Il coaching e la PA: un incrocio innovativo che produce cambiamento “diffuso”

Dall’assessment al coaching

Il progetto “Mappatura organizzativa e assessment” realizzato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM) dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione ha prodotto vari risultati, tra i quali ha particolare rilevanza la definizione e la realizzazione del piano di sviluppo delle competenze dei dirigenti che si sono resi disponibili per la definizione della job description e del job profile e hanno partecipato all’assessment centre. Il confronto tra le competenze necessarie presenti nei job profile e le competenze disponibili rilevate dagli assessment ha consentito di identificare il fabbisogno formativo e individuare più percorsi di sviluppo, sia individuali, sia collettivi.

Tra le numerose iniziative formative proposte, alcune sono “soggettivamente innovative” e fanno immaginare un cambiamento non marginale nei percorsi di sviluppo della PA. Iniziative “soggettivamente innovative” poiché si tratta di metodologie conosciute da parecchi anni e usate in modo a volte intenso nel mondo privato, ma mai apparse nel catalogo della SNA. Iniziative che sono pertanto nuove per la PA (perlomeno a livello centrale). Ci si riferisce, nello specifico, a tutti i corsi che hanno per oggetto le competenze manageriali e trasversali, altrimenti dette soft skills. La Scuola ha così progettato e messo a disposizione dei dirigenti di PCM corsi di empowerment, di negoziazione, di comunicazione, di gestione dei conflitti, di gestione dell’incertezza, di improvvisazione teatrale, ossia una proposta piuttosto suggestiva per possibili futuri metodologici della formazione nella PA. E – una volta lanciati – si è provato a suggerire anche percorsi di coaching!

La proposta complessiva è stata apprezzata, molti i partecipanti ai corsi e molto l’interesse (misto a curiosità) sul coaching. L’interesse e la curiosità si sono trasformati in domanda e, per la prima volta, è stato avviato un percorso di coaching per una popolazione ampia, complessa e sofisticata, ossia per circa 100 dirigenti (prima e seconda fascia e Capi Dipartimento) di PCM.

Vista la delicatezza del progetto, si è proceduto per gradi. In una prima fase, il coaching è stato proposto a un piccolo gruppo di dirigenti. La metodologia formativa era nuova, poco conosciuta e apparentemente intrusiva. Non era scontato avere la disponibilità e la partecipazione psicologica dei possibili candidati. La fase sperimentale – durata un paio di mesi – ha avuto successo, le persone si sono dichiarate soddisfatte, in alcuni casi, entusiaste, molti hanno chiesto di proseguire il percorso. E, soprattutto, nelle chiacchierate e nelle call si è diffusa una “buona stampa” intorno al percorso formativo. Da novembre è stato riavviato il progetto e altri 80 dirigenti – con sorpresa di tutti… – hanno chiesto di partecipare.

Questa larga accoglienza segnala un primo dato positivo che testimonia la volontà di mettersi in gioco e di sperimentare un approccio e una metodologia diversi dalla formazione tradizionale. Essa, inoltre, dimostra che l’aver impostato il piano di sviluppo personale sulla base degli esiti di un assessment gestito da professionisti di elevata qualità, con metodologie riconosciute a livello internazionale, è stato compreso e apprezzato, consentendo un livello di apertura che difficilmente avremmo avuto in condizioni diverse. La proposta di mettere a disposizione un professionista di valore e “certificato” per lavorare sui propri punti di forza e di debolezza – partendo da una rilevazione accurata del profilo di competenze e individuando le azioni e i comportamenti funzionali al potenziamento delle aree di miglioramento – ha avuto un’accoglienza molto positiva.

Possiamo affermare che i tempi del processo di analisi e diagnosi si sono allungati, ma l’atmosfera che si è creata, la professionalità messa in luce e la trasparenza dimostrata hanno permesso di procedere in modo più spedito e, soprattutto, di avere una disponibilità che non sarebbe stata possibile se si fosse seguito un iter differente.

