Age diversity: motivazione e competenze degli older workers

 Le risorse umane sono il principale fattore critico di successo all’interno di ogni organizzazione in quanto, a differenza di tutti gli altri fattori, posseggono caratteristiche uniche come la creatività, la flessibilità, l’intuito, le capacità cognitive. Proprio per queste ragioni è rilevante per il management analizzarne il comportamento organizzativo, capire cosa muove l’individuo ad avere un determinato comportamento, individuando le motivazioni intrinseche che lo spingono nel proprio agire. Comprendere cosa incoraggia l’individuo o cosa lo rende insoddisfatto, aiuta i manager ad implementare politiche di differenziazione mirate a valorizzarne le potenzialità in termini di soddisfazione e produttività. Il fine ultimo sarà quello di rendere i lavoratori più soddisfatti, felici e in tal modo aumentarne le performance.

Older workers: chi sono?

Nonostante i numerosi studi prodotti in letteratura, non esiste una definizione condivisa di older workers. Con tale termine si fa riferimento ad una ampia parte di lavoratori che oscilla dai 40 anni fino ai 75 (Bourne,1982; Warr, 2000). Studi recenti ritengono che un lavoratore possa definirsi tale dopo aver compiuto 50 o 55 anni, spostando di una decina di anni l’età iniziale mentre Ashbaugh e Fay (1987), dopo aver esaminato diversi casi, hanno rilevato che l’età media di un lavoratore older è circa di 53,4 anni. Secondo altri ricercatori invece il termine older farebbe riferimento non all’età cronologica anagrafica di un individuo ma bensì alle sue conoscenze, abilità e attitudini che possono diventare obsolete nel tempo (Muijnck e Zwinkels, 2002). In molti paesi economicamente sviluppati vi è un aumento costante di lavoratori di età pari o superiore ai 60 anni, che sono definiti dalla letteratura scientifica older workers. Ciò è dovuto al progressivo aumento di un fenomeno demografico noto come l’invecchiamento della popolazione, che colpisce soprattutto i moderni paesi industrializzati. Secondo i dati del World Population Prospects 2019, la percentuale di persone anziane che supera i 65 anni di età sta aumentando considerevolmente. Si stima che entro il 2050, una persona su sei avrà più di 65 anni (16%). Per la prima volta a livello globale nel 2018, gli individui di età pari o superiore ai 65 anni hanno superato il numero di bambini di età inferiore ai 5 anni (United Nations, 2019). In Italia, dagli anni 2000, si sono susseguite diverse riforme del sistema pensionistico che hanno progressivamente innalzato l’età di pensionamento provocando inevitabilmente il prolungamento della vita lavorativa di tutti i dipendenti e rafforzando, in tal modo, la necessità di riformulare e di gestire le politiche dei lavoratori più anziani in un’ottica più innovativa rispetto al passato.

Sterns e Doverspike (1989) hanno introdotto cinque diversi approcci per concettualizzare l’età dei lavoratori:

1) Età anagrafica. Si riferisce all’età biologica di ogni individuo. Il lavoratore risulta older in un range che oscilla tra i 40 e 75 anni.

2) Età funzionale. Mette a confronto le prestazioni dei lavoratori più anziani e di quelli più giovani, riconoscendo una grande diversità delle capacità individuali che mutano attraverso le fasi della vita. Con l’avanzare dell’età, ogni individuo subisce cambiamenti fisici e psicologici che si riflettono sul benessere psico-fisico, sulle capacità cognitive e, dunque, anche sulla performance individuale.

3) Età psicosociale o soggettiva. Si fonda sul sé e sulla percezione sociale dell’età. L’età soggettiva (o auto-percezione) si riferisce a quanti anni un individuo si sente e/o mostra alla comunità (Kaliterna et al., 2002) e con quale fascia di età l’individuo si identifica.

4) Età organizzativa. Fa riferimento alla seniority delle persone nei luoghi di lavoro in termini di anzianità e mansione lavorativa.

5) Il concetto di durata della vita (lifespan), che si focalizza sui cambiamenti comportamentali di un individuo che possono manifestarsi in qualsiasi fase o momento della propria esistenza. Questi cambiamenti comportamentali possono essere influenzati da una serie di fattori: a) biologici e/o ambientali che sono profondamente legati all’ età, b) influenze dovute alle esperienze vissute, c) una carriera non sempre uniforme caratterizzata da cambiamenti personali. È dunque indispensabile considerare sia le diverse fasi della vita di un individuo che la sua condizione familiare (Lange et al., 2006; Sterns and Doverspike, 1989; Sterns and Miklos, 1995).

Nel corso degli ultimi trenta anni in Europa si è assistito a profondi cambiamenti demografici e sociali che hanno posto i lavoratori “anziani” sempre più al centro delle politiche aziendali e sociali. Nell’Agenda di Lisbona la Commissione Europea ha stabilito che un lavoratore è considerato anziano in una fascia di età compresa tra i 55-64 anni (2005). Il numero di lavoratori over 60 sta aumentando progressivamente in tutti i paesi europei e in particolar modo in Italia. Nel 2018 quasi un quinto (19,7%) della popolazione dell’Unione Europea era composto da persone di età pari o superiore ai 65 anni e i giovani (0-14 anni) costituivano il 15,6 % mentre le persone considerate in età lavorativa (15-64 anni) ne rappresentavano il 64,7%.[1]. Nel 2018 tra gli Stati membri dell’Unione Europea, la percentuale più alta di giovani rispetto al totale della popolazione è stata osservata in Irlanda (20,8 %), mentre quelle più basse in Italia (13,4 %) e in Germania (13,5 %). Per quanto concerne l’incidenza delle persone di età pari o superiore ai 65 anni sulla popolazione totale, l’Italia (22,6 %) e la Grecia (21,8 %) hanno registrato le percentuali più elevate mentre l’Irlanda quella più bassa (13,8 %).[2] Le stime di crescita prevedono che la percentuale di persone di età pari o superiore agli 80 anni crescerà fino a raggiungere un picco di 525 milioni entro il 2040. In tal modo, la percentuale di anziani passerà dal 5,6% nel 2018 al 14,6% nel 2100.

