L’innovazione collaborativa e i principi per il design dell’organizzazione distribuita

I processi di innovazione sono sempre più spesso condivisi tra diversi attori ed organizzazioni. Dal punto di vista manageriale e teorico è importante identificare le nuove prospettive della progettazione organizzativa in sistemi di innovazione distribuita. In che modo la progettazione può disegnare le strutture e i meccanismi propri di sistemi collaborativi distribuiti?

Introduzione

Quando scopriamo una soluzione creativa ed efficace a un problema siamo subito spinti a condividerla con gli altri. In alcuni casi potremmo essere frenati dall’idea di non ricevere il giusto credito per il lavoro e l’energia dedicati o dalle difficoltà pratiche nel distribuire la nostra soluzione. Questo il dilemma che ha spesso arrovellato gli innovatori (siano essi persone o organizzazioni): come gestisco le idee e i progetti innovativi? Li rendo pubblici o non li condivido? Sono in grado di sviluppare l’innovazione da solo? E se volessi (o dovessi) aver bisogno di aiuto durante lo sviluppo dell’innovazione, come e quanto posso condividere delle attività e idee?

Le organizzazioni che investono in ricerca e sviluppo fanno della propria capacità di creare e gestire l’innovazione un punto di forza: da una parte per fornire valore ai clienti e dall’altra per raggiungere e mantenere un vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti. Per questo tradizionalmente le attività di innovazione sono state considerate centrali nei processi delle aziende e quindi gestiti all’interno dell’organizzazione stessa, al riparo (per quanto possibile) dall’incertezza ambientale e dai potenziali rischi esterni. Tuttavia negli ultimi anni si sono diffusi approcci molto più aperti all’innovazione, che riconoscono ci sia uno spostamento in atto nel luogo in cui l’innovazione è generata: non più necessariamente all’interno della singola azienda (tradizionalmente gerarchica), ma sempre più spesso come risultato delle attività di una rete di attori distribuiti (non collegati da relazioni gerarchiche).

L’innovazione distribuita può quindi essere definita nelle parole di Lakhani e Panetta (2007, p.98) come problem-solving decentralizzato, partecipazione emergente e non imposta, coordinamento e comunicazione auto-regolati, libera condivisione della conoscenza e modelli organizzativi ibridi che integrano i concetti di comunità con quelli di successo commerciale.

Esistono numerosi casi di successo per l’innovazione distribuita: i. Wikipedia è attualmente la più grande enciclopedia al mondo, ed è sviluppata e gestita da volontari che contribuiscono individualmente e in maniera spontanea al progetto; ii. Linux è il sistema operativo open source più diffuso, sviluppato principalmente da persone che dedicano volontariamente parte del loro tempo al miglioramento del software; iii. Samsung Next è un programma di accelerazione che la multinazionale dell’elettronica ha sviluppato per incoraggiare le start-up e gli innovatori a sviluppare nuove soluzioni e tecnologie.

Anche in Italia c’è un interesse crescente verso i modelli di innovazione basati sull’interazione tra più attori in rete, quali ad esempio: BioUpper è la prima piattaforma italiana di training e accelerazione che supporta nuove idee di impresa nel campo delle scienze della vita nata dalla partnership tra Novartis e Fondazione Cariplo in collaborazione con PoliHub; Polo Meccatronica di Rovereto è un centro di aggregazione e supporto, finanziato da fondi pubblici, per tutti gli attori che vogliano sviluppare i propri progetti in ambito di meccanica e meccatronica.

La definizione di nuovi modelli organizzativi e strumenti manageriali diventa necessario quando l’innovazione prima gestita in-house (creata e gestita interamente all’interno dell’azienda) diventa processo che si basa sempre più sull’interazione tra più attori in una rete di pari. Il focus della progettazione dell’organizzazione non sarà più solamente sulle attività interne o sui sistemi di gestione del personale, ma si amplia fino a includere le relazioni con tutti gli attori della rete.

