Il conflitto di ruolo tra lavoro e famiglia: la risoluzione passa per i “Capi”

La teoria del conflitto di ruolo (“role conflict” Kahn et al., 1964) ha dominato la ricerca sul work-life balance per diversi decenni ed è ancora considerata una delle prospettive teoriche più importanti. L’assunto principale di questa teoria è semplice: considerando la miriade di ruoli che ricopriamo ogni giorno nella nostra vita – es. manager, partner, genitori, volontari nella comunità locale, mentore per i dipendenti più giovani, consiglieri di qualche associazione culturale o sportiva, e così via, –  c’è un’alta probabilità che alcuni di questi ruoli impongano impegni ed esigenze contrastanti tra loro. E’ probabile quindi che gli individui sperimentino crescenti tensioni e difficoltà nel tentativo di soddisfare le varie richieste di ogni ruolo. La forma più studiata di conflitto di ruolo è quella che riguarda il rapporto tra vita lavorativa e vita privata, il cosiddetto work-family conflict (Greenhaus & Beutell, 1985). L’esempio tradizionale (fin troppo enfatizzato) descritto in letteratura è quello di John che salta la partita di calcio o la recita di danza dei figli a causa di una riunione urgente convocato dal suo capo con scarso preavviso. La situazione è ancora più critica oggi a causa dell’ampia diffusione del lavoro a distanza causata dalla pandemia, poiché i confini tra lavoro e famiglia sono più fluidi, per cui i due ruoli si intersecano costantemente e spesso determinano ingerenze reciproche.

Ma cosa sappiamo del conflitto di ruolo nella letteratura sul work-family conflict? Decenni di ricerca sull’argomento hanno dimostrato che il conflitto lavoro-famiglia è dannoso, per i suoi impatti negativi sulla produttività dei singoli, sulla salute e sulle dinamiche di gestione familiare (Amstad et al., 2011). L’esperienza di un conflitto di ruolo tra lavoro e famiglia genera stress, assorbe energie fisiche e mentali, causando una perdita di attenzione, di energia e di altre risorse importanti per un individuo e la sua famiglia (ten Brummelhuis & Bakker, 2012). Sappiamo anche che il conflitto di ruolo è bidirezionale, con impegni di lavoro che possono interferire con le esigenze familiari ma anche con la famiglia che può interferire con le incombenze lavorative (Greenhaus & Beutell, 1985). L’esempio più diffuso di questa seconda forma di conflitto di ruolo (in effetti molto comune oggi) è quello di un bambino che compare in una videochiamata – o chiede attenzione e partecipazione immediata ad un suo gioco – inducendo il genitore a interrompere il suo intervento e a chiedere scusa agli altri colleghi. Sappiamo anche che il work-family conflict può manifestarsi in forme diverse, poiché il conflitto può scaturire da orari incompatibili tra le esigenze di lavoro e quelle familiari, punti di vista e valori diversi tra l’individuo e il resto dell’organizzazione e comportamenti contrastanti, per la necessità di assumere sul lavoro determinati comportamenti indipendentemente dalle condizioni personali (emotive o psicologiche) del singolo (come ad esempio una hostess che deve mostrarsi felice e gentile con i passeggeri anche se preoccupata per uno dei genitori affetti da Covid).

Ciò su cui i ricercatori hanno dedicato maggiore attenzione negli ultimi due decenni sono i fattori che possono contribuire a ridurre (tecnicamente a moderare) gli effetti del conflitto di ruolo, sia in ambito familiare che sul lavoro (Kelly et al., 2008). Nonostante i tratti della personalità possono far percepire ad un individuo tensioni anche quando la situazione di conflitto non è particolarmente grave (si veda il paper di Allen et al., 2012 per una review sulla relazione tra personalità e work-family conflict), si è dimostrato che il supporto sociale di cui gli individui possono beneficiare nei vari ruoli può avere una significativa influenza nell’esperienza di work-family conflict. I ricercatori hanno dimostrato che il supporto organizzativo genericamente offerto non fa realmente la differenza per un individuo, bensì è la forma specifica di sostegno per i problemi e le esigenze familiari da parte del dipendente che aiuta ad alleviare realmente il conflitto tra vita lavorativa e vita familiare (Kossek et al., 2011).