Il coaching

La metodologia di coaching, già ampiamente diffusa e utilizzata nel mondo aziendale, si configura come una relazione collaborativa tra coach e coachee che si focalizza sullo sviluppo di potenzialità e sulla costruzione di nuovi livelli di efficacia e di crescita personale (Kilburg, 1996, Wales, 2003). Si tratta di sessioni one to one in cui sono affrontati in modo libero e aperto i temi di sviluppo condivisi all’avvio del percorso. L’obiettivo principale è il rafforzamento delle basi comportamentali del coachee per rendere più efficaci le relazioni interpersonali, l’organizzazione del tempo e la gestione dello stress, anche puntando al miglioramento del benessere psico-fisico. L’allineamento tra competenze agite, valori e obiettivi individuali della persona e quelli dell’organizzazione di appartenenza di regola produce una maggiore soddisfazione e un più forte senso di appartenenza che rende le relazioni con i collaboratori più agili e fluide. Anche gli eventuali e inevitabili conflitti sono visti come un’opportunità e un arricchimento personale grazie alla possibilità di giungere alla sintesi delle divergenze in un’ottica costruttiva. Inoltre, anche sulla base delle indicazioni che emergono dall’assessment, si lavora per valorizzare una o più specifiche competenze (la gestione dei collaboratori, l’intelligenza sociale, la comunicazione, ecc.) e per ridurre l’ansia e affrontare con maggiore consapevolezza un cambiamento, quale, ad esempio, il dover ricoprire un nuovo ruolo.

La relazione tra un coach e il suo coachee deve essere fondata sulla fiducia reciproca e sul rispetto personale e professionale: il coach aiuta il coachee nel raggiungere gli obiettivi desiderati e condivisi e nell’esplorare nuove prospettive rispetto a situazioni e/o persone, sperimentando nuovi approcci e rivedendo le abitudini non più funzionali. Questa ricerca implica una grande apertura psicologica e un rapporto di sostanziale fiducia tra i due: si creano le condizioni per l’apprendimento di nuovi modi di vivere il ruolo, nascono nuove consapevolezze sulla propria percezione e sulla propria interpretazione del mondo, emergono necessità di modifica del rapporto con colleghi, collaboratori, capi e l’organizzazione nel suo complesso, si palesa una diversa “narrazione” della propria vita professionale che permette di scoprire soluzioni inaspettate e di “uscire dalla scatola”.

Il coaching e il “cambiamento diffuso” nella PA

Il percorso di coaching che è stato avviato dalla SNA nel novembre 2020 vede coinvolti come coach 15 professionisti certificati; per ogni dirigente, è previsto un totale di 8 incontri della durata di circa un’ora, di cui un incontro finale di verifica del percorso in cui può essere coinvolto il superiore gerarchico.

Al fine di dare una sostanziale omogeneità dell’esperienza formativa nel suo complesso, al di là degli stili personali dei diversi professionisti coinvolti e dei percorsi caratterizzanti i vari binomi che si vengono a creare, è stata predisposta una rigorosa metodologia standard e sono state programmate riunioni periodiche di monitoraggio con tutti i coach coinvolti e con i responsabili scientifici della formazione della SNA.

Le reazioni sono positive e confermano che la metodologia è valida ed efficace. Si è registrato un diffuso clima di soddisfazione (anche qualche piccolo moto di entusiasmo…) e un’ampia partecipazione (ancor più apprezzabile se si considera la pressione che si vive in PCM). In generale, si sta riscontrando un elevato livello di serietà e di coinvolgimento: i dirigenti stanno dedicando l’impegno e la volontà necessari per partecipare con successo a un percorso così delicato, nonostante il peso della routine e delle emergenze continue. Il ritmo degli appuntamenti, l’impegno nel fissare obiettivi, la concentrazione nel definire i relativi piani d’azione dimostrano che la partecipazione al percorso è stata una scelta ferma e consapevole basata sulla motivazione intrinseca e sulla passione per il proprio lavoro, alleati preziosi che consentono di superare le fisiologiche resistenze al cambiamento, la fatica di “guardarsi dentro”, il rendere veri le modifiche comportamentali auspicate.

Gli esiti paiono rassicuranti rispetto a quelli che potevano essere i fattori sfidanti e le maggiori incognite per la riuscita dell’esperienza: da un lato, la normale resistenza a intraprendere un processo di formazione sconosciuto e tendenzialmente più “invasivo” e coinvolgente rispetto all’ascoltare un docente in un’aula; dall’altro, il fattore tempo, sicuramente impegnativo per il tipo di lavoro ad alto tasso di imprevedibilità e di urgenze all’interno di PCM.

