Un silenzio che non fa rumore. Diverse sessualità e pratiche discriminatorie

L’orientamento sessuale delle persone è un tema di assoluta attualità, nella società come nelle organizzazioni. La sua analisi offre importanti spunti di riflessione sulle implicazioni gestionali utili soprattutto nella gestione delle risorse umane. In particolare, lo studio qui sintetizzato rivela come anche nelle organizzazioni che si ispirano a principi fondati sull’inclusione, la cultura del silenzio impedisce ai lavoratori LGBT di uscire dall’invisibilità e alle organizzazione di essere inclusive.

La gestione della diversità nei luoghi di lavoro

Differenze, disuguaglianze, discriminazioni sono concetti che pongono all’attenzione delle imprese e dei responsabili del personale la rilevanza del tema della diversità nei luoghi di lavoro e della sua gestione. Il concetto di diversità richiama situazioni che hanno creato nel tempo diseguaglianze e discriminazioni. Tante diversità nella storia sono state avvertite come pericolose e quindi trasformate in pericolo sociale portando a legittimare interventi di esclusione. Chi si occupa di gestione e sviluppo delle risorse umane deve conoscere il ruolo dello stigma sociale e le conseguenze che questo può portare nella vita delle persone e delle organizzazioni. Lo stigma può assumere forme diverse, può essere agito esplicitamente o attraverso meccanismi più sottili, ma è comunque pervasivo. A questo proposito il Diversity Management (DM) si pone come finalità quella di sviluppare un approccio alla gestione delle risorse umane orientato all’individuazione ed alla creazione delle condizioni che rendano un contesto lavorativo inclusivo e non stigmatizzante, in grado di favorire l’espressione delle diverse individualità in una prospettiva di valorizzazione per il raggiungimento degli obiettivi d’impresa (Cuomo, Mapelli, 2007). Il tema della gestione della diversità fa dunque riferimento all’utilizzo di strategie finalizzate a creare quelle condizioni interne tali da facilitare l’inclusione e da eliminare ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro. L’obiettivo del DM è quello di fare dell’eterogeneità delle risorse umane una forza dell’organizzazione, diminuendo i livelli di stress e allo stesso tempo aumentando il livello di motivazione e coinvolgimento delle persone che lavorano. Questo approccio è in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il successo organizzativo (Pezzillo et.al. 2012). Infatti, le persone che si percepiscono come “diverse” e non si sentono tutelate nella loro diversità, hanno difficoltà ad esprimere il loro potenziale e le organizzazioni che offrono opportunità ai “diversi” avranno più probabilità di trattenerli. Inoltre, gruppi eterogenei e diversificati danno un maggiore contributo in relazione al problem solving, possono aumentare il profitto aziendale e raggiungere i bisogni di una clientela più diversificata, producono idee più creative poiché frutto di processi di negoziazione tra prospettive diverse tra loro. Un approccio al DM come “business case”, in cui è il vantaggio economico in termini di profitto prevale, in molte realtà organizzative si concilia a motivazioni di “social justice”, non utilitaristiche e centrate sui principi di equità e promozione dei diritti umani.

Benché il tema della diversità sia al centro del dibattito tra gli studiosi di management, in Italia non sembra aver ricevuto ancora la giusta attenzione. Ciò probabilmente è da ascrivere al contesto sociale, culturale e politico e alle caratteristiche del nostro sistema economico produttivo composto da piccole imprese le quali registrano una tendenza ad occuparsi degli aspetti meramente contabili della gestione del personale trascurando ogni altra considerazione legata ad una gestione strategica del personale in un ottica di sviluppo. In realtà, la considerazione degli aspetti legati alla diversità rappresenta una vera e propria sfida per qualunque organizzazione per poter consentire alle persone di poter esprimere al meglio il proprio potenziale. Ciò richiede, dunque, un vero e proprio cambiamento paradigmatico che si sostanzi nel passaggio dalla gestione del personale ad una gestione consapevole delle diversità come risorsa da sviluppare. La diversità dev’essere accettata come un valore sociale ed economico in quanto la non accettazione delle differenze, la loro accentuazione o, peggio, la loro strumentalizzazione hanno come risultato la distruzione di capitale umano, organizzativo e relazionale o comunque la sua mancata valorizzazione.

