Resto anch’io? Sì, io sì! La job embeddedness come fattore di retention, ma non solo…

Uno dei problemi principali nello HRM è trattenere le persone su cui si sono investiti notevoli sforzi nell’attività di recruiting, formazione e sviluppo. Solo recentemente l’ottica è stata spostata dal chiedersi ‘perché le persone se ne vanno’ a ‘perché le persone vogliono restare nell’organizzazione’. La job embeddedness è, appunto, l’insieme di forze che contribuiscono a legare una persona al proprio posto di lavoro.

Nello scenario competitivo contemporaneo, il capitale umano è considerato uno tra gli asset più importanti per le organizzazioni. In quest’ottica, perdere le proprie risorse umane, può avere diverse conseguenze negative, non solo in termini di elevati costi di turnover per la sostituzione degli usciti e la formazione dei nuovi entrati, ma anche di perdita del vantaggio competitivo. ‘Perché le persone non lasciano un’organizzazione, ma anzi ci vogliono restare e vi rimangono produttive e motivate? ’ è dunque una domanda interessante non solo dal punto di vista teorico, perché getta luce sui fattori di retention (Holtom e colleghi, 2008), ma anche per le implicazioni che può avere in termini di gestione del personale.

Indicazioni rilevanti sui motivi che spingono le persone a lasciare volontariamente le organizzazioni nelle quali lavorano derivano dai numerosi studi sul turnover (ad esempio quello di Griffeth, Hom & Gaertner, 2000), i quali, indagando le cause di abbandono volontario, hanno evidenziato i fattori che a diverso livello – macro (tasso di occupazione, alternative di lavoro disponibili), meso (ad esempio, organizational support e pratiche di HRM) e micro (motivi e attitudini personali, atteggiamenti verso il lavoro, ecc.) – influenzano sia l’intenzione di lasciare sia l’effettivo tasso di turnover negativo dei dipendenti (Michel & Allen, 2014). Tuttavia, già da più di un decennio, è stato messo in luce come i fattori che spiegano l’intenzione di lasciare e il turnover volontario non è detto siano “simmetrici” a quelli che spingono le persone a rimanere in un’organizzazione. In particolare, Mitchell e colleghi (2001), focalizzandosi non sul perché le persone cambiano lavoro, ma sul perché non lo cambiano, hanno introdotto il concetto di job embeddedness come determinante più significativa – rispetto a quelli più tradizionali come soddisfazione, commitment, identificazione organizzativa – dell’intenzione di rimanere nell’organizzazione nella quale già si lavora.

Che cos’è la job embeddedness?

Per job embeddedness si intende l’insieme di forze che contribuiscono a legare una persona al proprio posto di lavoro. In particolare, è possibile distinguere tra organizational embeddedness, cioè l’insieme di forze on-the-job che spiegano il radicamento di un individuo nell’organizzazione nella quale lavora, e community embeddedness, cioè l’insieme di fattori che legano una persona alla comunità in cui vive e lavora (Ng & Feldman, 2009). Entrambi i tipi di embeddedness sono composti da tre dimensioni: fit, links e sacrifice. La prima fa riferimento alla misura in cui l’organizzazione e la comunità sono coerenti con la persona. Operativamente, la dimensione fit può essere indagata chiedendo alle persone di esprimere, per esempio, quanto ritengono che l’organizzazione nella quale lavorano utilizzi al meglio le loro competenze, possieda valori coerenti con quelli personali, e consenta di raggiungere i propri traguardi professionali. Rispetto alla community embeddedness, c’è fit quando alle persone piace vivere a abitare nel luogo in cui lavorano, ad esempio perché ne apprezzano l’offerta culturale e le attività per il tempo libero. Per quanto riguarda i links (la seconda dimensione dell’embeddedness), quelli presenti nell’organizzazione possono essere indagati rilevando da quanto tempo una persona lavora nell’organizzazione, con quanti colleghi si relaziona abitualmente, e di quanti gruppi di lavoro fa parte. Per quanto riguarda la community embeddedness, possono essere invece indagate le reti familiari e amicali dell’individuo. La terza dimensione dell’embeddedness – quella del sacrifice – riguarda ciò a cui la persona dovrebbe rinunciare se decidesse di lasciare l’organizzazione o la comunità. Tale dimensione prende quindi in considerazione i costi, non solo economici, ma anche psicologici, associati all’abbandono di un posto di lavoro che, per esempio, offre una buona retribuzione, sicurezza d’impiego, e/o di una comunità nella quale ci si sente ‘a casa’, sicuri e rispettati.

