Trasferimento di competenze di Design Thinking per cambiare il modello di servizio pubblico: il caso NEWLIB

Nell’articolo viene indagato il caso New Challenges for Public Libraries (NEW LIB), progetto co-finanziato dalla Commissione europea, svolto dal settembre 2015 al luglio 2018, che ha visto convolte alcune biblioteche pubbliche in Italia, Portogallo e Romania e Dokk1, centro culturale e biblioteca pubblica danese. Il progetto mirava a creare una rete (o comunità transnazionale) in Europa al fine di condividere buone pratiche con la finalità di diffondere la metodologia del Design Thinking come strumento per l’innovazione di servizi, spazi, programmi e sistemi nelle organizzazioni bibliotecarie. L’obiettivo dell’articolo è quello di indagare due dimensioni principali:

  • Quali sono le dinamiche organizzative osservabili nelle organizzazioni pubbliche, come le biblioteche, che adottano metodologie, strumenti e approcci di DT?
  • Quali sono i fattori che favoriscono o impediscono il trasferimento di competenze di DT? 

INTRODUZIONE

Cambiamenti economici, demografici e sociali mettono in discussione molte delle premesse che sono alla base dei servizi pubblici, ponendo nuove sfide ai decisori politici, alle istituzioni e alla governance del settore pubblico. Così, mentre misure di austerità sono state adottate in tutto il mondo, le sfide della società si stanno intensificando. Diversi fattori, come i flussi migratori, le sfide dell’inclusione sociale, l’ampia disoccupazione giovanile, la crescente domanda di assistenza sanitaria agli anziani e altri problemi di non facile soluzione partecipano alla formulazione di una richiesta contradditoria alle istituzioni pubbliche, cioè quella di fornire nuovi servizi – o ristrutturare quelli esistenti – e raggiungere una maggiore efficacia con meno risorse a disposizione.

La situazione di crescente complessità e turbolenza è forse è uno dei motivi per cui si sono sempre di più, gli enti pubblici che introducono strumenti e metodologie proprie del design nelle loro pratiche di innovazione e si moltiplicano le sperimentazioni che coinvolgono attivamente gli utenti finali nei processi di ideazione dei servizi aprendo così la strada a pratiche partecipative avanzate (Ehn, 2008; Manzini e Rizzo, 2011).

Poiché la metodologia del DT integra modalità di pensiero sia creative che analitiche, intrecciate in una serie di strumenti, tecniche, fasi di intervento (Brown & Martin, 2015; Pandey, 2015), se ben applicata può contribuire a ottenere processi decisionali più creativi e flessibili riducendo i rischi di duplicazioni e incoerenze, portando a risultati innovativi ed efficaci anche in risposta a problemi di non facile determinazione perché inter-funzionali e multi-stakeholder (Gruber, et al, 2015; Liedtka, 2015; Liedtka & Kaplan, 2019; Schifferstein et al. 2012). Inoltre, l’applicazione della metodologia del DT può semplificare le politiche organizzative e procedurali, sfidando i tradizionali principi di gerarchia o burocrazia (Allio, 2014). Questo approccio, però, richiede competenze specifiche raramente disponibili negli ambienti del settore pubblico (principi di ricerca sociale, problem solving, comunicazione, service design e project management ecc.), dunque il fabbisogno delle competenze e il loro trasferimento è tema fondamentale. Così come quello della cultura organizzativa; l’uso di strumenti di DT può essere supportato da culture organizzative che valorizzano la collaborazione con gli utenti, che coltivavano una cultura della flessibilità e la collaborazione inter-funzionale (Boland et al., 2008; Kolko, 2015; Michlewski, 2008; Stigliani & Ravasi, 2012; Kimbell, 2015;. Mentre culture organizzative con valori e norme che guardano alla produttività e alla prestazione da una prospettiva esclusivamente quantitativa e con specializzazioni funzionali organizzate in silo potrebbero impedire l’adozione di DT (Boland et al., 2008)

L’articolo analizza il caso NEW LIB, progetto cofinanziato dalla Commissione europea che mirava a trasferire le buone pratiche di DT adottate da Dokk1, centro culturale e biblioteca pubblica danese, per l’innovazione del modello di servizio pubblico in alcune biblioteche pubbliche di tre paesi (Italia, Portogallo e Romania). L’obiettivo di è quello di indagare due dimensioni principali:

  • Quali sono le con dinamiche organizzative osservabili nelle organizzazioni pubbliche, come le biblioteche, che adottano metodologie e strumenti di co-design?
  • Quali sono i fattori che favoriscono o impediscono il trasferimento di competenze di DT?

Il capitolo è dunque strutturato come segue: per prima cosa, i) viene introdotto il background teorico per lo studio passando in rassegna la letteratura pertinente; quindi ii) presentato il contesto del caso di studio, e successivamente iii) la ricerca svolta, per poi iv) delinearne e discuterne i risultati principali.

RASSEGNA DELLA LETTERATURA

Design Thinking, la difficile definizione di un cambio di paradigma progettuale

Il DT può essere descritto come, “Un approccio che utilizza la mentalità e gli strumenti del designer per soddisfare i bisogni delle persone con soluzioni tecnicamente realizzabili e sostenibili in modo che ciò possa essere tradotto dalla strategia aziendale in valore” (Brown 2008). Oggi la metodologia del DT, infatti, viene utilizzata per creare sistemi, prodotti e tecnologie semplici e intuitive, ma anche servizi e processi che rispettino i canoni di desiderabilità, fattibilità a livello tecnico (Efeoglu et al. 2013) e con le quali le persone siano facilitate a interagire (Meyer, 2015), secondo l’approccio human-centered, o user-centered (Carlgren et al. 2016) che mette i bisogni e i comportamenti dell’utente al centro del processo ideativo e progettuale.

La caratteristica peculiare del DT riguarda l’approccio utilizzato per risolvere i problemi interni ed esterni alle organizzazioni (Liedtka, 2014) definiti come wicked e ill-defined cioè di difficile definizione e interpretazione (Matthews & Wrigley, 2017). La particolarità di questi problemi è l’impossibilità dell’utilizzo di metodologie analitiche per la loro comprensione, in quanto la natura stessa delle criticità impone l’utilizzo di un processo iterativo fra ideazione e implementazione delle idee, come già soventemente praticato per lo user-centered design (Withell & Haigh, 2013). Per cercare di comprendere questo tipo di problemi, serve quindi un approccio sistemico e interdisciplinare. Il DT adotta un approccio al problem solving che metta al centro l’utente stesso piuttosto che procedure, processi o la tecnologia impiegata (Kimbell, 2011).