Le ricerche sul tema della diversità nei luoghi di lavoro si sono da tempo focalizzate sulla comprensione delle pratiche e politiche per l’inclusione delle minoranze. Benché queste ricerche abbiano cercato di allargare il loro oggetto di osservazione, ancora oggi è possibile osservare come molti studi si siano focalizzati solo su alcune tradizionali categorie di diversità come il genere, l’età, l’etnia, la disabilità, che nel loro insieme rappresentano le cosiddette “minoranze visibili”, mentre sono ancora pochi gli studi che focalizzano l’attenzione sul fenomeno delle “minoranze invisibili” rappresentate dai lavoratori LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). L’orientamento sessuale, benché abbia implicazioni importanti per l’organizzazione, è stato per molto tempo ignorato, o comunque non adeguatamente affrontato. Nonostante sia da tempo condivisa dalla comunità scientifica l’affermazione secondo la quale le attrazioni, i comportamenti e gli orientamenti sessuali verso persone dello stesso sesso sono di per sé normali e positive varianti della sessualità umana, l’orientamento sessuale continua a rappresentare un tabù e una fonte di discriminazione nei luoghi di lavoro (Colgan, Rumens, 2014). Non solo la sessualità è un’area a cui si presta poca attenzione nella ricerca, ma è anche una delle più difficili da studiare, in quanto non è facile trovare persone che hanno dichiarato esplicitamente il proprio orientamento sessuale a lavoro e che possono quindi essere facilmente reclutate e intervistate.

Il silenzio e l’invisibilità nei contesti lavorativi eteronormativi

Nonostante le normative che regolano il divieto di essere discriminati sul posto di lavoro sulla base dell’orientamento sessuale un gran numero di lavoratori LGBT non dichiarano apertamente il loro orientamento sessuale o addirittura lo nascondono sul posto di lavoro per paura di discriminazioni, violenze fisiche o psicologiche o per paura di perdere il lavoro. Le persone LGBT sono spesso vittime di discriminazione, diretta o indiretta, sul posto di lavoro e di atteggiamenti omofobi, che il più delle volte si traducono materialmente in diverse condizioni lavorative o retributive.

Alcuni studi sulla sessualità sul luogo di lavoro hanno messo in evidenza che le l’eterosessimo che caratterizza la società e le organizzazioni, meglio definito come il sistema ideologico che nega, denigra, e stigmatizza ogni comportamento, relazione, identità, comunità non-eterosessuale, e che normalizza e privilegia l’eterosessualità, sia la principale causa del silenzio e dell’invisibilità.

L’effetto positivo della disclosure sul lavoro è confermato dalla maggiore soddisfazione lavorativa registrata tra quanti sono visibili rispetto a quanti celano la propria identità sessuale. Le ricerche mostrano che l’invisibilità sul posto del lavoro, specie quando non è una libera scelta dell’individuo ma piuttosto una strategia di reazione all’ambiente percepito come ostile, riduce notevolmente le condizioni di salute e il benessere psico-fisico delle persone. Inoltre, l’invisibilità sul luogo di lavoro, sia desiderata che indotta, ha effettivi negativi sulla socializzazione sul posto di lavoro, sulla partecipazione del lavoratore alla vita aziendale (anche informale), e sulla condivisione degli obiettivi aziendali. Tale invisibilità, ha un effetto negativo anche sulla società nel complesso, in quanto riduce la produttività del lavoratore e la capacità di innovazione dell’azienda. Inoltre, i dipendenti LGBT che hanno sperimentato la discriminazione sul lavoro o che hanno paura di essere discriminati hanno livelli più̀ elevati di stress psicologico e problemi di salute, un livello più̀ basso di soddisfazione sul lavoro e tassi più alti di assenteismo e sono in generale più propensi a voler interrompere il proprio il lavoro rispetto a dipendenti LGBT che non hanno sperimentato o non temono forme di discriminazione.