Family Supportive Supervisor Behavior

Gli studiosi concordano sul fatto che il supporto offerto dal proprio capo – definito in letteratura con l’espressione Family Supportive Supervisor Behaviors (FSSB) – sia la forma più rilevante di supporto che i dipendenti possono ricevere sul lavoro in termini di impatto sul proprio benessere e sul work-family conflict. Il concetto di FSSB è apparso per la prima volta nel lavoro di Hammer e colleghi (2009) anche se la sua origine può essere ricondotta al lavoro di Thomas e Gangster nel 1995. È stato dimostrato che FSSB ha quattro diverse componenti: (i) supporto strumentale; (ii) supporto emotivo; (iii) role modeling e (iv) interventi creativi per la gestione del work-family conflict che possono apportare benefici sia all’individuo che all’organizzazione. Il supporto strumentale si riferisce all’aiuto concreto che i capi possono dare ai collaboratori nella gestione del loro conflitto di ruolo – come l’accettazione di una richiesta di lavoro a distanza avanzata da un dipendente che desidera essere più presente nella vita dei bambini dopo un divorzio o dopo l’arrivo di un altro bimbo in famiglia.

Il supporto emotivo si riferisce alla capacità di un capo di mostrare interesse verso i dipendenti che comunicano di avere problemi di conciliazione lavoro-famiglia. Fornire supporto emotivo significa mostrare un genuino interesse per la vita personale dei propri collaboratori e creare un clima che li incoraggi a discutere del loro lavoro e delle loro esigenze personali senza timore di ripercussioni negative sulla loro carriera. Un ottimo esempio è la storia di David Ogilvy che al termine di una lunga giornata di lavoro si era fermato alla scrivania di Rochelle Lazarus, una neo assunta, ponendole domande sulla sua nuova esperienza lavorativa in agenzia ma anche sulle sue condizioni di futura mamma essendo lei in attesa (Goleman, 2001). Rochelle, ora presidente emerito della società Ogilvy & Mather, ha recentemente rivelato di aver preso la decisione di trascorrere tutta la sua carriera nell’agenzia grazie a quel pomeriggio e di essere riconoscente per il genuino interesse mostrato da David per la sua prima gravidanza.

Il role modeling si riferisce al comportamento del capo che facilita la gestione del work-life balance attraverso processi di imitazione sociale. Essere un modello per i propri collaboratori significa dialogare con essi e rivelare strategie e aneddoti personali nella gestione del lavoro e della vita privata, anche comunicando le difficoltà incontrate per bilanciare il proprio ruolo di manager e quello del genitore (sfatando il mito del manager supereroe in grado di affrontare tutto senza difficoltà).

Infine, gestire l’interazione vita-lavoro in modo creativo significa trovare soluzioni che possano creare valore sia per l’individuo che per l’organizzazione, come ad esempio accettare la richiesta di lavorare da remoto per motivi familiari e collaborare per migliorare le  condizioni del lavoratore, fornendogli le risorse di cui ha bisogno. La tabella di seguito riporta alcuni esempi sulle quattro dimensioni del FSSB.

Tabella 1: Definizioni ed esempi di comportamenti che rientrano nel concetto di Family Supportive Supervisor Behaviors

Supporto Strumentale

 

Aiutare materialmente il lavoratore a conciliare i suoi impegni lavorativi con quelli familiari.

 

Esempio

Facilitare l’adattamento di un expatriate in un nuovo paese, aiutando il partner a trovare un impiego e/o consigliando delle scuole per i figli

 

 

Supporto Emotivo

 

Creare le condizioni affinché un lavoratore si senta libero di poter dialogare liberamente dei propri problemi lavorativi e di quelli personali.

 

Esempio

Creare occasioni di confronto informali e/o incoraggiare un lavoratore a parlare senza remore della sua vita extra-lavorativa, dei suoi hobby ed interessi personali

 

Role Modeling

 

Diventare un modello da seguire nella gestione efficace della conciliazione tra vita lavorativa e vita privata, confutando il mito del manager super-eroe in grado di gestire tutto senza alcuna difficoltà.

 

Esempio

Condividere con i collaboratori le strategie utilizzate per gestire al meglio i vari impegni ma anche le difficoltà incontrate nella gestione del proprio ruolo manageriale e della propria famiglia.

