TREND ORGANIZZATIVI NEL TURISMO, Come la digital economy trasforma le relazioni tra le imprese, i processi e le opportunità professionali nell’industria turistica

Turismo, un settore in crescita costante

Il turismo è uno dei settori economici che negli ultimi 15 anni ha mostrato la maggiore resilienza rispetto alla congiuntura internazionale e, secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, il principale motore della ripresa economica globale registratasi dopo la crisi del biennio 2008-2009 (UNWTO, 2016).

Nel 2017 i turisti nel mondo hanno superato 1,3 miliardi, facendo segnare il settimo anno di crescita consecutiva, con un incremento del +6,8% rispetto al 2016. Crescita dello stesso tenore anche per il fatturato generato dalle spese dei turisti internazionali, che ha raggiunto i 1.179 miliardi di Euro (UNWTO, 2018).

E la voglia di viaggiare ha continuato a crescere in maniera pressoché costante dal 2002 in poi, nonostante il susseguirsi di situazioni di forte incertezza legate ad eventi geo-politici ed economico-finanziari (Guerra del Golfo, introduzione dell’Euro, Primavera Araba, attentati in Europa, ecc.), che hanno inciso sulla sicurezza di alcune mete turistiche molto popolari (ad esempio, la sponda africana del Mediterraneo) e sulla capacità di spesa delle famiglie.

Secondo i dati forniti da Banca d’Italia (Banca d’Italia, 2018), con oltre 58 milioni di turisti internazionali nel 2017 e un fatturato di 37 miliardi di Euro, l’Italia è una delle principali destinazioni turistiche mondiali, con una crescita dei due indicatori superiore alla media mondiale (+11,8% e +8,4% rispettivamente). La crescita del movimento turistico proveniente dall’estero è stata accompagnata, nell’ultimo triennio, anche dalla ripresa del turismo domestico, ossia quello alimentato dai turisti italiani in Italia, dopo il periodo di luci ed ombre post crisi economica.

Innovazione tecnologica e turismo: il cliente gestisce la sua esperienza

La diffusione dell’innovazione tecnologica ha sicuramente contribuito a stimolare l’evoluzione del mercato turistico mondiale e nazionale, oltre che l’emergere di nuove imprese e destinazioni turistiche e il rinnovamento di quelle già esistenti.

Il turismo è per sua natura un bene esperienziale, che di informazioni vive e si nutre (Poon, 1993; Sheldon, 1997). Ciò significa che la qualità e la coerenza dei beni e servizi acquistati – e che compongono il prodotto turistico – rispetto alle aspettative del cliente può essere verificata solamente a destinazione, e quindi all’atto della fruizione. Di conseguenza, il turista è stimolato a massimizzare la quantità di informazioni raccolte da varie fonti, offline e online, per minimizzare il rischio che i suoi desideri vengano disattesi.

Il profondo cambiamento che la rivoluzione digitale ha generato nelle modalità con cui il turista ricerca tali informazioni e sviluppa il suo processo decisionale (dall’idea di fare una vacanza all’acquisto del viaggio, dell’alloggio e dei servizi accessori) ha avuto, e ha tuttora, un impatto fondamentale sulla struttura del mercato e sulla trasformazione dell’industria turistica. Questo sia in termini di evoluzione della catena del valore e dei canali di vendita – oltre che di distribuzione del potere di mercato tra i vari attori che vi operano -, sia in termini di cambiamento dei processi interni alle imprese e delle competenze richieste.

Dallo sviluppo di Internet al Web 2.0; dalla digitalizzazione dei contenuti multimediali alla creazione di strumenti e applicativi di ultima generazione; dalla diffusione di dispositivi mobili alla realtà aumentata, sono tutti fenomeni che hanno influenzato e stanno influenzando il settore turistico.

In questo nuovo ambiente digitale, la crescente facilità di accesso ad Internet everytime and everywhere – grazie alla capillarità della banda larga, del WiFi e della rete 4G e dei dispositivi mobili -, e lo sviluppo di uno  spazio di interazione sociale in rete (il Web 2.0), hanno fornito ai potenziali turisti una serie di nuovi strumenti e canali per velocizzare la raccolta di informazioni, avere accesso ai consigli e ai contenuti generati da altri viaggiatori (testuali, video, fotografici) e quindi per organizzare autonomamente la propria vacanza, senza passare attraverso un intermediario specializzato (tour operator e agenzia di viaggio).