A meno che l’impresa non comunichi esplicitamente ed apertamente di accogliere positivamente questo tipo di diversità, la prima fonte di preoccupazione per un lavoratore LGBT è generalmente quella di non essere accettato dai propri colleghi. Allo stesso modo, vi è la paura di non poter contare sul supporto del top management, o peggio che quest’ultimo possa ostacolare la carriera del soggetto in questione, o addirittura costringerlo ad uscire dall’ambito lavorativo tramite atteggiamenti discriminatori. Questa situazione di ansia e incertezza su quella che potrebbe essere la reazione delle altre persone, porta i lavoratori LGBT a nascondere la propria natura, creando una vita alternativa per uniformarsi al gruppo maggioritario.

Questo contributo riprende un recente studio (Priola, Lasio, De Simone e Serri, 2014) pubblicato sul British Journal of Management. In tale studio i ricercatori hanno voluto affrontare il tema della diversità legata all’orientamento sessuale nei luoghi di lavoro al fine di comprendere se e come le politiche e le soluzioni organizzative inclusive siano in grado di favorire l’integrazione di specifici gruppi invisibili con l’obiettivo dunque di “dare voce” al silenzio e di offrire visibilità all’invisibilità.

La ricerca

Nella ricerca condotta da Priola e colleghi (2014) sono esplorate le pratiche di inclusione/esclusione delle persone LGBT sul posto di lavoro in organizzazioni particolari, le cooperative sociali italiane, che sono nate nello specifico per creare un impiego per persone che sono considerate  svantaggiate nel mercato del lavoro. Lo studio esamina come queste organizzazioni, che hanno principi orientati all’inclusione e principalmente impiegano lavoratori appartenenti a specifici gruppi sociali minoritari, gestiscono l’inclusione dei lavoratori LGBT. Le cooperative sociali coinvolte nello studio sono quattro, tutte appartenenti a uno stesso consorzio, forniscono vari servizi nei settori privato e pubblico e in esse sono impiegati dai 15 ai 110 dipendenti. Sono state condotte 13 interviste  semi-strutturate con i manager più anziani e un focus group con sette supervisori. Durante le interviste due manager out nel posto di lavoro hanno dichiarato la propria omosessualità ai ricercatori. È stato inoltre intervistato un impiegato transgender inserito da pochi mesi in una delle cooperative coinvolte nello studio. Nel progetto di ricerca era prevista la partecipazione di lavoratori LGBT, ma i ricercatori hanno avuto grandi difficoltà ad accedere a tale tipologia di lavoratori sia attraverso i canali formali che attraverso quelli informali, in quanto questi, pur presenti nelle organizzazioni coinvolte nella ricerca, hanno preferito rimanere nascosti e non rispondere ai nostri appelli.

Nelle interviste ai manager è stato chiesto di riflettere sulla rilevanza dell’orientamento sessuale nel posto di lavoro, sulle esperienze di discriminazione dei lavoratori LGBT, sui benefici delle politiche organizzative formali a riguardo.

Le premesse epistemologiche dello studio risiedono nell’analisi critica del discorso (Critical Discourse Analysis – CDA) (Fairclough, 2001). Lo studio esplora le modalità in cui l’eteronormatività come ordine del discorso è rappresentata nelle pratiche discorsive delle organizzazioni studiate.

L’articolo mette in luce che la cultura del silenzio esistente nelle organizzazioni studiate impedisce ai lavoratori LGBT in esse impiegati di costruire un’identità lavorativa che includa la loro identità sessuale e impedisce alle organizzazioni di raggiungere il proprio obiettivo di essere luoghi di lavoro totalmente inclusivi. La ricerca mostra i modi in cui in queste organizzazioni l’orientamento sessuale è silenziato (silencing practices) e il modo in cui le persone LGBT che lavorano in queste organizzazioni rispondono (silenced voices).

Una realtà inconcepibile

Le parole utilizzate dagli intervistati hanno rivelato non solo una scarsa familiarità con i temi LGBT, ma principalmente l’inconcepibilità della non-eterosessualità. I partecipanti alla ricerca provano disagio nel parlare delle questioni legate alla sessualità e ricorrono a perifrasi per evitare di utilizzare una terminologia specifica; alcuni non conoscono neanche il significato delle parole associate all’acronimo LGBT. Questo silenzio discorsivo mette in evidenza il potere dell’eteronormatività nel mascherare tutto ciò che non è conforme all’eterosessualità dominante (Foucault, 1976).

