Promuovere l’apprendimento e l’innovazione nelle organizzazioni: la prospettiva della Complexity Leadership Theory

Le organizzazioni si confrontano con una crescente complessità dell’ambiente di lavoro dovuta anche alla globalizzazione dei mercati e all’accelerazione dei processi di cambiamento indotti dalla tecnologia. In questo contesto, l’apprendimento e l’innovazione costituiscono temi centrali per la competitività aziendale. Utilizzando la prospettiva della complexity leadership theory, l’articolo mette in luce le principali determinati dei processi di apprendimento e d’innovazione in azienda e come questi influenzano le perfomance organizzative.

Introduzione

Le organizzazioni si confrontano con una crescente complessità dell’ambiente dovuta anche alla globalizzazione e all’accelerazione dei processi di cambiamento spinti dalla tecnologia. In questo contesto, l’apprendimento e l’innovazione costituiscono temi centrali per la competitività. Alcuni studi e ricerche sviluppano e elaborano nuovi approcci ai sistemi complessi fornendo nuovi schemi che integrano contributi eterogenei e interdisciplinari per interpretare le dinamiche organizzative. Come ad esempio l’interessante contributo di Mendes M., Gomes C., Marques-Quinteiro P. , Lind P. , Curral L., (2016),”Promoting learning and innovation in organizations through complexity leadership theory“, Team Performance Management, Vol. 22 Iss 5/6 pp. 301 – 309, in cui gli autori affermano che processi di apprendimento e di innovazione hanno maggiore efficacia nelle organizzazioni in cui è applicata la teoria della leadership della complessità.

L’articolo ha l’obiettivo di capire come in ambienti complessi l’apprendimento e l’innovazione influenzino le performance organizzative. Gli autori ricorrono all’approccio teorico degli studi sulla leadership e, in particolare, all’approccio della complexity leadership theory analizzando l’interazione tra tre funzioni caratteristiche: la funzione adattiva (adaptive), la funzione amministrativa (administrative) e quella facilitatrice (enabling).

Il framework concettuale proposto suggerisce la presenza di una costante interazione e influenza e di un continuo scambio di informazioni tra gli attori organizzativi a livello individuale; le interdipendenze e le costanti interazioni promuovono l’attivazione di processi di apprendimento e di innovazione.

Questo contributo rappresenta una chiave di lettura alternativa per analizzare e comprendere i processi di apprendimento all’interno delle organizzazioni soprattutto in settori complessi e soggetti a cambiamenti continui.

Le organizzazioni attuali si confrontano ogni giorno con la necessità di essere innovative e competitive in un contesto incerto e in continuo cambiamento (Cao, McHugh, 2005), è quindi importante capire come promuovere risposte adatte ad affrontare il contesto. Secondo Jiménez-Jiménez e Sanz-Valle (2011) sono proprio l’apprendimento e l’innovazione gli elementi per affrontare i contesti dinamici. Le organizzazioni sono considerate sistemi dinamici complessi dove gli attori interagiscono promuovendo le novità e l’efficienza (Anderson, 1999).

Questo approccio non è comune alla maggior parte degli studi in cui la leadership è considerata un processo top down in cui uno specifico attore individuale o collettivo ha influenza diretta e unidirezionale sugli altri (Avolio et al., 2009).

Sono numerose in letteratura le concettualizzazioni e gli studi sulla leadership e, in particolare, gli studi in cui si rileva una relazione positiva tra leadership e apprendimento e innovazione (García-Morales et al., 2012; Hoch, 2013). In questo caso però, gli autori ritengono che adottare una prospettiva in cui il leader sia al centro del discorso offra una limitata comprensione delle dinamiche di leadership all’interno delle organizzazioni (Avolio et al., 2009; Guastello,2007). Per contro, la teoria della leadership della complessità considera la leadership come fenomeno emergente condiviso in cui gli attori individuali e collettivi interagiscono e attivano processi di apprendimento capaci di generare innovazione e capacità adattive (Avolio et al. , 2009; Lichtenstein et al., 2006; Hazy, Uhl-Bien, 2014). Secondo questo approccio, infatti, le funzioni di leadership non sono nelle mani di un singolo attore (ad esempio il CEO), o di un gruppo (ad esempio il top management team), ma la teoria pone l’enfasi sulla possibilità di creare le condizioni necessarie per facilitare stati adattivi. Ciò significa che i leader formali non hanno il controllo totale sulle dinamiche organizzative e i collaboratori sono motivati a imparare in modo collettivo e a implementare nuove soluzioni (Lichtenstein et al., 2006; Marion, Uhl-Bien, 2001).

