L’età non è solo un numero. L’effetto dell’età soggettiva sul knowledge sharing nella PA

Attraverso i risultati di uno studio empirico su 407 dipendenti pubblici, viene presentato il concetto di età soggettiva e descritto il suo effetto sulla condivisione della conoscenza all’interno del settore pubblico. Vengono inoltre proposte modalità attraverso le quali il management pubblico può gestire l’età soggettiva favorendo così la condivisione della conoscenza.

L’invecchiamento della forza lavoro nella PA

Una delle principali sfide che la pubblica amministrazione italiana sta vivendo è quella dell’invecchiamento della sua forza lavoro. Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), l’età media è passata da 44 anni nel 2001 a 51 anni nel 2018, con punte massime di 54 e 53 anni come età media nelle Funzioni Centrali e Locali. A causa del blocco del turnover degli anni passati, infatti, circa il 12% degli impiegati pubblici ha 60 anni o oltre e solo il 3% ha meno di 30 anni. Inoltre, secondo le stime della ricerca annuale di FORUM PA 2019, l’effetto combinato di varie misure di riduzione della spesa degli ultimi anni tra cui i vari incentivi al pensionamento, comporterà, nell’arco dei prossimi 3-4 anni, il raggiungimento dei requisiti per l’uscita per circa 500mila dipendenti pubblici. Il 16% circa dei lavoratori senior della PA esperti in vari campi, dunque, lascerà la propria posizione lavorativa nei prossimi anni.

Trattenere la conoscenza critica che questi lavoratori hanno accumulato in molti anni di esperienza è un tema che il management della PA necessita di affrontare al più presto. La conoscenza rappresenta un attributo organizzativo piuttosto rilevante, basato spesso non solo sulle competenze ma sulla raccolta di esperienze, a cui si affianca una discreta padronanza delle procedure, routine e regole (Cyert & March, 1963; Huber, 1991; Levitt & March, 1988). In molti casi essa risiede in singoli individui riconosciuti come esperti su particolari questioni o argomenti. Pertanto, senza adeguate pratiche di knowledge sharing (KS), le organizzazioni pubbliche rischiano di disperdere questa conoscenza quando questi esperti lascieranno l’organizzazione.

Nonostante il tema della condivisione della conoscenza sia centrale all’interno di una PA alle prese con sfide di efficienza e innovazione, la ricerca su questo tema, e in particolare sulla relazione tra condivisione della conoscenza ed età, risulta essere piuttosto carente. Per colmare questo gap, abbiamo recentemente condotto uno studio dal titolo “The effect of subjective age on knowledge sharing in the public sector” (Lazazzara & Za, 2019) volto ad analizzare l’effetto dell’invecchiamento della forza lavoro, e più nello specifico dell’età soggettiva, sul KS nel settore pubblico. Soprattutto nel contesto pubblico, la particolare struttura demografica e le specificità organizzative del settore possono influenzare l’età soggettiva dei lavoratori, e cioè il sentirsi più giovani o più anziani di quanto lo si è anagraficamente, modificando di conseguenza il comportamento di KS. Si è riscontrato, infatti, che l’età cronologica risulta spesso in grado di spiegare solo una piccola componente dei fenomeni lavorativi sotto analisi e, pertanto, diversi studiosi hanno proposto di considerare costrutti alternativi all’età cronologica quando si studiano le dinamiche organizzative (Rudolph et al., 2019).

Il concetto di età soggettiva

La crescente attenzione al tema dell’invecchiamento della forza lavoro ha portato molti ricercatori a indagare gli effetti dell’età sul lavoro concentrandosi sull’età cronologica e utilizzandola come proxy per i significati associati all’età stessa, senza prendere in considerazione i vari concetti ad essa collegati né l’influenza del contesto in cui viene indagata la variabile età.

L’età soggettiva è comunemente definita come quanto più giovani o più anziani rispetto alla propria età anagrafica le persone percepiscono di essere. Nei vari contesti di vita gli individui possono sperimentare un’età che può essere maggiore, minore o uguale alla propria età cronologica e attribuire ad essa significati diversi ad essa. Le evidenze scientifiche dimostrano che quando le persone si sentono più giovani della loro età cronologica sperimentano un migliore stato di salute, vitalità e prestazioni lavorative. Ad esempio, un recente studio (Kunze et al., 2015) ha rilevato che le aziende in cui i dipendenti si sentono in media più giovani della loro età cronologica hanno un raggiungimento medio degli obiettivi individuali e prestazioni più elevate. Al contrario, i lavoratori possono sperimentare una maggiore tensione correlata al lavoro quando si sentono più vecchi della propria età. Inoltre, l’età soggettiva è fortemente influenzata dal contesto all’interno del quale si opera, in quanto eventi lavorativi positivi (ad esempio feedback positivi, avere buone relazioni sociali) riducono l’età soggettiva percepita mentre gli eventi lavoratavi negativi (ad esempio ricevere feedback negativi, lavorare con persone difficili) la aumentano (Goecke & Kunze, 2020).