Le conseguenze della job embeddedness

Questi concetti sono stati utilizzati in numerosi studi che hanno indagato le conseguenze della job embeddedness sul turnover volontario in differenti settori economici e in relazione a differenze culturali, demografiche e di genere. Nella maggior parte di tali studi, si giunge alla conclusione che all’aumentare dei livelli di job embeddedness, sia pure per effetto di combinazioni diverse tra livelli di fit, links e sacrifice, si riduce l’intenzione di lasciare l’organizzazione, si abbassa il turnover volontario e aumenta l’intenzione di restare nel posto di lavoro. Inoltre, l’organizational embeddedness, eventualmente moderata dalla community embeddedness, si è rivelata essere una variabile esplicativa dei livelli di performance individuale, sia in-role (task performance) che extra-role, risultando un predittore significativo di alcuni comportamenti di cittadinanza organizzativa come l’altruismo, la cortesia verso i colleghi e la diligenza, ma anche del passaparola spontaneo e positivo sull’organizzazione (si veda, ad esempio, Scapolan e colleghi, 2014). Ancora, è stato dimostrato anche che a livelli elevati di job embeddedness sono associati comportamenti orientati all’innovazione, come lo sviluppo e l’implementazione di idee nuove capaci di migliorare l’efficienza, la qualità, i prodotti, ma anche l’efficacia del lavoro di gruppo (Ng & Feldman, 2010a).  Infine, è stata esaminata anche la relazione tra embeddedness e motivazione, networking behavior e identificazione organizzativa, dimostrando che la community embeddedness, mediata dall’organizational embeddedness, spiega questi fenomeni.

Più recentemente, però, si è cercato di mettere in luce anche il “lato oscuro” della job embeddedness, indagando i potenziali effetti negativi di un elevato livello di radicamento delle persone. Ng e Feldman (2010b), ad esempio, hanno fornito evidenza empirica del fatto che i dipendenti più embedded nell’organizzazione attivano, col passare del tempo, sempre meno comportamenti orientati allo sviluppo del proprio capitale sociale (ad esempio, costruzione di relazioni con persone influenti nell’organizzazione o nella propria comunità professionale di riferimento) e a questo si associa anche una riduzione dei comportamenti finalizzati ad accrescere il proprio livello di capitale umano (partecipazione a corsi di formazione, visita a clienti o fornitori, ecc.). Il tutto contribuisce a offrire suggestioni sull’effetto negativo che un’elevata organizational embeddedness potrebbe esercitare sullo sviluppo della carriera individuale.