La presenza di un maggior numero di lavoratori definiti “older” all’interno delle organizzazioni è supportata anche da dati di natura demografica. Esaminando la cosiddetta piramide dell’età, con dati relativi al 2018 (fig.1), si evince chiaramente come in Italia la quota di giovani rispetto al totale della popolazione sia notevolmente ridotta a vantaggio di un incremento della popolazione più anziana soprattutto nella fascia di età compresa tra i 50 e 65 anni.  Le fasce di popolazioni più numerose sono quelle degli italiani che sono nati negli anni Sessanta ossia i baby boomers.

La popolazione italiana sta progressivamente invecchiando e le stime di crescita non sembrano invertire il trend negativo. Lo slittamento verso l’alto della piramide dell’età che si traduce in un invecchiamento della popolazione italiana è dovuto al verificarsi di fenomeni quali il calo della natività e l’aumento della speranza di vita. L’invecchiamento progressivo della popolazione congiuntamente alla forte crisi economica che ha colpito l’Italia del 2008 ha generato come conseguenza un invecchiamento della popolazione aziendale. A fronte di un progressivo allungamento della vita lavorativa, la motivazione dei lavoratori più anziani a rimanere attivi sul mercato del lavoro diventa un tema di fondamentale importanza.

Grafico 1. La piramide della popolazione italiana 2018.  Fonte: populationpyramid.net

Inoltre, l’aumento delle aspettative di vita e il calo delle natalità mettono a rischio la stabilità e la corretta funzionalità dei sistemi di welfare, previdenza e assistenza, richiedendo necessariamente una prolungata permanenza sul mercato del lavoro.

In Italia, la Riforma Fornero varata nel 2011 ha innalzato l’età pensionistica, stabilendo i requisiti minimi per l’accesso alla così detta “pensione di vecchiaia”[3]. Ma gran parte dell’opinione pubblica sostiene che lavorare fino all’età di 67 anni sia fortemente iniquo e soprattutto non profittevole in particolar modo per tutti quei lavoratori che svolgono un lavoro definito usurante.[4]

In tutto il mondo si assiste ad un invecchiamento della popolazione attiva per cui diventa particolarmente importante utilizzare degli strumenti di gestione delle risorse umane che segmentino i lavoratori, tenendo in considerazione le loro caratteristiche, al fine di motivarli al meglio aumentando la loro soddisfazione e, di conseguenza, la loro produttività. Innovativa è la proposta di liberalizzare l’età pensionabile[5]. Questo orientamento favorirebbe le aziende che possono sfruttare l’esperienza e la conoscenza dei dipendenti più anziani. In tal modo è possibile trattenere in azienda solo i dipendenti più qualificati e motivati indipendentemente dal fattore età. Inoltre, dato che l’invecchiamento della popolazione rappresenta una minaccia per il PIL, la rimozione dell’età pensionabile potrebbe provocare effetti positivi anche sull’economia globale, anche se tale proposta dovrebbe essere presa in considerazione tenendo conto sempre dei bisogni e delle esigenze aziendali.

La nostra ricerca si focalizza sulla motivazione dei cosiddetti “older workers” in un particolare ambito produttivo: la pubblica amministrazione. La performance di ogni organizzazione è notevolmente influenzata da quella delle persone che vi lavorano. Le attuali inefficienze della Pubblica Amministrazione influenzano negativamente l’economia del Paese “sia per il peso rilevante del settore pubblico in termini di forza lavoro (secondo l’OCSE, il 16% nel 2013), sia per gli effetti negativi sull’attività economica privata e sull’efficienza produttiva e allocativa del sistema” (Giorgiantonio C. et alii, 2016, pag. 5). Nelle Pubbliche Amministrazioni l’età media dei lavoratoti delle PA è molto elevata. Si nota come quasi il 45 % dei lavoratori della PA italiana abbia più di 50 anni e circa il 25% ne ha più di 55 (Report Banca d’Italia, 2016). Il trend è confermato anche da studi più recenti dove si osserva che la classe modale[6] è rappresentata dal range 55-59 anni per le donne mentre per gli uomini è di 50-54, seguita dalla classe 55-59. Si osserva inoltre, un aumento di personale considerevole nella classe 60-64 mai registrato prima (graf. 2) (Ministero dell’Economia e delle Finanze, 2018).

Conseguenza ultima è lo scarso ricambio generazionale. Per questo motivo comprendere ed analizzare cosa motivi i dipendenti pubblici di età più elevata risulta essere un tema cruciale e complesso al tempo stesso.