Alcune teorie psicologiche sull’invecchiamento inoltre, come ad esempio la teoria della selettività socio-emozionale (Carstensen, 1993) o il modello SOC (Baltes & Baltes, 1990), sostengono che i comportamenti degli individui sono guidati da obiettivi diversi a seconda dell’età. Questi obiettivi si spostano dall’acquisizione di informazioni necessarie ad avere delle buone performance e possibilità di carriera verso una maggiore selettività nell’interazione con gli altri investendo maggiori risorse in obiettivi e attività emotivamente significativi, a discapito dell’interesse ad acquisire nuove conoscenze man mano che l’età avanza. Secondo queste teorie i cambiamenti degli obiettivi comportamentali sono associati a cambiamenti nel tempo percepito, poiché le persone consapevolmente e inconsciamente monitorano per quanto tempo vivranno. Pertanto, l’origine di questo cambiamento di obiettivo non è l’età in sé, ma piuttosto una percezione soggettiva del proprio orizzonte temporale che le porta a relazionarsi in maniera diversa col tema della conoscenza. Ne consegue che mentre i giovani sono tipicamente orientati alla crescita e all’acquisizione di risorse, le persone più anziane hanno un orientamento al mantenimento e alla riduzione delle perdite

L’influenza dell’età soggettiva sul knowledge sharing: lo studio

Facendo leva sulle due teorie psicologiche dell’invecchiamento sopra citate, lo studio empirico (Lazazzara & Za, 2019) analizza l’impatto dell’età soggettiva sul KS in un campione di 407 dipendenti pubblici impiegati in un ente locale (35%) e un’azienda speciale consortile partecipata che offre servizi alla persona (65%).

Con KS si intende il processo attraverso il quale la conoscenza detenuta dagli individui viene modellata in maniera tale che possa essere compresa, assorbita e utilizzata da altri individui. Questo richiede, da un lato, un processo di esternalizzazione da parte di chi detiene questa conoscenza e, dall’altro, un processo di internalizzazione da parte di chi la acquisisce. La conoscenza che viene resa disponibile agli altri membri dell’organizzazione può essere di tipo esplicito (“know-what”) o tacita (“know-how”). Mentre la condivisione di conoscenza esplicita mira a codificare e archiviare la conoscenza formale detenuta da alcune persone al fine di poterla riutilizzare secondo necessità, la condivisione di conoscenza tacita è difficilmente esplicitabile e solitamente basata sui contatti personali tra colleghi.

Oltre ad analizzare l’effetto dell’età soggettiva sulla condivisione della conoscenza esplicita e sulla conoscenza tacita, come riportato in figura 1 è stato analizzato anche il ruolo di alcuni fattori socio-organizzativi sulla relazione tra età soggettiva e KS. In particolare, a livello individuale è stata considerata l’attitudine al KS quale forma di motivazione intrinseca poiché, come sottolineato da Wang e Hou (Wang & Hou, 2015) gli individui possono autonomamente impegnarsi nel processo di KS in quanto ne traggono soddisfazione personale. A livello sociale, considerato anche lo specifico contesto demografico della PA, è stato considerato l’effetto dell’age similarity (la percezione che i colleghi abbiano un’età simile alla propria). Secondo la prospettiva della demografia relazionale, infatti, le persone che si percepiscono come simili agli altri membri del loro contesto lavorativo hanno atteggiamenti più positivi rispetto a coloro che sono demograficamente dissimili (Tsui & Gutek, 1999), e sono quindi più predisposti a condividere conoscenza. Infine, poiché la capacità di gestione della conoscenza varia a seconda del grado di centralizzazione e formalizzazione ed è meno efficace in un’organizzazione altamente strutturata (Pee & Kankanhalli, 2016), a livello organizzativo è stato considerato l’effetto del livello di formalizzazione distinguendo tra una PA pura (ente locale) e una ibrida (azienda speciale consortile partecipata).