Le poche ricerche che investigano direttamente il rapporto tra innovazione distribuita e modalità e principi organizzativi[1] riconoscono la necessità del superamento della centralità dell’azienda nella strutturazione dell’azione di progettazione. In altre parole le singole organizzazioni non sono più sufficienti nel loro ruolo di unità di analisi primaria. Anche quando il “locus of innovation” è spostato dalle aziende verso le reti il processo di progettazione risente sempre di un’ottica firm-based.

In un recente articolo Martin Kornberger (2016) individua, nella pura applicazione di modelli firm-based alla progettazione organizzativa dei sistemi di innovazione distribuita, un problema di approccio: non si indagano con la giusta ottica i processi specifici che strutturano le reti di innovazione aperta in cui il contributo individuale, e di conseguenza la responsabilità e l‘autorità del singolo attore all’interno della rete, sono distribuite.

L’ipotesi di base che l’articolo porta avanti è che il design organizzativo possa mediare i rapporti tra la “mano visibile” dei manager e la “folla” esterna di contributori-consumatori e altri collaboratori esterni.

I principi di progettazione per l’organizzazione dell’innovazione distribuita

Tradizionalmente la progettazione è guidata dai concetti di allineamento, congruenza e adattamento rispetto alle esigenze dell’ambiente esterno e dai fattori interni all’organizzazione. La progettazione risponde, quindi, dall’interno alle esigenze strategiche frutto della mediazione del management tra vincoli e opportunità.

In sistemi di innovazione distribuita l’unità di analisi si sposta verso la rete di attori e le loro relazioni. Il fine, dunque, è un sistema collaborativo di diversi attori in reti di produzione di valore coerenti.

Poiché la divisione del lavoro non è più all’interno dei confini aziendali e la produzione coinvolge molteplici soggetti ridefinendo gli spazi di azione, anche la progettazione deve essere approcciata in modo diverso e non essere più una risposta organizzativa interna alle scelte strategiche.

In definitiva, se la strutturazione della comunicazione, del coordinamento e del controllo è necessaria in ogni caso, i le modalità e i meccanismi attraverso i quali questi sono attivati nelle reti aperte sono diversi.

Kornberger, su queste basi parte da tre domande: come sono strutturate le interazioni tra attori nei sistemi di innovazione distribuita; come sono progettati i processi di produzione per consentire agli attori con diverse motivazioni, abilità e livelli di impegno di poter contribuire in modo significativo; come possono gli attori valutare i risultati dell’innovazione distribuita e controllarne la qualità.

Per rispondere a queste tre domande, Kornberger propone tre principi chiave per disegnare le soluzioni organizzative adatte a sistemi di innovazione distribuita:

  1. Interfaccia – come mezzo (analogico o digitale) che organizza e formalizza gli scambi tra attori distribuiti. La progettazione di un’interfaccia di interazione ha come funzione principale quella di mediare le relazioni;
  2. Architettura per la Partecipazione – la progettazione delle attività deve tener conto dell’importanza di attrarre e motivare attori distribuiti (ed eterogenei) a partecipare e contribuire al comune progetto. Il focus di questo principio organizzativo è di rendere possibile la collaborazione tra attori con caratteristiche e motivazioni differenti;
  3. Infrastrutture per la Valutazione – in un sistema distribuito è cruciale riuscire a valutare nel dettaglio sia il valore e l’andamento del progetto condiviso, ma anche i singoli contributi individuali (spesso associati all’idea di reputazione).

Interfaccia: dal punto di vista della comunicazione tra attori un’interfaccia ha la funzione di filtro per l’accesso e lo scambio tra due o più elementi e quindi la sua strutturazione definisce l’interazione tra gli elementi di una rete.