Oggi un turista può navigare sul suo PC oppure sullo smartphone o tablet attraverso un’ampia gamma di portali turistici, siti di recensioni, blog, ecc. per scegliere o comporre la propria esperienza di vacanza, a partire dalla destinazione del viaggio; può comparare facilmente qualità e prezzi dei vari prodotti offerti, e prenOLTAre un pacchetto, oppure il trasporto, l’alloggio ed eventualmente altri servizi da fruire in loco (es. la visita ad un museo, oppure l’ombrellone presso una spiaggia). Una volta arrivato sul luogo, può scaricare una app per essere informato, ad esempio, sugli eventi presenti nella località e prenOLTAre un ristorante oppure, grazie al GPS installato sul suo dispositivo mobile, avere informazioni in tempo reale sul monumento che ha di fronte o vederlo come era nelle sue fattezze originali, tramite la realtà aumentata. Infine, tornato a casa, può postare commenti, foto e video e condividere la sua esperienza con i propri amici e conoscenti e con altri frequentatori di communities, blog e social network.

Siamo quindi di fronte ad un cliente che controlla il mercato e gestisce la propria esperienza online, e non solo o non tanto per trovare il prezzo migliore, quanto per organizzare il “viaggio perfetto” (Bray, 2006). Sta alle imprese adeguarsi a questi cambiamenti, offrendo prodotti ed esperienze tagliati sulle sue esigenze e, possibilmente, anticipandone i comportamenti.

Imprese turistiche e distribuzione multicanale

Dal lato degli operatori, la promozione e vendita via Web hanno permesso ai fornitori di beni e servizi di moltiplicare i canali attraverso cui raggiungere il turista e, in particolare, di interagire direttamente con il potenziale cliente tagliando i costi di distribuzione e generando così un processo di disintermediazione del mercato.

La presenza di basse barriere all’entrata ha aperto nuove opportunità per le PMI di dare visibilità ai propri prodotti, nonostante queste abbiano spesso limitate risorse, sia finanziarie che umane, per affrontare un tale cambiamento evolutivo. Ma la facilità di accesso ha anche creato un nuovo spazio di mercato per imprese nate direttamente in rete (le cosiddette “dot.com”), che hanno sostituito gli intermediari tradizionali (tour operator e agenzie di viaggio) avviando, di fatto, un processo di re-intermediazione online. In alcuni casi, tali imprese hanno assunto un ruolo dominante nello sviluppo della filiera turistica digitale, alterando in maniera significativa la struttura tradizionale della distribuzione turistica (Bern et al. 2012): basti pensare alle OLTA- OnLine travel Agencies (es. Expedia) o alle “bed-banks” (es. Booking.com), che ormai agiscono non solo come intermediari o come mediatori di alloggio, ma come veri e propri one-stop shop per l’acquisto di una combinazione di servizi di viaggio e vacanza, inglobando le offerte di linee aeree, strutture ricettive, tour operator, ecc. Oppure a piattaforme per gli affitti brevi come Airbnb, che funge da marketplace virtuale per favorire l’incontro tra un’offerta parcellizzata di molteplici proprietari e gestori di case e appartamenti, sia privati che organizzati in forma imprenditoriale (agenzie immobiliari, property managers, ecc.), e la domanda potenziale. Nel caso dei fornitori tradizionali organizzati in forma imprenditoriale, tali piattaforme si pongono perciò sia come concorrenti diretti che come partner distributivi.

Se il Web quindi, da un lato, ha contribuito ad accorciare il canale distributivo, favorendo un incontro diretto tra produttore e cliente finale, dall’altro, ha anche fornito terreno fertile per la moltiplicazione degli attori che si interpongono tra offerta e domanda con ruolo di intermediari, aggregatori e/o “facilitatori”. Ciò ha portato paradossalmente ad un allungamento del canale stesso, con un impatto negativo in termini di marginalità del business. Un esempio da questo punto di vista sono i comparatori o metasearch engines come Trivago, Kayak e Skyscanner che, sulle base dei termini di ricerca inseriti dal cliente, avviano una ricerca su altri motori (OLTA, compagnie aeree, bed-banks, ecc.) aggregandone i risultati e consentendo così al turista di comparare in tempo reale le offerte, es. quelle relative ad una stessa struttura ricettiva presenti su più OLTA e portali (Expedia, Hotels.com, Booking, ecc.).