È in linea con questo approccio più critico anche il recente contributo di Soltis e colleghi ‘A social network perspective on turnover intentions: the role of distributive justice and social support’ pubblicato dalla prestigiosa rivista Human Resource Management nel 2013. Il lavoro approfondisce la dimensione links evidenziando come il legame tra le relazioni (formali e informali) esistenti in un luogo di lavoro e il turnover sia più complesso di quanto normalmente ipotizzato. In particolare, attraverso un’analisi delle reti sociali esistenti all’interno di un’organizzazione di professionals (e in particolare degli advice networks), gli autori mostrano come le persone che chiedono più frequentemente consiglio agli altri colleghi per lo svolgimento del proprio lavoro siano quelle con il più elevato livello di intenzione a restare nell’organizzazione. Al contrario, le persone che ricevono richieste di consigli da un numero maggiore di colleghi sono quelle con i più bassi livelli di intenzione a restare nell’organizzazione. Se è vero quanto suggerito dalla teoria del capitale sociale (Coleman, 1990), ovvero che le relazioni che si sviluppano tra i colleghi di un’organizzazione rappresentano un’importante risorsa sia per il singolo sia per il funzionamento dell’organizzazione stessa, allora non tutte le relazioni hanno la stessa importanza. Nel caso investigato, infatti, avere molti colleghi ai quali è possibile chiedere consigli di lavoro migliora la percezione che il singolo ha sul livello di supporto sociale di cui può disporre all’interno dell’organizzazione, aumentando di conseguenza il proprio livello di embeddedness. Al contrario, avere molte persone che chiedono consigli di lavoro riduce l’embeddedness in quanto le persone “più ricercate” percepiscono un senso di iniquità nel modo in cui vengono trattate dall’organizzazione. In altri termini, esse vedono come un eccessivo costo il tempo che devono spendere per soddisfare le richieste dei colleghi, in quanto ciò li distoglie dallo svolgimento delle proprie mansioni; soprattutto, poiché questo tempo non è remunerato, questi membri dell’organizzazione si sentono sotto-pagati rispetto al ruolo centrale che svolgono all’interno dell’organizzazione.

Lo studio offre interessanti implicazioni pratiche. Ad esempio, evidenzia l’importanza delle reti sociali informali, un aspetto troppo spesso ignorato dalle organizzazioni, le quali spesso tendono a focalizzare la propria attenzione soprattutto sugli importanti (ma non esaustivi) aspetti formali (organigrammi, procedure, ecc.). In questo senso, lo studio ribadisce l’importante ruolo che i sistemi di Knowledge Management possono svolgere all’interno delle organizzazione per facilitare la condivisione di informazioni e conoscenze. Lasciare questi importanti elementi solo alle attività dei singoli o a meccanismi informali di condivisione, infatti, può essere rischioso e soprattutto può avere anche conseguenze negative sull’equità percepita. Una soluzione potrebbe consistere nel presidiare questi aspetti attraverso la creazione di comunità di pratiche, di comitati e/o di gruppi di lavoro, oppure di piattaforme digitali ispirate alle nuove tecnologie Web 2.0, tutti strumenti che possono svolgere un ruolo importante nel ridurre il senso di iniquità percepito dalle persone a cui ci si rivolge più frequentemente per avere consigli e informazioni utili. Un altro modo per ovviare alla frustrazione legata a questo senso di iniquità potrebbe essere quello di riconoscere con opportuni incentivi (intrinseci o estrinseci) il ruolo svolto negli advice networks. Per fare ciò occorre però che le organizzazioni mostrino maggiore sensibilità al tema e si impegnino a investire tempo e risorse nella rilevazione delle reti sociali presenti al loro interno.

Conclusione: trattenere e innovare

La capacità di attrarre i talenti che possono portare valore aggiunto all’organizzazione è sicuramente una delle sfide più importanti per i manager delle risorse umane, soprattutto in uno scenario organizzativo sempre più complesso dove è critico riuscire a promuovere efficacemente il proprio brand sul mercato del lavoro. Tuttavia, come ci ricordano gli studi sul turnover, non è importante solamente attrarre, ma anche saper trattenere: ed è in questo senso che la job embeddedness gioca un primo ruolo fondamentale.

