Vendi, impara, vinci! Effetto esperienza nelle operazioni di disinvestimento

Dati recenti mostrano un progressivo aumento del ricorso a operazioni di disinvestimento come tassello di una più ampia strategia di semplificazione della struttura strategica. Il successo di queste operazioni dipende in larga misura dalla capacità delle imprese che vi ricorrono di attivare processi di apprendimento organizzativo. Il nostro articolo si basa su un contributo in fase di stampa che approfondisce la lettura in chiave di apprendimento organizzativo. In particolare, l’articolo evidenzia che il fattore esperienza può essere attivato in caso di operazioni ripetute nel tempo, ma che solo a determinate condizioni questo fattore si traduce in conoscenza organizzativa in grado di migliorare la performance delle operazioni di disinvestimento, e quindi della performance complessiva d’impresa.

Introduzione

In una recente ricerca condotta da Deloitte su 2.292 executive di aziende statunitensi sulle loro aspettative in termini di strategie di disinvestimento, è emerso che il 52% dei rispondenti si aspetti che la sua azienda realizzi un’operazione di disinvestimento nell’anno 2017. Questo dato è in netta crescita rispetto a quello corrispondente del 2014, quando solo il 31% rispose in egual modo. Più del 70% dei rispondenti individua nella presenza di asset non core una delle tre motivazioni principali che portano l’azienda ad optare per una strategia di disinvestimento. La percentuale dei rispondenti sale al 79%, individuando nel cambiamento degli ambiti competitivi il driver principale delle scelte di disinvestimento. Nell’industria del life-science risiedono le maggiori aspettative di disinvestimento per il 2017, anche alla luce della necessità di semplificare il portafoglio di business. Le evidenze empiriche dimostrano dunque come le scelte di disinvestimento rappresentino una delle principali strategie delle aziende per rinnovare il portafoglio di business e semplificare la struttura strategica (Brauer, 2006).

Tradizionalmente, le scelte strategiche alla base delle operazioni straordinarie, e in particolare delle operazioni di disinvestimento, sono spiegate attraverso consolidati framework teorici basati sulla teoria dell’agenzia, la teoria dei costi di transazione o la teoria del portafoglio. Questa tradizione accademica viene interrotta in un articolo di prossima pubblicazione (Brauer et al., in corso di pubblicazione) che applica la prospettiva dell’apprendimento organizzativo per spiegare le implicazioni delle decisioni di disinvestimento in termini di performance. In particolare, la teoria dell’apprendimento organizzativo consente di spiegare come le organizzazioni possano diventare più esperte nell’individuare le aree di inefficienza operativa e manageriale e di eliminarle nonostante la complessità delle operazioni di sell-off.

L’articolo che di seguito analizziamo è particolarmente interessante perché dimostra in maniera puntuale diverse ipotesi legate alle dinamiche di apprendimento attraverso uno studio empirico significativo. L’approccio utilizzato per analizzare i dati è di tipo longitudinale, in quanto le strategie di sell off incluse nel campione si riferiscono a 13 Paesi Europei e sono relative al periodo 1995-2009. Questa finestra temporale scelta si addice alle strategie di disinvestimento poiché riesce a catturare gli effetti di apprendimento legati all’esperienza accumulata nelle diverse fasi del ciclo di vita aziendale.

Le decisioni di disinvestimento

Le motivazioni che spingono un’impresa a disinvestire sono tradizionalmente legate a ragioni di tipo correttivo o proattivo (Peruffo et al. 2016). Le prime sono essenzialmente connesse alla volontà di rimediare a precedenti errori strategici, ridurre l’ampiezza della diversificazione per rifocalizzarsi sul core business, reagire all’incremento della pressione competitiva all’interno del settore, eliminare sinergie negative o superare criticità organizzative, spesso legate a problemi di governance. L’obiettivo del disinvestimento proattivo è invece quello di ristrutturare il portafoglio di business dell’impresa attraverso lo scorporo, il trasferimento o la cessione di business, per adattare la struttura strategica alle nuove opportunità di mercato. Questa riconfigurazione del portafoglio di business si pone l’obiettivo di disegnare forme più efficienti di governance dell’impresa nel suo complesso, migliorare performance e profittabilità, ridurre l’elevato livello di indebitamento, migliorare la capacità innovativa dell’impresa nonché il suo spirito imprenditoriale (per una analisi approfondita si veda Peruffo et al., 2013).

