E se la stampa in 3D cambiasse davvero le imprese?

Per ora la diffusione delle tecnologie di stampa in 3D è limitata ad alcuni ambiti produttivi specifici, ma da più parti si sostiene che esistano potenzialità enormi legate ad una maggiore diffusione. In questo articolo si focalizza il cambiamento dei modelli di business che si connette all’adozione di questa tecnologia, mostrando opportunità e aspetti critici per le imprese.

Introduzione

La digitalizzazione della manifattura è in atto da alcuni decenni ormai, a partire dalla diffusione su larga scala delle macchine a controllo numerico (CNC), negli anni settanta. Tale processo ha avuto una rapida crescita negli ultimi anni grazie soprattutto alle innovazioni della robotica e, più recentemente, all’adozione della stampa 3D anche per la produzione di beni in metallo per uso finale.

Non si tratta di una innovazione recente: per molti anni, a partire dalla fine degli anni ottanta, le stampanti 3D sono state utilizzate quasi esclusivamente per la “prototipazione rapida” (rapid prototyping) di oggetti in materie plastiche; successivamente gli avanzamenti della tecnologia hanno consentito di farne un uso più ampio fino ad includere la produzione di attrezzi e stampi per la manifattura tradizionale (rapid tooling) e, negli ultimi anni, anche di componenti e parti finali anche in leghe metalliche, tra cui il titanio (direct manufacturing). Il fenomeno che ha colpito l’immaginario collettivo, in ogni caso, è la recente diffusione (ancora molto limitata, in ogni caso) di piccole stampanti 3D per uso domestico (home fabrication).

A queste evoluzioni recenti si associano, in particolare, le previsioni di chi intravede vere e proprie rivoluzioni in corso o alle porte negli assetti strutturali della produzione manifatturiera che, grazie alla stampa 3D, potrebbe cambiare in maniera radicale. Queste valutazioni allo stato attuale sono largamente infondate: talvolta rispondono a logiche di visibilità mediatica delle pubblicazioni che le veicolano, in altri casi si tratta di astrazioni più ingenue, indotte da mera euforia tecnologica.

In questo articolo, dunque, sintetizzeremo i risultati di un’analisi delle potenzialità reali e dei limiti di queste tecnologie condotta da due studiosi di management della Novancia Business School di Parigi e dell’University College di Londra appena pubblicata su Technology Forecasting and Social Change[1], una delle maggiori riviste scientifiche internazionali nell’ambito degli studi di tecnologia e innovazione. Come ci spiega il loro articolo, è altamente improbabile che nella manifattura si verifichi qualcosa di analogo a ciò che è avvenuto e sta avvenendo ad esempio in campo musicale, nel quale la digitalizzazione dei processi produttivi ha effettivamente sconvolto le dinamiche competitive ed i modelli di business delle imprese del settore.

Anche ipotizzando drastici salti tecnologici nel prossimo futuro è altamente improbabile che la produzione industriale come l’abbiamo conosciuta fino ad ora ceda il passo a forme più o meno significative di home fabrication, come sembrano suggerire le narrazioni intorno al peraltro interessantissimo mondo dei “makers” (Anderson, 2012), i cosiddetti “artigiani 2.0”. Le evoluzioni recenti delle tecnologie di stampa 3D ed in particolare la possibilità di dare luogo a produzioni di beni per uso finale in metallo in ogni caso, hanno un grande potenziale sul piano economico: le imprese dovrebbero valutarne attentamente le opportunità e riflettere sulle implicazioni che eventualmente ne derivano per la sostenibilità dei propri modelli di business.

Dopo una breve panoramica sulle diverse tecnologie di stampa 3D, l’articolo prosegue approfondendo le diverse modalità con le quali essa è attualmente in uso nei processi produttivi per poi concentrarsi sui modelli di business per le imprese che adottano la stampa 3D e sulle caratteristiche dell’innovazione implicata da queste tecnologie.