In questo articolo ci si è concentrati sulle dimensioni organizzative della job embeddedness, ma è possibile, in chiusura, accennare brevemente alla relazione tra organizational e community embeddedness. Come mostrato in alcuni degli studi citati, nelle ricerche sull’intenzione a rimanere in un’organizzazione è importante considerare entrambe le dimensioni. Infatti, oggigiorno la posizione di lavoro svolta in un’organizzazione viene percepita sempre più come un bundle di diverse dimensioni che non includono solo le mansioni e il contesto organizzativo, ma anche il contesto sociale più allargato in cui l’organizzazione opera, ovvero quello della comunità e del territorio. Per esempio, Steve Fogarty, employer branding & digital recruiting manager di Adidas, ha recentemente espresso la preoccupazione che i giovani designer attratti dal brand trovino un ambiente di loro gradimento nella storica sede di Herzogenaurach, vicino Norimberga (Thomasson, 2014). Il quartier generale dell’azienda, infatti, si trova nella campagna bavarese, territorio che viene percepito dai giovani creativi come “noioso” e non sufficientemente stimolante, nonostante gli sforzi nel dotare il nuovo campus aziendale di una serie di servizi (palestre, ristoranti, ecc.), e la presenza di amenities culturali e ambientali promosse dall’azienda stessa attraverso un apposito sito (http://herzo.adidas-group.com/). In quest’ottica, le caratteristiche del contesto come la varietà culturale, la sicurezza e l’offerta di servizi pubblici adeguati sono sempre più frequentemente una variabile critica nei processi decisionali in mondo del lavoro sempre più mobile ed esigente. Ciò pone nuove sfide alle organizzazioni e ai responsabili delle risorse umane, i quali per aumentare la capacità di retention della propria organizzazione devono presidiare un range di fattori molto ampio, che spesso travalica gli stessi confini aziendali.

Una seconda considerazione riguarda la rilevanza della job embeddedness per spiegare altre variabili organizzative diverse dall’intenzione di rimanere nell’organizzazione. Fit, links e sacrifice, infatti, possono essere determinanti significative di comportamenti legati alla condivisione e scambio di conoscenza, al clima organizzativo, e ad altri “mediatori” di importanti outcomes come la creatività e la predisposizione all’innovazione dei membri organizzativi. Qui sono ancora da esplorare alcuni aspetti quali, ad esempio, le condizioni in base alle quali il radicamento nell’organizzazione e nella comunità può favorire (quali tipi di) comportamenti creativi e innovativi, e le conseguenze che ciò ha per altri aspetti importanti per le organizzazioni (lo sviluppo di routine, la fiducia, ecc.).

Infine, esplorata la vasta gamma di effetti della job embeddedness sul funzionamento delle organizzazioni, l’attenzione dovrà essere spostata sulle condizioni e le determinanti di sviluppo di tale radicamento sviluppato dai membri organizzativi. In questo modo, le aziende potranno agire sulle leve a loro disposizione per creare o favorire lo sviluppo di job embeddedness, limitandone gli effetti negativi o le distorsioni come quelle emerse negli studi sugli advice networks.

Riferimenti bibliografici

Coleman, J. S. (1990). Foundations of social theory. Cambridge, MA: Harvard University Press.

Griffeth, R.W., P.W. Hom & S. Gaertner. (2000). “A Meta-analysis of Antecedents and Correlates of Employee Turnover: Update, Moderator Tests, and Research Implications for the Next Millennium.” Journal of Management, 26(3): 463−488.

Mitchell, T.R., B.C. Holtom, T.W. Lee, C.J. Sablynki & M. Erez. (2001). “Why People Stay: Using Job Embeddedness to Predict Voluntary Turnover.” Academy of Management Journal, 44(6): 1102−1121.

Ng T.W.H. & Feldman D.C. (2010a). The impact of job embeddedness on innovation-related behaviors. Human Resource Management, 49(6): 1067 – 1087.

Ng T.W.H. & Feldman D.C. (2010b). The effects of organizational embeddedness on development of social capital and human capital. Journal of Applied Psychology 95(4): 696–712.

Ng T.W.H. & Feldman D.C. (2009).   Occupational embeddedness and job performance.  Journal of Organizational Behavior. 30: 863-891.

Thomasson, E. (2014). Adidas Is Based In The Middle Of Nowhere, And That’s Becoming A Problem, Reuters, Sep. 28, 2014, 8:52 AM (contenuto online raggiunto tramite www.BusinessInsider.com).

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