Le operazioni di disinvestimento

Nel 1976, Michael Porter propone una prima definizione di disinvestimento ed evidenzia una prima classificazione sulle barriere (all’uscita) che limitano il ricorso a tali scelte strategiche. A partire dal lavoro di Porter, la letteratura manageriale ha investigato le motivazioni che portano un’azienda a disinvestire. Più recentemente il focus dell’analisi si è spostato su asset intangibili, come la conoscenza. Proprio la conoscenza è riconosciuta in diversi filoni di ricerca come asset determinante del vantaggio competitivo. Appare dunque opportuno riconsiderare il ruolo del fattore conoscenza nelle operazioni di disinvestimento, sia richiamando la prospettiva knowledge retention (Argote et al., 2003) sia considerando le implicazioni in termini di apprendimento organizzativo. Da una parte, quindi l’apprendimento organizzativo nell’ambito di operazioni di disinvestimento consente di limitare l’impatto in termini di perdita di conoscenza favorendo piuttosto processi di knowledge retention. Da una seconda prospettiva l’apprendimento organizzativo va inteso come quelle caratteristiche e meccanismi organizzativi che consentono alle imprese di beneficiare di un effetto esperienza e di realizzare operazioni di disinvestimento più efficaci nel tempo.

Anche negli studi di strategia d’impresa, l’attenzione quindi si è spostata sulla capacità di trattenere conoscenza nelle operazioni di disinvestimento, per evitare rischi di dequalificazione delle risorse umane, o l’insorgenza di costi nascosti non previsti – sunk cost – e per beneficiare di processi di learning-by-doing.

Implicazioni strategiche e organizzative delle principali modalità di disinvestimento

La scelta della modalità di disinvestimento da intraprendere diventa il mezzo attraverso il quale si rende possibile il perseguimento di specifici obiettivi. In altri termini, ogni modalità di disinvestimento è in grado di determinare implicazioni strategiche differenti per i vari soggetti coinvolti (Peruffo, 2013), non consentendo quindi di considerarle come mezzi commutabili all’interno di uno specifico disegno strategico. Queste, infatti non appaiono diverse solo in termini strutturali, ma soprattutto per gli effetti che sono in grado di determinare sul valore dell’operazione stessa. Si comprende dunque come sia imprescindibile lo studio dei benefici dell’operazione da un’analisi attenta della scelta tra le diverse modalità. Eppure, solo recentemente, la letteratura manageriale ha iniziato ad interrogarsi sugli effetti associati a tale decisione, avendo in parte trascurato qualunque formale distinzione tra le diverse tipologie di operazione. Tutto ciò appare ancora più sorprendente se si considera che nella pratica le imprese tendono a programmare una strategia a doppio binario (Brauer, 2006) in cui la decisione di intraprendere l’operazione risulta contestuale a quella relativa alla modalità.

La relazione fra motivazioni alla base del disinvestimento e scelta della modalità è stata oggetto di analisi da parte degli studiosi di management, organizzazione e finanza. La scelta della modalità può essere spiegata da logiche finanziarie, organizzative o strategiche. Nel primo caso, la scelta è condizionata da motivazioni prettamente finanziarie, legate anche al trasferimento di ricchezza tra diverse categorie di stakeholder dell’impresa. Nel secondo caso, vengono considerate le relazioni che permangono tra casamadre (parent) e sussidiaria (unit). Nel terzo caso, la scelta della modalità di disinvestimento è interpretata alla luce degli obiettivi strategici che si prepone.