Siamo quindi di fronte alla coesistenza di più canali distributivi, con caratteristiche, modalità di funzionamento e costi diversi, che richiedono però alle imprese una gestione integrata dal punto di vista delle disponibilità e del pricing, al fine di sviluppare adeguate strategie di revenue management.

Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda il ruolo fondamentale di Google nell’ambito del processo decisionale del turista e quindi il potere che il search engine ha non solo in termini di ricerca delle informazioni, ma anche sulle strategie di commercializzazione online avviate dall’industria turistica. Un cambiamento dei loro algoritmi ha un impatto critico sulla visibilità o meno delle imprese: basti pensare alla recente penalizzazione in termini di posizionamento nei risultati di ricerca attuata nei confronti dei siti di imprese non mobile friendly, ossia che non hanno sviluppato una versione adatta ad essere facilmente visualizzata su smartphone e tablet.

Come cambia la supply chain

Come accennato in precedenza, la digitalizzazione del mercato, potenziata dall’avvento della mobile economy, ha ridefinito non solo la struttura del sistema distributivo turistico, ma anche la catena del valore tradizionalmente intesa (Buhalis, 2000).

Se la letteratura sulla gestione della supply chain nei servizi e nel turismo è limitata (si veda, ad esempio, Zhang et al, 2009; Guo & He, 2012), alcuni studi recenti (CISET per Manageritalia e Fondir, 2015) evidenziano come l’elemento che ha perso ruolo e importanza agli occhi del cliente – intermedio o finale –è l’organizzazione del viaggio (“logistica”), ossia la capacità di combinare e assemblare servizi diversi per creare un prodotto finale (esperienza turistica) a maggior valore.

Un chiaro esempio da questo punto di vista sono gli operatori wholesaler, come Albatravel o Jumbo tours. Non solo la digitalizzazione nei rapporti con i loro fornitori è aumentata, ma queste aziende si sono trasformate da venditori di pacchetti turistici per il retail a collettori di camere e servizi, che vengono messi a disposizione di agenzie, tour operator e OLTA tramite piattaforme XML. La capacità di chiudere contratti favorevoli e la tecnologia che consente un time to market competitivo diventano quindi gli elementi chiave di successo, mentre si riduce, quando addirittura non si elimina, il ruolo di “assemblatore”.

Coloro che sono stati abili ad adattarsi a questo cambiamento – da organizzatori di tour su larga scala a “grandi magazzini” veri e propri -, hanno ora un ruolo essenziale nella distribuzione B2B. Sono poi i retailer online e offline, i tour operator tradizionali e ora, sempre più spesso, il cliente finale stesso, ad occuparsi dell’“assemblaggio”.

La disintermediazione dei singoli servizi, quindi, combinata, da un lato, con una sempre maggior esperienza di viaggio del cliente, dall’altro con la maggiore organizzazione e diversificazione del sistema di offerta a destinazione e con il costante aumento della quantità di informazione disponibile online, hanno portato ad una progressiva “spacchettizzazione” dei viaggi organizzati, indipendentemente dalla lunghezza del canale distributivo.

Per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione delle relazioni tra i vari attori, sempre lo studio condotto da CISET per conto di Manageritalia e Fondir sui modelli di business di successo nel settore, sia nell’ambito di grandi imprese (come Booking.com, ma anche la catena alberghiera Belmond o l’azienda Smartbox) sia di PMI turistiche (come la piattaforma V4A – Village4All, o il tour operator specializzato Addio Pizzo Travel) ha evidenziato come nello sviluppo della catena del valore vengano generalmente utilizzati uno di questi tipi di strategia:

  • creazione di un’offerta vasta e sempre più diversificata, aggregando un numero sempre maggiore di fornitori con caratteristiche differenti;
  • selezione di un gruppo limitato di fornitori sulla base di criteri molto stringenti, fornendo al cliente garanzia del rispetto di questi criteri anche da parte dei fornitori stessi;
  • creazione di una costellazione/network del valore estremamente flessibile, in cui questo o quel fornitore vengono attivati o meno on demand, secondo le richieste di clienti o le diverse articolazioni della value proposition.

