Il change management strutturale “mission driven”. Un metodo per cambiare le pubbliche amministrazioni

L’idea in breve [1]

Cambiare la Pubblica Amministrazione è condizione indispensabile per ottenere e gestire i fondi del Next Generation EU.

Come fare? La Pubblica Amministrazione non può essere cambiata da riforme legislative che si impantanano nella attuazione; né da una informatica che richiede prima di riconfigurare processi e organizzazione; né dai comportamenti dei manager pubblici troppo confinati nell’iron cage delle norme e della paura della Corte dei Conti e delle Procure. La pubblica Amministrazione non  può cambiare  guardando a se stessa, sollevandosi da sola per i capelli come fece il Barone di Munchausen. Essa può cambiare solo se   partecipa attivamente alla gestione di emergenze, contribuendo a   ridisegnare il sistema produttivo e sociale italiano e se è parte di un programma per cambiare l’economia e la società del territorio in cui opera contribuendo a programmi di innovazione di lungo periodo.

Chiamiamo questo change management strutturale mission driven, cambiamento guidato da una missione di intervento sulla economia e società reali.  Questo include necessariamente anche il riconfigurare l’organizzazione reale e il lavoro pubblico come lavoro professionale approfittando dello smart working per creare ruoli e professioni responsabili

Di seguito una proposta   sul change management “mission diriven”.  Illustra questa proposta il caso (di successo) della riorganizzazione della Regione Emilia -Romagna, associata al Patto per il lavoro a, che in parte è stato descritto in alcuni lavori pubblicati  .[3]

1. Il change management strutturale mission driven delle Pubbliche Amministrazioni italiane: una proposta

Le sfide delle Pubbliche Amministrazioni

Le Pubbliche Amministrazioni italiane in questi anni hanno dovuto affrontare tre sfide principali. La prima sfida è stata quella di tentare di liberare l’Amministrazione dalla “burocrazia” eliminando regole, regolamenti, procedure e processi inefficaci inutili: rendere le pubbliche amministrazioni più semplici, meno burocratiche e più a misura di cittadino. La seconda sfida è stata quella di migliorare insieme servizi, organizzazione e tecnologia e mobilitare l’energia dei dipendenti, ottenendo così un passaggio da un paradigma di un’amministrazione che si limita a regolamentare e autorizzare a una amministrazione che garantisce, direttamente o indirettamente servizi ottimali ai cittadini con costi. La terza sfida è stata quella di costruire un’identità positiva, aumentare il prestigio e abolire la corruzione nelle amministrazioni pubbliche centrali e locali.

La Pubbliche Amministrazione in Italia, come altre in Europa, non hanno in misura soddisfacente risposto in modo soddisfacente a queste sfide.

Burocrazia, public management, governance partecipata

L’approccio della New Public Management (NPM) all’inizio degli anni ottanta proponeva di applicare al settore pubblico gli stili e le metodologie tipiche delle aziende private attribuendo ai dirigenti pubblici maggiore autonomia e responsabilità, sviluppando indicatori e procedure di controllo per la gestione delle prestazioni e promuovendo la concorrenza con il settore privato (Hood, 1991). Il New public management  che non ha portato a una migliore efficienza delle amministrazioni ma bensì allo svuotamento dello Stato a vantaggio del mercato, mediante esternalizzazioni e privatizzazioni che hanno indebolito la pubblica amministrazione.

La trasformazione di “burocrati” in “dirigenti pubblici”, inoltre, nei paesi europei è stata lenta e disomogenea. Farnham (1996) addebita al diritto amministrativo il diverso ritmo di tale trasformazione: piuttosto efficace nel Regno Unito, in Finlandia e nei Paesi Bassi sulla base del common law, medio-basso successo in Francia, Belgio, molto basso in Italia, Germania e Spagna dove le organizzazioni pubbliche sono completamente governate dal diritto amministrativo.

L’idea di una governance without government (Rhodes 1997) era stata proposta in Europa come un approccio più ampio basato sull’idea di reti tra attori pubblici e privati ​​che cooperano per raggiungere obiettivi comuni e sviluppare il capitale sociale. Kickert e Klijn (1997) avevano battezzato questo approccio participative governance, una alternativa al governo basato sul modello autoritario e centralistico di elaborazione delle politiche.

Tre modelli di cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni

Nei sistemi occidentali prevalgono tre grandi modelli di cambiamento della Pubblica Amministrazione: il “modello ordinamentale” di cambiamento, il modello del “cambiamento osmotico” e il “modello processuale” governed process of change.

  1. a) Il modello ordinamentale di cambiamento (il più antico e diffuso nei Paesi occidentali di cultura tedesca, francese e italiana) parte dall’assunto che il sistema cambia quando è varata una legge che ne modifichi l’assetto. Il modello “ordinamentale” si basa sull’idea della riforma: leggi, ordinamenti di servizio, regole, organizzazione istituzionale.

Con l’approccio giuridico-normativo i quattro veri “processi fondamentali” della Pubblica Amministrazione non sembrano tanto i servizi ma piuttosto la gestione del consenso attraverso l’annuncio di opzioni politiche e di valore, la gestione del personale del Pubblico impiego, la gestione immobiliare e il controllo di strutture di potere.

  1. b) Il modello di cambiamento osmotico, che consiste nell’adattare continuamente al mutamento del contesto nuove modalità e contenuti di attività, sistemi di cooperazione, di conoscenze, di comunicazione interni ed esterni di una specifica comunità di lavoro. È il caso per esempio del continuo mutamento delle pratiche e delle metodologie didattiche nella scuola..
  2. c) Il modello di gestione del cambiamento strutturale, governed process of change (di tradizione anglosassone) consiste in una serie di azioni che producono un cambiamento: esso consiste in programmi di “energizzazione” o di “mobilizzazione” che tentano di attivare processi di innovazione e cambiamento della Pubblica Amministrazione incoraggiando e proteggendo programmi e progetti di cambiamento concepiti e realizzati a livello di singole amministrazioni o di aree locali (Thoenig,1992; Maynz, 1982: March and Olsen, 1989). Esso ha ispirato alcune significative esperienze di “gestione strategica del cambiamento” effettuate all’estero (in particolare in UK, con il programma “Next Step”, e negli USA, con il Programma “National Partnership for Reinventing Government”, di cui parleremo avanti). Questo modello definisce un piano di medio-lungo periodo per promuovere un insieme di cambiamenti localizzati presso amministrazioni centrali e locali. Ma soprattutto prevede un piano di attuazione che fissi valori e obiettivi di miglioramento del servizio, che accompagni il cambiamento già in atto e quello che seguirà, che animi, valorizzi e canalizzi le energie disponibili, che si assicuri la partecipazione del personale. Che, in una parola, faccia avvenire effettivamente il cambiamento.

