Creatività e innovazione: due facce della stessa medaglia?

La spinta all’innovazione comporta per le organizzazioni la necessità di affrontare molte sfide e ostacoli per far si che i processi d’innovazione diventino processi di cambiamento morbidi ed equilibrati.

Introduzione

Negli ultimi anni si è rafforzata l’idea che l’innovazione e la creatività siano fattori determinanti per l’efficacia e la sopravvivenza delle organizzazioni. I sistemi economici dei grandi paesi stimolano le organizzazioni affinché mettano in atto comportamenti innovativi per far fronte alle sfide emergenti della globalizzazione, cercando di migliorare i propri metodi e sistemi produttivi e cercando di creare sempre nuovi e migliori prodotti e servizi.

Ma qual è la natura della relazione tra creatività e innovazione? Esistono fattori di contesto che influenzano il processo di traduzione di idee innovative (creatività) in nuovi prodotti o in nuovi servizi (innovazione)? Quali sono le implicazioni manageriali ed organizzative?

Un processo di innovazione è costituito da due attività principali: la creatività e l’innovazione. La creatività comporta la generazione di nuove e utili idee, mentre l’innovazione comporta l’implementazione di queste idee in nuovi prodotti e processi. Questa sequenza sembra logica e abbastanza evidente. Tuttavia, a ben vedere, la spinta all’innovazione comporta per le organizzazioni la necessità di affrontare molte sfide e ostacoli per far si che i processi d’innovazione diventino processi di cambiamento morbidi ed equilibrati.

In un recente studio (Sarooghi, Libaers, Burkemper, 2015), si evidenzia che la correlazione tra la creatività e l’innovazione varia in modo significativo in funzione di importanti variabili organizzative che coinvolgono la cultura, il livello dell’attore ed il contesto istituzionale ed ambientale. In considerazione di ciò, la vera sfida, sul piano manageriale si traduce nell’implementazione di un piano di cambiamento coerente e sostenibile.

Creatività e innovazione

In un contesto socio-economico come quello attuale, caratterizzato da forti cambiamenti di tipo sociale, politico e economico, un fattore ormai indispensabile per le organizzazioni è certamente la capacità di rispondere in maniera proattiva ai cambiamenti e, conseguentemente, essere agenti di cambiamento e innovazione. In tale contesto, anche la ricerca scientifica ha prodotto moltissimi contributi in risposta alla crescente enfasi posta sulla creatività e l’innovazione. (Amabile et al., 1996; Baer, 2012), (Van de Ven, 1986), (Amabile, 1996; West, 2002), (Rosing et al., 2011), (Axtell et al., 2000).

Dall’analisi della letteratura sull’innovazione si evidenziano tradizionalmente due diversi approcci di ricerca (King, 1990): un approccio che si pone come obiettivo lo studio del processo d’innovazione e un approccio che si focalizza, invece, sullo studio dei fattori antecedenti del comportamento innovativo al lavoro. Relativamente a entrambi questi approcci la ricerca sull’innovazione ha prodotto un consistente corpus di risultati e di modelli teorici (Nijstad & De Dreu, 2002) facendo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni una delle discipline principali nel panorama degli studi sull’innovazione. Infatti, vari sono i modelli proposti per descrivere le fasi principali del processo di generazione e di implementazione delle innovazioni a livello individuale, di gruppo e organizzativo (Damanpour & Gopalakrishnan, 2001; Rogers, 1983; West, 1990, 2002), inoltre, la ricerca ha permesso di identificare un sufficientemente ampio numero di fattori antecedenti l’innovazione ai diversi livelli, come attesta lo studio meta-analitico di Anderson e colleghi (Anderson, De Dreu & Nijstard, 2004).

La creatività è il seme di tutte le innovazioni. La creazione di nuovi prodotti, nuovi servizi o nuove pratiche commerciali inizia con una persona o un gruppo che pensano ad una buona idea, e la sviluppano al di là del suo stato iniziale (Amabile et al, 1996;. Baer, 2012). La conversione di idee creative in nuovi prodotti e processi reali è stata a lungo considerata una sfida centrale nella gestione dell’innovazione (Van de Ven, 1986) e nella creazione di nuove imprese (Drucker, 1998). Tuttavia, il legame tra l’attività creativa e di merita un esame più. La letteratura definisce la creatività come la generazione di nuove e utili idee (Amabile, 1996; West, 2002). Al contrario, l’innovazione si distingue dalla creatività in relazione alle implicazioni organizzative dell’implementazione (Rosing et al., 2011).