Per le finalità del nostro studio di caso, adotteremo la definizione di DT come approccio incentrato sui bisogni reali dell’utente per la progettazione di soluzioni creative ai problemi complessi che si basa su cicli iterativi di esplorazione dei bisogni dell’utente, prototipazione delle soluzioni e test insieme all’utente, fin quando il processo di progettazione raggiunge un risultato tecnicamente fattibile e sostenibile.

Design Thinking e Management

Studiosi e professionisti del management sostengono che il design sia adatto per l’innovazione in quanto rappresenta una logica inconsueta, cioè focalizzata sui bisogni e i comportamenti delle persone, che rifugge l’ambiguità e ha un approccio più ampio e più lungimirante alla risoluzione dei problemi (Borja de Mozota, 2010; von Stamm, 2010; Hobday et al., 2012, Cruickshank & Evans, 2012). Johansson-Sköldberg et al. (2013) vedono il DT come un metodo per approcciare problemi e situazioni organizzative complesse e di non facile definizione.

Boland e Collopy (2004), usano in modo intercambiabile il concetto di DT e quello di design attitude, ‘approccio da designer’, inteso come l’insieme di aspettative e orientamenti utilizzati dal designer nel processo progettuale, suggerendo quindi che il design sia una modalità o un processo di lavoro con caratteristiche proprie ma soprattutto che comporti specifici meccanismi cognitivi (così come in Martin 2007); e attribuiscono a Simon (2004) lo sviluppo di una teoria della design attitude per il management, competenza differente dalla decision attitude. Il punto di contatto fra i differenti studi si trova nella definizione di Simon di progetto di design come “l’impulso a cambiare lo stato delle cose esistente con uno preferito” (2004). Bisogna sottolineare, tuttavia, come la maggior parte dei contributi alla discussione teorica su design e management vengano da studiosi che interpretano gli approcci e strumenti del design come applicazione pratica dei propri inquadramenti teorici di riferimento. Sempre Boland e Collopy (2004), in relazione all’utilizzo degli strumenti del design nelle organizzazioni, suggeriscono che management e design abbiano caratteristiche molto affini (“managing as designing”) perché dopotutto il management è come l’arte, tutt’altro che un processo razionale,

Design Thinking e cultura organizzativa

L’uso di strumenti di DT può essere supportato da culture organizzative che valorizzano la collaborazione con gli utenti (ad esempio Boland et al. 2008; Michlewsk, 2008; Stigliani & Ravasi 2012; Tischler 2009; Wilkie et.al. 2010). Chen e Venkatesh (2013) mostrano che diverse organizzazioni che coltivavano una cultura della flessibilità. collaborazioni inter-funzionali e l’ascolto, sostengono l’adozione di DT. Così come culture definite da norme e valori legati alla sperimentazione (Bicen & Johnson, 2015; Candi & Saemundsson, 2008; Ewenstein & Whyte, 2007; Hargadon & Sutton, 1997; Kimbell, 2015; Kolko, 2015; Stigliani & Ravasi, 2012).

Al contrario, culture organizzative con valori e norme che guardano alla produttività e alla prestazione da una prospettiva esclusivamente quantitativa e con specializzazioni funzionali organizzate in silo potrebbero impedire l’adozione di DT (Berk, 2009; Boland et al., 2008; Chang et.al., 2013; Veryzer, 2002).

Inoltre, Elsbach e Stigliani (2018) suggeriscono una relazione ricorsiva tra l’uso di strumenti di DT e lo sviluppo di norme e presupposti e di una cultura organizzativa: ciò significa che la relazione causale corre tra l’uso degli strumenti e lo sviluppo della cultura organizzativa in entrambe le direzioni. Secondo Schifferstein et al. (2012), un approccio partecipativo guidato dalle metodologie del design ha un impatto su almeno tre livelli: organizzazione, brand e prodotti/servizi. Dimensioni che si intrecciano tra loro: le decisioni prese a livello organizzativo (strategia, macrostruttura, microstruttura ecc.), hanno implicazioni per il brand (l’immagine, l’identità dell’organizzazione); che a sua volta, ha un impatto sulle tipologie di prodotti/servizi che questa fornisce; i prodotti/servizi contribuiscono alla creazione del brand dell’organizzazione, e l’immagine e la reputazione determinano in parte la percezione che il pubblico avrà dell’efficacia dell’organizzazione. Ciò, perché il modello di innovazione guidata dal design segue la forma circolare (Buijs, 2003): ogni innovazione produce impatti sul contesto e sulla nuova innovazione; quindi si differenzia da altri modelli di innovazione lineari, più tradizionali.

Design Thinking per cambiare il modello di servizio pubblico delle biblioteche

Nel mondo delle organizzazioni bibliotecarie si osserva la crescente tendenza ad adottare approcci all’innovazione orientati ai processi partecipativi. Il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini ai processi di progettazione e di miglioramento degli spazi e dei servizi, nella pianificazione strategica e di spesa, sono una caratteristica sempre più diffusa, almeno in Europa e in America del Nord (Nguyen et al 2012). La Biblioteca Pubblica di Bergen, in Norvegia, ha gestito nel 2014 un progetto chiamato UROM, in cui, in collaborazione con adolescenti e studenti della Bergen School of Architecture, ha progettato una nuova stanza e servizi per i giovani e giovanissimi (Jore et al., 2014). Approccio analogo quello della Biblioteca di Malmö (Svezia) che ha utilizzato il DT per incorporare i bisogni e le idee proposte dai bambini nella progettazione di uno spazio dedicato agli utenti più piccoli (Jokitalo, 2015b).

Ad Helsinki, per la costruzione della nuova Biblioteca centrale, la municipalità ha intrapreso un ampio processo di progettazione partecipata per coinvolgere i cittadini al fine di raccogliere ispirazione e approfondimenti per quanto riguarda gli spazi, le modalità di spesa del budget e per lo sviluppo di servizi innovativi (Miettinen, 2013).

Nel mondo delle biblioteche, il DT si è affermato negli ultimi anni anche grazie alla collaborazione tra le tra organizzazioni della Chicago Public Library, della biblioteca DOKK1 (Aarhus, Danimarca) e Ideo (design company statunitense), le quali – grazie a un finanziamento della Bill & Melinda Gates Foundation – hanno sviluppato il manuale Design thinking for libraries (Ideo 2015) contribuendo a facilitare l’adozione di metodologie partecipative per l’innovazione da parte di alcune biblioteche pubbliche.