Il cambiamento della Pubblica Amministrazione italiana deve utilizzare tutti e tre questi modelli, ma non ha adottato il terzo, tranne che in alcuni casi.

La digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni

Le opportunità della digitalizzazione della PA sono enormi

Possono essere ottenuti risultati straordinari d miglioramento dei servizi, riduzione della spesa, trasparenza, contrasto della corruzione

Le nuove tecnologie digitali inoltre non sono più solo i sistemi informativi classici, ma includono le tecnologie web, le app mobile, il cloud, i big data, l’IOT, gli assistenti virtuali, in gran parte appoggiate su sistemi evoluti di Intelligenza Artificiale, Machine Learning, Blockchain e molto altro.

Esse non si limitano ad informatizzare le procedure esistenti secondo la tradizione dell’informatica Agency Centred ma divengono User Centred ossia sono un potente supporto a ridisegnare i servizi, forniti digitalmente in modo efficace e tempestivo disintermediare fra il cittadino e l’Amministrazione

Ad esempio consentono di raccoglier in tempo reale i bisogni e le richieste dei cittadini, fornire in tempo reale i feedback dei cittadini, raccogliere dati per la protezione e prevenzione attraverso sensori, visualizzare le condizioni dei processi che interessano i cittadini (traffico, servizi sanitari, servizi scolastici e moltissimo altro), attivare processi di collaborazione fra i cittadini.

Ma purtroppo l’Italia è solo al 19° posto in classifica nella dimensione dei servizi pubblici digitali.

Il DESI attribuisce ciò a problemi di utilizzabilità dei servizi pubblici: scarsa usabilità, poca chiarezza percepita dall’utente ed eccessiva rigidità delle soluzioni adottate. E poi anche a: mancata o errata comunicazione verso il cittadino; scarso accompagnamento del cittadino all’uso della tecnologia.

Ma noi crediamo che occorre andare più a fondo. Occorre

  • generare e realizzare nuove idee di servizi
  • sintonizzare la digitalizzazione con l’organizzazione e i lavoro e fare joint design
  • operazionalizzare l’intero ciclo di servizio rimuovendo tutti gli ostacoli

La strada della digitalizzazione è lunga e piena di contrasti: ne sanno qualcosa Diego Piacentini prima e Luca Attias dopo, a capo del Team per la Trasformazione Digitale che hanno combattuto con sapienza e determinazione contro la resistenza di una PA nata in un’era diversa, e regolata dal diritto amministrativo più che dalla gestione di servizi.

Occorre ora che le singole Amministrazioni collaborino per rendere fruibili le tecnologie per

  • Offrire servizi
  • Modificare i processi
  • Costituire tools
  • Disegnare interfacce
  • Creare capacità di fare avvenire le cose
  • Costituire relazioni virtuose

Insomma l’Amministrazione deve attivamente collaborare a ridisegnare l’intero ciclo di servizio rimuovendo tutti gli ostacoli.

Una proposta per il cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni “mission driven

Le Pubbliche Amministrazioni in Italia investite dal mutamento economico e sociale continuano ad essere spinte inoltre a ristrutturarsi e a cambiare, adottando nuovi paradigmi. Le aree di intervento principali sono:

  • l’innovazione di servizi e processo
  • la rivoluzione digitale
  • l’efficienza e l’efficacia
  • lo sviluppo sostenibile entro un’economia globale
  • lo sviluppo di nuovi rapporti con le aree sistema, i territori, le altre imprese
  • lo sviluppo di nuovi lavori e nuovi lavoratori
  • la promozione e la gestione moderna delle risorse umane

La pandemia rende ora improcrastinabile questi cambiamenti aggiungendo per ragioni sanitarie un’altra dimensione di intervento, quella del luogo dove si lavora ossia del lavoro remoto, home work, smart work, lavoro agile, comunque lo vogliamo chiamare.

Ma come? Non con gli editti centralistici. Non con i fervori e le prediche,

La Pubblica Amministrazione non può cambiare solo guardando a se stessa, sollevandosi da sola per i capelli come fece il Barone di Munchausen. Essa può cambiare se è parte di un programma per cambiare l’economia e la società del territorio in cui opera contribuendo a programmi di innovazione di lungo periodo. O se partecipa attivamente alla gestione di emergenze, come il terremoto del Centro. O come tragicamente dovrebbe  avvenire con l’epidemia di Coronavirus che impegna severamente tutta la Pubblica Amministrazione e non solo il sistema sanitario e le forze dell’ordine, oltre la prima fase nell’emergenza e successivamente nel ridisegnare il sistema produttivo e sociale italiano.

Chiamiamo questa change management strutturale mission driven, cambiamento guidato da una missione di intervento sulla economia e società reali.  Questo include anche il riconfigurare il lavoro pubblico come lavoro professionale approfittando dello smart working che creino ruoli e professioni responsabili

Un esempio è illustrato pagine :  il caso del cambiamento dell’organizzazione della Regione Emilia- Romagna che, nel contribuire al successo del Patto per il lavoro, ha cambiato se stessa.

E’ necessario andare oltre l’illusione di modificare la burocrazia pubblica solo con il diritto amministrativo, con l’informatica, con il public management: la governance partecipata, operando in rete con i soggetti dell’economia e della società, proposta fin dagli anni 90 nei paesi anglosassoni, include tutto ciò e molto di più: una amministrazione che non è non palla al piede ma bensì è promotrice dello sviluppo.

2. Lo smart working

Il lockdown, insieme alle tragedie che ha provocato, ha attivato uno straordinario esperimento organizzativo, sociale, tecnologico: 8 milioni di persone hanno lavorato da remoto. Nella prospettiva di una ripresa dopo pandemia, le migliori esperienze del lavoro remoto o smart work potrebbero essere valorizzate in diverse forme cambiando il lavoro, l’organizzazione, il rapporto vita lavoro, i trasporti, la configurazione dei luoghi di lavoro e delle case. Insomma una occasione per sviluppare una new way of working che concili produttività, sostenibilità, qualità della vita. Idee, opinioni, esperienze abbondano. Occorre non sprecare questa opportunità attendendo fatalisticamente che lo smartworking si consolidi solo perché si è diffuso durante la pandemia ma occorre sviluppare azioni e attivare sinergie fra chi ha studiato a fondo questa problematica, chi ha fatto esperienze di valore, chi offre servizi di qualità alle imprese e alle pubbliche amministrazioni, chi è accreditato per proporre contributi solidi di politiche pubbliche. Pensiamo che si debbano  a)  progettare e sviluppare soluzioni adatte alle diverse realtà, entro un minimo di infrastrutture tecnologiche e di basi normative; b) proporre politiche che favoriscano questa attività progettuale che veda protagoniste le imprese, le istituzioni, la ricerca, le scuole, i sindacati e soprattutto le persone.

Secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, lo smart work  è una “filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Il lavoro agile viene così nominato dalla legge n 81 del 22 Maggio 2017 che ne consentiva l’adozione consensuale e poi, durante la pandemia, esteso obbligatoriamente e regolamentato dal Decreto Legislativo 17 marzo 2020. Per chi scrive lo smart work o lavoro agile o come preferisco chiamarlo lavoro ubiquo di qualità che dà al lavoratore la possibilità di lavorare fuori dalla sede del datore di lavoro è solo un corollario di una diversa concezione degli uffici, della loro organizzazione, del lavoro supportata da tecnologie digitali. Esso offre alle persone una opportunità di riequilibrio fra vita e lavoro e alle organizzazioni possibilità di riduzione di costi immobiliari e miglioramenti di produttività

Sullo smart working, le opinioni sullo scenario che si verificherà una volta terminata l’emergenza sono diverse. Su un estremo c’è chi ritiene che verrà ripristinato lo status quo (in cui il lavoro smart coinvolgeva principalmente alcune  grandi imprese per uno o due giorni alla settimana), dall’altro c’è chi propone di continuare tutti a lavorare da remoto. Probabilmente ciò che avverrà sarà la costituzione di un nuovo equilibrio tra il lavoro in sede e quello da remoto, un lavoro “ubiquo” di qualità.

Le applicazioni del lavoro ubiquo, smart o agile sono in realtà opportunità o necessità per cambiare finalmente e profondamente le organizzazioni e il lavoro e migliorare efficienza e qualità della vita:  al management delle organizzazione spetta di avviare e condurre i processi profondi di cambiamento necessari, con i supporti professionali appropriati; alle Istituzioni di predisporre le infrastrutture materiali, finanziarie e formative per favorire questi sviluppi. Le migliori aziende e pubbliche amministrazioni lo stanno già facendo.

Nel mio recente contributo in materia [4] avanzo la proposta di due tipi di azioni: a)  politiche e azioni trasversali  b) iniziative “cliniche” e di sviluppo delle singole organizzazioni.

Proponiamo due tipi di azioni: a) quelle politiche e le azioni trasversali; b) quelle “cliniche” e di sviluppo delle singole organizzazioni.

a) Politiche pubbliche

  1. Un grande programma di ricerca multidisciplinare sull’“esperimento smart working” per comprendere quello che è avvenuto davvero durante e subito dopo il lockdown per diffondere best practices ed evitare errori, condotto da centri di ricerca di universitari, associazioni datoriali e sindacali
  2. Un nuovo assetto normativo che assicuri o diritti e la qualità della vita di lavoro dei lavoratori e manlevi il datore di lavoro dai rischi legali
  3. Investimenti nelle reti telematiche
  4. Incentivi fiscali per l’acquisto di attrezzature digitali, trasformazione degli uffici e degli ambienti domestici
  5. Un programma di KBS (knowledge based services , supporti professionali) alle PMI e alla Pubblica Amministrazione offerti dalle università, società di informatica, consulenza, formazione, interior design con modalità e costi sostenibili

 

b) Metodi, modelli e soluzioni con cui progettare e gestire lo smart working nelle singole imprese e Pubbliche Amministrazioni: 13 linee di azione praticabili.

  1. Concezione dello smart working
  2. Aspetti legali
  3. Infrastrutture telematiche
  4. Tecnologie di supporto
  5. Modalità di gestire lavoro e vita
  6. Mindset
  7. Proporzione fra lavoro in sede e remoto
  8. Concezione degli uffici
  9. Interior design degli uffici
  10. Ridisegno degli spazi casalinghi
  11. Organizzazione e sistema socio-tecnico
  12. Lavoro e sistema professionale
  13. Relazioni industriali

3. Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna

Il Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna è stato un caso di politica pubblica che ha attivato un percorso di collaborazione organizzata fra 50 soggetti pubblici e privati mirato ad innovare e ad aumentare il valore aggiunto della regione e a generare lavoro di qualità, ottenendo risultati tangibili,. Esso è stato costituito da un insieme di programmazione regionale, di politica industriale e della scienza, di politica del lavoro e di politica formativa, sostenute da una organizzazione collaborativa fra pubblico e privato per fare avvenire le cose. E’ un caso di collaborazione fra pubblico e privato orientato ad aumentare il valore aggiunto e valorizzare il lavoro, investendo massicciamente in science and technology.

L’innesco e l’inedita coesione fra Amministrazione e corpi intermedi comincia propria come risposta al terremoto del 2016.Gli elementi distintivi del patto del 2015 sono: una idea forte (aumentare con l’innovazione il valore aggiunto della regione e del lavoro dell’1,5% annuo); un obiettivo sintetico chiave (aumentare l’occupazione di almeno 100.000 unita annue e passare dall’11% al 5% di disoccupazione nell’arco del mandato); investimenti massicci  in science and technology e principalmente in big data, attraendo su questa area ingenti risorse europee. Tutto ciò è avvenuto davvero.

Uno fra i  fattori di successo di questa esperienza è stato che l’Amministrazione ha messo per prima cosa in discussione se stessa avviando un processo di cambiamento organizzativo che la trasformasse da una burocrazia pubblica a  una organizzazione proiettata ai risultati, da una struttura burocratica a un nodo di servizio e di animazione di reti pubbliche e private orientate all’innovazione, alla produttività e alla valorizzazione del lavoro.

Il Patto per il lavoro è stato per l’Amministrazione la mission che ha fatto da driver principale per riconfigurarsi sulla base di obiettivi di trasformazione sociale di lungo periodo oltre che fornire servizi eccellenti alle persone e alle imprese

Il nome stesso ci suggerisce i principali elementi.

 

i. Un Patto. Il Patto è stato qualcosa di diverso da un tavolo di concertazione o da una politica territoriale top down. 50 attori pubblici e privati del territorio (imprese, sindacati, pubbliche amministrazioni, scuole, università, associazioni di rappresentanza ecc.) si sono impegnati a focalizzare azioni nuove e in corso per raggiungere uno scopo comune concordato: accrescere il valore aggiunto dell’economia locale e, con esso, creare lavoro di qualità

Tutto ciò è avvenuto davvero adottando un inedito metodo rigoroso di partecipative governance (governo socialmente partecipato) dato da una base di consenso su una visione strategica di lungo periodo.