Gestione creativa delle esigenze

 

Individuare delle soluzioni organizzative che permettano l’adozione di un approccio win-win ed un’efficace gestione degli impegni organizzativi nel rispetto degli impegni familiari

 

Esempio

Organizzare un meeting con un cliente importante in modalità ibrida, permettendo ad un collaboratore di collegarsi da remoto – per permettergli di restare a casa e badare al figlio malato – interagendo con un cliente fisicamente connesso dall’azienda.

 

La letteratura sul tema è esplosa negli ultimi anni con diversi studi incentrati sull’individuazione degli antecedenti, dei mediatori, dei moderatori e degli outcome associati al concetto di FSSB. La maggior parte di questi studi tende a concentrarsi sui dipendenti che ricevono il supporto dal capo (i.e., Russo et al., 2018) evidenziando che lavorare con un capo che fornisce specifico supporto famigliare può fare la differenza non solo nel ridurre il conflitto vita lavorativa–vita familiare, ma anche nell’aiutare i dipendenti a crescere e sviluppare ulteriori competenze sul lavoro. I lavori di Bagger e Li (2014) e Russo, Buonocore, Carmeli e Guo (2018) hanno dimostrato che non tutti i dipendenti sono interessati alla presenza di FSSB; solo quei dipendenti con un elevato bisogno di ricevere supporto ed assistenza (Russo et al., 2018) o che hanno una condizione oggettiva di bisogni assistenziali (Bagger & Li, 2014) reagiscono in modo positivo alla presenza di FSSB. Questo è importante poiché porre in essere tali comportamenti di supporto professionale e personale per i propri collaboratori non è facile e richiede un’attenzione e una formazione specifica da parte dei supervisor (Odle-Dusseau et al., 2016). Offrire tale supporto a coloro che ne hanno realmente bisogno può quindi contribuire a migliorare l’efficacia di tali comportamenti.

In termini di processo, gli studiosi concordano sul fatto che il sostegno del supervisore agisce come una risorsa che è disponibile sul lavoro. Le risorse possono essere personali o di contesto. Le risorse personali sono quelle che ciascuno trova in sé stesso, come la resilienza, l’ottimismo, l’autocontrollo; le risorse contestuali sono quelle che ciascuno ritrova nel proprio ambiente di riferimento, come ad esempio il network, i vari benefit aziendali ed il  supporto sociale fornito dai vari stakeholder. E’ stato dimostrato che lavorare con un capo che offre supporto familiare contribuisce ad accrescere le risorse contestuali a disposizione del singolo, probabilmente per la possibilità di beneficiare di aiuti concreti e consigli pratici per gestire il lavoro e gli impegni familiari. Ma lavorare con un capo che offre supporto libera anche risorse mentali permettendo a ciascuno di essere più disponibili psicologicamente ed impegnarsi con maggiore determinazione ed efficacia nei vari ruoli della propria vita (Russo & Carmeli, 2016). Questo accade perché è possibile lavorare in serenità senza che ci si preoccupi delle potenziali reazioni negative del capo alla richiesta di flessibilità da parte del sottoposto per sostenere la propria famiglia.

Quali sono le conseguenze per il supervisore?