Gli studi sulla leadership: una sintesi

Dal numero di contributi, articoli, convegni sull’argomento si evince come la leadership sia un oggetto di ricerca ancora centrale per gli studiosi di organizzazione, sia per quelli che adottano approcci più marcatamente manageriali, sia per quelli che si concentrano sugli aspetti psicologici del leader e sulle sue capacità di influenza dei membri del gruppo.

Sebbene intuitivamente il significato della parola “leadership” sia noto, può avere significati diversi ed in diversi modi è stata concettualizzata. La leadership può essere considerata come un processo in cui un individuo influenza un gruppo di individui o un altro individuo nel raggiungimento di un obiettivo comune (Northouse, 1997) o anche come “una forma di problem solving organizzativo che mira a raggiungere gli obiettivi organizzativi attraverso l’influenza sull’azione altrui” (Fleishman et al., 1991).

E’ un tema in continuo divenire come testimoniano gli approcci che si sono susseguiti dagli anni trenta ad oggi. Secondo Bryman (1996) è possibile individuare quattro differenti approcci che si sono susseguiti dalla fine degli anni ’40: approccio dei “tratti”, approccio comportamentale o “style approach”, approccio contingente, nuovo approccio alla leadership. Il primo approccio è legato alle teorie sullo studio dei “tratti” che caratterizzano il leader di successo (Stogdill, 1948). L’obiettivo di questi studi è quello di collegare l’efficacia del leader alle sue caratteristiche individuali: “leader si nasce, non si diventa”. Vengono, infatti, esaminate variabili legate ai tratti fisici (aspetto fisico, altezza, peso, forza, ecc.), alle abilità e alle skill (intelligenza, capacità oratorie, capacità di giudizio, ecc.), alla personalità (introversione-estroversione, self confidence, razionalità, ecc.). Sulla base di queste variabili si tenta di individuare il profilo del leader, differenziandolo da quello dei follower. I numerosi studi in questo approccio che si sono susseguiti nel corso degli anni e hanno avuto una forte ripresa negli anni ’80 e ‘90 (Lord et al., 1986) sono accomunati dall’aver prodotto sempre risultati divergenti con la difficoltà di individuare una serie di tratti essenziali per “disegnare” il leader efficace.

L’approccio comportamentale, invece, si concentra sul processo di training, piuttosto che su quello di “selezione” che aveva caratterizzato l’approccio dei tratti, partendo dal presupposto che i comportamenti di un leader possano essere cambiati (Kerr et al., 1974; Greene, 1975).

Negli anni ’80 emergono nuove ricerche spesso diverse per oggetto d’indagine, ma accomunate da un tentativo di introdurre cambiamenti nella visione della leadership predominante. I principali contributi di questo approccio sono la leadership trasformazionale (Bass, 1985; Tichy e Devanna, 1986, Avolio e Yammarino, 2002), la leadership carismatica (House, 1977; Conger, 1989), la leadership visionaria (Sashkin, 1988; Westley e Mintzberg, 1989). Il filone più ricco per numero di contributi è quello legato agli studi di Bass sulla leadership trasformazionale che si concentrano sulle capacità del leader di influenzare e “trasformare” i follower attraverso charisma, inspiration, individualized consideration e intellectual stimolation (Bass, 1985, Bass e Avolio, 1993).