Il silenzio

Molti intervistati inizialmente hanno negato di aver lavorato con colleghi LGBT e solo successivamente hanno rilevato di aver scoperto per caso l’omosessualità di alcuni colleghi. Il silenzio è spiegato e giustificato come un segno di rispetto verso i colleghi LGBT e motivato dall’irrilevanza della sessualità sul luogo di lavoro. Parlare di omosessualità a lavoro è fuori dallo spazio simbolico di molti partecipanti ed è quindi visto come un argomento privato che non deve essere “gridato ai quattro venti”. La logica emergente è che se le persone LGBT scelgono esse in primis il silenzio, conseguentemente i loro colleghi eterosessuali sono forzati a rispettarlo. Pur non negando le diverse opportunità per le persone LGBT, compresa l’impossibilità di formalizzare legalmente le loro unioni al momento della rilevazione, gli aspetti legati a disuguaglianze e discriminazioni sono minimizzati.

Le pratiche del silenzio

Nelle organizzazioni studiate, i temi LGBT non sono mai affrontati in setting formali, non sono discussi in incontri o sessioni di gruppo che queste organizzazioni regolarmente conducono per supportare l’inclusione lavorativa dei lavoratori svantaggiati. Secondo i lavoratori LGBT, la difficoltà a trattare queste tematiche è dovuta alla paura che alcuni presidenti e supervisori hanno nell’affrontare questi argomenti, e giustificano questo facendo riferimento al fatto che ci sono dei confini da rispettare rispetto a ciò di cui si può o non si può parlare. La cultura dell’inclusione che queste organizzazioni hanno dichiarato sembra essere imperfetta, in quanto anche se non sono agite discriminazioni formali alcune differenze vengono negate e sono valorizzate solo alcune differenze, quelle di cui si può parlare. Alcuni partecipanti rivelano l’uso del gossip come strategia utilizzata dai membri dell’organizzazione per rompere il silenzio e considerano il pettegolezzo come ‘ovvio’ e come ‘consueto’ aspetto della vita organizzativa, senza riconoscere l’esistenza di un tabù e senza considerare il pettegolezzo come una pratica di discriminazione. L’uso del pettegolezzo e del sarcasmo è un modo per ricostruire e naturalizzare l’eteronormatività dominante. Emerge la mancanza di politiche organizzative e strategie pianificate per affrontare discriminazioni legate all’orientamento sessuale, alcuni manager intervistati suggeriscono l’utilizzo di conversazioni informali con gli autori di comportamenti discriminatori, in quanto ritengono che la sessualità sia una questione privata che non deve riguardare politiche e pratiche formali delle organizzazioni.

Voci messe a tacere

Le due persone omosessuali intervistate riportano di aver percepito un atteggiamento discriminatorio delle organizzazioni e dei vertici aziendali verso l’omosessualità e sostengono di aver scelto di non dichiarare la propria identità sessuale proprio per questo motivo. Questi attivamente mantengono la propria vita privata e la propria identità sessuale separate dalla vita nell’organizzazione e dalla loro identità lavorativa.

In sintesi, a dispetto della vocazione inclusiva delle cooperative e del loro modello riabilitativo dallo studio emerge che il gruppo dirigente supporta la cultura del silenzio attraverso differenti strategie: l’orientamento sessuale non è rilevante; l’orientamento sessuale è una materia privata; temi riguardanti gli orientamenti sessuali non sono pertinenti con il contesto lavorativo; le persone LGBT vogliono rimanere velate. Le pratiche discriminatorie (silenzi, pettegolezzi e commenti dispregiativi) sono comuni e rappresentate come normali rivelando una cultura eterosessista profondamente radicata che crea un ambiente poco sicuro e inadatto al coming out. Queste dinamiche contribuiscono all’assenza di potere da parte degli individui LGBT e influenzano la loro decisione di rimanere silenti. Il discorso dominante dell’eterosessualità riproduce rapporti disuguali di potere tra la maggioranza eterosessuale e le minoranze non-eterosessuali, limita la possibilità di discorsi alternativi sull’orientamento sessuale di emergere contribuendo a rendere le minoranze sessuali invisibili (Foucault, 1976).