Gli obiettivi generali sono stati articolati in obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Raggiungibili, Realizzabili, Temporizzati) relativi allo sviluppo economico-sociale e al mercato del lavoro. L’Amministrazione Regionale ha orientato su questi obiettivi concordati le sue azioni e soprattutto i finanziamenti europei che hanno costituito la principale fonte di finanziamento delle diverse attività.

I principali risultati complessivi rispetto agli obiettivi del Patto (dati del secondo trimestre 2019) sono stati:

  1. il valore aggiunto è aumentato, ogni anno sull’anno precedente, dell’1,4% nel 2016, dell’1,8% nel 2017, dell’1,5% nel 2018;
  2. gli occupati aumentati di 135 mila dal 2015 con un tasso di occupazione del 71,3% (che supera quello della Lombardia);
  3. La disoccupazione scesa dal 12% al 5 %, nel periodo dei cinque anni di osservazione;
  4. Il Tecnopolo di Bologna diventa il primo centro di big data e AI d’Europa, un investimento regionale, nazionale ed europeo che porta alla visione di una policy oggi rinominata Data Valley.

Nella nostra ricerca abbiamo rilevato sette approcci e strumentazioni convergenti di Patti per il Lavoro che possono essere adottati tenendo conto della peculiarità economiche, politiche delle diverse regioni, aree territoriali, città, aree territoriali, piattaforme produttive:

  1. La stipula di un “Patto” fra le istituzioni del territorio e i suoi corpi intermedi: un Patto fondato sulla fiducia reciproca che gli obietti potranno essere raggiunti, sulla definizione da parte di ognuno dei rispettivi piani di azione di lungo periodo e sull’impegno a realizzarli, con la stella polare della sostenibilità ambientale e sociale nell’orizzonte 2030;
  2. La condivisione di strategie selettive di valorizzazione del sistema produttivo verso le fasi a più alto valore aggiunto delle catene del valore e verso la riorganizzazione delle strutture produttive, incluse le attività che possono essere attirate nuovamente sul territorio (reshoring);
  3. La definizione di obiettivi condivisi di creazione di valore aggiunto e di creazione di lavoro di qualità, ben specificati in parametri misurabili e costantemente monitorati;
  4. La finalizzazione a tali obiettivi degli investimenti pubblici e privati, resi disponibili dai Piani europei del Next Generation Eu;
  5. La condivisione di un approccio integrato di politiche pubbliche, definito come “All-government-approach”, che integri interventi su capitale umano, innovazione, territorio, welfare. Politiche integrate e strumentate, ricorsivamente rafforzantesi, superando le consolidate segregazioni organizzative fra i silos della macchina amministrativa;
  6. Creazione di un gruppo permanente di lavoro di attori pubblici e privati, che si danno un’organizzazione per l’attuazione del Patto, una una “Performing Community” connessa alle esistenti reti di ricerca, di imprese, di formazione esistenti sul territorio.
  7. Attivazione di un programma di “Change Management” della stessa amministrazione perché essa si abiliti ad agire come agenzia di attivazione, consolidamento ed integrazione di reti locali di soggetti indipendenti ed autonomi.

ll Patto per il Lavoro è stato sostenuto una comunità fra i soggetti tesi alla innovazione. Il Patto per il Lavoro è stato in molti casi un “ombrello istituzionale” che ha attivato o protetto processi di coesione sociale fra autonomi ma connessi soggetti del territorio. Il Patto per il Lavoro è stato anche un dispositivo per comunicare e legittimare progetti innovativi di progettazione congiunta di tecnologia, organizzazione, e lavoro.

 

ii. Lavoro. Un patto per il lavoro di qualità che crei valore economico e sociale insieme alla crescita e protezione delle persone ha significato porre al centro i lavoratori e le loro esigenze all’interno di un quadro economico e sociale che sta vivendo profonde mutazioni e che richiede adattamento e innovazione. Le azioni principali hanno riguardato la formazione dei giovani e la riqualificazione professionale degli adulti. Così si spiegano i vari investimenti sulla formazione professionale, sugli Istituti Tecnici Superiori, sui corsi di laurea innovativi come nel caso del Muner, la formazione sui big data e l’Intelligenza artificiale, ma anche i percorsi contrasto alla dispersione scolastica e di inclusione di soggetti deboli, di riqualificazione dei lavoratori su temi come l’Industria 4.0. La fondazione di un’Academy per il futuro middle management e top management della Pubblica Amministrazione, sostenibile e digitale. Academy finanziata per un terzo con fondi EU e per il resto con mezzi regionali, con la partecipazione dei sindacati del comparto.

 

iii. Emilia-Romagna Il tutto però con una profonda connessione con il territorio La tradizionale eccellenza emiliana-romagnola nella manifattura basata sull’economia di scala non basta più: occorre eccellere nell’economia della conoscenza e dei dati.

La visione proposta dal Patto è quella di una Emilia-Romagna come regione

  1. che passa dall’economia di scala all’economia della personalizzazione, from volume to value
  2. forte in Italia e in Europa nella manifattura di qualità e nei servizi avanzati, locomotiva di un nuovo triangolo industriale
  3. capace di aumentare il valore aggiunto attraverso le tecnologie e la valorizzazione del lavoro
  4. principale hub europeo su big data ed intelligenza artificiale

Questo ha significato una scelta di politica industriale chiara con la decisione da una parte di puntare su settori in cui l’Emilia-Romagna è candidabile a collocarsi nelle fasce alte della catena globale del valore come l’automotive, la manifattura avanzata e l’agrifood. E soprattutto a creare una nuova area strategica dell’economia dei dati del futuro: la Data Valley, in cui il Tecnopolo di Bologna diventa l’hub di big data più grande d’Europa e uno dei più grandi del mondo.

Questi tre elementi (patto, lavoro, Emilia-Romagna) e il loro stretto rapporto sono stati supportati da una amministrazione pubblica che ha avviato un processo di cambiamento organizzativo di se stessa verso un nuovo paradigma di una Amministrazione.

4. Un caso change management strutturale mission driven L’amministrazione che cambia se stessa  

Il Patto per il Lavoro è stato reso possibile dal supporto offerto da una Amministrazione efficiente che ha acquisito in tempo la quasi totalità delle risorse europee disponibili e le ha rese disponibili con il minimo di burocrazia

Essa ha avviato un processo di cambiamento organizzativo di sé stessa per diventare partner della comunità degli innovatori del Patto, muovendosi verso un nuovo paradigma organizzativo e professionale e avviando un progetto di change management.