Nessuna di queste strategie riconosce nell’attività organizzativa particolare valore.  Il primo caso è quello di molte imprese della “platform economy” (Airbnb, Tripadvisor, ecc.), ma anche dei wholesaler su citati. L’aver eliminato la fase (supportata da dynamic packaging) di assemblaggio è stato uno degli elementi chiave del successo anche del modello “broker” di booking.com rispetto ai modelli “merchant” più tradizionali. Al contempo, questi operatori si concentrano nel dare un’offerta il più vasta possibile (quasi 900 mila proprietà presenti su Booking nel 2016), tanto da essere spesso usati come supporti informativi nella ricerca e come strumenti di comunicazione dal lato dell’offerta). Ciò ha portato alla creazione del cosiddetto billboard effect (Anderson, 2009), oltre alla “esternalizzazione” della funzione di controllo qualità e quindi di selezione dei fornitori all’utente/cliente.

Il secondo caso è quello di molti operatori – per lo più di piccole dimensioni – specializzati nell’offrire viaggi a clienti con interessi ed esigenze molto particolari, per vincolo o scelta (Montaguti e Mingotto, 2016). Ad esempio, V4A seleziona e certifica le strutture in grado di accogliere persone con disabilità permanenti o temporanee o “esigenze particolari” (allergie alimentari, patologia particolari, ecc.) e le offre sul mercato ad una domanda con queste esigenze. Addio Pizzo Travel seleziona i fornitori sulla base della loro adesione all’associazione Addio Pizzo, ossia del loro rifiuto a pagare la protezione mafiosa. Pianifica e vende quindi escursioni e tour basati su questa rete di fornitori e agisce anche come intermediario per la sola prenOLTAzione di camere, sempre presso strutture con il medesimo requisito. Simili caratteristiche anche per gli operatori che offrono vacanze per single e small families (Montaguti e Mingotto, 2018), cicloturisti sportivi, ecc. Anche Smartbox, pur essendo di grandi dimensioni, agisce in modo simile, proponendo una selezione di strutture in base ad un certo tipo o tema di vacanza, ma lasciando poi al cliente finale il compito di prenOLTAre e assemblare concretamente la sua esperienza.

La terza strategia tende ad essere utilizzata anch’essa soprattutto da operatori di dimensioni medio-piccole. Sebbene sia noto che imprese dei trasporti e servizi tendano ad attivare costellazioni piuttosto che catene di valore, recentemente gli operatori sembrano creare delle sorte di “reti neurali” con un vasto numero di altri operatori, del settore turistico ma non solo, di facile riconfigurazione (Montaguti e Mingotto, 2016). All’interno della rete non sempre il medesimo operatore svolge lo stesso ruolo (può essere alternativamente fornitore o cliente) e può o meno risultare attivo secondo la richiesta. La tendenza a creare questo tipo di reti si riscontra, in particolare, tra chi si occupa di organizzazione, non solo di viaggi ma anche di congressi ed incentive e dell’ospitalità. Le relazioni sono mantenute tanto a livello reale quanto virtuale (si veda anche Del Chiappa e Baggio, 2014).

Non si tratta tanto di logiche di “cluster” o distretto, che vengono definiti in letteratura come network a livello locale (Michael, 2006; Braun, 2005), quanto piuttosto di reti più ampie geograficamente, inclusive di attori non turistici e non necessariamente con una logica di competitività (Cawley et al., 2007; Gretzel & Fesenmaier, 2003) e sostenibilità (Fadeeva, 2005; Kernel, 2005; Ling et al, 2011; Luthe et al., 2012) specifica di una destinazione, come quella che è stata finora maggiormente sottolineata dalla letteratura (van der Ze & Vanneste, 2015; Del Chiappa & Presenza, 2013).

Piuttosto si tratta di aumentare la flessibilità, il time to market e le performance (Harland, 1996; Sigala, 2004; Guo e He, 2012). La grande diversificazione e la rapidità di evoluzione dei bisogni dei turisti, infatti, continuano ad aumentare la complessità operativa e la varietà di risorse richieste alle imprese per rispondere a questi bisogni (Sigala, 2014) e di, conseguenza, anche il rischio di sottoutilizzo di alcune risorse (Kassinis & Soteriou, 2003). Il network flessibile risponde bene a questo problema e consente anche di aumentare il “controllo” sul value path del turista stesso, che, come sottolineato da Gnoth (2002,2004), sfugge alla singola impresa.