Le tecnologie di stampa 3D

Esistono diverse tecnologie di stampa 3D così come estremamente varie sono le caratteristiche delle stampanti, i materiali, le dimensioni, i livelli qualitativi degli output e ovviamente i prezzi: da meno di € 1.000 per una piccola stampante ad uso domestico (desktop, nel gergo di settore) a ben oltre € 500.000 per alcuni modelli ad uso professionale.

Le tecnologie vanno dalla deposizione di filamenti fusi di materiali più diversi (dalle plastiche al cioccolato) come è nel caso dell’FDM (Fused Deposition Modeling), alla stereolitografia (la prima tecnologia di stampa 3D, tuttora utilizzata), alla sinterizzazione laser selettiva di polveri (Selective Laser Sintering) alla fusione di polveri (Selective Laser Melting) alla fusione a fascio di elettroni (Electron Beam Melting) ad altre. Ognuna di queste tecnologie ha caratteristiche specifiche che si traducono in processi produttivi e output sostanzialmente molto diversi. Gli oggetti, in ogni caso, sono sempre realizzati in assenza di uno stampo generando e sommando strati successivi di materiale. Si parla, infatti, di “manifattura additiva” in contrapposizione con le modalità produttive tradizionali come la tornitura o la fresatura, nelle quali si procede per sottrazione dal pieno.

Rispetto alla manifattura tradizionale ciò comporta radicali novità in termini di geometrie realizzabili (praticamente nessun vincolo), consumo di materiale (scarti prossimi allo zero), tipo di input (tipicamente, un file CAD), costo delle varianti (minimo), struttura complessiva dei costi e della logistica. Uno dei limiti più significativi, in ogni caso, è quello delle dimensioni degli oggetti che possono essere realizzati: nell’ordine del metro cubo nel caso di produzioni con materiali plastici e di meno di mezzo metro cubo nel caso di produzioni in metallo.

Mentre le prime stampanti 3D erano concepite per esclusivo utilizzo industriale nelle grandi imprese, la costante diminuzione del costo di queste tecnologie le mette oggi alla portata di un pubblico più ampio, incluso quello delle PMI. Per quanto riguarda le stampanti desktop, inoltre, se inizialmente il target di mercato era limitato ad una nicchia ben definita negli appassionati di elettronica e informatica, la strategia commerciale dei moltissimi player del settore si sta dirigendo ad un pubblico più ampio, anche grazie all’apparente interesse di colossi della grande distribuzione che hanno recentemente inserito le stampanti 3D nel proprio assortimento (Wohlers, 2013).

L’uso di queste tecnologie, in ogni caso, non deve necessariamente passare per l’acquisto, visto che ormai moltissimi player del settore come MakerBot, Sculpteo, Hot Pop Factory, iMakr, ecc. offrono servizi di stampa 3D on-line, spesso integrati nell’offerta commerciale delle più importanti aziende della distribuzione commerciale come Amazon, eBay, Walmart, Tesco, ecc. Alcune piattaforme on-line come Additer o Kraftwürx, inoltre, consentono agli utenti di accedere a servizi di crowdsourcing sia del design sia della produzione. Esistono inoltre aziende specializzate nelle lavorazioni in manifattura additiva, che offrono sia servizi di stampa ad elevata qualità sia il supporto alla progettazione.

Dalla prototipazione rapida alla home fabrication

Come si è accennato, la stampa 3D è in uso nei processi produttivi da circa trent’anni, un percorso che se da un lato ha seguito l’evoluzione della tecnologia (anche con riferimento ai materiali che possono essere stampati), dall’altro la vede in uso, ancora oggi contemporaneamente in forme che ricalcano stadi di sviluppo diversi. È bene, dunque, chiarire le tappe principali di questo percorso evolutivo.