Il paradigma a cui tendere è stato quello di una Amministrazione a rete eccellente orientata a garantire servizi, tesa cioè a:

  • ascoltare e soddisfare i bisogni dei cittadini;
  • fornire direttamente o mediatamente servizi, più che amministrare unicamente diritti;
  • diventare un nodo proattivo delle complesse reti pubblico-private;
  • essere di supporto allo sviluppo degli attori del territorio;
  • essere organizzativamente agile e flessibile;
  • costare meno:
  • essere integra;
  • sviluppare sistemi e comportamenti professionali di qualità da parte del personale regionale;
  • innovarsi al suo interno con tecnologie avanzate

Le azioni attivate sono state numerose e fortemente coordinate dal vertice dell’Amministrazione e dalla Direzione Generale trasversale DGREI ( Direzione Generale Risorse Europa Innopvazione Istituzioni ) affidata a Francesco Raphael Frieri a cui è stata affidato il presidio e lo sviluppo dell’organizzazione, informatica, risorse umane, fondi europei.

  1. E’ stata varata una nuova macro-struttura organizzativa modellata sui programmi e sugli obiettivi e non sui classici silos struttural-funzionali.
  2. Sono stati deliberati 30 obiettivi strategici legati allo sviluppo del Patto per il Lavoro
  3. E’ stato ottenuto un ottimo tasso di utilizzazione dei Fondi Europei che, superiore a quello di altre Regione stato un fattore critico di successo del Patto per il Lavoro
  4. E’ stato ridefinito il sistema di programmazione e di valutazione delle performance, come strumento di orientamento attivo e di “carburante” per il cambiamento
  5. E’ stata condotta l’analisi organizzativa come un programma condiviso di cambiamento organizzativo e professionale.
  6. Sono stati avviate sperimentazioni di smart working
  7. Sono stati fatti intensi investimenti per la formazione e valorizzazione del personale regionale.
  8. Sono stati fatti importanti investimenti in IT
  9. Sono state avviate applicazioni sperimentali di Intelligenza Artificiale specifiche per la Pubblica Amministrazione.

a. Il percorso di cambiamento organizzativo della Regione Emilia Romagna

Alla fine del 2015 la Giunta definisce la riorganizzazione della macrostruttura organizzativa, che viene messa in opera rapidamente fra febbraio e maggio del 2016:

  • Vengono ridotte le Direzioni Generali da 10 a 5 corrispondenti ai principali capitoli delle politiche, e ad una trasversale.
  • Vengono ridotti i servizi, ossia le unità elementari dell’organizzazione da 97 a 86
  • Vengono ruotati 48 dirigenti su una platea di 96, applicando largamente il piano anticorruzione e favorendo l’apprendimento professionale delle persone
  • Viene formulato un programma di significativa riduzione della spesa dirigenziale
  • Viceversa vengono messe a bando nuove Posizioni Organizzative (PO, ossia middle managers con responsabilità gestionali o con eccellenza specialistica), differenziando le retribuzioni, introducendo la possibilità della delega di alcune funzioni dirigenziali

Tale impostazione tende a ridurre drasticamente la precedente struttura funzionale a silos scarsamente interagenti.

 

b. Il Documento di Economia e Finanza (DEFR) Il DEFR della Regione Emilia-Romagna fa riferimento alle dimensioni economiche e sociali e definisce il sistema di finanziamento, regolazione e promozione dei servizi che hanno impatto economico e sociale per i cittadini della Regione. In base a ciò, alloca le risorse proprie e quelle europee e nazionali disponibili. Gli obiettivi del Patto per il Lavoro sono stati collocati entro le dimensioni del DEFR: ossia il Patto per il Lavoro cioè non ha attivato una amministrazione parallela, rafforzando la visione che il Patto è parte della Amministrazione Regionale, non un progetto ad hoc. Viene tuttavia ridisegnato il collegamento fra Budget Finanziario, Piano delle Performance per fare avvenire davvero i programmi.

 

c. Il DEFR però spesso indicava obiettivi strategici e obiettivi di direzione operativi non chiari e non sempre corredati da indicatori espliciti oppure costituenti talvolta liste di attività da svolgere prive di carattere strategico. Venne così introdotto un piano degli obiettivi di cambiamento, collegati accuratamente agli obiettivi presenti nel Documento di Economia e Finanza. Gli obiettivi vennero così raggruppati dapprima in 120, poi in 90, poi in 41 e infine in 30 obiettivi di cambiamento, ossia gli outcome di intervento sull’economia e la società del territorio della regione. Da un punto di vista organizzativo, tutti obiettivi trasversali, che avrebbero dovuto essere conseguiti da diverse direzioni e servizi integrate fra loro da una organizzazione a matrice, un modello organizzativo moderno, difficile e del tutto inconsueto per una Pubblica Amministrazione.

I 30 obiettivi di cambiamento del 2019 sono stati raggruppati in 5 “aree di cambiamento”, ossia outcome di intervento sull’economia e la società del territorio della regione, in linea con i contenuti del patto per il Lavoro. Esse erano 1. Crescita e lavoro; 2. Semplificazione, efficienza e trasparenza; 3. Persone e Comunità; 4. Sostenibilità; 5. Risorse dell’Ente

Figura 3. Gli obiettivi di cambiamento

d. La DGREII ha rivisto il sistema di sistema di valutazione delle performance riformulando il rapporto fra programmazione e valutazione, cercando di superare una serie di problemi organizzativi, tipici di tutte le organizzazioni pubbliche: molte stanze, molte pareti, poche scale tra un piano e l’altro; settori chiusi in sé stessi (silos); non si fa (abbastanza) innovazione; difficoltà nella conduzione di politiche integrate; scarsa mobilità dei collaboratori (verso l’alto e verso il basso); si lavora per adempimenti delle attività e non per risultati di programmazione e del sistema di valutazione delle performances

Il sistema di valutazione è stato rivisitato in base a due criteri chiave

  1. Valorizzazione degli Obiettivi/Progetti che discendono dagli obiettivi di cambiamento strategici, tesi a raggiungere outcome rilevanti per i cittadini e per le imprese del territorio,
  2. Precisazione degli obiettivi come obiettivi SMART (specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti, temporizzabili), in modo che essi contengano indicatori chiari e congrui con gli obiettivi strategici.