Al di là dei facili entusiasmi, pare che sia davvero un passo importante per giungere a creare le condizioni per un cambiamento reale nella PA. In un mondo che vive di impegno e disponibilità personali, in un mondo che deve lottare tutti i giorni con le complicazioni della normativa, dei procedimenti, delle autorità di controllo, in un mondo in cui solo le persone posso riempire i vuoti o sopravvivere ai “troppi pieni”, vedere che una metodologia formativa soggettivamente innovativa come il coaching funziona, è presa sul serio, è fonte di reale apprendimento e di lento, ma costante cambiamento, fa ben sperare. E fa riflettere – più in generale – sulle metodologie di formazione e di change management. Potrebbe essere interessante studiare in modo scientifico i percorsi di cambiamento “people driven”, percorsi che partono dal cambiamento delle persone collocate in posizioni con elevato potere e che toccano in modo tutto sommato silente il funzionamento dell’intera organizzazione. Percorsi certamente lenti, ma – rispetto al tanto parlare di cambiamento della PA che si è fatto negli ultimi 40 anni – forse più efficaci.

Andando oltre, è utile provare a ragionare sull’incrocio tra coaching e job crafting per dare concretezza a una nuova strada di gestione del cambiamento. Il job crafting consente di interpretare il lavoro o, meglio, la posizione come un’entità modificabile e interpretabile, è il “ponte” tra posizione e ruolo. In generale, può essere inteso come “la possibilità da parte dei singoli di intervenire sul proprio lavoro, ridisegnando il contenuto dei compiti, intraprendendo o sviluppando relazioni interpersonali, rivedendo il modo in cui percepiscono il proprio lavoro” (Buonocore, Russo, Salvatore, 2019).

Coaching e job crafting potrebbero divenire un’accoppiata estremamente interessante per la conduzione di processi di trasformazione – soprattutto in organizzazioni loosely coupled o lasche – andando a sostituire grandi progetti di cambiamento con molti e piccoli percorsi individuali che vanno a rafforzare le competenze personali e a ridisegnare l’interpretazione dei ruoli. Coaching e job crafting potrebbero rappresentare la trama e l’ordito del “cambiamento diffuso”, del cambiamento che parte dalle persone e dal loro intervento sull’organizzazione tramite la crescita personale e il ridisegno dei ruoli e della loro interpretazione.

In sintesi, immaginiamo un’amministrazione che definisce le competenze rilevanti per la propria efficacia (le core competencies), che avvia un progetto di assessment dei propri dirigenti, che individua il gap tra competenze rilevanti e competenze disponibili, che investe in coaching per sia per rafforzare le aree di debolezza, sia per costruire e plasmare competenze di job crafting. Tale sequenza dovrebbe spingere e convincere le persone a interpretare il ruolo nelle tipiche modalità del job crafting. Il dirigente, ad esempio, può essere motivato a rendere il proprio lavoro più coerente con le propria personalità e dalle proprie competenze (come sviluppati nel coaching e, quindi, in linea con le esigenze dell’amministrazione), svolgendo il proprio ruolo “colorandolo” di valori a cui è particolarmente legato. Oppure, sulla base delle competenze di job crafting che acquisisce, avviando nuove attività non previste, ma utili, modificando attività che possono essere svolte diversamente, occupando spazi non previsti dall’organizzazione formale.

È appunto il cambiamento diffuso, stimolato e costruito dalle persone che occupano ruoli di potere secondo la trama (competence crafting e job crafting competencies) e l’ordito (job crafting).

Un processo di cambiamento così disegnato (se affidato a professionisti di qualità) consente di superare la logica cambiamento come un progetto complesso e “grande” (e costoso…), e di avviare un processo virtuoso imperniato sul continuo miglioramento delle persone e del loro modo di agire, disegnare e plasmare i ruoli (anche in base alle competenze giudicate strategiche), a vantaggio dell’intera organizzazione.

Bibliografia

Buonocore F., Russo M., Salvatore D. (2019), Fare Job crafting crea coinvolgimento e migliora le performance, Prospettive

Grant, A. M. (2007), Relational job design and the motivation to make a prosocial difference, Academy of Management Review

Kilburg (1996), R. “Toward a conceptual understanding and definition of executive coaching.” Consulting Psychology Journal

Rafaeli, A. (1989), When cashiers meet customers: An analysis of the role of supermarket cashiers, Academy of management Journal

Wales, S. (2003), “Why coaching?”, Journal of change management

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