Grafico 2. Distribuzione del totale del Personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per età e genere 2018. Fonte: www.contoannuale.mef.gov.it

In questa ottica si inserisce il filone di studi chiamato Public Service Motivation (PSM) secondo il quale le persone che lavorano nelle pubbliche amministrazioni sono mosse da motivazioni intrinseche diverse da coloro che lavorano in altri settori. “E’ l’orientamento di un individuo a fornire servizi alle persone allo scopo di fare del bene agli altri e alla società” (Hondeghem e Perry, 2009, p.6). In quest’ottica molti studiosi hanno cercato di approfondire la relazione che esiste tra la motivazione all’essere impiegato nell’erogare un servizio pubblico e le performance dei dipendenti, prendendo in considerazione la soddisfazione sul lavoro, l’impegno organizzativo e le prestazioni (Cerase and Farinella, 2009; Taylor, 2008; Andersen et al., 2014).  È ampiamente riconosciuto il valore strategico dell’identificazione con la azienda per la quale si lavora che funge da collante tra i valori e gli obiettivi, connotandosi in questo modo come un fattore chiave per la creazione di valore. Più i lavoratori si identificano con la propria organizzazione maggiore è la loro attitudine a mostrarsi supportivi ed impegnati in essa (Mael and Ashforth, 1992; Stuart, 2002) e le loro azioni e decisioni saranno in linea con gli obiettivi dell’organizzazione stessa (Stuart, 2002). Nel presente studio il PSM è analizzato in correlazione con l’identità organizzativa. In tal senso riteniamo che i lavoratori della PA che si identificano maggiormente con la propria organizzazione siano più motivati, mostrino un maggior impegno e, soprattutto, ottengano performance più elevate. 

La motivazione degli older workers

Gli studi sulla motivazione hanno origine già negli anni Cinquanta del secolo scorso ma volendo utilizzare una definizione più recente, ampia e condivisa in letteratura, possiamo considerare Westen (2002) che definisce la motivazione come forza motrice che spinge la persona a comportarsi in un modo specifico al fine di raggiungere uno scopo.  Secondo Caprara (2000) il comportamento di qualsiasi soggetto trova origine nella motivazione e nella capacità che le persone hanno di stabilire i propri obiettivi, sviluppare strategie per conseguirli, regolando in maniera autonoma il proprio comportamento e i propri stati emotivi. Altri studiosi ritengono invece che “il comportamento umano (….) è motivato da una serie di cause ed è orientato alla realizzazione di determinati scopi, nonché alla soddisfazione di specifici bisogni mediante singole azioni o una serie di attività tra loro coordinate” (Anolli, Legrenzi. 2006 p. 201).

Pinder (1998) introduce un fattore demografico specifico: l’età anagrafica. Egli analizza la correlazione tra i fattori legati all’età e la motivazione al lavoro, in riferimento ad un particolare campione della popolazione aziendale definito dalla letteratura scientifica come “older workers”. Pinder sostiene che “work motivation is a set of energetic forces that originate both within as well as beyond an individual’s being, to initiate work-related behavior and to determine its form, direction, intensity, and duration” (Pinder 1998, p. 11).  Questo implica un cambio necessario di prospettiva per le organizzazioni. Nella prospettiva di Pinder, i lavoratori più anziani diventano risorse cruciali e non più persone da considerare erroneamente come un peso. Infatti, nei dibattiti internazionali sempre più spesso si assiste ad una demonizzazione dei lavoratori più anziani e contestualmente ad una celebrazione delle risorse più giovani considerate spesso portatrici di innovazione ed energie.

Nonostante siano stati condotti numerosi studi sulla motivazione, la maggior parte di essi è “senza età” (Griffths 1999) e solo pochi si sono soffermati sulla motivazione in relazione alle diverse fasi della vita lavorativa di una persona. Inoltre, le ricerche empiriche si sono focalizzate soprattutto sui giovani lavoratori con una conseguente minor attenzione ai lavoratori più anziani (Locke e Latham, 2002; Wegge e Haslam, 2005). Diversi autori, infatti, ritengono che l’età anagrafica sia solo una delle tante variabili che può influenzare la motivazione al lavoro (Avolio et al.,1984, Sterns and Miklos,1995) e tale ipotesi verrebbe confermata secondo Kooij et al. (2008) dal fatto che molti lavoratori anziani ricoprono posizioni lavorative differenti pur avendo la stessa età con condizioni psicofisiche diverse.

Un ulteriore fattore è costituito dall’autoefficacia che rappresenta la percezione delle abilità e delle competenze acquisite, cioè la consapevolezza che le abilità conseguite possono far sì che si giunga a portare a termine qualcosa che ci si è prefissati. Bandura definisce la motivazione proprio tenendo in considerazione tale aspetto come “Perceived self-efficacy refers to beliefs in one’s capabilities to organize and execute the courses of action required to manage prospective situations. Efficacy beliefs influence how people think, feel, motivate themselves, and act” (1995, p.2). Alcuni autori legano la motivazione all’autostima, definendola come l’insieme dei giudizi di valore che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).