Le materie della valutazione sono per tutti (Dirigenti, PO e impiegati/comparto) principalmente due:

  • i risultati conseguiti, misurati attraverso indicatori e parametri sempre più precisi;
  • i comportamenti organizzativi, valutati in modo sempre più condiviso

E’ stato introdotto così un “cambio d’angolo” nel modello di funzionamento della “burocrazia” dell’Ente per renderla sempre meno un orologio burocratico e sempre di più un organismo aperto sull’esterno, resiliente, efficace, efficiente. Al sistema di valutazione vennero assegnate le seguenti priorità di cui indichiamo le parole chiave:

  • Focus sui risultati: potenziare la concentrazione sui risultati
  • Cambiamento: facilitare e indirizzare il cambiamento e l’innovazione
  • Ottimizzare effettivamente risultati e comportamenti organizzativi: ottenere che le attività assegnate siano svolte conseguendo risultati misurabili e agendo comportamenti organizzativi che potenzino il servizio, l’efficacia, l’efficienza, lo sviluppo delle persone
  • Cultura: potenziare ulteriormente la diffusione di una cultura della responsabilità, dell’orientamento al risultato, della qualità e del ben fatto, della cooperazione, condivisione di conoscenza, comunicazione e costruzione di comunità a tutti i livelli.
  • Valutazione come supporto alle persone: fornire feedback alle persone, identificare eventuali azioni correttive, identificare percorsi formativi (Integrazione tra sistema di valutazione e piano della formazione dell’Ente).
  • Crescita professionale: privilegiare azioni per la crescita professionale
  • Remunerazione: calcolo di bonus o retribuzioni variabili: la valutazione non è un mero sistema per distribuire bonus anche se prevista dalla legge Madia.
  • Semplificazione: prevedere un’unica scala di valutazione per tutti i profili professionali (scala lineare che va da 0 a 100).

 

e. Con l’occasione del Piano del Fabbisogno richiesto dal Decreto Legislativo 75/2017 è stata condotta una analisi organizzativa richiesta dal DL 75/2017 [5]rispondente ai criteri di cambiamento organizzativo definiti dalle linee Guida del DFP, ossia

  • accrescere l’efficienza delle PA, razionalizzarne i costi, realizzare la migliore utilizzazione del personale pubblico
  • ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili per il perseguimento di “obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini”
  • garantire “l’ottimale distribuzione delle risorse umane”
  • tenere conto delle “risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio” e di quelle connesse alle facoltà assunzionali dell’ente
  • essere preceduta dalla informazione ai soggetti sindacali

Si è deciso di rispondere al dettato del Decreto Legislativo 75/2017 non come una mera compliance ma di utilizzarlo come una “occasione unica” per avviare un processo di analisi dell’intera organizzazione regionale e per avviare un processo di manutenzione evolutiva del sistema organizzativo e professionale finalizzato a adeguare i processi interni ed esterni, sviluppare la cultura dell’ente, ridefinire gli organici, avviare un percorso di sviluppo del sistema professionale

La DGREI, con il supporto metodologico della Fondazione Irso, ha condotto cosi un progetto che ha consentito di

  • costruire un quadro conoscitivo delle dimensioni organizzative di tutte le direzioni dell’ente ( inconsueta per le dimensioni e il perimetro analizzato) e condiviso (per il metodo seguito nell’analisi)
  • esplorare le possibili opportunità di ottimizzazione per migliorare il livello di efficienza dei processi, attraverso semplificazione dei processi interni, riallocazione di organici tramite all’interno del perimetro regionale, maggiori sinergie coordinate con le in-house, ecc
  • iniziare a delineare modelli per rigenerare le professionalità interne e comprendere quali ruoli inserire nel Piano dei Fabbisogni di Personale (Sviluppo del Sistema Professionale)
  • raccogliere informazioni utili e condivisione per la definizione del Piano dei Fabbisogni Formativi
  • attivare un dialogo costruttivo fra le Direzioni, che sugli organici soffrono di una tradizionale competizione

La prima fase del progetto si è svolta nel 2018/19 e lavorare per

 

ridurre le attività indirette (azioni promosse dalla DGREII)

  • Eliminare attività inutili
  • Eliminare duplicazioni
  • Smartworking e direzione per obiettivi
  • Digitalizzazione
  • Adozione di Intelligenza artificiale

 

ottimizzare attività dirette (azioni condivise con le Direzioni)

  • Valutazione efficacia e efficienza
  • Semplificazione e ottimizzazione processi
  • Potenziamento sistema professionale
  • Formazione

avviare misure di efficientamento

  • Reskilling: partecipazione, collaborazione ai cambiamenti, formazione
  • Razionalizzazione delle strutture organizzative
  • Rinuncia ad attività superflue
  • Completamento delle esternalizzazioni delle funzioni accessorie

 

Figura 4. Il progetto di analisi organizzativa ex DLG 75/217

 

f. E’ stato delineato Il sistema professionale della Regione E-R come sistema che svolge tre funzioni diverse e convergenti:

  • definisce la componente umana del sistema di erogazione dei servizi
  • rafforza le identità professionali ampie e non burocratiche delle persone e i modi di organizzazione del lavoro
  • definisce la base del sistema di gestione e sviluppo del personale
Figura 5. Il modello professionale adottato ( Butera)

Il sistema professionale è concepito per assicurare la coerenza tra il sistema dei ruoli, dei mestieri e delle professioni con le competenze/capacità presenti in Regione in modo da garantire un adeguato livello di copertura dei processi e delle funzioni presidiata e da prevedere il livello delle competenze tecnico specialistiche e organizzative necessarie e per lo sviluppo del personale.

Il modello di analisi e progettazione del sistema professionale si basa su tre cardini robusti e semplici.

  • Ruoli Agiti ovvero l’insieme dei
    • Processi di lavoro (attività e compiti) che si svolgono all’interno dei servizi
    • le Relazioni con altri ruoli, organizzazioni, persone e tecnologie
    • il raggiungimento di Performance (risultati misurabili e confrontabili nel tempo)
    • le Competenze (conoscenze e capacità)
  • Persona al Lavoro
    ossia la irripetibile storia di ognuno fatta di capacità e competenze professionali e umane, aspirazioni, personalità come fonte di qualità, miglioramento e innovazione per sé e la propria organizzazione (the workplace within)
  • il Mestiere e la professione
    ovvero la modalità visibile e riconosciuta con cui una persona esercita una serie di ruoli omologhi costituente, una “professione a banda larga, un “centro di gravità” permanente che conservi l’identità nella estrema varianza dei processi e delle competenze

 

Figura 6. Il modello di analisi e progettazione del lavoro (Butera e Di Guardo)

 

Il modello professionale prescelto dalla Regione Emilia-Romagna è in massima sintesi quello di passare da dipendenti a professionisti, che hanno una deontologia, si assumono responsabilità verso l’Istituzione e verso il pubblico e che sono sospinti da un continuo processo di miglioramento delle competente. Ed è con questo modello che le persone dell’Amministrazione hanno partecipato alla realizzazione del Patto per il Lavoro

 

g. Si decise di adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro e di smart working ispirandosi a organizzazioni pionieristiche come Tetrapak di Modena e Crédit Agricole di Parma.