L’esecuzione di processi di disinvestimento sono spesso descritti come processi molto complessi e che implicano diverse fasi (Brauer, 2006), principalmente: identificazione degli asset; transazione relativa agli asset; separazione e riallocazione degli asset. Le prime due sono relative alle attività di chiusura e firma dell’accordo di disinvestimento, mentre le seconde sono relative alla fase successiva dell’accordo.

La prima fase è dedicata alla scelta degli asset che saranno oggetto dell’operazione. In questa fase, la sfida manageriale è quella di individuare le ragioni di inefficienza degli asset. In particolare, diventa particolarmente importante capire quali possano essere gli effetti dell’allontanamento degli asset da quelli che rimarranno all’interno dell’organizzazione.

La seconda fase si riferisce alla transazione degli asset e a tutte le operazioni di ricerca e selezione di potenziali clienti, la valutazione finanziaria degli asset e i relativi elementi di contrattazione che ne possono scaturire. In questa fase, le imprese possono beneficiare maggiormente dell’esperienza di consulenti esterni che hanno anche maggiore familiarità con gli standard di valutazione, multipli medi del settore e altri aspetti legali del processo di disinvestimento.

La terza fase è relativa allo scorporo degli asset e a tutte le attività di separazione dalle altre risorse che ne derivano. Nello specifico lo scorporo può riguardare la divisione di risorse condivise (brevetti) tra unità e pertanto è anche la fase che coinvolge il management a diversi livelli.

La fase finale del processo di disinvestimento riguarda la riallocazione delle risorse che si occupano del rinvestimento delle risorse rese disponibili e dell’impiego di nuove risorse derivanti dalla vendita.

In ciascuna di queste fasi si possono identificare opportunità di determinare meccanismi di apprendimento organizzativo, come descritto di seguito.

Disinvestimento e conoscenza

Apprendimento organizzativo

Il concetto di capacità di assorbimento (absorptive capacity – Cohen e Levintal, 1990), che attiene alla capacità di acquisire nuova conoscenza e applicarla velocemente all’interno dell’impresa così come di avere accesso a conoscenza esterna e ricombinarla con quella già detenuta internamente, è stato applicato a decisioni di esternalizzazione di processi (Giustiniano et al., 2015; Lane e Lubatkin, 1998), o in generale a ristrutturazioni (Bergh e Lim, 2008). La visione associata sullo sfruttamento della capacità di assorbimento si fonda sull’idea che l’apprendimento è cumulativo e che le sue performance aumentano quando l’obiettivo dell’apprendimento è legato a ciò che si conosce. Questa visione implica altresì che l’impresa è in grado di sfruttare le informazioni acquisite e il relativo processo di apprendimento. Ne consegue che la capacità di assorbimento è influenzata dal livello di conoscenza pregressa, la ripetizione e l’esposizione ad eventi simili (e.g. Zahra e George, 2002).

Nelle decisioni di disinvestimento, l’esperienza è una determinante della scelta tra spin off e sell off, con effetti sulla profittabilità dell’impresa (Bergh e Lim, 2008). L’esperienza legata a precedenti transazioni ha un impatto diverso, nel caso di sell off e di spin off. Nel primo caso, c’è un effetto positivo. Nello specifico, all’aumentare del numero di sell off, cresce la probabilità di ricorrere nuovamente al sell off come scelta strategica. In tal senso, i maggiori benefici possono essere ricondotti al sell off rispetto allo spin off per diversi motivi. Il sell off è, in effetti, una transazione caratterizzata da una maggiore complessità perché coinvolge diversi attori, spesso esterni all’impresa e si compone di diverse fasi. Questa maggiore complessità favorisce i benefici derivanti dal ripetersi delle azioni. L’effetto benefico dell’esperienza non si riflette soltanto in una maggiore propensione a replicare le medesime scelte strategiche, ma ha un effetto positivo sulla performance finanziaria dell’impresa (Bergh e Lim, 2008).