 

Nel modello completo, in cui cioè vengono considerati gli effetti di tutte le variabili, l’età soggettiva influisce negativamente sia sulla condivisone di conoscenza tacita che esplicita. Questo vuol dire che quando le persone percepiscono di essere più anziane di quello che in realtà sono, tenderanno a condividere meno sia la conoscenza formalizzata che quella non formalizzata. Sebbene poi l’attitudine al KS abbia un effetto positivo sulla condivisione di entrambi i tipi di conoscenza, questo fattore, se presente, non riduce l’effetto negativo dell’età soggettiva sul KS.

Particolarmente interessante è l’effetto dell’age similarity. Quando i lavoratori nella PA percepiscono che i colleghi sono prevalentemente più anziani di loro, tendono a investire meno nella condivisione di conoscenza sia tacita che esplicita. Inoltre, quelli che percepiscono dissimilarità tra la propria età soggettiva e la composizione per età del contesto, ovvero chi ha un’età soggettiva elevata e percepisce i colleghi come prevalentemente più giovani, tenderà meno a condividere conoscenza tacita.

Infine, per quanto riguarda la struttura organizzativa, di per sé lavorare in una PA pura o ibrida non impatta sul comportamento di KS. Tuttavia, lavorare in una PA con un maggiore livello di formalizzazione, rinforza l’effetto negativo dell’età soggettiva sia sulla condivisione della conoscenza esplicita che tacita.

Le implicazioni per il management della PA

Questo studio dimostra che i lavoratori sono meno propensi a condividere conoscenza nel settore pubblico se percepiscono di essere più anziani di quello che sono realmente. Il risvolto della medaglia è che i dipendenti pubblici che si sentono più giovani investiranno più risorse nella condivisione della conoscenza. Inoltre, questo effetto sembra essere indipendente dalla personale attitudine alla condivisione, ma è invece influenzato dalla composizione del contesto in termini di età. Quando, infatti, un dipendente che si sente più anziano di quello che è percepisce di essere circondato da colleghi più giovani, sarà meno propenso a condividere la conoscenza tacita che si basa proprio sulle relazioni interpersonali e sul networking. Questa dinamica può essere collegata a meccanismi di fiducia nei confronti dell’organizzazione. Se, infatti, la conoscenza viene considerata come una fonte di potere, una persona che percepisce che l’organizzazione la sta discriminando a vantaggio di un collega più giovane sarà più restio a farsi coinvolgere in attività di KS. Inoltre, all’interno della PA non c’è di per sé una minore o maggiore condivisione della conoscenza sia tacita che esplicita, ma in presenza di una maggiore formalizzazione e centralizzazione il bisogno di condividere conoscenza di chi si sente più anziano della propria età diminuisce.

Quali sono le implicazioni per il management della PA che scaturiscono da questo studio? L’analisi dell’effetto dell’età soggettiva e delle altre variabili socio-organizzative considerate ha almeno quattro implicazioni pratiche per quanto riguarda la gestione della conoscenza e le pratiche di gestione delle risorse umane.

Il primo aspetto è legato al fatto che l’età cronologica è un elemento invariabile mentre l’età soggettiva è legata ad una percezione individuale che può essere modificata. Pertanto, intraprendere iniziative volte a diminuire l’età soggettiva percepita dalle persone può essere un buon punto di partenza per aumentare il KS. Considerando che l’età soggettiva è influenzata dalle esperienze che si fanno nel contesto in cui si opera, ricevere feedback positivi sul lavoro realizzato, un clima organizzativo positivo, investire sulla costruzione di relazioni sociali solide e operare nella direzione di diminuire il livello di stress può ridurre l’età soggettiva percepita. Da un lato questo vuol dire proporre degli interventi di formazione volti a prevenire atteggiamenti e comportamenti discriminatori basati sull’età e a ridurre gli stereotipi e i bias inconsci sulle caratteristiche negative associate all’avanzare dell’età. Ciò comporterebbe un miglioramento del clima organizzativo poiché l’organizzazione segnala in questo modo che l’età in sé non è un elemento di discriminazione. Dall’altro, la funzione del personale dovrebbe promuovere una cultura del benessere attraverso interventi di gestione e prevenzione dello stress come ad esempio flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro, offrire attività di formazione e sviluppo, comunicare efficacemente le decisioni e le strategie perseguite.