Ciò che distingue la progettazione di un’interfaccia in un sistema di innovazione distribuita è che questa non deve spingere all’integrazione. Integrare attori-produttori di innovazione esterni porta a una diminuzione del vantaggio che viene proprio dalla loro distanza e indipendenza. Kornberger usa come esempio chiarificatore il sistema Facebook che utilizza tecnologie, hardware e codici già esistenti, combinandoli per creare un valore unico per i suoi utenti. Facebook è, quindi, niente altro che un insieme di interfacce che interagiscono su un database creato dagli utenti.

Architettura: in tutti i processi produttivi è necessario progettare un sistema per coordinare i compiti e integrare gli output. Ciò è valido anche per i sistemi di innovazione distribuita che però presentano una forte eterogeneità degli attori. In questi sistemi, dunque, le architetture di partecipazioni si dovrebbero costruire sulla base di tre caratteristiche di progettazione. La modularità che consente di separare la produzione in moduli separati e indipendenti che permettono di sfruttare al meglio le diversità degli attori. La granularità che definisce la possibilità di avere dimensioni anche molto piccole dei moduli di produzione che possono avere gradi di contribuzione molto variabili. Costi di integrazione bassi per evitare che i momenti di integrazione che possono essere necessari siano troppo alti rispetto alla creazione di valore dovuta all’innovazione distribuita. L’azione integrativa dei moduli può essere svolta dalla tecnologia o da un sistema normativo o addirittura da dei temporanei e regolati ritorni alla gerarchia manageriale.

Valutazione: le infrastrutture per valutare innovazione e assicurare controllo di qualità sono distribuite attraverso le reti innovative come metodologie e tecnologie di valutazione. Semplici esempi possono essere i sistemi di ranking, rating, review, tagging, liste o premi. Questi possono essere alimentati dagli utenti o da esperti o essere generati da algoritmi automatici. Questi sistemi influiscono sulla reputazione degli attori rendendo la fiducia visibile e determinando la motivazione a partecipare al sistema di innovazione. Le strutture valutative definiscono ex-post le priorità di vendita o acquisto della cospicua capacità produttiva dei sistemi di innovazione distribuita determinandone categorizzazione e gerarchia e supportando il sense/decision-making della rete.

Facciamo il punto

I modelli di business costruiti sull’innovazione aperta richiedono, dunque, soluzioni innovative anche per la progettazione. Le necessità di governare complessità e coordinamento in questo tipo di sistemi è difficilmente compatibile con i meccanismi tradizionali di controllo. Soprattutto la dicotomia gerarchia e mercato non è più adeguata o, quanto meno, sufficiente a dare tutte le risposte necessarie. In quest’ottica e secondo i principi definiti da Kornberger, interfacce, architetture di partecipazione e infrastrutture di valutazione rappresentano i meccanismi di progettazione utili all’organizzazione delle interazioni e transazioni dei network innovativi aperti. In altri termini, il design organizzativo è lo strumento per creare le condizioni nelle quali gli innovatori possano produrre innovazione. Le infrastrutture che si creano devono creare un linguaggio comune con il quale gli attori esterni possano contribuire e diventare coautori del network. Non in un’ottica di assimilazione ma di coerenza ideologica o pratica e in assenza di obiettivi assolutamente omogenei.

Le implicazioni

Anche le attività di ricerca possono essere parte di un sistema di innovazione distribuita, il framework di Korberger aspira a superare la questione della ricerca come compito sperimentale e cognitivo andando verso un processo distribuito facilitato dal design organizzativo.

La ricerca, secondo l’autore, è portata avanti da attori con caratteristiche eterogenee e con scale di valori differenti. I ricercatori hanno idee diverse rispetto a cosa è importante. Questa condizione comporta processi di ricerca a volte caotici. Attraverso il framework del design organizzativo nei sistemi di innovazione distribuita si può migliorare la circolazione dell’innovazione tra attori della ricerca. Infatti, può spiegare come l’interazione di modelli di ricerca differenti è possibile attraverso interfacce, i singoli possono costruire innovazione accedendo al lavoro degli altri, come sono cotruiti i sistemi di valutazione.