Ciò che rende così complessa la conversione di idee creative in offerte innovative è il fatto che la creatività e l’innovazione non necessariamente, anzi quasi mai, procedono in modo lineare (Anderson et al., 2004). Il motivo per cui la correlazione tra la creatività e l’innovazione è inferiore a uno può essere spiegato con il fatto che la generazione di nuove e utili idee e la loro attuazione è caratterizzata da tensioni (Lewis et al., 2002), paradossi (Miron et al., 2004), e dilemmi (Benner e Tushman, 2003). Per esempio, la generazione di idee richiede sperimentazione, sconvolge routine, sfida ipotesi comuni (Rosing et al., 2011), ed è strettamente associata con attività esplorative (March, 1991). Al contrario, l’implementazione dell’idea richiede un processo orientato all’efficienza e all’obiettivo (March 1991). Altri sostengono che la novità e l’utilità, due attributi qualificanti la creatività, difficilmente hanno una correlazione positiva molto spesso, infatti sono inversamente correlate (Rietzschel et al., 2009). Tanto più un’idea è considerata innovativa tante più domande vengono sollevate circa la sua praticabilità, riproducibilità ed affidabilità (Amabile, 1996), aumentando così l’incertezza per i decisori che investono nei processi organizzativi finalizzati all’attuazione di idee creative (Baer, 2012). L’incertezza è generalmente qualcosa di indesiderabile che le persone cercano di evitare. In altri termini, vi è una tendenza intrinseca contro le idee creative che possono soffocare la loro successiva attuazione (Mueller et al., 2012).

Per tutte queste ragioni, il legame tra creatività e innovazione potrebbe non essere così scontato e forte come suggeriscono le ricerche precedenti (Axtell et al, 2000; Axtell et al, 2006; Clegg et al, 2002; Frese et al., 1999). Se da un lato hanno significativamente fatto progredire la nostra comprensione di come le idee creative si trasformano in innovazioni, dall’altro, non è chiaro quanto alta sia in realtà la correlazione tra questi due fenomeni.

Evidentemente esistono altri fattori che mitigano e condizionano l’efficacia dei processi d’innovazione che dobbiamo ricercare nel contesto organizzativo di riferimento.

Sarooghi, Libaers, Burkemper (2015) evidenziano che le variabili organizzative maggiormente rilevanti nel processo di condizionamento del rapporto tra creatività e innovazione sono:

  • la dimensione dell’impresa. La relazione creatività – innovazione è più forte nelle medie imprese che nelle piccole;
  • livello dell’attore. La relazione creatività – innovazione è relativamente più forte a livello individuo che a livello di gruppo;
  • le dimensioni culturali del collettivismo, dell’incertezza, e la distanza dal potere. Le culture collettiviste hanno una maggiore percentuale di successo nel convertire le idee creative in innovazioni. Inoltre, livelli moderati di assunzione del rischio e la capacità di superare la resistenza al cambiamento sono fondamentali per generare idee nuove e utili e per implementarle in innovazioni. In relazione alla distanza dal potere, lo stile di leadership all’interno di un’organizzazione può avere un impatto più forte sulla capacità delle organizzazioni di essere ambidestre e trasformare le idee creative in innovazioni.

Implicazioni manageriali

I fattori di condizionamento evidenziati spostano il tema dell’efficacia dei processi di innovazione sull’azione manageriale ovvero sulle scelte del management in merito alla gestione del cambiamento. Per superare gli ostacoli alla traduzione della creatività in innovazione, Sarooghi, Libaers, Burkemper (2015) propongono un approccio ambidestro (O’Reilly e Tushman, 2004). Secondo tale approccio la conversione delle idee creative in innovazioni prevede attività potenzialmente conflittuali tra loro e potenzialmente contrastanti con le esigenze di individui, gruppi e organizzazioni (Lewis et al., 2002). Tutti gli autori concordano nel definire l’esplorazione quale ricerca di una nuova tecnologia, conoscenza, competenza, mercato o relazione e lo sfruttamento come lo sviluppo di qualcosa di già esistente. La dicotomia tra la generazione e la realizzazione dell’idea e la distinzione tra esplorazione e sfruttamento sono direttamente correlate (Bledow et al., 2009). Le tensioni che nascono tra la generazione di idee e la loro attuazione devono essere gestite e ridotte il più possibile per raggiungere ambidestrismo.

L’ambidestrismo può essere definito come la capacità di un’organizzazione di essere allineata ed efficiente nella gestione del business pur essendo, allo stesso tempo, adattabile ai cambiamenti dell’ambiente. Tushman e O’Reilly (2004) definiscono l’ambidestrismo come l’abilità di implementare sia i cambiamenti incrementali che quelli rivoluzionari.