Il filone che maggiormente si collega agli studi con taglio organizzativo è, infine, quello etichettato come “contingency”. L’origine dell’approccio si fa risalire agli studi di Fiedler (Fiedler, 1967; Fiedler e Garcia, 1987; Fiedler, 1993) e l’ipotesi di fondo è che alcune variabili di contesto influenzano l’efficacia di differenti stili di leadership. Assumono importanza nell’approccio variabili situazionali come le caratteristiche dei compiti del gruppo che si dirige, la composizione del gruppo e le relazioni leader- subordinati. Nella stessa direzione si muove la path-goal theory (House e Mitchell, 1974) che collega il comportamento del leader al raggiungimento degli obiettivi, evidenziando come esso venga condizionato dalla natura dei compiti che devono essere eseguiti per raggiungere l’obiettivo e dalle caratteristiche dei membri del gruppo (locus of control, autoritarismo, abilità). La stessa teoria riformulata (House, 1996) come teoria della leadership dell’unità organizzativa, specifica i comportamenti del leader che migliorano la soddisfazione dei subordinati e l’efficienza dell’unità organizzativa, considerando gli effetti del leader sulla motivazione e le abilità dei subordinati e sulle performance dell’unità organizzativa. Anche il modello della leadership situazionale di Hersey e Blanchard (1969) si fonda sulla considerazione che lo stile di leadership possa variare da leader a leader, che il comportamento più efficace del leader cambi nelle diverse situazioni, che il tipo di lavoro e la maturità dei collaboratori siano fondamentali nel determinare il comportamento efficace del leader, maturità che è legata al ciclo di vita del gruppo, all’educazione e alle esperienze pregresse dei collaboratori.

La gestione della complessità: le nuove sfide del leader nel promuovere apprendimento ed innovazione

Nella prospettiva della complexity leadership theory, la leadership è la sintesi dell’interazione di tre funzioni: amministrativa, adattiva e enabling. La prima include le attività manageriali e formali che caratterizzano un’organizzazione (come ad esempio le attività di coordinamento o di programmazione). La funzione adattiva, al contrario, è informale, emergente complessa e dinamica, nasce essenzialmente da un lato dalle interazioni degli attori relative ai conflitti alle idee e alle preferenze individuali, dall’altro dai processi creativi e di apprendimento che nascono dalle interazioni all’interno di sistemi complessi adattivi (CAS). (Uhl-Bienet al., 2007).

Infine, la funzione facilitatrice ha l’obiettivo di creare le condizioni per lo sviluppo delle dinamiche interattive della leadership adattiva e per la gestione e l’integrazione dell’interfaccia amministrativa-adattiva (Uhl-Bien, Marion, 2009). La funzione facilitatrice ha l’obiettivo di migliorare e coordinare il flusso tra le funzioni burocratiche e adattive. In alcuni casi, infatti, è necessaria una struttura più formale e burocratica, in altri casi invece si necessita di soluzioni più innovative.

Alcuni studi recenti descrivono l’applicazione pratica dell’approccio della complexity leadership (Carte et al. 2006; Fitzgerald et al. 2013) analizzando come la nascita di comportamenti di leadership nei team virtuali autogestiti contribuisca al raggiungimento delle performance. I risultati evidenziano che i gruppi ottengono performance superiori quando i leader emergenti possono agire assecondando i bisogni del team. Fitzgerald e i suoi colleghi (2013) aggiungono che quando si incoraggia un cambiamento nello stile di leadership (che secondo l’approccio della complexity leadership corrisponde ad un intreccio tra le funzioni adattiva e amministrativa) si ottiene un miglioramento nei risultati.

L’obiettivo della complexity leadership theory consiste nel riconoscere le strategie e i comportamenti che possono generare idee e stimolare la creatività e che possono, quindi, indirizzare e dare il via a processi innovativi, di apprendimento e di adattabilità tra gli attori individuali (Uhl-Bienet al. , 2007).