I diversi approcci sono strettamente correlati tra di loro e possono influenzare in modo diverso le attitudini lavorative. I lavoratori anziani di solito sono maggiormente esposti a stereotipi negativi inducendo a ritenere, senza alcuna prova empirica, che la motivazione al lavoro diminuisca con l’avanzare dell’età (vedi Nelson, 2002; Hedgeetal., 2006; Posthuma e Campion, 2009). I lavoratori anziani avrebbero maggiori difficoltà nell’apprendimento e nell’utilizzo delle nuove tecnologie e sarebbero inoltre più resistenti al cambiamento (Rosen & Jerdee, 1976). Molti autori (Warr,1994; Rhodes et alii, 1983; Stagner, 1985) hanno sottolineato che “the common tendency to view older workers as slower, less interested in new training, less exible, and more likely to become weary than their younger colleagues” (p. 488). Rispetto alla giovane età, con l’avanzare degli anni si manifestano differenti comportamenti variabili da individuo a individuo (Nelson and Dannefer, 1992). Un approccio molto interessante ce lo offre Baltes per il quale l’invecchiamento è un fenomeno molto complesso, eterogeneo e non è uguale per tutti. Baltes (1990) parla di “invecchiamento positivo” –successful ageing – attraverso un modello con tre fasi ben distinte: Selezione- Ottimizzazione- Compensazione (SOC). Secondo questo ricercatore, la ricchezza e la quantità di abilità e di attività si riducono inevitabilmente con il trascorrere degli anni (processo di selezione). Inoltre, le abilità e, soprattutto, le competenze che permangono, possono e devono essere potenziate (ottimizzate) al fine di raggiungere nuovi obiettivi. Infine, le abilità e le competenze ottimizzate compensano e bilanciano positivamente le inevitabili perdite causate dall’avanzare dell’età (compensazione).

La ricerca empirica sulla motivazione si è troppo spesso focalizzata sui giovani trascurando il ruolo della motivazione al lavoro nei lavoratori più anziani. Obiettivo di questo lavoro al contrario, sarà quello di contribuire al dibattito scientifico in atto su una serie di interrogativi che non ha ancora una risposta univoca: la motivazione al lavoro è indipendente dall’età anagrafica?

Si può essere motivati anche dopo aver superato la soglia dei 50 anni?

Le ricerche fino ad oggi condotte hanno evidenziato che la motivazione al lavoro non può essere considerata una variabile generale che può aumentare in alcuni casi e diminuirne in altri (Stamov-Robnagel, 2015). Kanfer et al. (2013) affermano che non vi è nessuna giustificazione teorica né alcuna prova empirica a sostegno di un inevitabile e universale declino della motivazione al lavoro correlata all’età e ipotizza che condizioni socioculturali ed economiche possono portare ad una demotivazione progressiva. I cambiamenti legati all’età possono aumentare o diminuire la motivazione al lavoro in relazione al tipo di lavoro e alle differenti condizioni lavorative. Di conseguenza, le organizzazioni possono incentivare la motivazione attraverso mirate strategie organizzative e adeguate politiche di HR Management a qualsiasi età (Kanfer, 2012).

Dal nostro punto di vista, quindi, condividiamo l’idea che l’invecchiamento sia il risultato di un processo multidimensionale e multidirezionale (Baltes et. Al, 2006) che include cambiamenti sia nella sfera personale, sia in quella sociale che possono essere percepiti e valutati in modo differente da ogni individuo rispetto alla propria età anagrafica. Considerando questi ultimi approcci abbiamo definito la prima ipotesi.

Ipotesi 1: La motivazione al lavoro non è correlata all’età anagrafica.

Grazie alle ultime ricerche effettuate (Kanfer e Ackerman 2004, Stamov-Rossnagel e Hertel, 2010) è possibile però considerare che le differenze in termini di motivazione al lavoro sono di natura qualitativa piuttosto che di natura quantitativa. I lavoratori più anziani, dunque, non sarebbero meno motivati rispetto ai colleghi più giovani ma la differenza risiederebbe nei diversi aspetti qualitativi del lavoro. Tali differenze non sarebbero il risultano di un invecchiamento dovuto all’avanzare dell’età ma bensì ai cambiamenti nelle priorità degli obiettivi da raggiungere (Stamov-Robnagel, 2015).

In tal senso crediamo che i lavoratori più anziani siano maggiormente motivati a “svolgere compiti sociali” che comportano uno scambio di conoscenze ed esperienze mentre i lavoratori più giovani tendono ad essere maggiormente motivati a svolgere compiti che possano portare ad un miglioramento della loro carriera. Non a caso il valore della crescita professionale in termini di aumento di stipendio e avanzamenti di carriera risulta essere di primaria importanza per i lavoratori giovani, mentre non è stata rilevata nessuna differenza per quanto concerne i valori estrinsechi come l’autorealizzazione legata all’età di un individuo (Grube e Hertel, 2010). Una ulteriore distinzione può essere effettuata grazie al contribuito di Turek e Perek-Biales (2013) che distinguono le abilità in soft e hard. I lavoratori più anziani tenderebbero a ricevere valutazioni maggiormente positive in abilità soft quali quelle sociali, manageriali, di affidabilità e di lealtà, mentre i lavoratori più giovani tenderebbero a voler migliorare le abilità definite hard, traducibili in nuove competenze tecnologiche, conoscenza di almeno una seconda lingua straniera e continua formazione. Inoltre, i lavoratori più anziani possiedono una maggiore inclinazione ai valori della generatività e tendono ad avere maggiori livelli di emotività che implicano l’aiutare gli altri o trasferire le proprie conoscenze e competenze. Non a caso, il lavoratore più anziano in un team eterogeneo riveste il ruolo di moderatore con effetti positivi sulle diversità all’interno del gruppo (Wegge et al., 2012).

Ipotesi 2: All’aumentare dell’età cambia la tipologia di attività che motiva i lavoratori.