Il secondo aspetto, invece, è legato alla dimensione relazionale e, in particolare, quella intergenerazionale. Dallo studio emerge, infatti, una minore tendenza a condividere conoscenza se si percepisce il team di lavoro come “diverso”. Comprendere l’importanza della gestione e valorizzazione delle differenze generazionali all’interno delle pubbliche amministrazioni è un passaggio fondamentale per poter costruire un clima di fiducia tra generazioni apparentemente caratterizzate da obiettivi diversi. Da un lato ci sono i lavoratori senior che si sentono incapaci di apprendere le nuove modalità di lavoro che la digitalizzazione comporta e si percepiscono come marginalizzati ed esclusi dai processi di formazione. Dall’altro, l’inserimento di giovani molto formati e spesso alla prima esperienza nella PA in contesti con età media elevata a causa del blocco del turnover li porta a sentirsi minacciati a causa della mancata inclusione in attività strategiche e della scarsa condivisione della conoscenza da parte dei colleghi più esperti. Al fine di massimizzare il clima collaborativo all’interno di team diversi per età, favorire la convivenza e lo scambio generazionale permetterebbe di giungere ad una condivisione di stili di vita, valori lavorativi, concezioni della gerarchia che aumenta la fiducia tra le diverse generazioni. Programmi di formazione intergenerazionale come ad esempio il reverse mentoring o il coaching si stanno diffondendo molto e potrebbero aiutare ad esempio i giovani dirigenti di nuova nomina a familiarizzare con le caratteristiche e lo stile dei colleghi con più esperienza per favorire una collaborazione efficace.

Un terzo aspetto riguarda lo sviluppo di adeguate competenze di leadership inclusiva (Randel et al., 2018). La promozione di comportamenti nei leader volti a favorire la percezione di inclusione da parte dei propri collaboratori, facendo leva sia sul senso di appartenenza che sul senso di unicità, può avere numerosi effetti positivi sia nel riconoscere il valore aggiunto delle differenze all’interno e tra i gruppi che nell’identificare discriminazioni e bias strutturali (ad esempio pregiudizi verso l’età) cercando di eliminarli. Se si rendono i leader e i dipendenti consapevoli e responsabili dell’inclusione fornendo supporto e incentivi, si contribuisce a creare un ambiente accogliente in cui i bisogni dei membri del team sono soddisfatti e in cui si diffonde anche un chiaro segnale che ognuno conta e merita rispetto nell’organizzazione, evitando in questo modo che una percezione di iniquità possa generare minore KS. Inoltre, per ridurre la percezione di eccessiva formalizzazione e standardizzazione che, come abbiamo visto, influisce negativamente sul KS in presenza di un’età soggettiva elevata, è importate che nella formazione dei leader sia riconosciuta l’importanza dell’empowerment. Passare da una modalità di gestione basata sul controllo ad una basata sulla condivisione del potere a vari gradi con i collaboratori al fine di sviluppare il loro potenziale e consentire loro di lavorare al meglio delle proprie capacità potrebbe ridurre la percezione di essere in un contesto in cui non c’è margine per la discrezionalità e l’iniziativa e, di conseguenza, favorire il KS.

Infine, il quarto aspetto riguarda la progettazione di piattaforme digitali di supporto alla condivisione della conoscenza, noti come knowledge management system (KMS). Diversi studi hanno evidenziato come aspetti di supervisione e monitoraggio implementati come funzionalità di queste piattaforme possano rappresentare fattori in grado di incoraggiare la condivisione di conoscenza, formale ed informale, così come l’efficacia, la facilità d’uso dei KMS e la percezione della loro utilità (King & Marks, 2008; Za et al., 2014). Questo lavoro fornisce ulteriori aspetti da tenere in considerazione nell’ambito delle caratteristiche relazionali caratterizzanti il contesto organizzativo, al fine di progettare o adottare un KMS, aggiungendo l’influenza dell’età soggettiva a quella degli stereotipi legati all’età anagrafica nei processi decisionali (Lazazzara & Za, 2016). A tal proposito, gli attori coinvolti nella progettazione di sistemi di gestione della conoscenza nel settore pubblico possono fare affidamento sui risultati di questo studio al fine di prendere decisioni di progettazione più appropriate che possano favorire la condivisione di conoscenza tra dipendenti di età diverse operanti eventualmente anche in diverse strutture organizzative (Mosindi & Sice, 2011).

Bibliografia

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