Tuttavia, l’introduzione della cultura e della metodologia del design nel settore pubblico è ancora nelle sue fasi iniziali (Deserti & Rizzo, 2014; Bason, 2010, 2017): metodi e strumenti di progettazione sono in gran parte sconosciuti dai professionisti delle istituzioni e delle organizzazioni pubbliche e le metodologie del design sono ancora lontane dal poter influenzare processi e cultura organizzativa. Le sperimentazioni di introduzione del design nel settore pubblico sono principalmente focalizzate sull’ottenimento di risultati immediati, come per esempio l’innovazione dei servizi bibliotecari, in modo che siano resi più accessibili, efficaci, sostenibili e così via. Sono ancora rare, invece, le iniziative per quanto riguarda l’introduzione di metodologie di design per rendere le organizzazioni pubbliche più orientate ai bisogni degli utenti o più efficienti.

Deserti e Rizzo (2014) sostengono che l’adozione di conoscenze e strumenti di design partecipativi nello sviluppo dei servizi pubblici richieda (e implichi) un cambiamento nelle organizzazioni, sottolineando come sia necessario attivare una relazione dinamica tra i livelli di cambiamento operativo e quello strategico, in modo da poter superare alcuni dei limiti e delle inefficienze nelle prassi consolidate proprie del settore pubblico.

Figura 1. Obiettivi dell’articolo in relazione alla rassegna della letteratura.

Il caso NewLib

Il progetto New Challenges for Public Libraries (NEW LIB) si è svolto dal 2016 al luglio 2018 è ha visto convolte alcune biblioteche pubbliche in Italia, Portogallo, Romania e Dokk1, centro culturale e biblioteca pubblica danese. Il progetto mirava a creare una rete (o comunità transnazionale) in Europa al fine di condividere buone pratiche con la finalità di diffondere la metodologia DT come strumento per realizzare innovazione. In questo quadro, le tre biblioteche italiane (tutte in provincia di Milano: Pero, Arese e Cinisello Balsamo), la biblioteca di Braga (Portogallo) e quella di Ploiesti (Romania) hanno avviato altrettanti gruppi di progetto, individuato le proprie sfide e applicato la metodologia per arrivare alla prototipazione della soluzione individuata insieme al pubblico a cui la soluzione era rivolta.

Attore fondamentale di NEW LIB è stato Dokk1 (situato ad Aarhus) che ha messo a disposizione, oltre che la propria competenza, la propria esperienza nelle attività di coinvolgimento dei cittadini nei processi di individuazione dei bisogni e dei nuovi servizi da attivare negli spazi della biblioteca.

La scelta di Dokk1 è stata motivata in primo luogo perché si tratta di un’organizzazione bibliotecaria con una lunga esperienza nell’utilizzo e nell’integrazione del DT nei processi di innovazione (oltre 10 anni). Dokk1, insieme a Chicago Public Library ha lavorato con IDEO – azienda di consulenza strategica leader nel settore del DT – alla messa a punto del toolkit Design Thinking for Public Libraries (Ideo 2015). Inoltre, Dokk1 stessa, come istituzione, è il risultato di un grande processo di co-creazione e di metodologie partecipate: utenti e non-utenti, personale della biblioteca e di altre biblioteche danesi, professionisti, politici, architetti e ingegneri sono stati coinvolti nei processi di progettazione, a partire dalla formulazione della visione, del nome e dell’identità visiva della biblioteca fino all’ideazione degli spazi e dei servizi che sarebbero stati poi proposti alla cittadinanza (Bech-Petersen, 2016; Hapel, 2017). L’adozione del DT come motore dell’innovazione non ha comportato per Dokk1, dunque, solamente l’utilizzo di nuovi strumenti e metodologie a livello dei processi di progettazione e sviluppo di nuovi servizi, programmi o spazi, ma cambiamenti più profondi a livello organizzativo, culturale e di comunicazione.

Il fondamentale apporto di Dokk1 si è sostanziato nell’attività di mentoring condotta dai colleghi danesi nei confronti degli operatori delle biblioteche italiane, portoghesi e rumene: ciò ha significato la messa a disposizione di saperi e competenze acquisite e la condivisione sotto forma di insegnamento e trasmissione di esperienza, per consentire ai partecipanti del progetto di esperire percorsi di DT all’interno delle proprie realtà. Grazie alla cooperazione, tutte le biblioteche partner hanno potuto sperimentare l’applicazione della metodologia su sfide specifiche individuate al proprio interno, dall’individuazione della “sfida” fino alla prototipazione e poi al test del prototipo. In particolare, per quanto riguarda le 3 biblioteche italiane, l’attenzione è stata rivolta ai seguenti sfide progettuali:

  • il centro culturale “ilPertini” di Cinisello Balsamo (MI) si è concentrato sul servizio dell’emeroteca;
  • biblioteca “Agorà” di Arese (MI) ha sviluppato un prototipo per un utilizzo regolamentato e autogestito della sala studio da parte degli studenti, in particolare universitari;
  • biblioteca “Punto Cerchiate” di Pero (MI) ha lavorato sui servizi per il pubblico senior.

Ogni team era costituito da:

  • 2 operatori di biblioteca (bibliotecari);
  • 2 designer (figure esterne all’organizzazione bibliotecaria, con funzione di sostegno al team).
  • 1 reporter (persona esterna all’organizzazione bibliotecaria con il ruolo di osservare il progetto per poi raccontarne ogni evoluzione).
Organizzazione bibliotecaria Team Sfida progettuale
Biblioteca il Pertini

Cinisello Balsamo

Milano, Italia

–    3 operatori di biblioteca

–    2 designer

–    1 reporter

Dare accesso a quotidiani e riviste online negli spazi della biblioteca a lettori che non hanno ancora dimestichezza con i device digitali
Biblioteca Agorà

Arese

Milano, Italia

–    3 operatori di biblioteca

–    2 designer

–    1 reporter

Fornire soluzioni pratiche per soddisfare le esigenze dei giovani di spazi per lo studio in modo da preservare opportunità e spazi anche per gli altri utenti
Biblioteca PuntoCerchiate

Cerchiate –Pero

Milano, Italia

–    3 operatori di biblioteca

–    2 designer

–    1 reporter

Fare della biblioteca lo strumento per rafforzare il senso di comunità nel quartiere

Tabella 1. Organizzazioni bibliotecaria di provenienza, composizione e sfida progettuale dei 3 team italiani che hanno partecipato a NEW LIB.

