La destinazione turistica: dilemmi interpretativi e conseguenze organizzative

La destinazione turistica rappresenta l’unità di analisi fondamentale nello studio delle scelte di gestione e organizzazione dei sistemi turistici. Questo contributo spiega come l’adozione di differenti prospettive interpretative al concetto di destinazione turistica conduca a scelte di governance, configurazioni organizzative e a implicazioni manageriali profondamente diverse.

Introduzione

La destinazione turistica rappresenta l’unità di analisi fondamentale nello studio delle scelte di gestione e organizzazione dei sistemi turistici: oltre ad essere il luogo (fisico ed emotivo) che attrae e motiva il turista, essa rappresenta e comprende la value chain di produzione del prodotto turistico e dell’esperienza del turista (Pike 2008; Candela e Figini, 2012; Fyall et al., 2012). Anche la competizione in ambito turistico è sempre più interpretata come una competizione tra destinazioni (Ritchie e Crouch, 2000; UNWTO, 2007).

Lo studio delle dinamiche e dei fenomeni che hanno luogo nella destinazione turistica è intrinsecamente multidisciplinare, coinvolgendo in modo particolare gli studi organizzativi, il management e il marketing, la politica economica, le scienze della pubblica amministrazione, il diritto, la sociologia, la geografia. Occorre inoltre notare come la riflessione e gli approcci alla progettazione, organizzazione e gestione della destinazione abbiano impatti rilevanti e diretti sui policy maker, sugli operatori economici e sugli stakeholder locali, compresi i residenti.

Malgrado l’importanza strategica del concetto di destinazione turistica, in letteratura manca una definizione univoca e condivisa. Al contrario, esiste un ampio dibattito sui suoi contenuti e sulle dimensioni rilevanti. Tale incertezza definitoria può essere attribuita solo in parte alla multidisciplinarità del fenomeno, in quanto, anche all’interno delle singole discipline interessate esistono differenti prospettive teoriche in competizione tra loro.

Le conseguenze di questo disordine concettuale non sono di poco conto e hanno importanti conseguenze applicative: queste riguardano ad esempio il livello geografico e amministrativo al quale vada identificata la destinazione, l’opportunità/necessità dell’intervento di un soggetto pubblico nello sviluppo e nella gestione della destinazione e il conseguente ruolo dell’iniziativa privata, l’utilità di una organizzazione formale (generalmente denominata Destination Management Organization – DMO) che sovrintenda la rete di relazioni interne e curi il coordinamento fra i soggetti coinvolti. Nella sostanza, due definizioni di destinazione turistica polarizzano la letteratura: destinazione come sistema territoriale progettato e coordinato per offrire uno o più prodotti turistici in grado di soddisfare i complessi bisogni del turista, oppure destinazione come sistema emergente sulla base di significati socialmente creati e istituzionalizzati. È inoltre possibile identificare una terza concezione, che interpreta la destinazione come un fenomeno evolutivo e non predeterminabile.

Come vedremo più in dettaglio successivamente, la scelta di una prospettiva interpretativa implica profonde differenze in termini di progettazione, organizzazione e gestione della destinazione: la prima definizione fa derivare la destinazione da una preliminare pianificazione del prodotto turistico e del network produttivo, la seconda collega la nascita e l’esistenza stessa della destinazione al sistema di significati e al comportamento attuato dal turista, la terza identifica una fase embrionale dello sviluppo della destinazione nella quale il turista gioca un ruolo fondamentale e ipotizza la (eventuale) formalizzazione del network cooperativo solo in un momento successivo.

Effettivamente, tale discussione potrebbe essere ricondotta nell’alveo della letteratura che studia i distretti industriali, considerando nella sostanza la destinazione turistica come un distretto (Smith, 1994; Hjalager, 2000, Jackson e Murphy, 2002). Tuttavia, anche riferendosi a questa letteratura, permangono i problemi definitori e la competizione tra differenti prospettive interpretative.

Nei paragrafi successivi, approfondiremo queste tre prospettive teoriche. Una discussione conclusiva evidenzierà le principali implicazioni manageriali derivanti dall’adozione di differenti prospettive interpretative.

La destinazione turistica come sistema pianificato

La prospettiva teorica che interpreta la destinazione turistica come conseguenza di un processo di progettazione è largamente dominante nella letteratura, specie in quella economico-manageriale, e nelle politiche pubbliche.