Un’area importante per il futuro della ricerca sul tema riguarda le conseguenze che FSSB può avere non solo su coloro che ricevono FSSB ma anche sugli stessi capi che pongono in essere tali comportamenti. Come detto, offrire FSSB non è facile e può essere considerato come una sorta di comportamento aggiuntivo per un supervisore alle prese con tanti aspetti ed abilità che è necessario sviluppare per gestire i collaboratori. Negli Stati Uniti, un gruppo di ricercatori (Kossek e Hammer) ha creato un modello di training per rendere i supervisori più attenti nei confronti delle esigenze familiari dei collaboratori. Il programma di formazione si è dimostrato molto efficace ma richiede il pieno supporto sia da parte dell’azienda che desidera adottare questa formazione (cosa non facile) ma anche la partecipazione attiva dei tirocinanti che devono fare uno sforzo in più e mostrare grande disponibilità ad applicare quanto appreso. Recentemente, un gruppo di colleghi e studiosi di work-life balance (Shaun Pichler, Leslie Hammer, Marcello Russo e Andrew Yu) ha provato ad analizzare quali sono le conseguenze per i capi stessi quando mettono in atto tali comportamenti. L’origine di questo progetto di ricerca è scaturito dalla lettura ed utilizzo in classe del caso pubblicato su Harvard Business Review intitolato “The Nice Guy” (Edelman & Hiltabiddle, 2006). È la storia di Paul, un capo gentile e molto supportivo, che era in lizza per la posizione di CEO dell’azienda. Paul offriva molto supporto sociale ai suoi collaboratori che presentavano particolari esigenze familiari, come nel caso della sua assistente che aveva accumulato un ritardo importante nella consegna di alcuni progetti a causa di un problema di salute della madre a cui era stato diagnosticato un cancro. Paul non aveva giustamente penalizzato la sua assistente ed aveva deciso di completare il lavoro da solo. Questo particolare episodio è importante ed influenza notevolmente la reazione degli studenti nella risoluzione del caso che li pone davanti ad un importante dilemma. Paul potrebbe essere un buon CEO o sarebbe meglio promuovere George, il suo antagonista che è molto aggressivo e direttivo sul lavoro, e sembra essere più apprezzato da Larry che è l’attuale CEO e che spesso continua a discutere di lavoro con lui al pub mentre Paul preferisce tornare a casa per aiutare la moglie con i bambini. Tutti gli studenti reagiscono più o meno allo stesso modo. “Ci piacerebbe moltissimo avere Paul come capo e lavorare con lui ma…non siamo sicuri possa essere un buon amministratore delegato. Essere un CEO richiede un approccio più duro e rigoroso nei confronti delle scadenze e dei lavoratori che non portano a termine i loro compiti!!”. I pochissimi studenti che preferirebbero avere Paul come amministratore delegato, ritengono che ciò sia effettivamente possibile solo se Paul seguisse una formazione sulla leadership (in effetti non è una cosa rara per un Amministratore Delegato appena nominato alla sua prima esperienza nel ruolo).

Quindi un capo che mostra interesse e premura per i collaboratori che esprimono peculiari esigenze familiari sbaglia? La risposta non è semplice e richiederebbe ulteriori indagini. Dalla lettura di questo caso saremmo indotti a rispondere sì, ma in una ricerca che abbiamo condotto, attualmente in fase di revisione, si è rilevato che i supervisori sono spesso molto apprezzati e considerati più cordiali e competenti quando pongono in essere comportamenti di supporto verso la famiglia dei propri collaboratori. Questo è un risultato importante in quanto la percezione di “wamth” (cioè la percezione che una persona sia gradevole e tollerante) e “competence” (la percezione che una persona sia abile e sappia bene come ricoprire il proprio ruolo) sono due dimensioni fondamentali che conta molto nelle relazioni interpersonali (Fiske et al., 2002) determinando la formulazioni di giudizi nel lungo termine, sentimenti di simpatia e fiducia interpersonali. Gli esiti di questo studio sono significativi in quanto suggeriscono che mettere in atto comportamenti di supporto sociale nei confronti dei propri collaboratori è certamente positivo per il team, perché ne riduce le tensioni lavoro-famiglia e ne migliora il clima organizzativo, ma nel lungo periodo può avere effetti positivi anche per il capo che può essere considerato come un capo migliore e più affidabile con cui lavorare.

Implicazioni per il management

L’esperienza del lavoro agile durante il lungo periodo di lockdown imposto dalla pandemia contribuisce a valorizzare la ricerca sul tema del work life balance e dei comportamenti family supportive da parte dei capi, che può fornire una guida pratica per la gestione delle relazioni di lavoro flessibile che si diffonderanno dopo la crisi.

Il lavoro agile (o smart working) sarà sempre più spesso adottato dalle aziende che durante la pandemia hanno imparato ad apprezzarne i benefici, in termini di risparmio di costi di gestione degli spazi, di maggiori opportunità per attingere ad un mercato del lavoro globale, di maggiore motivazione da parte dei deipendenti, etc. L’attenzione all’equilibrio tra lavoro e vita privata diventerà quindi una necessità per i manager che hanno collaboratori che operano in smart working, sottoposti quindi a maggiori pressioni familiari e di cura domestica. Il presente contributo può fornire suggerimenti utili per riflettere sulle pratiche di gestione delle risorse umane per i lavoratori a distanza con esigenze familiari specifiche e per la progettazione di un programma di formazione ad hoc per i manager.

Bibliografia

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Bagger, J., & Li, A. (2014). How Does Supervisory Family Support Influence Employees’ Attitudes and Behaviors? A Social Exchange Perspective. Journal of Management, 40(4), 1123–1150.

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