Le prime tecnologie di stampa 3D (stereolitografia, sinterizzazione laser selettiva, modellizzazione a filo fuso, laminazione di fogli di carta) risalgono alla seconda metà degli anni ’80 e cominciano ad essere adottate nelle imprese nei primi anni novanta. In quella fase, del tutto pioneristica, si poteva stampare esclusivamente oggetti di dimensioni piuttosto contenute in materiali plastici, il cui livello di definizione era piuttosto basso; i processi di stampa, inoltre, erano molto lenti e costosi. Per tali ragioni le prime applicazioni della stampa 3D riguardavano esclusivamente la prototipazione rapida[2]. Inizialmente, anche per i costi elevati, questa tecnologia era in uso solo nelle grandi imprese; la progressiva riduzione dei costi, in ogni caso, l’ha resa interessante anche per le PMI. Anche la qualità dell’output è migliorata e ad oggi le stampanti di gamma elevata (a partire da €200.000) sono in grado di realizzare in un solo ciclo di stampa prototipi funzionali in multi-materiale.

Nella seconda metà degli anni novanta, l’avvento di stampanti 3D in grado di stampare polimeri termoresistenti e leghe metalliche ha dato avvio ad un secondo stadio di adozione: il cd. rapid tooling (attrezzaggio rapido). Gli oggetti che si realizzano in questo caso sono tipicamente sia la cd. “attrezzeria” di supporto a specifici processi produttivi (maschere, supporti, ecc.) sia, soprattutto, stampi per produzioni di piccola serie. La stampa 3D, dunque, contribuisce ad abbattere sia il costo di officina sia i tempi della produzione.

Alla fine degli anni duemila la tecnologia è finalmente pronta per la produzione di oggetti per uso finale, sia in materiali plastici sia in leghe di metallo. Ci si riferisce a queste produzioni con il termine direct manufacturing e ciò implica processi produttivi interamente digitali: da un file CAD tridimensionale all’oggetto finito, senza che siano richiesti stampi, fusioni o lavorazioni meccaniche. Pur nell’ambito di una nicchia incomparabilmente piccola rispetto ai processi manifatturieri tradizionali, questa modalità di utilizzo della stampa 3D si sta sviluppando, anche grazie alla diffusione di piattaforme online dedicate come Materialise Onsite o 3DCreation Lab, che consentono la realizzazione di oggetti a partire dai file CAD 3D che gli utenti stessi caricano sul sito, o marketplace come Sculpteo e Shapeways, che consentono l’acquisto di oggetti stampati in 3D realizzati da designer specializzati.

L’ultimo stadio riguarda il mondo della cosiddetta home fabrication, di cui al momento stiamo vedendo le primissime realizzazioni. Si tratta dell’utilizzo “domestico” di piccole stampanti 3D a basso costo. In molti accostano questo stadio agli albori della stampa tradizionale, su carta, e dello stesso computer, la cui diffusione era un tempo un tempo fortemente limitata. Questi parallelismi, in ogni caso, vanno presi con estrema cautela: oltre al piano strettamente tecnologico, che può effettivamente far supporre ulteriori miglioramenti nelle performance dei processi di stampa 3D, c’è da chiedersi cosa dovrebbe spingere le persone a fare un uso massivo di questi dispositivi, al di là di alcune specifiche nicchie.

Come si vede nella tabella riportata di seguito ogni stadio di sviluppo non rende obsoleto il precedente, al contrario contribuisce ad estenderne l’applicazione. Nel caso della cd. home fabrication ciò si tradurrebbe in un’evoluzione oltre la mera manifattura, dal momento che le stampanti domestiche consentirebbero una trasformazione della produzione verso assetti meno concentrati (local fabrication).

Quale modello di business per le imprese che adottano la stampa 3D?

La capacità di creare valore di un’impresa è definita dal suo modello di business, le cui determinanti principali sono (Chesbrough, 2010): l’offerta di prodotto/servizio (value proposition); le risorse/competenze (value creation); il sistema distributivo (value delivery); la struttura di costi e ricavi (value capture); la comunicazione (value communication).

Fig. 1 – Le variabili di un modello di business

Gasparre1

Fonte: elaborazione sulla base di Rayna e Striukova, 2016: 217

 

La disponibilità e l’adozione delle tecnologie di stampa 3D ha svariati riflessi per la creazione di valore. Ciò vale certamente sul piano della value creation, ma la questione centrale rimanda alla capacità delle imprese di potenziare il proprio vantaggio competitivo intervenendo sui propri modelli di business per cogliere le opportunità in relazione a queste tecnologie sul piano economico (value capture).