Gli obiettivi del progetto seguito da Stefania Sparaco erano:

  • Aumento della produttività sia con crescita dei servizi erogati che con la crescita della loro qualità.
  • Razionalizzazione degli spazi senza inutili duplicazioni e ripensando all’utilizzo dei locali.
  • Miglioramento della conciliazione vita-lavoro con una maggior flessibilità oraria e la possibilità di utilizzo di spazi distribuiti sul territorio regionale.
  • Miglioramento dell’organizzazione del lavoro aumentando le competenze digitali, i modelli organizzativi collaborativi e l’orientamento al risultato più che all’orario di lavoro.

In concreto lo smart working consiste in questo caso in alcune regole organizzative come la presenza di una fascia di attività standard (7.30-19.30) dove il collaboratore, se connesso, è contattabile e di una fascia oraria di disconnessione (19.30-7.30). Saltano dunque in larga parte i vincoli temporali, fatte salve le tutele su un orario di lavoro massimo. Così come saltano i vincoli spaziali nelle giornate di smart working, dove si utilizzano “prioritariamente” gli spazi di coworking della Regione ma anche altri spazi come la propria abitazione e “occasionalmente” gli spazi aperti.

Per gli smart workers, temporanei o permanenti, il controllo visivo della presenza sparisce, quindi anche il badge. Il gruppo di dipendenti è valutato per obiettivi a breve termine (qui sta l’innovazione), oltre che gli obiettivi a lungo termine: e qui sta l’innovazione

Non si tratta solo di un diverso utilizzo dei tempi e dello spazio: si tratta di cambiare anche il contenuto di lavoro, the work itself. La base del progetto è un ripensamento organizzativo volto ad assegnare a ciascun collaboratore obiettivi chiari e indicatori misurabili da raggiungere così che si possa poi auto-organizzarsi nelle attività che concorrono al raggiungimento di questo obiettivo: in linea con il sistema di valutazione delle performance adottato dalla Regione di cui abbiamo parlato prima. Lo scenario finale è quello di passare da impiegati a professionisti, il punto di riferimento del nuovo sistema professionale da costruire. Questo è un profondo cambiamento nella concezione del lavoro, con implicazioni ancora da approfondire sulla formazione e sullo sviluppo professionale.

Questa progetto viene incontro anche profonde modifiche nella vita di lavoro dei dipendenti regionali dovuti al mutamento demografico. L’ età media dei dipendenti sensibilmente aumentata (55 anni), prospettive di pensionamenti improvvisi dovuti all’applicazione dei requisiti denominati “quota cento”. Non solo. Molti dei dipendenti sovraccaricati di attività risultano contemporaneamente sovraccaricati anche dalla dipendenza di un maggiore lavoro di cura, dovuto alla necessità di assistere anziani, figli e nipoti. Inoltre, l’aumento dell’età media è ovviamente correlata all’aumento della frequenza di assenze brevi (permessi, malattie brevi, ferie brevi)

L’Emilia-Romagna, pur avendo pienamente condiviso con il Sindacato questo approccio, lo ha trattato come una componente di un nuovo modello sociotecnico, non come materia di contrattazione e di welfare. Ha responsabilizzato i dirigenti a individuare teams che possono adottare questa misura per migliorare i processi e la qualità della vita di lavoro delle persone. Ha riconfigurato, l’architettura e gli approcci dei devices fisici, dei sistemi e dei servizi informatici, adottando una strategia di gestione nel cloud facilmente integrato con i principali tools per ogni dipendente. Come sono mutati gli investimenti in sicurezza informatica e comincia la realizzazione dei primi spazi di co-working all’interno dell’amministrazione.

Le prime analisi sperimentali mostrano che, ove lo Smart Working viene applicato, si registra un miglioramento del benessere organizzativo e della produttività, una significativa riduzione di assenze brevi (malattie comprese), l’autodisciplina dell’assenza dall’ufficio a poco più di un giorno a settimana

Questa innovazione ha infine permesso di ridurre le emissioni di CO2, decongestionando sensibilmente il traffico nelle ore di punta, soprattutto se altre organizzazioni adotteranno lo stesso approccio.

Infine sono state ridotte di oltre il 30% in tre anni le stampe e le copie nell’Ente

Ad oggi gli smart workers sono circa 500, per due terzi donne, prevalentemente quadri

 

h. Sono stati investiti oltre 1 milione e 200.000 euro per la formazione e valorizzazione del personale regionale, investimenti raggruppabili in due macro aggregati: l’aggiornamento necessario allo svolgimento ottimale dei compiti e delle funzioni e la formazione tesa a cambiare i paradigmi dei comportamenti organizzativi.

Tale approccio è stato rafforzato prevedendo bandi selettivi per l’assegnazione delle Posizioni Organizzative (PO: circa 500 persone nel 2016 su 1.500 quadri. Inoltre vi è stato un significativo ricambio da Dirigenti a PO e viceversa, sia permutazione fra la popolazione dei PO.

Un ruolo fondamentale ha avuto l’Academy, una idea condivisa con i Direttori Generali e con le Organizzazioni Sindacali prima che la Giunta prendesse la decisione finale La Giunta voleva una Academy diversa dalle due prevalenti offerte in materia di formazione in Italia: da una parte quella romana della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, molto tarata sulle amministrazioni centrali e forte principalmente nel campo del diritto amministrativo; dall’altra quella milanese della Bocconi, che proponeva percorsi di formazione per la PA molto centrati sul New Public Management. L’Academy della Regione Emilia-Romagna si proponeva invece  di costituire un unicum nella capacità di innovazione di Enti Territoriali che coniugano politiche di Welfare State e di sviluppo industriale, nonché offrono portafogli servizi molto differenziati. Infine, l’ ultimo obiettivo era quello di formare un community di dirigenti pubblici emiliano-romagnoli che realizzasse un osmosi di competenze fra la Regione e gli Enti Locali da una parte, e il privato eccellente sul territorio dall’altra, in ottica di open innovation.

In questa prospettiva è stata realizzata una gara per un Master di secondo livello biennale in Public Administration and Innovation aperta a cordate di università, con agganci Europei e internazionali a cui oggi partecipano 80 fra Dirigenti e PO. L’Academy ora offre stabilmente sette prodotti: oltre al Master biennale, anche sei master annuali di primo livello cui hanno partecipato 83 funzionari.

Quasi 150 invece sono gli addetti di categoria C che hanno partecipato, ogni anno, ad esperienze formative abilitanti.