Ogni team ha coinvolto il pubblico target attraverso le tecniche previste dal toolkit: l’intervista in biblioteca o anche in luoghi esterni (luoghi di aggregazione privilegiati dagli individui del gruppo target) è stato lo strumento maggiormente utilizzato dai gruppi che si sono confrontati con il coinvolgimento diretto dei cittadini, con le loro aspettative, i loro bisogni, le loro preferenze.

Il percorso di apprendimento dei contenuti del toolkit di relativa appropriazione delle competenze per applicarlo e il percorso di applicazione sono coincisi, si è trattato di vero learning by doing secondo l’approccio del Problem Based Learning per la logica adduttiva, il metodo di analisi, il bisogno di riflessione su sé e il gruppo e il tentativo di cercare di risolvere problemi non ben definiti, proponendo un’efficace rappresentazione grafica (mappe concettuali, schizzi, schemi ecc.) e per mezzo di prototipi per la rappresentazione di idee e per raccogliere feedback da parte dei potenziali utenti finali.

METODOLOGIA E ANALISI DEI DATI

In questo capitolo discutiamo un caso di studio interpretativo induttivo (Corley & Gioia, 2004; Gioia & Chittipeddi, 1991; Gioia, Corley, & Hamilton, 2013; Klein & Myers, 1999; Walsham, 1995). Per quanto riguarda l’analisi dei dati e lo sviluppo della teoria seguiamo l’approccio fondato proposto da Gioia et al. (2013). Pertanto, la nostra ricerca si articola attraverso i seguenti passaggi; i) un progetto di ricerca incentrato sulle domande “come”; ii) la raccolta dei dati, con un’attenzione specifica alla prospettiva degli informatori (gli intervistati) per comprendere il fenomeno attraverso i significati da loro assegnati (Walsham, 2006); iii) analisi dei dati mediante codifica aperta e selettiva per temi di 1° ordine (emersi dalle interviste), successivamente organizzati in temi di 2° ordine (per concettualizzazione teorica); iv) articolazione dei temi, delle dimensioni e della struttura dei dati risultanti in una teoria provvisoria (Gioia et al., 2013).               Lo studio del caso NEW LIB si è svolto per mezzo dei seguenti passaggi; a) raccolta dei dati, con un’attenzione specifica alla prospettiva degli intervistati per comprendere il fenomeno attraverso i significati da loro assegnati (Walsham, 2006); b) analisi dei dati tramite codifica; c) articolazione dei temi emersi, delle dimensioni e della struttura dei dati risultanti in una teoria provvisoria (Gioia et al., 2013).

Lo studio è iniziato a febbraio 2017 con l’analisi documentale riguardante Dokk1 (casi aziendali, piano di implementazione e politica di governance). Tra settembre e dicembre 2017, sono state intervistate 20 persone, altre 6 interviste a professionisti di Dokk1 sono state effettuate a marzo 2018. Gli intervistati includono per Dokk1 includono: 2 manager; un designer, un Library Transformer (ruolo che ha il potere di influenzare l’adozione del Design Thinking), 2 bibliotecari che utilizzano il Design Thinking in maniera routinaria, uno degli architetti coinvolti nel progetto di design della biblioteca, 16 bibliotecari che hanno partecipato almeno ad una sessione di Design Thinking, e 2 utenti fra quelli che ha hanno partecipato attivamente a diverse sessioni di co-design. Mentre per le tre organizzazioni bibliotecarie italiane che hanno partecipato a NEW LIB, i dati sono stati raccolti per mezzo di conversazioni informali tenutosi durante i workshop, i meeting e le sessioni di DT previsti dal progetto NEW LIB e un focus group tenutosi ad aprile 2019 che ha visto la partecipazione di 9 bibliotecari (3 per ogni team impegnato in NEW LIB).

I documenti e le interviste sono stati successivamente trascritti, codificati e analizzati in sessioni parallele con codifica manuale da aprile 2018 a dicembre 2018 da parte di due autori di questo. Gli altri due autori hanno proceduto con un coding ulteriore utilizzando il software MAXQDA 12 da febbraio 2019, che ha è stato infine utilizzato per integrare tutti i codici e identificare i temi di secondo ordine e le dimensioni aggregate. Per quanto riguarda il contributo al lavoro empirico e l’analisi dei suoi risultati, due autori di questo articolo che hanno partecipato attivamente al progetto NEW LIB con il ruolo di supervisore e tutor dei 3 team italiani avendo dunque molto di lavorare a stretto contatto sia con Dokk1 che con le tre organizzazioni bibliotecarie italiana, facendo anche osservazione etnografica sul campo oltre che raccogliere le interiste. Invece, il terzo e quarto autore hanno fornito una prospettiva critica esterna sulle attività di raccolta e analisi dei dati, contribuendo anche ai processi di codifica parallela e così facendo fornendo “una prospettiva di livello superiore necessaria per una teorizzazione informata” (Gioia, Corley and Hamilton, 2013, p. 5).

Figura 2. Struttura dei dati: concetti di 1° ordine (un campione), temi di 2 ° ordine e dimensioni aggregate. Il formato della struttura dei dati è adattato da Corley & Gioia (2004, p. 184) e Gioia et al. (2013, p. 7)

In figura 2 (sopra) viene descritta la struttura dei dati, con i concetti di 1° ordine (un campione), i temi di 2 ° ordine e le dimensioni aggregate; Cultura organizzativa abilitante, Contesto del cambiamento, Risposta della Leadership al paradigma DT.

RISULTATI

Le tre dimensioni principali e le relative tematiche di 2° ordine sono state ulteriormente elaborate attraverso la codifica teorica (Glaser, 2005), portando a una descrizione concettuale delle dinamiche organizzative e le dimensioni relative all’adozione di pratiche orientate alla co-creazione, come il Design Thinking, nelle biblioteche pubbliche, oltre che delle relazioni esistenti tra le tre diverse dimensioni: Cultura organizzativa abilitante, Contesto del cambiamento, Risposta della Leadership al paradigma DT.

La descrizione concettuale è mostrata nella Figura 3, mentre in quanto segue discutiamo i temi principali (Imperativo all’apertura, Servitizzazione, Platform Organization, Sfida identitaria, Learning Organization, Definizione visione strategica, Azioni di Branding, Misure organizzative).