A questo proposito, indipendentemente dalla strategia adottata (offerta onnicomprensiva, selezione o network flessibile) il turista o cliente finale è sempre parte della catena del valore, con ruoli diversi: i turisti sono co-progettisti, aggregatori di domanda, commerciali nonché addetti al monitoraggio qualità (piattaforme, OLTA, ecc.). A differenza di quanto spesso sottolineato (Sigala 2009; 2014), questa partecipazione non avviene solo nell’ambito  di piattaforme, OLTA e altre imprese il cui modello di business sarebbe impossibile senza supporto tecnologico; ma, con la modalità di relazioni personali, si realizza anche in imprese con modelli di business assai più tradizionali, soprattutto in quelle molto specializzate e di piccola dimensione, in cui il cliente fedele ha un ruolo essenziale nella progettazione e nell’aggregazione di domanda per nuovi viaggi.

Industry 4.0 ed evoluzione dei processi

Per tutto quanto discusso in precedenza, è chiaro che l’economia digitale, potenziata dall’avvento delle tecnologie mobili, ha modificato profondamente i processi tradizionalmente definiti di supporto (vendita, comunicazione, ecc.) in tutte le imprese della filiera turistica.

Tuttavia, mentre le imprese concentrate sulla produzione di output soft – ossia quelle che sostanzialmente girano e assemblano informazioni (prevalentemente gli intermediari) – hanno dovuto modificare sostanzialmente l’intero modello di business, per le imprese che producono anche output di tipo hard, i processi operativi sono stati solo relativamente toccati, a parte alcune facilitazioni legate alla tecnologia (es. PMS).

L’avvento dell’industria 4.0 cambia la situazione, generando un maggiore impatto su questi processi. Secondo il World Economic Forum (2016), lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, il potenziamento della robotica e dell’automazione e la digitalizzazione avranno un effetto rilevante sui modelli di business delle imprese operanti nell’industria turistica (ricettività, ristorazione, trasporti, intrattenimento, ecc.). Queste stesse trasformazioni emergono come elementi chiave anche in uno studio già citato in precedenza (CISET per Manageritalia e Fondir, 2015).

In particolare, McKynsey (2016) evidenzia come il 75% delle ore impiegate nelle attività collegate alla ricettività ed alla ristorazione (settori chiave dell’industria turistica) sia automatizzabile, contro il 47% stimato nel settore intrattenimento/ricreativo/arti e il 42% in quello dei trasporti. Tale dato particolarmente elevato è dovuto al fatto che nella ricettività e nella ristorazione il 52% delle ore è dedicato ad attività fisiche di routine e quindi prevedibili (contro una media riferita a tutti i settori del 19%) e che per il 95% di tali ore esistono già oggi delle tecnologie che consentono l’automazione (contro una media dell’81%). In questo caso, sono proprio le ore spese in attività legate ai processi “operating” (preparazione e impiattamento cibo, preparazione tavoli, servizio ai tavoli, check-in/out, ecc.) ad essere coinvolte, e hospitality e ristorazione sono il settore al primo posto per potenzialità di automazione delle attività.

Del resto, intelligenza artificiale, robotica e service automation sono già diffuse nel settore turistico (Ivanov & Webster, 2017). Basti pensare all’automazione delle procedure di check-in e check-out, praticata ormai da diversi anni dalle compagnie aeree e che si sta diffondendo anche nelle catene alberghiere. Accor, ad esempio, spedisce al cliente due giorni prima del suo arrivo una e-mail che lo invita ad eseguire il check-in collegandosi al sito dell’hotel, mentre il giorno stesso un sms con informazioni pratiche, quali il numero della camera, il codice del parcheggio, ecc. In questo modo anche il check-out risulterà già completato e il cliente dovrà solo riconsegnare la chiave al momento della partenza.

Un secondo caso esempio è quello dei chatbot, un robot che grazie ad un software è in grado di dialogare con una persona, rispondendo automaticamente e autonomamente a domande, proponendo soluzioni, ecc. Le potenzialità di un chatbot dipendono dalla sua capacità di comprendere il significato del linguaggio naturale e di considerare e valutare al volo il contesto della conversazione per garantire un dialogo coerente e soddisfacente. Già implementati da importanti società quali Booking, Tripadvisor, Airbnb, i chatbot sono una forma di intelligenza artificiale e, nonostante presentino oggi ancora dei limiti, si prevedono sviluppi molto interessanti.

