli esercizi ricettivi dopo Spagna e Francia. A fronte di questo si contano più di 178.000 esercizi che offrono ospitalità (dati ISTAT – Capacità degli esercizi ricettivi 2016) e se guardiamo all’Europa intera, il nostro continente è la più importante destinazione turistica mondiale (UNWTO, Organizzazione mondiale del Turismo, 2013).

Come sottolineato in un recente articolo pubblicato su “Il Sole 24 ore”, l’avvento del digital e della sharing economy sono, nel panorama attuale, nuove opportunità per sfruttare al meglio le potenzialità attrattive del Bel Paese. Questi temi, legati a nuove tecnologie (digital) e condivisione (sharing), animano le nuove generazioni di Millennial, tra cui rientrano a pieno titolo i giovani universitari di oggi. Infatti, il popolo dei “Millennial”, “Nexter”, “Wired Generation”, “Generazione Y” o “Net Generation” è una generazione che si identifica con i nati dai primi anni ’80 ai primi anni del nuovo millennio. Simbolicamente è la generazione dei nativi digitali (born digital), ma non solo, è anche la generazione dei nati globali (born global) (De Massis e Tognazzo, 2018).

Nel contesto turistico italiano e non solo, la maggior parte delle imprese ha una dimensione medio-piccola e molte aziende sono connotate da una componente famigliare. Per sfruttare al meglio le potenzialità di crescita del settore servono le giuste risorse, ovvero la giusta spinta imprenditoriale e il giusto sostegno. Il settore dell’ospitalità e del turismo è per sua natura frammentato e complesso, e la componente di relazione con gli attori locali e con il territorio è una variabile necessaria per avere accesso alle risorse e informazioni utili per vendere il proprio prodotto completandolo con altre attrazioni locali. Per questo, avviare un’attività nel settore del turismo significa investire non solo in un’impresa potenzialmente in grado di generare reddito, ma anche contribuire al benessere ed alla valorizzazione dell’ambiente e dell’economia locale. Infatti, fare impresa nel turismo richiede passione, capacità tecniche, ma anche un know-how sulle specificità e risorse locali che consentono di attrarre e fidelizzare turisti.

Nonostante le potenzialità di sviluppo che turismo e ospitalità potrebbero offrire all’economia del nostro Paese (e non solo) in termini di impiego per i Millennial, e al vantaggio che si potrebbe trarre grazie al coinvolgimento imprenditoriale delle giovani generazioni in termini di impulso verso dinamiche innovative, ad oggi, l’attenzione della ricerca internazionale si è concentrata molto poco sullo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile in questo settore.

Per questo motivo, in questo articolo ho scelto di proporre l’analisi di una recente ricerca pubblicata sulla rivista “International Journal of Contemporary Hospitality Management” dai colleghi Giovanna Campopiano, Tommaso Minola e Ruggero Sainaghi, che, analizzando i dati raccolti su più di 2900 studenti universitari tramite la più ampia survey globale disponibile sullo spirito imprenditoriale giovanile (GUESSS, Global University Entrepreneurial Spirit Students‘ Survey), spiega il rapporto tra risorse (famiglia e territorio) e spinta all’imprenditorialità dei giovani nel settore turistico. Partendo da un’introduzione sul fare impresa per i Millennial nel contesto culturale italiano, chiarisco poi l’obiettivo dello studio preso in esame. Nei successivi paragrafi introduco la scalata all’imprenditorialità come modello teorico di riferimento e spiego come e perché famiglia e missione ambientale siano risorse critiche nella salita della scala verso la creazione d’impresa nel settore dell’ospitalità e turismo. Infine, riporto le principali implicazioni pratiche che emergono dalla ricerca.

L’imprenditorialità dei Millennial nel “Paese dei Mammoni” 

Un’importante indagine svolta dal Global Entrepreneurship Monitor su 60 economie nel mondo, mostra che nel 2015 i tassi più alti di imprenditorialità sono stati registrati tra i giovani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (Kelley, Singer, & Herrington, 2016). Questi dati ci rivelano le ambizioni di carriera della generazione dei Millennial, in particolare di quella fascia di giovani che ha accumulato sufficiente esperienza, relazioni e risorse che possono essere valorizzate tramite la creazione di un business. In Italia, l’indagine CENSIS ci mostra che nel secondo trimestre del 2015 sono state fondate ben 32.000 aziende gestite da persone con meno di 35 anni, pari a più di 300 start-up al giorno. Insomma, guardando a questi dati, l’Italia appare un paese che favorisce l’iniziativa individuale dei Millennial.