Diverse strategie sono state proposte in letteratura per creare un processo più ambidestro possibile per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e servizi. Tre principali approcci per raggiungere ambidestro sono stati discussi nella letteratura:

  • ambidestrismo temporale in cui la stessa unità svolge attività di esplorazione e sfruttamento, ma in momenti diversi (Tushman e O’Reilly, 1996);
  • ambidestrismo strutturale dove unità separate svolgono attività esplorative e di sfruttamento (O’Reilly e Tushman, 2004);
  • ambidestrismo contestuale definita come la capacità del comportamento di dimostrare simultaneamente l’allineamento delle attività organizzative, nonché l’adattabilità attraverso la riconfigurazione delle attività per soddisfare le mutevoli esigenze (Gibson e Birkinshaw, 2004).

Tushman e O’Reilly (2004) individuano le caratteristiche che possono portare un’organizzazione all’ambidexterity. Le organizzazioni sulle quali gli autori hanno posto la loro attenzione, e che sono state prese a modello per elaborare le indicazioni per il perseguimento dell’ambidestrismo, hanno dimostrato di avere una particolare capacità nella gestione del paradosso e delle tensioni.

Il primo elemento comune è l’architettura dell’azienda caratterizzata da numerose e piccole business unit; la decentralizzazione e l’autonomia favoriscono nei collaboratori una spiccata proattività, la presa di decisioni in modo piuttosto indipendente e lo sviluppo di una buona propensione al rischio. Questa scelta può sembrare contraddittoria e dannosa per l’azienda in quanto porterebbe alla frammentazione; in verità, lavorare in un ambiente maggiormente ristretto incoraggia i dipendenti allo scambio di conoscenza tra colleghi, accresce il sentimento di appartenenza al gruppo e promuove l’autonomia e l’assunzione della responsabilità per i risultati conseguiti.

Naturalmente, questo assetto organizzativo deve essere efficacemente gestito per non perdere i benefici di cui si possono avvalere le imprese di dimensioni elevate, come la possibilità di far leva sulle economie di scala e di disporre di un elevato potere contrattuale con i diversi interlocutori cui si interfaccia. Bisogna essere capaci di gestire l’equilibrio tra la dimensione aziendale, l’autonomia, la necessità di efficienza e la rapidità nel saper rispondere ai cambiamenti. Il decentramento e la responsabilizzazione degli individui devono necessariamente essere bilanciati di modo da garantire il raggiungimento della coerenza d’insieme ed il perseguimento, da parte dell’intera organizzazione, dell’obiettivo aziendale ultimo. Per riuscire in questo scopo è necessario esercitare l’opportuno controllo sociale.

Un secondo ingrediente dell’ambidestrismo è appunto l’esercizio di controlli sociali che risultano simultaneamente rigidi e miti. Rigidi nel senso che la cultura aziendale viene condivisa ad ogni livello dell’organizzazione ed il vertice chiede ad ogni membro di adottare un atteggiamento intraprendente e premia chi dimostra di avere uno spiccato spirito di iniziativa, una mentalità aperta e una buona propensione al rischio; sono miti nel senso che le pretese sono bilanciate in relazione al soggetto e soprattutto alla tipologia di innovazione richiesta.

La cultura aziendale forte e condivisa promuove l’integrazione tra le diverse unità organizzative ed incoraggia l’identificazione e la condivisione di informazioni e risorse. La cultura è per l’organizzazione garanzia di coerenza, nonché collante importante per assicurare la coesione tra le diverse componenti aziendali, e promuove un senso di fiducia e di appartenenza che sicuramente incrementano il benessere organizzativo. L’organizzazione ambidestra si distingue per la capacità di gestire il complesso di valori, conoscenze e convinzioni comuni a tutta l’azienda e allo stesso tempo di saperla combinare con le specifiche sottoculture ed i modi di pensare che caratterizzano le singole aree strategiche. In questo contesto, risulta di fondamentale importanza la presenza di un leader capace di sviluppare una visione globale, di favorire la cultura aziendale ed assicurare, allo stesso tempo, la salvaguardia delle peculiarità e delle diversità che caratterizzano ciascuna business unit.

Lo stile di leadership a cui si fa riferimento è orientato al perseguimento simultaneo delle strategie di exploration e di exploitation. Deve riuscire a promuovere valori come l’autonomia, il lavoro di squadra, l’iniziativa, la responsabilità e l’innovazione ma deve, allo stesso tempo, incoraggiare l’organizzazione a guardare costantemente ai propri obiettivi.

A tal proposito, non si può non citare l’eloquente metafora proposta da Tushman e O’Reilly (2004) che associa la figura del manager ambidestro al giocoliere. Il giocoliere, fintanto che mostra la sua bravura nel maneggiare una sola palla, non risulta per nulla interessante; è solo quando comincia a muovere più palle insieme allo stesso tempo che viene riconosciuto per le sue peculiari e brillanti capacità.

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