Metodologia dello studio pilota

Le ipotesi appena descritte sono state oggetto di uno studio pilota presso una Pubblica Amministrazione Campana. Al fine di analizzare il tema della motivazione dei dipendenti pubblici in relazione all’età anagrafica ed all’anzianità di servizio, è stata utilizzata una metodologia quantitativa. Il team di ricerca era composto da quattro membri e due di essi hanno condotto alcune interviste preliminari ai due Responsabili e al Dirigente Amministrativo dell’Amministrazione presa in esame, al fine di comprendere l’opinione che essi avevano del lavoro svolto dai propri lavoratori. Per poter realizzare l’analisi si è proceduto alla progettazione e alla somministrazione a tutti i dipendenti di un questionario da compilare on-line attraverso Google Form. I dati sono stati analizzati preliminarmente utilizzando fogli di calcolo. Successivamente, è stata condotta un’ulteriore analisi di approfondimento su specifici dati raccolti utilizzando un test di verifica d’ipotesi conosciuto come test del chi quadro. Al fine di chiarirne gli obiettivi della ricerca e condividerli è stata organizzata una presentazione aperta a tutti i dipendenti e curata dai ricercatori e dai Dirigenti che avevano partecipato allo studio. I risultati sono poi stati distribuiti al personale e sono stati commentati in un incontro pubblico.

Il Campione

All’indagine hanno risposto 35 dipendenti su 51 strutturati nella Amministrazione (circa il 68% della popolazione). Il campione è costituito per:

  • l’11,42% da persone nella fascia tra 41-45 e nella medesima percentuale nella fascia tra 46-50;
  • il 17,14 nella fascia di età 51-55;
  • il 31,42% nella fascia di età 56-60;
  • il 28, 57 nella fascia di età 61-65.

Il 60% della forza lavoro, dunque, ha una età superiore ai 56 anni. Il campione dei rispondenti è costituito dal 60% di donne e dal 14% di uomini. Il 65% dei dipendenti intervistati è in possesso di un diploma di scuola superiore, il 25% è laureato (soprattutto in materie giuridiche) e il restante 9% possiede la licenza media. All’indagine hanno risposto soprattutto assistenti e funzionari giudiziari (circa il 47% del campione). In termini di permanenza nell’Amministrazione dei dipendenti intervistati, l’80% di essi è inserito da più di 24 mesi. Venti persone rispetto ai 35 intervistati hanno lavorato anche in altre amministrazioni prima di approdare alla Procura oggetto della ricerca e, in particolare, solo una di queste ha prestato la sua opera in una azienda privata, mentre le altre hanno lavorato sempre nel pubblico, per periodi di lavoro superiori a due anni. Questo testimonia che più della metà dei rispondenti al questionario ha sperimentato ambienti lavorativi diversi e ha, quindi, un metro di paragone della propria soddisfazione lavorativa. Inoltre, solo 7 dipendenti (il 14% dei rispondenti) non hanno mai partecipato a corsi di formazione durante la loro carriera e la metà di questi ultimi proviene da esperienze in altre Pubbliche Amministrazioni. Più del 60% dei rispondenti ha una anzianità di servizio compresa tra i 28 ed i 36 anni mentre solo 4 dipendenti sono stati assunti da meno di 8 anni. Il personale si caratterizza per un’esperienza elevata, ma anche per essere più prossimo al pensionamento e per una permanenza elevata nella stessa Istituzione.

Risultati del progetto pilota

La prima parte del questionario somministrato era volta ad analizzare la relazione dell’individuo con l’organizzazione nel suo complesso, ossia il rapporto in generale che ciascun lavoratore aveva con l’Amministrazione. Dai risultati si evince la prevalenza (in valore assoluto sul numero di risposte) della soddisfazione dei lavoratori, ma allo stesso tempo si intercetta una forte espressione di disagio in termini di identificazione con la attuale organizzazione lavorativa di appartenenza (Figura 1).

Figura 1- Mi sento legato a questa Procura

Poiché la soddisfazione generale del lavorare nell’organizzazione era alta, è stato svolto un approfondimento con l’obiettivo di valutare una eventuale relazione tra l’età anagrafica, la motivazione al lavoro e la motivazione allo svolgimento di determinate attività. L’idea, appunto, era quella di analizzare eventuali relazioni tra la soddisfazione dei lavoratori e l’età anagrafica degli stessi. A tal fine sono state analizzate, tramite il test del Chi Quadro, le relazioni esistenti tra la classe d’età ed alcune variabili quali l’allineamento tra i valori personali e quelli dell’amministrazione, la motivazione personale a svolgere il proprio lavoro e la soddisfazione al lavoro. Ove possibile, le relazioni sono state approfondite anche tramite il test di correlazione di Pearson e il test di correlazione di Spearman[7]. Questi ultimi due test hanno confermato ulteriormente i risultati riportati di seguito.

Non sono emerse relazioni significative tra l’età, la sfera motivazionale e la soddisfazione al lavoro dei dipendenti. Interessante, invece, è stato verificare l’associazione significativa tra l’età e due specifiche domande “i miei valori personali sono molto simili a quelli condivisi nell’amministrazione dove sto lavorando” e “quanto è soddisfatto del Rapporto con l’Amministrazione”. Il test del Chi-quadrato in questo ultimo caso indica una relazione tra le due variabili (Statistica Test = 17.57, p-value = 0.0245) (Fig.2).

Figura 2 – Relazione tra la classe d’età e il rapporto con l’amministrazione

Analizzando i residui risulta che l’incrocio tra la classe di età 61-65 e la modalità ‘Completamente Soddisfatto’ si presenta in misura superiore a quanto atteso dal test del Chi Quadro (residuo = 2.12).