Non mancano, infine, i casi di robot umanoidi introdotti all’interno di imprese turistiche a cui demandare operazioni di contatto con i clienti, al momento svolte dagli umani. Tra i pionieri la catena Hilton, che ha introdotto nella hall di uno dei suoi hotel presenti in Virginia, Stati Uniti, il robot umanoide Connie (così chiamato in onore del fondatore di Hilton) – animato da Watson, l’AI di IBM – alla funzione di concierge. I due casi pilota in Italia sono quelli di Costa Crociere, che a partire dal 2016 ha “imbarcato” circa quindici esemplari del robot Pepper su quattro navi della sua flotta con il compito di intrattenere gli ospiti arricchendo l’esperienza a bordo. L’altro è invece quello della catena italiana Parc Hotels che da aprile 2018 ha introdotto lo stesso modello di robot – ma potenziato con un’interfaccia che gli permette di utilizzare l’AI di Google – all’interno di uno dei suoi hotel del Lago di Garda. Un progetto che è seguito da Università Ca’ Foscari – Dipartimento di Management, CISET e Jampaa-Promoservice. Parc Hotels impiegherà il robot innanzitutto per rispondere alle domande dei clienti, sgravando così il personale della reception di carico di lavoro, anche se già prevede di ampliarne le funzionalità estendendo i suoi compiti al ristorante o ai meeting e conferenze, ad esempio per accogliere e registrare i partecipanti.

Tutti i casi descritti sono esemplificativi di uno scenario, sempre più concretizzabile nei prossimi anni, di riorganizzazione dei processi di produzione, erogazione e di interazione con la clientela. Nelle imprese alberghiere, in particolare, le possibilità offerte da automazione e intelligenza artificiale stanno spostando l’attenzione dalle attività operative a quelle di relazione con il cliente (sia reale che virtuale). Questo spostamento è favorito anche da indicazioni che emergono dagli studi di behavioural economics: un’esperienza in cui un elemento cruciale è valutato dal cliente in modo molto positivo e da altri magari leggermente sotto la media è percepita nel complesso come migliore rispetto ad una buona esperienza senza difetti (Karijomedjo, 2015)

Verso nuove competenze e figure professionali

La digitalizzazione spinta ha già contribuito a creare nuove professioni nel settore turistico, quasi tutte necessarie ai processi “di supporto” che, come detto, sono quelli che hanno subito maggiori trasformazioni. Addetti e manager per il revenue, specialisti di web marketing, market analysts, addetti e manager per i social media, travel designers, e-reputation managers, web editors e trans-media web editors, channel managers, e così via. Tutte queste figure sono ormai diventate comuni in molte imprese turistiche, anche se con modalità diverse, che vanno dall’effettiva presenza in organico della figura specifica, all’attribuzione delle sue competenze ad altre funzioni, fino all’esternalizzazione tramite consulenti e temporary managers.

L’importanza di sovrintendere a tutte le attività legate al web ed alla distribuzione online ha anche modificato le competenze richieste, più in generale, agli addetti e manager nel marketing, ma anche a livello direzionale. Gli stessi imprenditori turistici – considerando che la maggioranza delle imprese del comparto sono PMI -, sono costretti a tenere conto di questi aspetti nel prendere le loro decisioni. Questo genera a volte un problema, nel senso che, ad esempio, il tema (interno o esterno) di web marketing può agire in modo completamente autonomo e scollegato perché nessuno a livello direzionale (imprenditore, ma anche amministratore delegato o direttore dell’hotel) ha competenze sufficienti a controllarne e indirizzarne l’operato. Dall’altro lato, può rivelarsi un’opportunità per le giovani generazioni in un settore, come quello alberghiero, dove la successione di impresa è un processo che dura mediamente 10 anni, 2 più della media di tutti i settori economici (CISET per Fiditurismo, 2005; 2011). Recentemente, la capacità dei componenti junior della famiglia di cogliere meglio dei predecessori le potenzialità del web ha costituito un “grimaldello” cha ha consentito loro di rafforzare il proprio ruolo e le responsabilità all’interno dell’azienda (CISET per Fiditurismo, 2011; Associazione Albergatori e Imprese turistiche trentine, 2008).

Le evoluzioni che l’avvento dell’industria 4.0 imporrà ai processi operativi sono quindi destinate a modificare nuovamente i profili professionali e a crearne di altri all’interno del settore turistico.

Rispetto ai cambiamenti evidenziati nel paragrafo precedente, è lecito attendersi che emergeranno sempre più figure in grado di: gestire il contatto con il cliente, reale o virtuale; analizzare i dati a fini di sviluppo della business intelligence; creare un’esperienza personalizzata.