Il concetto di leadership emergente si riferisce ai comportamenti che nascono come risultato dell’interazione tra gli attori di un sistema: ad esempio, Schneider e Somers (2006) affermano che lo sviluppo di processi di leadership emergono da un percorso discontinuo e non lineare di interazioni tra gli attori organizzativi. Ovviamente è necessario considerare che alcuni fattori possono influenzare la capacità della leadership di emergere e di funzionare effettivamente nei sistemi sociali. Gli attori sono, infatti, interdipendenti e devono essere soggetti a tensioni adattive per avviare processi di elaborazione (ad esempio la pressione del leader, l’ ambiente conflittuale, i vincoli etc.). In assenza di pressioni non s’innesca il processo di cambiamento. Alcuni autori (Lichtenstein, Plowman, 2009) aggiungono, inoltre, che si può individuare una sequenza di quattro condizioni utili per spiegare l’emergere della leadership: lo stato di disequilibrio, le azioni di amplificazione, la ricombinazione/autorganizzazione, il feedback stabilizzante. In particolare, nei sistemi complessi gli agenti interagiscono e scambiano tra loro informazioni. Ogni scambio costituisce un’occasione per apprendere e innovare: l’interazione, infatti, consente la condivisione e l’apprendimento spingendo il sistema verso nuovi assetti. L’apprendimento può essere considerato un processo in cui si ottiene conoscenza e si creano opportunità di miglioramento. Partendo dal presupposto che la teoria della complexity leadership sottolinea che i processi di apprendimento si attivano grazie all’interazione tra gli attori e le loro funzioni (Uhl-Bien et al. , 2007; Uhl-Bien, Marion, 2009), l’apprendimento, quindi, può essere considerato un processo collettivo di riflessione e azione cartterizzato dal confronto dalla ricerca di feedback, dalla sperimentazione, dalla riflessione sui risultati e dalla discussione circa gli errori o i risultati inaspettati dalle azioni (Edmondson, 1999, p.354).

Alla luce di queste considerazioni gli attori individuali attribuiscono un significato e comprendono le situazioni è allora che si attivano processi di apprendimento e la conoscenza così generata consente agli attori di agire in situazioni complesse (Weick, 2007). Riconoscere le informazioni in ambienti e in situazioni turbolente è condizione necessaria per raggiungere l’efficienza richiesta, per sopravvivere e per mantenere l’equilibrio tra flessibilità e stabilità in qualsiasi organizzazione (Brown, Eisenhardt, 1997; Arjun, 2010). In sintesi, l’approccio della leadership complessa sottolinea la necessità dell’apprendimento per generare fenomeni di adattamento (Uhl-Bien et al. , 2007).

Un esempio di applicazione dei complex adaptive system è rappresentato dal caso del crollo in una miniera di oro e rame a San Josè in Cile avvenuta il 5 agosto del 2010 in cui furono coinvolti 33 minatori intrappolati a circa 700 m di profondità. Il team di soccorso interventuo ha dovuto acquisire, condividere e creare conoscenza testando ipotesi, discutendo e attraverso la formazione di nuove procedure e aggiustamenti delle strategie in base ai possibili errori o problemi. Tra i minatori intrappolati per quattro mesi sono emersi comportamenti di leadership: ogni individuo è stato riconosciuto come attore dotato di competenze su task specifici e con precise responsabilità (leadership burocratica), capace di risolvere situazioni complesse (leadership adattiva) e capace di coordinare e gestire relazioni (leadership facilitatrice). Sebbene questo caso rappresenti un esempio di applicazione di successo della teoria della complessità, altri eventi forniscono evidenze contrarie. Ad esempio il caso del disastro di Mann Gluch in cui morirono 13 persone raccontato in chiave critica nel lavoro di Weick (1993, 2007) rappresenta l’esempio del crollo del sense-making in una piccola organizzazione. All’origine del disastro c’è stata una mancanza di comunicazione tra i membri del gruppo di soccorso impegnato nello spegnimento dell’incendio (agenti adattivi). Ogni membro del gruppo ha fallito nel non condividere informazioni rilevanti e necessarie per creare e costruire conoscenza attraverso il processo di sense-making. Se gli individui coinvolti nell’incidente avessero condiviso le informazioni rilevanti (entanglement), il processo sarebbe potuto essere gestito in modo efficace dal leader del gruppo (agente amministrativo) consentendo al gruppo intero di affrontare il problema con successo.

Le interazioni umane sopra descritte e le relazioni con la teoria della complexity leadership possono anche essere confrontate con l’adattabilità negli ambienti di lavoro complessi (Burke et al.2006; Weick, 1993, 2007). Queste teorie sostengono che in condizioni di incertezza o di cambiamento, l’apprendimento di gruppo facilita lo sviluppo di conoscenza e favorisce l’apprendimento collettivo. In sintesi i processi di apprendimento prendono il via dall’interazione e dalla tensione adattiva tra la tre diverse funzioni amministrativa, adattiva e facilitatrice della complexity leadership.