Per le operazioni di spin off, gli stessi autori hanno verificato un effetto positivo dell’esperienza precedente, ma circoscritto alle transazioni più ravvicinate. Questi dati sono compatibili con un apprendimento di breve termine, legato a scelte organizzative improvvisate. Gli spin off, infatti, ricorrono meno frequentemente rispetto ai sell off, coinvolgono attività già note all’interno dell’organizzazione e spesso sono gestite dal management proveniente dall’azienda madre. Anche in questo caso il processo di apprendimento ha effetto sulla performance dell’azienda madre. Infatti, mentre gli spin off recenti hanno un impatto positivo sulla decisione di ricorrere ad altri spin off con effetti incrementali sulla capacità di creazione del valore, le esperienze di spin off più lontane nel tempo hanno un impatto negativo sulla performance. Una visione dinamica del processo di disinvestimento diventa sempre più rilevante per spiegarne non solo la decisione, ma anche la modalità di implementazione.

Opportunità di apprendimento nei processi di disinvestimento

L’articolo mette in evidenza l’impatto dell’esperienza a diversi livelli e le diverse dinamiche di apprendimento che si possono attivare attraverso l’accumulazione di esperienza di disinvestimento.

  1. Apprendimento basato sull’esperienza. La capacità delle imprese di imparare a gestire operazioni di disinvestimemto si traduce in una maggiore efficienza nel selezionare ed eliminare le inefficienze interne e gestire la complessità delle operazioni di disinvestimento. La teoria dell’apprendimento organizzativo suggerisce che i decisori possono acquisire tale competenza attraverso l’apprendimento autonomo (autonomous learning, Dutton and Thomas, 1984), l’apprendimento di primo livello (first order learning, Adler and Clark, 1991), o il learning by doing (Zollo and Winter, 2002). Quindi, l’apprendimento è generato dalla conoscenza che si sviluppa grazie alla ripetizione di azioni da parte degli agenti organizzativi. Nel caso di operazioni di disinvestimento, questo si traduce nella ripetizione dei compiti necessari a completare le fasi descritte nel paragrafo precedente, e quindi l’identificazione dei target da disinvestire, la valutazione degli asset, la negoziazione dei termini contrattuali, lo spacchettamento (unbundling) delle risorse. In generale, i managers acquisiscono la conoscenza necessaria per generare procedure efficaci, per evitare procedure inutili e dunque migliorare l’intero processo. Tuttavia, si potrebbero verificare situazioni di eccessiva sicurezza, man mano che accrescono la conoscenza e le competenze. Poiché tali operazioni, come si è già detto, sono caratterizzate da complessità elevata a più livelli, si corre il rischio che l’accumulo di conoscenza porti i manager a sottovalutare l’operazione stessa e la necessità di mantenere una adeguata comunicazione a tutti i livelli.
  1. Apprendimento superstizioso. Gli autori mettono in evidenza come in generale nelle operazioni straordinarie, come acquisizioni o alleanze, l’apprendimento esperienziale vada qualificato ulteriormente. Infatti, perché si generi un effetto esperienza, i decisori devono saper individuare il nesso di causalità fra decisioni strategiche o le azioni intraprese e gli effetti in termini di performance ottenuti (Zollo e Winter, 2002). Secondo gli autori dell’articolo che stiamo esaminando, potrebbero emergere fenomeni di apprendimento superstizioso, ovvero casi in cui l’esperienza soggettiva di apprendimento sia apprezzabile ma i nessi causali fra azioni e conseguenze risultino difficili da identificare (Levitt e March 1988). Nell’articolo si evidenzia che l’esperienza accumulata potrebbe generare effetti anche negativi qualora non sia possibile identificare correttamente il nesso di causalità fra decisioni, azioni intraprese e performance. Questa identificazione è particolarmente problematica quando le operazioni di disinvestimento vengono condotte in settori eterogenei mentre risulta più semplice se ad essere disinvestite sono attività relative al proprio core business. In generale, la teoria delle curve di apprendimento propone che l’apprendimento organizzativo sia influenzato positivamente dall’esperienza cumulata. L’articolo identifica in modo più puntuale questo tipo di relazione, investigando in modo più puntuale la composizione dell’esperienza cumulata di un’impresa abbia una sostanziale capacità di attivare processi di apprendimento positivi. L’effetto di moderazione che l’esperienza pregressa può avere sui risultati delle operazioni di disinvestimento dipende in larga misura dalla tipologia e composizione di tale esperienza pregressa. Una generale eterogeneità dell’esperienza accumulata attraverso disinvestimenti in settori diversi fra di loro, piuttosto che generare effetti postivi, attiva processi di ambiguità casuale e addirittura possono generare effetti di apprendimento negativo.