Nel caso della Classe d’età e la domanda volta a verificare se i valori personali fossero molto simili a quelli condivisi nell’amministrazione in cui si lavorava, il test del Chi Quadro assume valore pari a 27.5 e pvalue = 0.04 (Fig.3). Dai test e dall’analisi dei grafici si desume che la classe di età 61-65 condivide molto di più i valori della propria amministrazione e, inoltre, si evidenzia che nella classe di età 56-60, nonostante i lavoratori non si sentano soddisfatti del rapporto con la propria amministrazione, ne condividono comunque i valori.

Le domande che seguono, poste per verificare l’effettivo legame con l’Amministrazione e la condivisione dei valori della stessa, presentano valori significativi rispetto alle classi di età più elevate (Tav.1).

 

Tavola 1 – Risultati delle analisi

DOMANDA Chi Quadro p-value
Mi sento emotivamente legato/a all’amministrazione dove sto lavorando 29,04 0.0003
I miei valori personali sono molto simili a quelli condivisi nell’amministrazione in cui sto lavorando 28,01 0.00047
L’amministrazione per cui sto lavorando ha un grande significato personale per me 26.74 0,005

 

Come si evidenzia dalle figure 3, 4, 5 e 6 i lavoratori con una età anagrafica più alta sono anche quelli più legati all’organizzazione di appartenenza e ne condividono i valori.

La seconda parte del questionario somministrato era volta ad analizzare la relazione dell’individuo con il proprio ruolo o mansione. A tal fine si è innanzitutto cercato di capire quali siano le competenze ritenute importanti dai dipendenti in relazione all’età e al tipo di mansione svolta. Analizzando le risposte si è subito palesata una differenza nell’importanza di alcune competenze per specifiche classi di età. In particolare, gli intervistati della classe di età 61-65 hanno dato un peso maggiore alle competenze definite “sociali”, quali il trasferimento di conoscenze e la capacità di lavorare in gruppo, penalizzando, al contrario, competenze quali l’attitudine alla direzione e l’autonomia decisionale.

I dipendenti over 60 hanno attribuito un minor peso all’attitudine alla direzione e alla capacità di saper interpretare i problemi. L’aver attributo un peso minore è comprensibile alla luce del tipo di organizzazione adottata. L’Amministrazione oggetto di studio, infatti, è un’organizzazione fortemente burocratizzata per cui la divisone del lavoro è rigidamente determinata da norme e regolamenti, esiste una ben chiara gerarchia degli uffici, che identifica “un’autorità di tipo gerarchico derivante dalle attività svolte e dalla posizione organizzativa ricoperta e di tipo relazionale legata alle capacità socio-relazionali dell’individuo” (Moschera, 2007, p.166).

Le competenze e la motivazione degli older workers

In letteratura esistono pochi studi che esaminano la motivazione al lavoro in relazione agli older workers. Rhodes (1983) ha preso in esame più di 185 studi analizzando le diverse età lavorative e la loro motivazione al lavoro. Dalla sua ricerca emergono solo pochi risultati rilevanti che mostrano una debole ma positiva correlazione tra l’età e la motivazione al lavoro. Interessante è lo studio condotto da Lord (2004) nel quale identifica la principale motivazione degli older workers a rimanere attivi sul mercato del lavoro. Tale condizione avviene se essi riescono a utilizzare le competenze acquisite nel tempo, ad avere l’opportunità di esprimere la propria creatività e a sentirsi pienamente realizzati grazie al lavoro che svolgono quotidianamente. Un precedente studio condotto sempre da Lord (2002) ha evidenziato che gli ingegneri con più di 55 anni e con un reddito basso di accesso al sistema pensionistico, lavorano per soddisfare il primo (bisogni fisiologici) e il secondo (bisogni di sicurezza) livello della scala dei bisogni di Maslow. Gli ingegneri che posseggono un salario più elevato invece, sono specialmente motivati dal terzo (bisogno di appartenenza) e dal quarto (bisogno di stima) livello della scala gerarchica. Secondo Higgs, Mein, Ferrie, Hyde e Nazroo (2003) gli older workers continuano a lavorare per ragioni meramente economiche o perché legati a un’etica professionale tradizionale. Noi sosteniamo che gli studi empirici e teorici fino ad ora prodotti non evidenziano in maniera univoca una correlazione tra l’età anagrafica e la motivazione al lavoro dei lavoratori definiti older. Esaminando i dati raccolti nel nostro studio, tale relazione è soprattutto associata a fattori quali la condivisione dei valori personali con l’amministrazione di appartenenza o il legame affettivo che si crea, probabilmente, anche con il passare degli anni di servizio e non è correlata all’età, a conferma della prima ipotesi posta alla base della nostra ricerca. La motivazione al lavoro sembrerebbe maggiormente dovuta ai valori personali e alla condivisione di questi con l’amministrazione che all’età anagrafica e alla tipologia del lavoro svolto. Ciò è in linea con la letteratura che afferma che la motivazione al lavoro è strettamente connessa al concetto di identificazione organizzativa. Quest’ultima è considerata come una forma particolare del Social Identity Approach (Tajfel e Turner, 1979; Ashforth e Mael 1989; Haslam, 2001) e può essere definita come “uno stato relativamente duraturo che riflette la prontezza dell’individuo a definirsi come un membro di un particolare gruppo sociale” (Haslam, 2001, p.383). L’identificazione organizzativa può essere ritenuta come un processo di “internalizzazione da parte dell’individuo degli obiettivi dell’organizzazione” (Simon,1947, p.278) e consente alla persona di conseguire “un attaccamento e un sentimento di lealtà verso l’organizzazione” (Simon, 1947, p.278). Nell’identificazione organizzativa sono sempre presenti due componenti: uno cognitivo e uno valutativo. Il primo è relativo alla consapevolezza di far parte di un gruppo, mentre il secondo è collegato ai valori (Tajefel, 1982).