L’articolo, inoltre afferma che il framework proposto possa contribuire alla resources-based view aziendale. Se per questa visione il vantaggio competitivo di fonda sulle specifiche competenze, conoscenze e risorse aziendali, allora la conoscenza rappresenta il punto centrale, il cuore, della competitività aziendale. Questa affermazione non è però compatibile con sistemi dove la conoscenza è distribuita al di fuori dei confini aziendali. Ciò che va organizzato è, quindi, è l’accesso alle risorse presenti nel network innovativo. Anche qui attraverso la configurazione di interfacce, per lo scambio tra sottosistemi, architetture di partecipazione, per la creazione di un linguaggio comune e infrastrutture di valutazione per la creazione di categorie e ranking al fine di individuare l’innovazione che serve. In altre parole le risorse esterne, secondo l’idea di Korberger, con questo approccio possono essere identificate, coordinate e, in certe condizioni, governate.

In definitiva, secondo questa impostazione, la strategia non determina la struttura ma la progettazione di interfacce, architetture di partecipazione e infrastrutture di valutazione determina le scelte strategiche possibili, il design organizzativo assume quindi il ruolo di forza generatrice di opportunità.

Un punto di partenza per un design distribuito

In termini di sviluppo ulteriore di questo filone di ricerca nell’ambito delle reti, la concettualizzazione della progettazione organizzativa di Kornberger rappresenta un interessante schema attraverso cui guardare la realtà. Come primo punto sappiamo che l’unità di analisi da prendere in considerazione è il network e non la singola organizzazione. Quindi, i principi proposti: interfacce, architetture di partecipazione e infrastrutture di valutazione, rappresentano i meccanismi di progettazione centrali per strutturare comunicazione, coordinamento e controllo. Sulla base di questo framework il lavoro del ricercatore o del pratictioner è orientato all’approfondimento empirico dei principi organizzativi. Le domande che ci possiamo fare, attraverso questa lente, sui sistemi di innovazione distribuita sono molteplici. Sui risultati e il funzionamento delle interfacce, sulla gestione della modularità e granularità del network, sull’influenza delle valutazioni sulle decisioni e le scelte degli attori e degli stakeholder.

Le risposte possono essere particolarmente utili nelle scelte di progettazione dei sistemi aperti e possono determinare la capacità di influenzarle e per certi versi governarle.

Un’ultima questione che può essere stimolante per il ricercatore e utile per il pratictioner è legata all’individuazione della responsabilità (authorship) delle scelte di progettazione. Queste, evitando un approccio firm-centric, relativamente alla definizione delle interfacce, delle architetture di partecipazione e alle infrastrutture di valutazione, possono essere analizzate come un fenomeno distribuito. Gli autori e responsabili, quindi, potranno essere le aziende, che cercano di influenzare la “folla”, o altri attori, individui o collettivi che siano. Quindi, potranno determinare il design organizzativo coautori attivi e consapevoli ma anche gli utenti attraverso i loro comportamenti.

Considerazioni finali

L’articolo analizzato porta avanti un’interessante approccio ai concetti di progettazione organizzativa. La spinta verso una nuova interpretazione di questa fondamentale attività è data dalla sempre più evidente esigenza di ripensare le relazioni e le interdipendenze tra soggetti in ambiti produttivi e organizzativi. Questa esigenza emerge in modo urgente nei sistemi dove la produzione e in generale le attività sono determinate da processi innovativi distribuiti. In questo senso possiamo pensare a reti di soggetti che hanno forti interdipendenze ma livelli di integrazione molto bassi definibili come sistemi aperti collaborativi.

L’autore dell’articolo, Martin Kornberger, sottolinea l’importanza di una nuova concettualizzazione del design organizzativo che non sia condizionata dal classico approccio gerarchico aziendale. L’unità di analisi, inoltre, non è più l’azienda ma l’intero network, all’interno del quale agiscono attori che nel loro insieme determinano innovazione e quindi le scelte produttive e strategiche.