Implicazioni manageriali

Parlare di sessualità sul luogo di lavoro è ancora un tabù in Italia, la paura di essere discriminati per via dell’orientamento sessuale porta le persone LGBT a restare invisibili nelle organizzazioni dove lavorano.

Tuttavia, un Management che incoraggia l’apertura, in maniera supportiva ed inclusiva, può fare la differenza. Bell e colleghi (2011) in un articolo intitolato Voice, silence, and diversity in 21st century organizations: strategies for inclusion of gay, lesbian, bisexual, and transgender employees e pubblicato nella rivista Human Resource Management propongono specifiche raccomandazioni per i manager e per chi si occupa di HR per dar voce ai lavoratori LGBT e creare un clima inclusivo che rompa il silenzio (tab.1).

Creare un ambiente di lavoro inclusivo, anche se potrebbe risultare difficile, è un obiettivo raggiungibile se sono rispettate alcune condizioni (Day, Greene, 2008): un forte supporto da parte del top Management; l’inclusione dell’orientamento sessuale nelle politiche anti discriminatorie; delle pratiche di selezione del personale scevre da bias discriminatori e quanto più possibile inclusive; un impegno perché la cultura organizzativa sostenga tutti i dipendenti senza discriminazioni; una chiara e frequente comunicazione riguardo i programmi di DM; l’implementazione della parità dei benefit; l’incoraggiamento di gruppi per caratteristiche affini; operazioni di marketing verso la comunità LGBT; essere attenti a non incoraggiare alcun tipo di reazioni negative; essere sempre aggiornati sui cambiamenti nella legislazione.

Tabella n. 1 – Strumenti per dar voce al silenzio

strumenti-per-dar-voce-al-silenzio

Fonte: nostro adattamento da Bell et.al. (2011)

I manager e i supervisori hanno un ruolo chiave nel contribuire a creare ambienti di lavoro inclusivi, promuovendo politiche di non discriminazione, pratiche che agiscano l’equità e che mettano in discussione l’eteronormatività dominante. Inoltre, l’uso di un linguaggio non sessista capace di evitare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa che assuma l’eterosessualità come orientamento dominante e non come uno dei possibili orientamenti sessuali, può favorire l’inclusione. Anche l’amicizia nei luoghi di lavoro ha un ruolo strategico nell’inclusione delle persone LGBT a lavoro Rumens (2016).

In conclusione, migliorare le strategie di Diversity Management con lo scopo di facilitare il coming out dei dipendenti LGBT e la loro inclusione in azienda, può portare dei benefici non soltanto ai dipendenti LGBT, ma a tutta l’organizzazione.

Bibliografia

Bell, M. P., M. F. Özbilgin, T. A. Beauregard and O. Sürgevil (2011). ‘Voice, silence, and diversity in 21st century organizations: strategies for inclusion of gay, lesbian, bisexual, and transgender employees’, Human Resource Management, 50, pp. 131−146.

Colgan, F., & Rumens, N. (2014). Sexual orientation at work: Contemporary issues and perspectives. New York: Routledge.

Cuomo, S. &  Mapelli, M. (2007). Diversity management. Gestire e valorizzare le differenze individuali nell’organizzazione che cambia. Milano: Guerini.

Day, N. E., & Greene, P. G. (2008). A case for sexual orientation diversity in small and large organizations. Human Resource Management, 47(3), 637–654.

Fairclough, 2001 ‘Critical discourse analysis as a method in social cientific research’. In R. Wodak and M. eyer (eds), Methods of Crtitical Discourse Analysis, pp.21−138.London: Sage

Foucault, M. (1976). Histoire de la sexualité: La volonté de savoir. Paris: Editions Gallimard.

Pezzillo Iacono, M., Esposito V. & Mercurio R. (2012). Controllo manageriale e regolazione dell’identità organizzativa: la prospettiva dei Critical Management Studies, Management Control, 1, 7-26

Priola, V., Lasio, D., De Simone, S. & Serri, F. (2014), The Sound of Silence. Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender (LGBT) Discrimination in ‘Inclusive Organizations’, British Journal of Management, 25(3), 488-502.

Rumens, N. (2016).Workplace friendships between men: Gay men’s perspectives and experiences, Human Relations, 63(10) 1541–1562.

Autori

_

_

Ultimi articoli