È però strano attribuire questa spinta all’autonomia e all’imprenditorialità ai nostri giovani in un contesto culturale in cui la famiglia appare iperprotettiva nei confronti dei figli: mediamente infatti, gli italiani tendono a vivere più a lungo con la propria famiglia d’origine rispetto agli altri paesi europei, al punto che alcuni ricercatori italiani (che lavorano all’estero) hanno descritto la convivenza degli adulti con i genitori come un’abitudine “normale” in Italia (Manacorda & Moretti, 2006).

Un punto su cui la maggioranza degli studi sul tema dell’imprenditorialità concorda è che l’imprenditorialità è un comportamento intenzionale, e non incidentale, ciò vuol dire che non avviene “per caso”, bensì è frutto di consapevolezza, organizzazione e progettazione: una persona che ha l’intenzione di diventare imprenditore è molto probabile che lo diventerà.

Utilizzando i dati dell’indagine GUESSS noi ricercatori italiani cerchiamo di scoprire cosa sta alla base delle intenzioni imprenditoriali dei giovani per fornire poi indicazioni su come supportare la spinta imprenditoriale utile a sostenere occupazione e innovazione nel sistema economico. Il progetto GUESSS, nato nel 2003, ha infatti l’obiettivo di studiare l’imprenditorialità nei giovani universitari e ogni due anni colleziona dati su studenti di tutto in mondo. Attualmente coinvolge 34 Paesi, Italia inclusa e più di 200 università. Il punto di forza di questa ricerca è la possibilità di studiare i giovani prima del vero e proprio processo di creazione d’impresa, nel momento in cui stanno mettendo insieme idee e risorse. La famiglia rientra all’interno di questo insieme di risorse perché oltre che sostenere finanziariamente le iniziative imprenditoriali, può influenzare la struttura cognitiva, il pensiero e le opinioni dei propri figli sul significato di fare impresa.

La ricerca di Giovanna Campopiano e colleghi assume particolare importanza in questo contesto perché si concentra sulle intenzioni imprenditoriali nel settore dell’ospitalità e turismo. I dati utilizzati dai ricercatori sono stati raccolti grazie a alla survey GUESSS iniziata nel marzo 2011 e che ha visto coinvolti 26 paesi e circa 1,3 milioni di studenti da 498 università, da cui si sono ottenute più di 93.000 risposte valide. Tra queste, i ricercatori hanno selezionato quelle risposte di studenti con un’intenzione di carriera nel settore dell’ospitalità e turismo arrivando a ottenere un database di osservazioni su più di 2.900 giovani, con un’età media di circa 24 anni. 

Il modello teorico: la scala dell’imprenditorialità (entrepreneurial ladder) e l’imprenditorialità latente

Per capire meglio cosa sta dietro a comportamenti e intenzioni imprenditoriali è necessario introdurre il modello teorico di riferimento, utilizzato anche da Campopiano e coautori basato sul lavoro di Van der Zwan, Thurik e Grilo (2010).

Spesso si pensa o si parla del “fare impresa” come una condizione istantanea: o sei imprenditore, o non lo sei. Alcuni studi internazionali recenti hanno invece considerato il “fare impresa” come un processo composto da componenti cognitive e comportamenti finalizzate alla realizzazione di una nuova attività di business articolato in cinque step principali (Figura 1):

  1. la pre-ideazione
  2. l’ideazione
  3. la pre-attuazione
  4. la creazione di una nuova attività
  5. la proprietà di un’attività avviata;

Alcuni studiosi propongono di aggiungere al modello un sesto step corrispondente all’uscita dal business.

È evidente che questo modello implichi delle transizioni successive dal primo verso l’ultimo step che non sempre si realizzano, proprio per questo è stato chiamato metaforicamente “entreprenerial ladder” (ovvero, “la scala imprenditoriale”) (Van der Zwan, Thurik e Grilo, 2010).

Capire cosa spinge i giovani di oggi a muoversi verso l’alto di questa scala è fondamentale per poter attuare azioni volte a rimuovere eventuali ostacoli o fornire sostegno alle transizioni verso gli scalini più in alto del processo imprenditoriale. Per esempio, grazie alla ricerca, sappiamo che per le donne rispetto agli uomini è più difficile salire sul primo scalino, ma una volta che ci sono salite nella scalata le differenze di genere sono molto meno evidenti. Inoltre, gli studi ci mostrano che ci sono differenze di età nel modo in cui ci si muove lungo la scala: più l’età aumenta meno è probabile proseguire verso i gradini più alti della scala soprattutto quando si tratta dei primi due step; in altre parole, ciò significa che le persone giovani prenderanno in considerazione l’idea di impresa molto più frequentemente rispetto a quelle con un’età superiore.