 

  1. Apprendimento interorganizzativo e vicario. Gli autori mettono altresì in luce che l’effetto apprendimento non dipende soltanto dall’esperienza accumulata internamente, ma è importante considerare anche fonti esterne di conoscenza. In particolare, le imprese che non detengano una sufficiente base di conoscenze spesso si rivolgono a esperti e consulenti esterni, oppure osservano i comportamenti di altre imprese. Gli autori dimostrano che il ricorso a consulenti esterni nella gestione di transazioni di sell-off riescono ad accumulare esperienza in maniera più efficace e aumentare la propria capacità di assorbimento. Questo avviene in virtù di un duplice meccanismo virtuoso: a) i consulenti esterni detengono una conoscenza specialistica, che viene riattivata di volta in volta con i diversi clienti, e possono attingere ad un network ampio di conoscenza; b) le fonti di conoscenza esterna facilitano l’apprendimento organizzativo attraverso meccanismi di esplicitazione della conoscenza, come codifiche e definizione di linee guida di supporto alle diverse fasi del processo di disinvestimento.

Implicazioni manageriali

L’articolo fornisce interessanti indicazioni per le imprese che decidono di attuare operazioni di disinvestimento, con riferimento alle modalità con cui si possono attivare modalità di sfruttamento dell’esperienza cumulata internamente o disponibile tramite fonti esterne. Le operazioni di disinvestimento si confermano strumenti capaci di migliorare la performance delle imprese, ma questo studio chiarisce che la magnitudo di tali miglioramenti dipende in gran parte dalla composizione specifica dell’esperienza cumulata dall’impresa in tema di disinvestimento. Questo suggerisce che i manager impegnati in diverse operazioni di disinvestimento dovrebbero mantenere un generale atteggiamento di cautela nel derivare indicazioni che emergono dalle passate transazioni come riferimenti per le operazioni future. Infatti, transazioni passate che siano troppo dissimili in termini di settore di riferimento da quelle future potrebbero portare a scorrette interpretazione da parte dei manager. Piuttosto, sarebbe utile implementare meccanismi, come ad esempio sistemi informativi o manuali delle transazioni, in grado di codificare e immagazzinare opportunamente la conoscenza derivante da passate operazioni di disinvestimento. Questo tipo di conoscenza può essere adeguatamente richiamata e consultata nelle operazioni che dovessero essere concluse in seguito. Di converso, quando le operazioni di disinvestimento risultano essere simili in termini di asset disinvestiti, gli effetti apprendimento sono particolarmente efficaci nel determinare performance positive.

Inoltre, l’articolo suggerisce ai manager di considerare attentamente fonti esterne di conoscenza che possono impattare sulla performance delle operazioni di disinvestimento. In particolare, è opportuno da un lato tenere costantemente sotto osservazione il comportamento delle imprese concorrenti in termini di strategie di disinvestimento, e dall’altro lato consultare esperti e consulenti esterni.

Infine, le imprese dovrebbero definire sistemi di gestione della conoscenza formali e contemporaneamente creare un clima organizzativo che aiuti a ridurre le sensazioni di ambiguità e ansia che si possono generare nei lavoratori. Questo è legato anche al livello di complessità delle operazioni di disinvestimento. Tale complessità rende difficoltosi i processi di apprendimento organizzativo e può generare paradossi nell’organizzazione (Cunha et al., 2016). A loro volta, i paradossi organizzativi possono trasformare le intenzioni positive dei manager in circoli viziosi che non sono solo poco comprensibili ma anche difficili da sradicare.

Bibliografia

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