Figura 3. Processo di assorbimento organizzativo delle pratiche e dell’approccio DT

Cultura organizzativa abilitante

La dimensione Cultura organizzativa abilitante aggrega le 3 temi: Imperativo all’apertura, Servitizzazione e Open Platform. Per quanto riguarda l’Imperativo all’apertura: in Dokk1, visione, identità, nuove offerte di servizi e valori fondamentali (principalmente orientati all’apprendimento permanente, diversità della comunità, cooperazione e rete) sono stati sviluppati insieme a un’ampia gamma di esperti, partner, parti interessate e membri del personale e quindi allineati ai valori dei cittadini. Alcuni manager affermano che il coinvolgimento dei cittadini ha fatto parte dei loro processi di innovazione anche molto prima che l’approccio venisse indicato come DT:

“…il nostro DNA è costituito dal coinvolgimento degli utenti, […] una competenza che deriva da una lungo processo di apprendimento necessario per cambiare il modo in cui lavoriamo”

Per quanto riguarda le 3 biblioteche italiane che partecipano al progetto, invece, l’esperienza di NEW LIB suggerisce che il DT per le biblioteche aiuta a creare una nuova mentalità e visione di apertura alla prospettiva dell’utente anche per chi ci si avvicina per la prima volta; così commenta un membro di uno dei team delle biblioteche italiane:

“Ora penso sempre da punto di vista dell’utente, e anche ascolto loro ogni volta che ce n’è occasione, per ogni futuro servizio o spazio o programma, faremo prima delle survey e delle interviste, coinvolgendo l’utente in qualche modo.

Fra le biblioteche italiane coinvolte in NEW LIB, alcuni ambienti organizzativi hanno mostrato più apertura rispetto ad altri.

 “Noi andiamo avanti nel progetto, perché ho autonomia decisionale in quanto direttore, la nostra amministrazione locale non entra nei piani strategici, lascia carta bianca.”

Tuttavia, la leadership delle biblioteche può anche essere d’ostacolo all’introduzione e lo sviluppo del DT, nel caso del team della Biblioteca di Arese, il supporto dei decisori appariva essere problema critico.

“Possiamo anche proporre idee e soluzioni, ma abbiamo bisogno di sapere i piani a lungo periodo, di cui non siamo a conoscenza, e comunque la direzione e l’amministrazione locale non ci mette al corrente e non sono coinvolti nel progetto!”

Ampiezza e varietà di servizi che sono al centro al tema Servitizzazione, il quale fa riferimento al processo di trasformazione del modello di business in direzione di una prospettiva cliente-centrica, in cui il servizio rappresenta la componente fondamentale:

“…ogni volta che facciamo una nuova attività, cerchiamo di scoprire nuovi bisogni e nuove risorse. Quindi, utilizziamo le attività come piattaforme per le esigenze emergenti ” (bibliotecario di Dokk1)

In sintesi, le nuove offerte di servizi e il nuovo edificio a Dokk1 sono il risultato di un cambio di paradigma che vede la biblioteca non più come uno spazio per la conservazione del patrimonio testuale e per le transazioni tipiche dei processi di consultazione e prestiti di libro e varie pubblicazioni, ma come un luogo di relazioni e socializzazione, cioè, per descrivere le parole di un bibliotecario, “un luogo comune di aggregazione dei cittadini, un luogo dove i cittadini possono anticipare i servizi ”. Questa nuova impostazione offre a Dokk1 un potenziale di trasformazione e la capacità di soddisfare le mutevoli esigenze degli utenti e la domanda sociale della società anche nel prossimo futuro.

Sempre per quanto riguarda la dimensione Servitizzazione, Dokk1 si concentra sull’uso della tecnologia per migliorare e ottimizzare i servizi con il coinvolgimento in una serie di progetti che lavorano sulla raccolta e l’utilizzo dei dati degli utenti, oltre a offrire supporto per iniziative di dati aperti. Dokk1 prevede di utilizzare questi dati per migliorare l’esperienza di visita alla biblioteca, per meglio comunicare spazi e servizi, gli orari di apertura, attrezzature a disposizione.

Per quanto riguarda le tre biblioteche italiane che hanno partecipato a NEW LIB, i bibliotecari descrivono un modo di operare stretto nel mansionario che si deve adeguare a procedure, e inoltre, “molti dei miei colleghi stanno per andare in pensione, a loro non interessa cambiare modo di lavorare o innovare”.

Dokk1 beneficia di un pensiero innovativo e creativo come parte della cultura organizzativa, fortemente promosso dal suo management e di un modello da Platform Organization (Ciborra, C. U. 1996) che ha stretti collegamenti sia con le partnership che con gli utenti ed è aperta alla sperimentazione.

Insieme a una grande varietà di strutture per attività culturali, sociali e di networking professionale, Dokk1 ospita il Centro per l’innovazione e anche Smart Aarhus, una piattaforma per tutti coloro che desiderano sfruttare le opportunità della digitalizzazione in ogni settore e che utilizza modelli partecipativi per il finanziamento di progetti condivisi tra aziende, istituzioni educative, reti comunitarie e individui tramite eventi di crowdsourcing.

Dokk1 ha progettato anche maker-space, maker-fair, hackathon e laboratori in cui gli utenti interagiscono, condividono conoscenze e pratiche e co-creano. Altri eventi facilitano l’incontro e la collaborazione tra start-up, consulenti e business angel, consentendo lo sviluppo di nuove partnership. I partner offrono conoscenza specialistica, competenze e risorse (anche di persone) per il sostegno di programmi ed eventi.

La biblioteca Dokk1 è ora vista dalla maggior parte dello staff e degli stakeholder come una “piattaforma” per attività di co-creazione che sono promosse dall’adozione di design mindset e che permettono sia di allargare il perimetro della cornice istituzionale della concezione tradizionale di cosa sia una biblioteca.

Fra le tre 3 biblioteche italiane, solo quella più grande, il Pertini di Cinisello Balsamo, ha parziali caratteristiche di Platform Organization ospitando un Fab Lab e promuovendo e laboratori in cui gli utenti interagiscono, condividono conoscenze e pratiche e co-creano.

Contesto del cambiamento

La dimensione Contesto del cambiamento aggrega 2 temi, quello della Sfida identitaria e quello della Learning Organization. Per quanto riguarda la Sfida identitaria l’adozione di un approccio di DT come nuova modalità di lavorare per il personale della biblioteca richiede una nuova interpretazione del ruolo. Dokk1 ha creato team di persone con background diversi per consentire la condivisione della conoscenza, la contaminazione tra una gamma più ampia di abilità e mentalità e creatività. Come afferma uno dei manager intervistati, “abbiamo bibliotecari, ma abbiamo anche insegnanti di scuola per coinvolgere i bambini nelle attività che abbiamo per loro, abbiamo antropologi, abbiamo designer, abbiamo facilitatori di processo e quello sostiene lo sviluppo”.