Un esempio che interseca il primo e il terzo aspetto nell’ambito dell’hospitality è quello del Guest Experience Manager (GEM) che, se inizialmente previsto solo dai grandi gruppi alberghieri, inizia ora ad essere sempre più ricercato anche da strutture indipendenti e catene più piccole. Il GEM si occupa, infatti, di migliorare l’esperienza degli ospiti, coordinando le attività del proprio team, formato dai Guest Experience Agents (GEA). Di fatto, il GEM può essere visto come l’evoluzione del Receptionist e del concièrge, nel senso che, liberato dai compiti tecnico-procedurali (es. operazioni di check-in e check-out), viene incaricato di assistere l’ospite nei diversi momenti e luoghi del soggiorno, focalizzandosi sull’esperienza complessiva e quindi sulla soddisfazione e fidelizzazione dell’ospite. Per questo il GEM deve possedere intelligenza emotiva e sociale, competenze relazionali, capacità di problem solving, iniziativa, intraprendenza e leadership, oltre che conoscenze legate sia al territorio in cui l’albergo è inserito (es. attrazioni, servizi, ecc.) sia alla clientela (es. provenienza geografica, motivazione del soggiorno, ecc). Ne consegue che figure tradizionali come gli addetti al front office e i front office managers saranno destinate ad evolvere in questa direzione, facendo leva sulla capacità di gestire una rete di informazioni e di persone all’interno della struttura, di interagire con i clienti, di rilevare la soddisfazione, di proporre soluzioni migliorative del servizio, di gestire eventuali reclami.

In un mondo sempre più interconnesso e digitalizzato in cui soprattutto online si può disporre potenzialmente di un’enorme molte di dati, si segnala inoltre l’emergere del Data Scientist (DS), il cui compito è quello di integrare, gestire, analizzare e interpretare le grandi quantità di dati provenienti dai vari “touch point” con il cliente (chatbot, robot, social, CRMS, social, ecc.), e sia all’interno dell’azienda e che varie fonti esterne, al fine di produrre valore per l’azienda. Il DS dovrà avere competenze scientifiche sia per gestire la quantità di informazioni strutturate o meno, selezionando e analizzando i dati più significativi, sia per identificare quali problemi di business possono essere risolti grazie all’analisi dei dati e individuare possibili soluzioni innovative. Per questo al DS sono richieste, oltre che competenze tecniche specifiche, anche conoscenze dei contesti di applicazione e dei trend in atto, oltre che capacità di comunicare con chiarezza al top management i risultati e le proposte.

In evoluzione è anche la figura del Revenue Manager, pur essendo una professione relativamente recente. Considerato che i sistemi di intelligenza artificiale e di machine learning possono svolgere l’attività del RV molto più efficacemente, riducendo la percentuale di errore, il suo valore non risiederà più solo nella capacità di definire i prezzi di vendita migliori in base a segmento di clientela, canale distributivo, ecc, quanto piuttosto nella capacità di sviluppare e diffondere tra i diversi reparti una vera e propria strategia di previsione e di vendita. Il RV dovrà quindi maturare competenze analitiche, di interpretazione dei dati e decisionali per l’assunzione delle scelte strategiche di vendita, e avere una conoscenza approfondita degli strumenti informatici a supporto del processo analitico-decisionale, dei diversi canali distributivi, della concorrenza e delle altre dinamiche di mercato.

Degna di nota è anche la figura dell’housekeeper, per la quale si prevede la necessità di integrare le competenze, sviluppandone altre. A livello internazionale, si evidenzia come a questa figura venga ormai richiesto di sapere usare efficacemente le tecnologie (come data base user interface and query software, email software, computerized maintenance management system-CMMS, inventory tracking software, supply chain software, ecc.) per “contribuire” al flusso di informazioni con gli altri reparti e verso l’esterno, ad esempio con i fornitori.

Intelligenza artificiale ed organizzazione aziendale

L’evoluzione delle professioni nel turismo, conseguente all’avvento dell’industria 4.0, non può inoltre essere letta senza tener conto del fatto che l’implementazione e l’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale (AI) all’interno dell’azienda (es. robots) richiede un significativo impegno in termini di adattamento dell’organizzazione interna, comprese le figure che a diverso livello vi operano, al fine di garantire l’ambiente ottimale in cui l’AI può raggiungere prestazioni ottimali. Tale aspetto emerge chiaramente dall’attività 2018 curata da CISET nell’ambito del Laboratorio EBIT Veneto per il monitoraggio dei modelli di business e la valutazione delle politiche per la formazione nel turismo (CISET per Ebit Veneto, 2018).