Lieberum, Heppe e Schuler (2005) hanno progettato il paradigma del ciclo evolutivo delle competenze, identificando tre fasi della vita lavorativa di un lavoratore: 15-30, 30-45 e 45-65 anni. Gli studiosi suggeriscono, sulla base di evidenze empiriche, che i lavoratori più anziani da un lato perdono progressivamente alcuni aspetti della propria capacità lavorativa come, ad esempio la forza fisica e la capacità di apprendimento, mentre dall’altro, l’avanzare dell’età comporta il crescere di altre capacità e competenze come un miglioramento delle competenze sociali e relazionali. I lavoratori più anziani avrebbero una maggiore propensione alla disponibilità verso i colleghi, maggiore responsabilità individuale, maggiori capacità di leadership e una maggiore attitudine al coaching, all’insegnamento e al mentoring. I lavoratori più giovani, invece, manifesterebbero una maggiore attitudine alla creatività e all’innovazione, maggiore dimestichezza con apparecchiature informatiche e più alta adattabilità a lavorare in gruppi di lavoro preesistenti.

In linea con questi studi anche il nostro progetto pilota conferma che i lavoratori tra i 61 e 65 anni ritengono che le competenze principali per svolgere la propria mansione sono l’attitudine all’aggiornamento, la capacità di saper lavorare in gruppo e quella di trasferire le proprie conoscenze, per cui all’aumentare dell’età cambia la tipologia di attività che motiva i lavoratori più anziani, i quali prediligono attività di mentoring o di coaching. Inoltre, seppure il campione dello studio pilota fosse ristretto, il fatto che gli older workers abbiano dato un peso maggiore all’attitudine all’aggiornamento dimostra che il tema della formazione e dell’innovazione non è una prerogativa tipica dei lavoratori più giovani, ma può essere considerata una competenza trasversale comune a tutte le classi d’età.

Quali politiche di diversity management per gli older workers?

La tecnologia, i cambiamenti demografici e il rallentamento dell’economia hanno prodotto irreversibili modifiche all’interno delle organizzazioni. In particolar modo si sta assistendo ad un progressivo aumento della vita lavorativa con un conseguente aumento dei lavoratori senior. La tendenza all’invecchiamento della popolazione ha, dunque, un enorme impatto sulla gestione del personale con un livello di anzianità più elevato, non solo in merito alle politiche pensionistiche, ma soprattutto di diversity management, che in Italia è molto più attento a politiche di sostegno alla diversità di genere e solo marginalmente affronta le problematiche di gestione dei lavoratori più anziani (Lucarelli, 2016), anche se questa tendenza sta cambiando. I manager moderni e lungimiranti devono considerare questi lavoratori come risorse preziose per lo sviluppo aziendale. Le loro conoscenze e competenze costituiscono “un’autentica fonte di capitale di saggezza” (Vasconcelos, 2018) che merita di essere valorizzata attraverso l’utilizzo di strumenti specifici per motivarli e incentivarli. I lavoratori sviluppano molteplici profili motivazionali con diversi livelli di intensità in base alle attività da svolgere e tali profili diventano sempre più articolati e multiformi con l’avanzare dell’età (Stamov-Robnagel, 2009). Quanto detto implica che sviluppare un livello più alto di motivazione rispetto ad alcune tipologie di attività lavorative in età avanzata può compensare il declino di motivazione che sopraggiunge nei confronti di altre. Queste, che Baltes definisce “capacità di riserva”, possono e devono essere sviluppate durante l’attività lavorativa. Esse riguardano sia le competenze tecniche conseguite negli anni (expertise professionali) sia l’esperienza acquisita nelle relazioni umane in termini di migliori capacità relazionali.

Sviluppare, quindi, l’intelligenza cristallizzata (cioè la capacità di utilizzare competenze, conoscenze e abilità) consente ai lavoratori più anziani di compensare il calo inevitabile dell’intelligenza fluida (capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi) spingendo l’individuo a compiere attività attraverso le quali conseguirà maggiori risultati in termini di performance.