Inoltre, nell’opinione di un altro bibliotecario intervistato, “è importante trovare qualcuno con un background diverso. È molto utile per definire nuove soluzioni ai problemi “. E ancora; uno dei designer illustra come nel suo team ci siano persone con competenze in scienze dell’informazione, progettazione human-centered, sviluppo tecnologico, antropologia, letteratura e cinema e biblioteconomia. Tuttavia, sottolinea anche che:

“La prototipazione e il coinvolgimento degli utenti […] potrebbero piacere ad alcune persone che si sentono potenziate, lavorare efficacemente con strumenti e metodi di progettazione può anche essere una questione di mentalità e personalità: potrebbero esserci membri del personale che forse vorrebbero davvero farne parte, perché […] se sei un bibliotecario qualificato, vuoi lavorare come bibliotecario, vuoi fare quello che fa tradizionalmente un bibliotecario, allora potresti non voler lavorare in questo nuovo modo”. (Un bibliotecario di Dokk1)

Lo stesso aspetto è stato menzionato anche da uno dei bibliotecari: “è una mentalità e le persone che non hanno questa mentalità è difficile per loro dire che vorremmo lavorare con il DT”.

Lo stile di leadership alimenta l’identità dei bibliotecari enfatizzandone il ruolo sociale e il valore pubblico ma, allo stesso tempo sfida coloro che cercano di resistere al cambiamento e optano per attività e ruoli tradizionali. A questo proposito, gli intervistati sottolineano che il lavorare con altre entità e in particolar modo con Ideo, azienda specializzata nel campo del DT ha reso le persone “più consapevoli di come funziona il processo, che tipo di strumenti si possano utilizzare”, aiutandole ad essere “più strutturate”. È stato sottolineato, inoltre, che, sebbene “la mentalità ci fosse già”, il processo di apprendimento del DT potrebbe risultare piuttosto difficile per coloro con pochissima esperienza, la disponibilità di un facilitatore o un mentore è dunque di grande aiuto.

Difficoltà. quella di acquisire le competenze del DT anche avvertita dai membri dei team delle 3 biblioteche italiane, nelle parole di un membro del team di Cinisello Balsamo:

“Il toolkit richiede facilitatori del design per far sì che le persone capiscano e applicare il suo approccio. Chi utilizza il design thinking per la prima volta può prendere il contenuto come una “regola” piuttosto che un esempio e uno strumento. Però, allo stesso tempo è importante che si applichi una metodologia, e non ci si basi su impressioni e sensazioni e la libera interpretazione.”

Altri membri lamentano anche che “il DT richiede tante diverse competenze che non abbiamo: fare interviste, facilitare, comunicare, fare schizzi e prototipi, ma soprattutto richiede una approccio progettuale che ci manca, non siamo Project Manager”.

Per quanto riguarda il tema Learning Organization, secondo le dichiarazioni di uno dei manager di Dokk1 intervistati, la più efficace formazione al DT e alle metodologie partecipate è quella pratica e on the job. Inoltre, sono emersi 2 aspetti fondamentali per la diffusione di nuova conoscenza all’interno dell’organizzazione: (1) la creazione di uno spazio dedicato, dove le persone possono sperimentare in prima persona i metodi e gli strumenti tipici del DT; (2) il supporto del management e uno stile di leadership orientato all’empowerment delle persone sono fondamentali per facilitare la formazione e l’apprendimento.

Il management di Dokk1 lancia ogni anno un invito a proporre nuovi servizi e consente al personale di potersi concentrare – per alcuni periodi – unicamente sulla definizione e lo sviluppo della propria idea progettuale.

Inoltre. la leadership pone enfasi più sul raggiungimento dell’eccellenza e della high performance che sull’adesione a standard e procedure, per questo motivo consente e incoraggia la collaborazione interfunzionale, nuove idee e l’apprendimento attraverso la sperimentazione:

“…lo sviluppo di progetti deve concentrarsi su una nuova biblioteca, nuovi modi di lavorare e lavorare con i partner e istruirci sui metodi di design, in modo da lavorare in modo più orientato agli obiettivi. […] Quindi, siamo stati in grado di costruire progetti incentrati non solo su un prodotto, ma sul processo e sul nostro processo di apprendimento”.

Inoltre, uno dei manager sottolinea ulteriormente il fatto che la direzione di Dokk1 ha messo appunto strategie con l’obiettivo di diffondere metodi di progettazione in tutta l’organizzazione, per mezzo di “diversi modi di comunicare e […] mostrare nello spazio fisico aperto”, e un coinvolgimento continuo del personale di qualsiasi livello in uno o più progetti al fine di garantire l’apprendimento attraverso la pratica. Il Centro per l’Innovazione è la struttura di Dokk1 che si basa sull’esperienza nell’adozione della metodologia DT da parte di professionisti con diverso background (antropologi, designer, facilitatori di processo) che supportano lo sviluppo di soluzioni innovative negli altri dipartimenti dell’organizzazione. Inoltre, il passaggio da organizzazione funzionale a un a team interfunzionale ha favorito la diffusione dei metodi di progettazione e la creazione di nuove conoscenze nell’organizzazione e ha facilitato la collaborazione tra le strutture.

Uno dei designer descrive la collaborazione tra team e funzioni come parte della cultura organizzativa e non come qualcosa di formalmente definito:

“a volte non abbiamo un’organizzazione molto ben descritta su come ci aiutiamo a vicenda, quindi, diciamo che va bene se usiamo un po’ l’un l’altro per lavorare meglio e fare accadere le cose, le persone si uniscono ai team in modo molto flessibile e organizzano le attività con un approccio emergente”.

Ciò evidenzia una cultura organizzativa orientata all’innovazione e allo sviluppo, che pone l’accento sulla condivisione delle competenze e sulla creazione di conoscenza. Inoltre, la creatività sembra non essere più percepita come un risultato di processo ricercato consapevolmente, ma come una caratteristica intrinseca della cultura organizzativa – “[…] creatività, penso che faccia parte del modo in cui pensiamo e lavoriamo insieme”.

Risposte della Leadership al paradigma DT

La dimensione Risposte della Leadership al paradigma DT aggrega 3 temi: Definizione della visione strategica, Azioni di branding e Misure organizzative.