Senza entrare in dettagli tecnici, basta ricordare che, se le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale imparano autonomamente (ossia senza la necessità di essere specificatamente programmate, ma sull’esperienza accumulata), al momento la maggior parte delle AI esistenti lavorano su sistemi di “supervised machine-learning”, ossia l’uomo deve supervisionare l’apprendimento della macchina, anche dopo che l’addestramento iniziale è finito.

Sulla base di alcuni casi analizzati, si può infatti ritenere che questa situazione non dipenda tanto dall’inefficacia dell’AI nello svolgere il compito assegnatole, quanto piuttosto dal fatto che le figure coinvolte dentro e fuori dall’azienda non hanno governato correttamente il processo di implementazione dell’AI e non hanno creato quell’ambiente ottimale in cui l’AI può imparare e evolversi con successo.

Oltre ad un lavoro a livello di programmazione, infrastrutture e patrimonio informativo, la creazione dell’ambiente ottimale dipende dalla diffusione di una cultura adeguata sul luogo di lavoro, dalla presa di consapevolezza da parte delle diverse figure coinvolte e dalla maturazione di nuove competenze, perché queste siano effettivamente in grado di interagire con l’AI. In tale processo, infatti, è una parte significativa del personale ad essere coinvolta, non solo i tecnici informatici e i programmatori.

Innanzitutto, il management che, unitamente alla conoscenza approfondita del contesto organizzativo dell’azienda, deve avere delle competenze tali da consentire agli interessati di orientarsi tra le varie tecnologie possibili e tra le varie AI esistenti, in modo da capire quali sono più adatte in relazione alle necessità aziendali e da avanzare delle richieste ragionevoli alla software house a cui si appoggerà per programmare l’AI.

In secondo luogo, gli addetti al marketing a cui, soprattutto nei casi in cui l’AI riguardi più direttamente i processi di erogazione e attività a contatto con il pubblico, è richiesto di considerarla all’interno dello sviluppo del prodotto e di comunicare adeguatamente con il cliente, sensibilizzandolo e informandolo sulle modalità di interazione con l’AI. Il personale del marketing dovrebbe inoltre essere in grado di supportare il Data Scientist nell’interpretazione dell’enorme mole di dati memorizzati dall’AI in seguito all’interazione con l’utente e successivamente elaborati, al fine, ad esempio, di sviluppare nuovi profili di clientela, nuovi prodotti, ecc.

Va comunque detto che le figure maggiormente coinvolte, in termini di ridefinizione dei loro compiti e quindi di sviluppo di nuove competenze, sono però quelle operative nello stesso contesto in cui è stata inserita l’AI e le cui attività saranno in parte svolte dall’AI stessa (ad esempio, front office). A tali risorse è richiesto di gestire l’AI nella quotidianità, interagendo con l’interfaccia e verificandone l’apprendimento. È infatti proprio tra queste risorse che devono essere individuati uno o più Supervisor dell’AI e del suo apprendimento. Si tratta di una funzione del tutto nuova in azienda, che implica, per chi è chiamato a svolgerla, conoscenze e competenze che gli consentano di rapportarsi autonomamente con l’interfaccia, senza dover fare affidamento ogni volta sul programmatore, di supervisionare regolarmente l’apprendimento dell’AI, apportando eventuali successive modifiche “nei contenuti” e controllando come la macchina sta imparando, di riconoscere eventuali problemi di malfunzionamento.

Ma l’implementazione di sistemi di intelligenza artificiale all’interno delle imprese dell’industria turistica e più in generale dei servizi, può anche aprire nuove interessanti opportunità professionali. E’ presumibile pensare allo sviluppo di una nuova figura “consulenziale” esterna che, data la complessità del processo di implementazione dell’AI e di conseguente adattamento del contesto organizzativo interno, aiuti l’azienda su diversi fronti. Ad esempio, a dialogare con la software house, facendosi portavoce dell’azienda e mediando le sue richieste/esigenze; a mappare i compiti che l’AI deve svolgere e i contenuti per istruire l’AI nella fase di programmazione iniziale; a guidare il cambiamento dell’organizzazione interna, rivedendo alcuni processi e creando quell’ambiente ottimale perché l’AI possa evolvere.

Tale professione consulenziale necessita, da un lato, di avere una buona conoscenza dei meccanismi di addestramento delle AI e, dall’altro, competenze in ambito aziendale e manageriale (gestione dei processi, delle risorse umane) per comprendere il contesto organizzativo.

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