Prototipazione rapida

L’introduzione del rapid prototyping ha consentito alle imprese di ridurre drasticamente il costo e i tempi della prototipazione. Ciò ha avuto un effetto positivo sulla value proposition, sia per la riduzione dei tempi di sviluppo di nuovi prodotti sia per la possibilità di destinare le risorse liberate dalla riduzione del costo della prototipazione (value capture) ad altre attività o servizi.

Sia dal punto di vista delle risorse e competenze sia da quello del sistema distributivo, in ogni caso, l’introduzione della prototipazione rapida non ha prodotto effetti significativi. Per molti anni, inoltre, il costo elevato delle stampanti non ne ha certo facilitato l’adozione per le PMI, una circostanza che si è modificata negli ultimi anni sia per la diffusione di stampanti “desktop” sia per la nascita di piattaforme online che offrono servizi di stampa 3D a basso costo.

La recente diffusione della prototipazione rapida anche tra i giovani, che si avvicinano con interesse a questa tecnologia, potrebbe portare alcune ricadute positive dal punto di vista della creatività applicata al design di prodotto, non ché sul piano della creazione d’impresa (start-up innovative). Da tali processi potrebbero scaturire, inoltre, relazioni positive con le imprese, legate all’acquisizione di nuove risorse e competenze.

Rapid tooling

Anche il rapid tooling rende più efficiente la produzione ma non determina alcun cambiamento radicale nel business delle imprese. In particolare si verifica un effetto positivo in termini di value proposition dato dalla riduzione dei costi di attrezzaggio (in particolare, degli stampi per piccole serie) e dalla flessibilizzazione dei processi produttivi che ne segue. Ciò potrebbe consentire, inoltre, maggiori spazi per una limitata customizzazione di prodotto. Minori costi di attrezzaggio implicano una riduzione dei volumi minimi di produzione: ciò potrebbe avere un effetto positivo, dunque, anche in termini di value delivery consentendo all’impresa di direzionare la propria offerta a più segmenti di mercato.

Ad oggi, comunque, solo poche imprese hanno effettivamente sfruttato le potenzialità competitive che derivano dalla possibilità di ridefinire l’offerta di prodotto in funzione di una maggiore flessibilità dei processi produttivi nella logica della customizzazione, consentita dal rapid tooling (value creation). Il potenziale di business, dunque, sembra elevato. A questi cambiamento sul piano strategico potrebbero inoltre seguire cambiamenti sul fronte organizzativo, ad esempio dal punto di vista delle competenze e dei fabbisogni professionali richiesti dalle imprese (es. progettazione CAD).

Direct manufacturing

L’utilizzo della stampa 3D per la realizzazione di prodotti finiti ha, in prospettiva, implicazioni assai più profonde sui modelli di business delle imprese. Ciò riguarda non tanto i casi in cui la stampa 3D sia integrata in processi produttivi tradizionali ma l’eventualità che essa diventi la tecnologia elettiva per certe produzioni, in luogo di procedimenti tradizionali. Ad oggi ciò si verifica in alcune specifiche applicazioni, su produzioni di piccola scala: per la realizzazione di componenti in titanio destinati al settore aerospaziale, nel settore biomedicale (protesi), in quello del racing ed in pochissime altre applicazioni.

Ciò che induce a prefigurare scenari di radicale innovazione è la prospettiva di una applicazione assai più ampia di queste tecnologie, una volta superati i limiti attuali, legati alla dimensione degli oggetti stampabili, ai materiali, alla qualità, ai tempi di ciclo ed al costo. La prospettiva è di una radicale riconfigurazione degli assetti tradizionali dei processi manifatturieri verso logiche di piccola scala ed elevata customizzazione.

In questo scenario, l’adozione della stampa 3D avrebbe pesanti ricadute strategiche e organizzative, sia in termini di value proposition sia sul piano delle risorse e delle competenze (value creation). In particolare, l’apertura verso processi di consumer-engaging e di co-creation avrebbe un effetto potenzialmente molto rilevante in termini di ridefinizione del value network, oltre che sulla struttura dei canali distributivi (value delivery).