Implicazioni manageriali

L’articolo propone una diversa chiave di lettura degli aspetti organizzativi legati all’apprendimento e all’innovazione. Gli autori hanno scelto la prospettiva teorica della compelxity leadership per analizzare i processi di apprendimento e l’innovazione che caratterizzano le organizzazioni. Secondo l’approccio teorico adottato i processi di innovazione e quelli di apprendimento s’innescano quando dall’interazione tra gli attori emergono nuovi eventi inaspettati che generano nuova conoscenza (Burke et al., 2006 Kozlowski, Bell, 2008, Boal, Schlutz, 2007). Dall’analisi delle ricerche empiriche risulta che nei contesti complessi, le forme organizzative burocratiche sono prevalenti con la conseguente soppressione della funzione adattiva (Uhl-Bien, Marion, 2009). In questo senso, la funzione facilitatrice della teoria della complexity leadership può apportare cambiamenti, migliorando così l’implementazione delle idee prodotte dalla funzione adattiva e la creazione di nuova conoscenza attraverso l’apprendimento. Da un punto di vista pratico ciò consente ai leader amministrativi di conoscere e validare queste idee (Uhl-Bien and Marion, 2009). I rapidi cambiamenti e l’aumento della competitività fanno si che le organizzazioni siano soggette a situazioni di tensione e instabilità. L’articolo analizzato prova ad indagare e a creare nuova conoscenza intorno al fenomeno dell’apprendimento. Studiare la leadership come fenomeno complesso può offrire punti di vista differenti per analizzare i processi di apprendimento e innovazione nell’ambiente di lavoro. L’emergere dei processi di apprendimento in seguito a tensioni adattive tra gli attori organizzativi e l’ambiente dipende dalla progettazione delle funzioni della complexity leadership all’interno dell’organizzazione.

Nonostante la proliferazione di studi e ricerche sul tema, secondo gli autori in letteratura esiste ancora un consistente gap relativo allo studio delle modalità in cui le caratteristiche della compelxity leadership influenzino i processi di apprendimento e innovazione. Gli autori propongono l’uso di modelli computazionali come metodo per analizzare la realtà attraverso la creazione di possibili rappresentazioni di ambienti virtuali simulati (Myung, 2003). Sebbene non sia usuale nell’ambito degli studi sul comportamento organizzativo l’utilizzo di modelli computazionali, c’è una crescente legittimazione di questo approccio considerato utile a fornire contributi significativi nel campo di studi (Harrison et al. , 2007). I benefici dell’uso di questi modelli è relativo alla possibilità di esaminare le conseguenze degli assunti teorici, le ipotesi alternative testandone la validità (Harrison et al. , 2007; Weinhardt, Vancouver, 2012). Per questo motivo gli autori auspicano e incoraggiano i ricercatori e i practitioners ad approfondire lo studio relativo alla natura emergente della complexity leadership giudicata come essenziale per attivare i processi di apprendimento e d’innovazione all’interno delle organizzazioni.

Principali riferimenti bibliografici

Avolio, B.J., Walumbwa, F.O., Weber, T.J. (2009), “Leadership: current theories, research, and future directions”, Annual Review of Psychology, Vol. 60, pp. 421-449.

Hazy, J.K., Uhl-Bien, M. (2014), “Changing the rules: the implications of complexity science for leadership research and practice”, Day, D. (Ed.), The Oxford Handbook of Leadership and Organizations, Oxford University press, Oxford, pp. 709-731.

Jiménez-Jiménez, D., Sanz-Valle, R. (2011), “Innovation, organizational learning, and performance”, Journal of Business Research, Vol. 64 No. 4, pp. 408-417.

Mendes M., Gomes C., Marques-Quinteiro P. , Lind P. , Curral L., (2016),”Promoting learning and innovation in organizations through complexity leadership theory”, Team Performance Management, Vol. 22 Iss 5/6 pp. 301 – 309

Uhl-Bien, M., Marion, R. (2009), “Complexity leadership in bureaucratic forms of organizing: a meso model, Leadership Quarterly, Vol. 20 No. 4, pp. 631-650.

 

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