Figura n. 1 – La scalata all’imprenditorialità: i cinque principali step della scala dell’imprenditorialità (entrepreneurial ladder). Fonte: elaborazione propria da Van der Zwan, Thurik e Grilo, 2010.

 Un altro concetto che emerge da questo modello è l’imprenditorialità latente, ovvero il potenziale imprenditoriale, che si riferisce a chi preferisce l’imprenditorialità rispetto a un lavoro da dipendente. In questo senso, nel modello si potrebbe aggiungere un ulteriore step che precede le intenzioni e che corrisponde a una condizione necessaria affinché si realizzi il vero e proprio coinvolgimento in un’attività imprenditoriale. È da tenere presente però che, così come coloro che pensano di diventare imprenditori non sempre lo diventano, gli “imprenditori latenti” potrebbero alla fine decidere di non creare un business.

È interessante anche notare che, se considerassimo anche lo step di uscita dall’imprenditorialità ed eventuale risalita lungo la scala, gli studi internazionali ci mostrano che in Italia è meno probabile procedere alla risalita, rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti.

Inoltre, è importante sottolineare che in questa scala una persona potrebbe trovarsi su più gradini, si pensi ad esempio ad una persona che ha un business già avviato ma che sta pensando di avviare anche una nuova attività. In questi casi, negli studi internazionali in genere si prende a riferimento lo step più alto per semplificazione.

Dato questo modello teorico, chi può fornire le risorse, le informazioni, le conoscenze e le abilità per diventare imprenditori e aiutare a far salire i giovani lungo la scala dell’imprenditorialità nel settore dell’ospitalità e turismo? Coerentemente con i risultati della ricerca di Campopiano e colleghi, la prima variabile che analizzerò nel prosieguo è la famiglia d’origine e poi mi concentrerò sul rapporto con l’ambiente.

La famiglia come risorsa per la scalata all’imprenditorialità: capitale sociale di legame (bonding) e di collegamento (bridging) 

La famiglia d’origine ha un impatto cruciale nello sviluppo degli individui: determina i pensieri che abbiamo su noi stessi e ci fornisce degli esempi su come comportarsi e sulle nostre aspettative future. La famiglia è l’ambiente in cui si trasmettono e si formano i ruoli, i valori, le aspettative e le aspirazioni e svolge un ruolo fondamentale anche nelle scelte di carriera. La famiglia è determinante cioè sia sulle nostre cognizioni che sui nostri comportamenti.

Credo sia importante a questo punto, aggiungere al quadro teorico proposto dall’articolo che ho deciso di analizzare, un ulteriore approfondimento teorico sui modelli di ruolo. La famiglia ci offre dei “modelli di ruolo” (role models) che guidano il nostro sviluppo. Il ruolo si riferisce al fatto che gli individui hanno la tendenza a indentificarsi con persone che occupano ruoli sociali importanti. “Modello” si riferisce all’associazione delle capacità cognitive e degli schemi comportamentali tra una persona e l’osservatore. Secondo questa prospettiva i genitori sono modelli di ruolo per i figli e di conseguenza le loro scelte lavorative influenzeranno quelle dei loro figli.

Pensiamo al caso in cui si abbiano dei genitori imprenditori questo può contribuire a offrire sia risorse finanziarie (capitali o prestiti), che non finanziarie, come ad esempio, relazioni con fornitori, clienti, partner commerciali, consulenti. Inoltre, può favorire le intenzioni imprenditoriali dei figli attraverso la trasmissione più o meno conscia di valori, know-how e capacità imprenditoriali.

Come abbiamo mostrato in una recente ricerca che ho condotto con Paolo Gubitta e Martina Gianecchini sui dati GUESSS rilevati su più di 5000 studenti universitari in Italia nel 2013, i figli di imprenditori hanno una maggiore probabilità di sviluppare l’intenzione di avviare una propria attività, a conferma della rilevanza dei modelli di ruolo (Tognazzo, Gubitta e Gianecchini, 2016).

Anche nella ricerca di Giovanna Campopiano e colleghi si mostra un risultato simile. La famiglia d’origine svolge infatti un ruolo decisivo nella scelta di avviare un’azienda nel settore dell’ospitalità e turismo perché fornisce, secondo gli autori, delle importanti forme di capitale sociale. Per gli imprenditori che operano in questo settore la famiglia ricopre infatti una funzione fondamentale, ad esempio, non è raro che per affrontare i picchi della stagionalità tipici del settore turistico i titolari di attività coinvolgano i figli. In qualche modo, quindi, i figli vengono inseriti nell’attività d’impresa attraverso esperienze professionali che si rivelano dei veri e propri canali di trasmissione di capitale sociale.