L’assorbire il DT nella cultura organizzativa e il cambiamento associato è stato per Dokk1 un processo lungo e complesso, sostenuto in maniera continuativa dal management della biblioteca.

Una gestione coerente nel tempo ha fatto sì che il valore originario del concetto fosse comunicato, mantenuto e condiviso tra tutto il personale e gli stakeholder, per creare partecipazione (Definizione della visione strategica). Inoltre, gli approcci partecipativi sono stati utilizzati internamente come tattica per ridurre la resistenza al cambiamento. La strategia si è dimostrata vincente in quanto le persone (per utilizzare le parole di un manager intervistato), “si sono sentite coinvolte […] e loro stesse degli agenti di cambiamento”, e hanno percepito meno lo stress causato dal cambiamento stesso.

Lungo il percorso, Dokk1 ha creato una coalizione per il cambiamento in cui gli attori politici sono fondamentali per la visione dell’innovazione a lungo termine. A livello di Azioni di branding (di comunicazione da parte di Dokk1 e della percezione da parte dei pubblici): l’immagine positiva ha supportato la comunicazione tra Dokk1 e i suoi stakeholder. Trattandosi di istituzione completamente nuova, costruita su un sito urbano rigenerato, essa stessa comunica cambiamento e innovazione. La nuova organizzazione è stata è stata ben recepita: la biblioteca non è viene più percepita come luogo “sacro”, e questo aiuta processi di audience development e lo sviluppo di una nuova cultura organizzativa orientata all’innovazione.

Riguardo al tema Misure organizzative, la collaborazione interfunzionale è un’altra dimensione importante del lavoro di squadra e della condivisione delle conoscenze in Dokk1 che si ricollega alla dimensione Platform Organization (vedi Figura 1). Riguardo a ciò, uno dei manager afferma “lavoriamo oltre i confini” e considera la collaborazione interfunzionale un asset che genera valore aggiunto:

“Penso che la combinazione tra la biblioteca, il servizio ai cittadini e un dipartimento come il nostro diano l’opportunità di fare qualcosa che non vedi da nessun’altra parte”.

La fotografia organizzativa delle biblioteche italiane che hanno partecipato a NEW LIB è molto differente. Per il team di Arese, per esempio, la variabilità e la tempistica decisionale dell’amministrazione locale hanno portato a problemi allo sviluppo delle attività, “siamo sotto elezioni, per ora si portano avanti iniziative di consolidamento per via dell’incertezza nel futuro”.               Per cui, l’impegno diretto da parte dei decisori politici sin dall’inizio del processo e non solo alla fine (nel momento di presentazione dei prototipi, per esempi) potrebbe facilitare una migliore sinergia con il piano di sviluppo locale.

Altra difficoltà riscontrata da tutt’e tre i team italiani di NEW LIB riguarda la capacità di comunicare e diffondere la cultura DT ad altri colleghi, sia perché “non ho il sostegno della direzione in questo” o per mancanza di competenze specifiche “non sono un comunicatore, o un facilitatore, raccontare un progetto mi è difficile”, o anche perché “la maggior parte dei miei colleghi non è interessata, sono a un passo dalla pensione oppure lavorano per cooperative non sono dipendenti dell’organizzazione”. Sarebbe perciò importante “persuadere o convincere la leadership del potenziale delle idee di DT, ma non abbiamo risorse, nemmeno di tempo”, e inoltre sarebbe necessario poter comunicare alla politica e al pubblico in modo avvincente il “perché, i vantaggi, i benefici e le ragioni di adottare il DT”.

DISCUSSIONE

Come evidenziato dallo studio del caso, il DT può essere anche strumento per aumentare la dynamic capability migliorando la capacità di assorbimento di un’organizzazione (Llamas, 2015), a condizione però- come si evince dall’osservazione delle dinamiche organizzative in Dokk1 – che la cultura organizzativa sia favorevole all’approccio partecipativo all’innovazione e che l’adozione di metodologia e strumenti sia inserito in un contesto più ampio di cambiamento organizzativo. Nel caso di Dokk1, il cambiamento è arrivato in parte dall’esterno, con l’aiuto del partner Ideo (specialista in DT) che ha contribuito a strutturare i metodi e sensibilizzare l’organizzazione, ma è venuto principalmente dall’interno dell’organizzazione: sono state create delle strutture volte a consentire la collaborazione, sono stati predisposti degli spazi dedicati alla sperimentazione e all’apprendimento e la leadership ha cercato di costruire partnership con stakeholder variegati e ha continuamente incoraggiato una cultura nella quale l’errore sia opportunità di apprendimento. Ciò sembra confermare l’osservazione di Deserti & Rizzo (2014), che sottolineano l’importanza della relazione tra design e competenze organizzative, pratiche di coinvolgimento dei dipendenti, strategie di comunicazione, e da Sørensen & Torfing (2013) che gettano luce sul ruolo della leadership nello sviluppo di un design mindset. Inoltre, lo stile di leadership collaborativo e orientato all’empowerment delle persone e il consentire di certi livelli di autonomia per i professionisti della biblioteca hanno facilitato lo sviluppo di nuove competenze e hanno responsabilizzato le persone e accresciuto il loro impegno nell’assimilare le competenze di progettazione partecipata.

Per quanto riguarda l’apprendimento e il trasferimento di conoscenza, ciò avviene anche attraverso l’interazione con stakeholder esterni (Sorensen & Torfing 2013), e, infatti, il management di Dokk1 dà grande attenzione alla creazione di partnership e di reti di collaborazione con enti del territorio e utenti, considerandoli fonte di apprendimento, ispirazione e sviluppo continuo. L’apprendimento può certo essere facilitato dall’apporto dei partner, come per esempio l’università e altri enti del territorio, però tali processi comportano, oltre a delle strutture interne flessibili, anche la capacità di ampliare i confini organizzativi e di consentire la contaminazione e la condivisione delle conoscenze con cittadini e stakeholder vari. Anche i non-designer possono apprendere a pensare e lavorare come un designer se intrinsecamente curiose e aperte all’esplorazione e se l’organizzazione alla quale appartengono crea delle condizioni adatte alla sperimentazione e alla formazione (non solo del DT ma anche di una serie di competenze di comunicazione interpersonale, lavoro in team e project management). Ciò nella logica di fornire sempre il miglior servizio possibile, strategia di servitizzazione che, anch’essa richiede per i cambiamenti organizzativi conseguenti (si veda per esempio, Bigdeli et al. 2017),

Tuttavia, ciò può comportare problemi di identità, soprattutto per i bibliotecari con una formazione tradizionale.