In tal senso è importante tener presente che i dipendenti che si identificano maggiormente con la propria organizzazione e con il proprio lavoro mostrano una maggiore motivazione e un maggior impegno verso di essa (Ashforth e Mael,1989). Gli individui, essendo coinvolti in prima persona, tenderanno a raggiungere risultati più soddisfacenti e in linea con gli obiettivi aziendali. Diversi ricercatori nei loro studi sono riusciti a dimostrare che una forte identificazione del lavoratore contribuisce al successo dell’organizzazione per la quale lavora (Mathieu e Zajac, 1990; van Knippenberg e van Shie, 2000) e una forte identificazione organizzativa può spingere a vivere gli interessi del gruppo come se fossero interessi personali, aumentando, in tal modo, il livello della performance (Van Leeuwen e van Knippenberg, 1999). Il principio è, dunque, trasversale e valido non solo nelle organizzazioni private ma anche e soprattutto, in quelle pubbliche: i dipendenti motivati che si identificano con l’organizzazione presso la quale lavorano conseguiranno prestazioni superiori che miglioreranno l’efficienza di tutta l’organizzazione. In altre parole, ci si può rifare alla teoria della Public Services Motivation, secondo la quale i dipendenti pubblici sono maggiormente mossi da una motivazione intrinseca più che estrinseca che si esplicita nello svolgere ruoli con un elevato valore sociale. Brewer (2009) ha rilevato nei suoi studi che i dipendenti pubblici raggiungono risultati più elevati nelle aree legate alla fiducia sociale, all’altruismo e all’uguaglianza. A seguito di questi risultati, Brewer conclude che i dipendenti pubblici ‘‘are motivated by a strong desire to perform public, community, and social service’’ (2003, p.20). Perry e Wise ne parlano come “an individual predisposition to respond to motives grounded primarily or uniquely in public institutions and organizations” (Perry e Wise, 1990, p.368). In tempi più recenti, la motivazione è stata definita da Vandenabeele come: “belief, values and attitudes that go beyond self-interest and organizational interest, that concern the interest of larger political entity” (2007, p.547).

Nella gestione della diversità legata all’età sarebbe quindi, utile, puntare sull’identificazione dei dipendenti pubblici con la propria amministrazione e valorizzare gli older workers utilizzando una strategia più efficace che miri ad assegnare loro mansioni che siano maggiormente connesse con le competenze sociali che implichino sia il trasferimento delle conoscenze che la gestione dei gruppi in cui essi sono più motivati.

Infine, i responsabili delle Risorse Umane potrebbero tradurre le inclinazioni che normalmente sono più legate agli older workers in programmi di mentoring o nell’organizzazione di team diversificati per età, che offrono ai lavoratori più anziani l’opportunità di formare i loro colleghi più giovani dal punto di vista professionale.

Niketh Sundar[8] ha dichiarato: “In the context of the Knowledge and technology industry, age is just a number. What matters the most today is the value an employee brings to the table and how efficiently they fulfil their duties” (Drishti Pant, 2019). In sintesi, gestire e valorizzare una popolazione aziendale più matura diventerà nei prossimi anni una sfida che ogni organizzazione dovrà affrontare attraverso l’adozione di iniziative aziendali volte a promuovere un confronto fra le diverse generazioni e a sviluppare le potenzialità che ciascun lavoratore ancora possiede per essere sempre più competitivi sul mercato. Ciò vale ancora di più se riferito alla Pubblica Amministrazione.

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[1] La percentuale di anziani (di età pari o superiore ai 65 anni) si attestava al 19,7 % (la percentuale è in aumento di 0,3% rispetto al 2017 e di 2,6 punti percentuali rispetto a 10 anni prima). eur-lex.europa.eu, Un nuovo slancio per la strategia di Lisbona (2005).

[2] Struttura e invecchiamento della popolazione, Fonte Eurostat, dati estratti a luglio 2019, ec.europa.eu

[3] È necessario aver accumulato minimo 20 anni di contribuzione e 66 anni di età sia per le donne che per gli uomini.

[4] La legge è in vigore dal gennaio 2019 (in via del tutto sperimentale fino al 2021) e permette l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per tutti coloro che hanno accumulato almeno 38 anni di contributi con un’età anagrafica di almeno 62 anni. Per venire incontro a queste critiche la Legge di Bilancio 2019 ha introdotto una nuova misura volta a contrastare gli effetti della Riforma Fornero denominata “Quota 100” che sarà in vigore fino al 2021.

[5] La Legge 23 agosto 2004, n. 243, comma 2 lett. b prende in considerazione il concetto di liberalizzare l’età pensionabile, “prevedendo il preventivo accordo del datore di lavoro per il proseguimento dell’attività lavorativa qualora il lavoratore abbia conseguito i requisiti per la pensione di vecchiaia (…) facendo comunque salva la facoltà per il lavoratore, il cui trattamento pensionistico sia liquidato esclusivamente secondo il sistema contributivo, di proseguire in modo automatico la propria attività lavorativa fino all’età di sessantacinque anni.” www.gazzettaufficiale.it.

[6] La classe modale è quella classe caratterizzata dalla massima frequenza di un valore e che ne rappresenta la maggiore numerosità.

[7] L’indice di correlazione di Pearson è un indice che esprime un’eventuale relazione di linearità tra due variabili X e Y mentre il coefficiente di cograduazione di Spearman permette di calcolare la forza di una relazione monotona tra di esse. Entrambi gli indici vengono utilizzati per valutare l’associazione tra due variabili continue. Nel caso specifico le variabili sono state misurate con una scala Likert con più di cinque modalità assimilabili dunque a variabili continue.

[8]  Niketh Sundar è il Global Head, People Function della QuEST Global, è una società leader mondiale di Servizi e Soluzioni ingegneristiche nei settori Oil and Gas, Aero Engines, Aerospace & Defense, Transportation, Medical Devices, Power e Industrials.. Nata nel 1997 negli USA la QuEST Global ha sedi in 13 Paesi tra Europa, Asia e America e conta attualmente più di 11.000 impiegati che forniscono supporto in tutto il mondo. Le fondamenta della cultura QuEST si basano su sette principi guida: lavoro di squadra, miglioramento continuo, focus sul cliente, responsabilità ed ownership, imprenditorialità, apertura e trasparenza e passione per l’ingegneria.

 

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