Come spiegano i colleghi che hanno lavorato all’articolo che ho scelto di analizzare, ci sono in particolare due forme di capitale sociale famigliare che hanno un impatto sulla scelta di diventare imprenditore nel settore dell’ospitalità e del turismo: il capitale sociale di legame (bonding social capital) e il capitale sociale di collegamento (bridging social capital). Il primo si riferisce a una visione del capitale sociale ristretta alle caratteristiche della struttura interna della famiglia e si focalizza sull’importanza delle relazioni interne tra gli individui e i gruppi della famiglia. Il capitale sociale di legame è basato sui legami forti (strong ties) e può essere, ad esempio, descritto come avere i genitori coinvolti nell’attività d’impresa o che la sostengono. I legami forti che derivano dalle relazioni famigliari permettono un accesso alle risorse stabile e affidabile, sviluppano fiducia e coesione che a sua volta aumenta la propensione individuale alla fiducia in sé stessi e quindi all’auto-imprenditorialità.

Il capitale sociale di collegamento si riferisce invece a una visione ampia del capitale sociale che include le relazioni individuali esterne alla famiglia per raccogliere informazioni che altrimenti non sarebbero disponibili. Questa forma di capitale sociale si basa sui legami deboli (weak ties) e si può riferire, ad esempio, alla partecipazione in organizzazioni esterne, a contatti con associazioni di categorie, partnership commerciali, amicizie con altre persone coinvolte nel settore. Anche tutte queste attività motivano l’individuo a diventare un imprenditore, soprattutto in un settore come quello dell’ospitalità e turismo caratterizzato da una forte co-produzione del servizio offerto che implica cioè un collegamento fra i vari attori locali.

Riassumendo quindi, da un lato, la famiglia costituisce il nido, la fonte di legami forti, la base relazionale che permette di trasmettere una visione positiva dell’imprenditorialità attraverso i modelli di ruolo e il sostengo reciproco. Dall’altro lato, la famiglia svolge un ruolo fondamentale nell’abbattere la percezione di barriere verso il mondo esterno e assume quindi una vera e propria funzione di “collegamento” per spingere i Millennial a salire la scala dell’imprenditorialità anche nel settore dell’ospitalità e nel turismo.

Il legame con il territorio come risorsa per la scalata all’imprenditorialità: una missione ambientale

C’è un filo che lega l’impresa turistica al proprio territorio. Il legame con il proprio territorio si esprime attraverso una particolare responsabilità e rispetto per l’ambiente circostante. Il turista infatti usufruisce del servizio turistico nel posto in cui è collocato il servizio, offrendo al prestatore del servizio la possibilità di entrare in un sistema globale. Come sostenuto nella ricerca di Campopiano e coautori, nel turismo, è quindi fondamentale l’orientamento alla sostenibilità attraverso un impegno ininterrotto e una visione a lungo termine che include una missione ambientale. Il capitale sociale famigliare fondato su questi valori e che, grazie a questi, permette alla famiglia di essere connessa e inserita in una comunità, è un catalizzatore di comportamenti, azioni e progetti di rispetto per il territorio.

Famiglia e amici stretti, ovvero il capitale sociale di legame, permettono ai potenziali imprenditori di discutere delle proprie intenzioni imprenditoriali e di trovare un confronto tramite cui si veicola il messaggio dell’importanza dell’ambiente e del territorio. Soprattutto nel settore dell’ospitalità e turismo, l’offerta frammentata, il ruolo dei co-produttori, la percezione unitaria dei prodotti turistici (ovvero i turisti percepiscono un’esperienza unica e non i singoli molteplici operatori che la offrono) e la rilevanza dell’ambiente, sono tutti fattori che inducono a porre un’attenzione particolare all’ambiente in cui si opera. Anche il capitale sociale di collegamento soprattutto con gli attori a livello settoriale e del contesto sociale locale sostengono valori rivolti al rispetto del territorio.

Nel passato molte imprese turistiche erano interessate al profitto e ai risultati di breve termine, ignorando la missione ambientale, oggi si è riscoperto un interesse nella sostenibilità del turismo e nel rispetto del territorio locale. Oggi cioè, avere una missione sociale è un elemento rilevante quando si inizia una propria attività.

Insomma, la ricerca presa qui in analisi, ci mostra che la famiglia che trasmette non solo il valore di creare un’impresa, ma anche il valore per il rispetto dell’ambiente in cui l’impresa si colloca è uno stimolo per la creazione di nuove attività in questo settore.