Le aspettative, assieme al massiccio ingresso di nuovi quadri (circa 500), è che la cultura organizzativa cambi assai rapidamente.

i. Numerosi sono stati gli Investimenti di innovazione tecnologica che hanno dato impulso al processo di trasformazione digitale dell’Ente che oggi viene presidiato nel Centro di Competenza per la Transizione al Digitale. Tra le iniziative realizzate in questi anni si evidenziano in particolare: l’aggiornamento delle dotazioni assegnate a tutti i collaboratori; l’adozione di Office 365 per la produttività; la realizzazione della nuova Intranet con funzioni di Digital Workplace; la centralizzazione dei servizi di stampa; l’incremento dei servizi di funzionalità dello sportello del dipendente; il miglioramento dell’usabilità da dispositivi mobili con la nuova interfaccia; la possibilità di collegamenti in video o chat tramite Skype for Business e; una rinnovata organizzazione dell’assistenza utenti.

Sono state anche realizzate azioni finalizzate ad incrementare le competenze digitali di tutti collaboratori con interventi formativi e informativi mirati e l’individuazione di collaboratori con funzioni di Guida Digitale

Sono stati realizzati cruscotti direzionali per l’analisi di dati di rilevanza strategica per l’Ente (es. sui finanziamenti europei e per il controllo delle società partecipate) e sperimentazioni di analisi di Big Data e utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (per esempio realizzazione di un supporto automatizzato per l’URP e l’attività di protocollazione, che ha ridotto le attività burocratiche).

E’ stato assicurato il supporto all’avvio dell’Agenzia per il Lavoro che utilizza i gestionali dell’Ente.

La dematerializzazione ha prodotto notevoli risparmi che via via hanno finanziato le spese nei nuovi devices fisici.

Tale coerenza, unita ad una gestione in ticketing della assistenza, ha migliorato l’esperienza d’uso dei sistemi informativi da parte delle persone che lavorano, riducendo moltissimo le emergenze e le lamentele.

Per l’avvio dello smart working, di cui abbiamo parlato sono i stati realizzati i presupposti tecnologici oltre che organizzativi hanno ricevuto apprezzamenti e riconoscimenti a livello nazionale (Premio HR Innovation Award 2019 del Politecnico di Milano; premio speciale Innovazione per “Evoluzione metodologica” 2019 dell’Associazione Italiana Formatori e altri) nell’ambito del quale sono state create positive sinergie con altre Pubbliche Amministrazioni e un’intensa rete di relazioni e scambi.

Conclusioni: verso un nuovo paradigma di cambiamento della Pubblica Amministrazione

Il paradigma a cui questo progetto ha teso è quello di una “Amministrazione a rete eccellente orientata a garantire servizi”. Ossia un modello proiettato ai risultati e non alle procedure, che si allontana da una struttura burocratica per divenire un nodo di servizio e di animazione di reti pubbliche e private orientate all’innovazione, a creare valore aggiunto e a valorizzazione del lavoro. Una amministrazione tesa a ascoltare i bisogni dei cittadini e a fornire direttamente o mediatamente servizi di qualità, organizzativamente agile e flessibile; che costi meno e sia integra.

Il Patto per il lavoro è stato per l’Amministrazione un esempio di cambiamento mission driven  per riconfigurarsi sulla base di obiettivi di trasformazione sociale di lungo periodo oltre che fornire servizi eccellenti alle persone e alle imprese

 Bibliografia essenziale

Butera F. Organizzazione e società. Innovare le organizzazioni per l’Italia che vogliamo, Marsilio, 2020

Farnham, D; Horton, S; Barlow,J; Handeghem,A. (eds) New Public Managers in Europe. Public Servants in Transition, Macmillan, London, 1996

Mayntz, R. Soziologie der ojfentlichen Verwaltung, Miiller, Heidelberg, 1978

March, J.G., Olsen, J.P., Rediscovering institutions. The basis of politics, New York, The Free Press, 1989

Osborne, T., Gaebler, T., Reinventing Government, Reading Mass., Addison Wesley, 1992

Thoenig, J.C. and Dupuy F. Sociologie de l’administration française, Paris, A. Colin, 1983

Gore. A. The Gore’s Report on Reinventing Government, Three River Press, 1993

Kickert, W.J.M. and Klijn,E.H. Managing Complex Networks. Strategies for The Public Sector. Sage, London 1997

Rebora G.(a cura di) Il Change Management, Este, 2016

Rhodes, R.A.W. Understanding Governance. Policy Networks. Governance, Reflexivity and Accountability. Open University Press, Buckingam, 1997

Trist E., Murray H. (1993), The Social Engagement of Social Science, Vol. II, University of Pennsylvania Press, Philadelphia

 

 

[1] Una diversa versione è apparsa come prefazione al libro di  A, Bacci A., F. R. Frieri F. R., S. Sparaco Trasformazione Digitale & Smart Working nella Pubblica Amministrazione. Visioni e pratiche Maggioli, 2020 e in Federico Butera , Patrizio Bianchi  e Francesco Raphael Frieri , “ Emergenza e piani di sviluppo. Una occasione per cambiare la Pubblica Amministrazione”  in Sviluppo&Organizzazione, Maggio Giugno 2020

[3]

  • Patrizio Bianchi, Federico Butera, Giorgio De Michelis, Paolo Perulli, Francesco Seghezzi, Gianluca Scarano Coesione E Innovazione Il Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna Postfazione di Vincenzo Colla. Il Mulino  , 2020
  • Patrizio Bianchi, Federico Butera, Giorgio De Michelis, Paolo Perulli “I Patti per una diversa ripresa dopo l’emergenza: una proposta per il Paese ”in Astrid Rassegna maggio 2020
  • Patrizio Bianchi, Federico Butera, Giorgio De Michelis “Il Patto per il lavoro, un modello per ripartire”,in Il Mulino 4/20
  • Federico Butera , Patrizio Bianchi  e Francesco Raphael Frieri , “ Emergenza e piani di sviluppo. Una occasione per cambiare la Pubblica Amministrazione”  in Sviluppo&Organizzazione, Maggio Giugno 2020
  • Federico Butera, Patrizio Bianchi, Francesco Frieri “Come creare valore aggiunto e lavoro di qualità. Il patto per il lavoro e la pubblica amministrazione che cambia se stessa”  in Harvard Business Review Maggio 2020

[4] Federico Butera “Dallo smart working al lavoro ubiquo di qualità: un’opportunità per cambiare il lavoro e le organizzazioni”, in Harvard Business Review It.,  settembre 2020

[5] L’assistenza metodologica è stata assicurata da Federico Butera e Sebastiano Di Guardo della Fondazione Irso

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