Gli effetti più controversi, in ogni caso, riguardano il piano economico, con riferimento alla capacità di generazione di valore in rapporto alla struttura di costi e ricavi (value capture). A differenza dei processi manifatturieri tradizionali, la manifattura additiva si caratterizza tipicamente per bassi costi fissi ed elevati costi marginali. Ciò implica una radicale ridefinizione delle strutture di costo della produzione, rendendo possibili soluzioni produttive just in time estremamente spinte, da cui ci si aspetta la generazione di cash flow significativi. Sul fronte della struttura dei costi, in ogni caso, occorre considerare anche altri aspetti. Nel caso di un’impresa che decidesse di internalizzare la tecnologia, infatti, occorrerebbe valutare attentamente la redditività dell’investimento, in termini di effettiva opportunità di sfruttamento della capacità produttiva installata. Queste considerazioni spingono soprattutto le PMI a rivolgersi ad aziende specializzate nel service di manifattura additiva. Più problematico è il fronte dei ricavi: la digitalizzazione della manifattura apre le porte ad una competizione certamente più accesa, perché le barriere all’entrata per i competitor si riducono significativamente. In alcuni casi ciò potrebbe comportare una decisa trasformazione della value proposition, verso prodotti e servizi a maggiore valore aggiunto (ad es. nel campo della consulenza alla progettazione).

Home fabrication

La prospettiva che più di tutte cattura l’immaginario in termini di disruptive innovation è decisamente quella di una maggiore diffusione della stampa 3D nelle nostre case. Questa prospettiva, in realtà, si è aperta solo recentemente: a partire dallo scadere dei primi brevetti e grazie all’attivismo di alcuni pionieri della home fabrication si è progressivamente sviluppato un vero e proprio movimento, quello dei makers, che effettivamente prospettano un futuro nel quale la produzione manifatturiera localizzata nelle grandi imprese avrebbe un peso minore di quanto non sia stato fino ad ora.

È chiaro che uno scenario simile sconvolgerebbe i modelli di business delle imprese. La prospettiva è di un processo virtuoso di retroazione “ciclica” tra value creation (i maker parte di un value network), value proposition (prodotti personalizzati e nuovi servizi) e value delivery (nuove reti distributive).

Fig. 2 – Home fabrication e creazione di valore

Gasparre2

Fonte: elaborazione sulla base di Rayna e Striukova, 2016: 221

 

È bene chiarire che nulla di tutto questo è avvenuto, né esistono segnali convincenti che lascino immagare l’avverarsi di una simile prospettiva nel prossimo futuro. Sul fronte del value capturing, in ogni caso, si porrebbero problematiche non banali per le imprese: in uno scenario di proprietà diffusa dei mezzi di produzione la capacità di sviluppare linee di redditività esterne all’attività manifatturiera implicherebbe la definizione di logiche produttive, organizzative e di mercato completamente nuove.

Bibliografia

Anderson, C. (2012). Makers. The new industrial revolution, Crown Business, New York.

Chesbrough, H. (2010). Business model innovation: opportunities and barriers. Long Range Plan. 43(2), 354–363.

Rayna, T., Striukova, L.  (2016): From rapid prototyping to home fabrication: How 3D printing is changing business model innovation, Technological Forecasting & Social Change, 102, 214–224.

Wholers, T. (2013). Additive manufacturing and 3D printing: state of the industry. Wholers Report 2013, Wholers Associates, Fort Collins, Colorado.

[1] Rayna, T., Striukova, L.  (2016): From rapid prototyping to home fabrication: How 3D printing is changing business model innovation, Technological Forecasting & Social Change, 102, 214–224.

[2] Prima di “3D printing” e “additive manufacturing”, ci si riferiva a queste tecnologie come rapid prototyping, ed ancora oggi il termine è spesso utilizzato dagli operatori come sinonimo di stampa 3D.

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