In altre parole, i Millennial spinti da una missione ambientale di rispetto per il territorio, possono pensare a nuove imprese turistiche e quindi sentirsi chiamati in causa nella creazione di aziende. Oggi il turismo è infatti considerato uno di quei settori ad alto impatto ambientale, uno di quei settori cioè in cui avere una missione ambientale è collegato alla voglia di creare delle nuove aziende.

Implicazioni pratiche

Quest’estate siamo stati bombardati da una canzone “Faccio quello che voglio, Faccio quello che mi va” e credo che molti genitori italiani abbiano pensato di rispondere ai figli che cantano questo ritornello, alternativamente, o con una ciabatta, o con la cintura (e non quella di Àlvaro Soler…). Battuta a parte, dal mio punto di vista, lo studio che ho qui analizzato ci insegna che lasciare liberi di “fare” i propri figli, permettere loro di intraprendere, creare una propria attività nel settore dell’ospitalità e turismo sostenendoli, può avvenire, quando possibile, diventando per loro dei modelli di ruolo, e soprattutto fornendo loro un capitale sociale fatto di legami affettivi e di business che possano permettere loro di sfruttare e valorizzare le specificità locali dei nostri territori. In particolare, trasmettere ai figli una vera e propria “missione ambientale” non vuol dire trasmettere solo un sogno, bensì significa molto di più: vuol dire trasmettere la possibilità di creazione di una realtà aziendale che può contribuire alla valorizzazione del nostro Bel Paese.

Quindi, il lavoro di ricerca che ho qui analizzato ci mostra che essere una famiglia internamente unita e coesa, ma anche inserita in una comunità locale e in un contesto più ampio che permette di interfacciarsi con il mondo esterno è un fattore determinante per iniziare la scalata verso l’imprenditorialità dei figli nel settore turistico perché fornisce loro quel capitale sociale di legame e di collegamento di cui hanno bisogno in un settore per alcuni versi difficile da affrontare senza le giuste risorse. Non solo, dallo studio emerge anche la missione ambientale, e cioè il rispetto per il proprio territorio è legata alle intenzioni imprenditoriali: la famiglia risulta essere infatti anche un catalizzatore di impegno verso ambiente e territorio, e anche questo si rivela essere un elemento prezioso per iniziare la scalata verso l’imprenditorialità.

In conclusione, se è vero che potenzialmente i Millennial, grazie alle loro caratteristiche, potrebbero essere una fonte di innovazione nell’ospitalità e nel turismo in Italia (e non solo), grazie allo studio GUESSS è possibile approfondire le dinamiche del processo imprenditoriale intrapreso dalle nuove generazioni, legate in particolare a ciò che determina le intenzioni di avviare una propria attività anche nel settore dell’ospitalità e turismo. Mi auguro quindi che questo contributo possa stimolare nuove prospettive e dibattiti sul problema critico dell’imprenditorialità dei giovani e delle famiglie nel turismo che rappresentano il futuro di questo settore in Italia e nel mondo. Anche noi come gruppo di ricerca di family business e imprenditorialità dell’Università di Padova, insieme agli studiosi in tutto il mondo partecipanti al progetto GUESSS continueremo a dare il nostro contributo affinché ciò si realizzi.

Riferimenti bibliografici

Campopiano, G., Minola, T., Sainaghi, R. (2016). Students Climbing the Entrepreneurial Ladder: Family Social Capital and Environment-related Motives in Hospitality and Tourism. International Journal of Contemporary Hospitality Management, Vol. 28(3)

Carlo Milani (07 Agosto 2018). In Italia vince il turismo mordi-e-fuggi, per invertire la rotta urge più digitale. Il Sole 24 ore [Scaricato il 16 agosto 2018 da: http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/08/07/turismo-italia-digitale/]

De Massis A., Tognazzo A. (2018). Family business, allenare la forza imprenditoriale dei Millennial. Sistemi & Impresa, No. 3, aprile, pp. 50-58. ISSN: 0394-929X.

Manacorda, M., & Moretti, E. (2006). Why Do Most Italian Youths Live with Their Parents? Intergenerational Transfers and Household Structure. Journal of the European Economic Association, 4(4), 800–829.

Tognazzo, A., Gubitta, P. & Gianecchini, M. (2016). “My Old and My New Family”-The Impact of Family Relationships on Students’ Entrepreneurial Intentions: An Italian Study. International Review of Entrepreneurship, 14(4), 447-468.

Van der Zwan, P., Thurik, R., & Grilo, I. (2010). The entrepreneurial ladder and its determinants. Applied Economics, 42(17), 2183-2191.

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