C’è dunque una causalità che corre in entrambe le direzioni tra metodi, strumenti e mentalità specifiche del DT e cultura organizzativa. Ovvero, da un lato, l’utilizzo dei metodi e degli strumenti di DT (es. osservazioni sul campo, interviste, focus group, brainstorming, prototipazione) sostengono lo sviluppo di una cultura del co-design e, dall’altro lato, una cultura organizzativa orientata alla sperimentazione, all’apprendimento attivo e alla collaborazione – sia internamente, tra le strutture, che esternamente, con cittadini ed enti del territorio – facilita l’adozione delle metodologie partecipate con approccio human-centered come cultura del lavoro e dell’innovazione. Junginger (2009) suggerisce che lo sviluppo di una cultura del design è principalmente il risultato di una trasformazione “fuori-dentro”, che si traduce, da un lato, in una pressione sull’innovazione continua dell’offerta verso i clienti/utenti, e, d’altra parte, come un processo di cambiamento che nella maggior parte dei casi viene avviato alla periferia dell’organizzazione. Nell’esperienza di Dokk1, l’approccio partecipativo faceva già parte della cultura organizzativa, mentre nelle biblioteche italiane osservate, il DT è inteso come sperimentazione periferica, utilizzata episodicamente come strumento di service design senza però che la metodologia venga assorbita nella cultura organizzativa e che vi siano misure organizzative che ne favoriscano l’assorbimento e il trasferimento di competenze.

Dokk1 beneficia di un pensiero innovativo e creativo come parte della cultura organizzativa, fortemente promosso dal suo management e di un modello da Platform Organization che ha stretti collegamenti sia con le partnership che con gli utenti ed è aperta alla sperimentazione (Elkjær et al. 2014). Quanto osservato in Dokk1 è anche da mettere in relazione con il fatto che cultura organizzativa improntata all’approccio partecipativo è stata probabilmente influenzata dal contesto più ampio della cultura danese, storicamente orientata verso i processi democratici e inclusivi. Ciò potrebbe avere un impatto sulla capacità delle organizzazioni di adottare il design come cultura. E dunque rimane un quesito aperto, in quanto le organizzazioni sono fatte di persone e le persone portano la cultura in cui sono nate, potrebbe esserci una maggiore resistenza all’adozione di metodologie di co-design in quelle organizzazioni provenienti da altre culture nazionali? Il supporto del top management nel settore culturale e dunque in quello delle biblioteche pubbliche è collegato al clima politico economico e sociale, e all’approccio e alle priorità strategiche di sviluppo. La cultura danese è storicamente caratterizzata da un approccio dal basso al processo decisionale in politica che è convergente con i principi del DT. Ciò potrebbe facilitare l’adozione di una design attitude, oltre che il consolidamento e l’evoluzione, mentre altri paesi non sono caratterizzati dallo stesso background politico. Durante il progetto, per le biblioteche italiane coinvolte sono sorti vincoli burocratici (le amministrazioni locali hanno potere decisionale che a volte risente dell’andamento politico). Ma anche e culturali, specie per l’avversione al rischio insito nell’implementare nuove idee da parte della leadership delle organizzazioni bibliotecarie italiane che hanno partecipato a NEW LIB, ciò mentre molta letteratura sulla creatività (Sternberg, 2006, 2012) e sull’innovazione (Poirier et al., 2017) sottolineano l’importanza di un’attitudine all’assunzione di rischi nei confronti dell’innovazione.

Pertanto, per le organizzazioni che vogliano adottare l’approccio DT è fondamentale assicurarsi che vi consapevolezza sulle strategie da parte della leadership anche politica. Ciò perché le biblioteche pubbliche sono emanazione delle amministrazioni locali da cui dipendono. La condizione ideale sarebbe dunque quella in cui le pratiche di DT vengano adottate come strumento abilitante della strategia di sviluppo dei servizi pubblici su un orizzonte temporale di lungo respiro. Il sostegno da parte della leadership è perciò fondamentale per l’assorbimento delle pratiche di DT da parte dell’organizzazione e per il trasferimento di conoscenza, fattore che viene sottolineato anche dalla ricerca (Bitard & Basset, 2008; Cawood, 1997; Filson & Lewis, 2000; Larsen & Lewis, 2007; Schneider et al., 2015).

CONCLUSIONI

L’analisi di caso presentata in questo capitolo mira a fornire una descrizione concettuale delle dinamiche organizzative alla base dell’adozione di pratiche di co-creazione, guidate da approcci orientati al design nelle biblioteche pubbliche. Nel caso NEW LIB, vengono messe diverse organizzazioni a confronto, una di queste, Dokk1 mostra una cultura organizzativa orientata alla creazione di partnership con diversi stakeholder e con gli utenti, questi ultimi considerati come fonte di creazione di conoscenza e sviluppo continuo. Inoltre, come illustrato nelle sezioni precedenti, sembra esserci una connessione tra mindset dei professionisti di Dokk1, cultura organizzativa, e l’approccio DT (Elsbach & Stigliani, 2018), 2018). Più specificamente, metodi e strumenti di DT supportano lo sviluppo di una cultura del design (Deserti & Rizzo, 2013; Beverland et.al., 2015; Liedtka, 2014) e, viceversa, una cultura organizzativa orientata alla collaborazione – internamente, tra funzioni , e verso l’esterno, con gli utenti e altri stakeholder (Boland et al. 2008; Kolko, 2015; Stigliani & Ravasi, 2012), così come la sperimentazione e l’apprendimento attivo, facilitano e migliorano l’adozione del DT come approccio continuo al cambiamento e all’innovazione.

Alla luce del caso preso in esame – in cui stata individuata una cultura organizzativa “ideale” per l’assorbimento delle pratiche DT e le differenze con le organizzazioni bibliotecarie che invece si avvicinano alla metodologia senza però una chiara visione strategica e adeguate risposte da parte della leadership per un cambio di paradigma (per adottarne uno client-centric) – è forse possibile tratteggiare un primo tentativo di definizione delle azioni necessarie all’introduzione per incorporare il DT per favorire l’innovazione e dare continuità al cambiamento. Tuttavia, uno sviluppo futuro di questo filone di ricerca è auspicabile per meglio chiarire come la relazione la cultura organizzativa e design mindset possano sostenere l’emersione di dynamic innovation capability e quali siano i fattori che facilitano o inibiscano il trasferimento di conoscenze di DT nelle dimensioni intra e inter-organizzativa.

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Autori

Università degli Studi di Milano Bicocca

Imperial College London

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