Il design organizzativo, in questa visione, è indipendente dai confini organizzativi aziendali e diventa determinante per le attività di comunicazione e coordinamento per il funzionamento del sistema nel suo complesso. L’attività di controllo rimane, come negli approcci classici, di grande importanza ma i soggetti che effettuano il controllo sono potenzialmente tutti coloro che in qualche modo partecipano al network.

Quindi, il concetto stesso di progettazione organizzativa orientata al rendere coerenti le strutture aziendali alle scelte strategiche viene in parte ribaltato. Secondo questa visione è il design organizzativo a guidare il processo di definizione delle strategie, proprio perché il locus dell’innovazione è distribuito.

Kornberger individua tre principi di progettazione che rispondono alle questioni della comunicazione del coordinamento e del controllo: 1) design delle interfacce che sono le strutture che permettono l’interazione tra attori spesso molto eterogenei (funzione di mediazione); 2) architettura dei sistemi di partecipazione che permettono agli attori e utilizzatori di partecipare e contribuire alla creazione di valore di questo tipo di sistemi (funzione di abilitazione); 3) funzioni delle infrastrutture di valutazione che permettono il giudizio di valore e qualità della produzione (funzione di valutazione).

Possiamo dire, quindi, che si sottolineano le nuove potenzialità della progettazione organizzativa nei sempre più rilevanti sistemi basati sull’innovazione distribuita.

Ciò che, inoltre, può essere particolarmente interessante per chi si occupa di questi aspetti, è legato al concetto di attività manageriale.

Nei sistemi presi in considerazione la figura del manager risulta molto diversa dai modelli classici. Siamo abituati a considerare il manager come colui che ha l’autorità formale sui processi produttivi, tuttavia in sistemi aperti e collaborativi questo ruolo deve necessariamente essere ridisegnato. Quali sono, allora, le attività sulle quali il manager può incidere e con quali mezzi? Probabilmente il ruolo del manager in questi sistemi è di negoziare. Attraverso l’azione diplomatica il manager può essere una importante risorsa del network innovativo diventando un facilitatore dell’azione collettiva. Il manager di un sistema di innovazione distribuita sarà un attore in grado di negoziare le prospettive di più attori (nodi della rete) attraverso delle pratiche e degli strumenti meno basati sulla gerarchia formale e sempre più sulla capacità di far collaborare attori anche con interessi diversi. Gli studi organizzativi sono quindi chiamati ad un doppio compito: ridisegnare i principi e i meccanismi strutturali delle organizzazioni distribuite e allo stesso tempo identificare gli strumenti e le soft-skills necessarie per i manager che opereranno in questi nuovi contesti.

Bibliografia

Kornberger, M.. (2016). The visible hand and the crowd: Analyzing organization design in distributed innovation systems. Strategic Organization, Special Issue: Organizing Crowds and Innovation. DOI: 10.1177/1476127016648499

Baldwin, C.Y.. (2012) Organization design for distributed innovation. Harvard Business School Working Paper, 4 May, pp.12–100. Available at: http://www.hbs.edu/faculty/Publication%20Files/12-100.pdf

Fjeldstad, O.D., Snow, C.C., Miles, R.E., et al. (2012) The architecture of collaboration. Strategic Management Journal 33: 734–750.

Gulati, R., Puranamn, P. and Tushman, M. (2012) Meta-organization design: Rethinking design in interorganizational and community contexts. Strategic Management Journal 33: 571–586.

Lakhani, K. R. and Panetta J. A.. (2007). The principles of distributed innovation. Innovations 2.3: 97-112.

 

[1] Baldwin, 2012; Fjeldstad et al, 2012; Gulati et al, 2012.

Autori

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Università degli Studi di Napoli Federico II

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Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale

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