La destinazione è intesa in tali teorie come un amalgama, un sistema composto da alcuni soggetti e servizi locali che devono operare in modo coordinato al fine di soddisfare i complessi bisogni dei turisti (Cooper et. al, 2008; Candela e Figini, 2012; Peters, 2017).

Tra le altre definizioni coerenti con tale prospettiva val la pena citare Rubies (2001), che definisce la destinazione turistica come un’accumulazione di risorse turistiche e attrazioni, infrastrutture e attrezzature, fornitori di servizi, altri fornitori di servizi di supporto e organizzazioni amministrative le cui attività combinate sono in grado di erogare al turista l’esperienza che questi si attende dalla destinazione che ha scelto di visitare, Buhalis (2000), che considera la destinazione come un mix di prodotti turistici che offre al turista un’esperienza integrata e di valore, e Volgger e Pechlaner (2014) che la definiscono come un punto di incontro, geograficamente localizzato, tra domanda e offerta, operante per veicolare una offerta frammentata all’interno di prodotti turistici coerenti.

Tutte queste definizioni concordano nell’assegnare un ruolo cruciale alla progettazione e alla successiva gestione della destinazione: la pianificazione diviene il processo fondamentale che caratterizza le destinazioni turistiche (Getz, 1992; Evans et al. 1995; Bærenholdt et al., 2004, Baker e Cameron, 2008). In particolare, la pianificazione turistica, anche declinata in termini di politica turistica, viene intesa come un insieme di regole, linee guida, direttive, obiettivi di sviluppo e strategie in grado di stabilire il contesto nel quale le decisioni individuali e collettive vengono assunte nell’ambito della destinazione (Ritchie e Crouch, 2000), ossia un insieme di regole per garantire il coordinamento di soggetti inseriti in network di relazioni di cooperative e competitive.

Tale attività regolativa, nonché la leadership del network, è demandata a un’organizzazione che, oltre a definire l’indirizzo strategico e a gestire la rete, è chiamata anche a garantire esternalità positive dirette ed indirette alla comunità locale, limitando al contempo gli impatti negativi su di essa: tale organizzazione prende il nome di DMO.

La DMO rappresenta un elemento imprescindibile della destinazione turistica, per la quale svolge funzioni vitali, quali (Gartrell, 1994; UNWTO, 2007; Bornhost et al. 2010; Pearce, 2015): pianificazione della destinazione, programmazione strategica, sviluppo del prodotto, coordinamento interno, marketing e branding, controllo qualità, raccolta e trasferimento di informazioni e conoscenza, gestione dell’esperienza del turista.

Evidentemente, tanto la competitività della destinazione quanto la sostenibilità delle politiche turistiche rispetto alla comunità locale dipendono dalla capacità di indirizzo strategico e di coordinamento operativo (abbinati alle capacità promozionali) della DMO. Stante la complessità intrinseca delle attività svolte e la rilevanza dei potenziali conflitti di interesse fra gli operatori economici e fra le politiche turistiche e la comunità di residenti, tradizionalmente il ruolo di DMO è assunto da soggetti pubblici, integralmente o nell’ambito di partnership-pubblico private.

La destinazione turistica come sistema emergente

Come risposta al dirigismo e alla centralizzazione deterministica veicolata dalle teorie precedentemente esposte, è emersa una prospettiva teorica di stampo decisamente contrapposto (Hughes, 1995; Tribe, 2006). In effetti, mentre l’approccio del sistema progettato considera il turista come un soggetto passivo che viene attratto da una destinazione turistica progettata su misura per lui, la prospettiva che ci accingiamo a presentare considera il turista come l’attore principale e l’attivatore della destinazione. Tale prospettiva muove dall’assunto che una destinazione turistica sia semplicemente un luogo dove i turisti vanno (Leiper, 1995). Al di là delle attività progettuali e di pianificazione, questa prospettiva riconosce nel comportamento del turista l’elemento fondativo della destinazione. Mentre nel precedente approccio sarebbe possibile riconoscere una destinazione turistica in un sistema di soggetti locali coordinati e in grado di fornire un’esperienza di valore ai turisti indipendentemente dalla reale presenza di turisti, in questo approccio è proprio la presenza di turisti che definisce la destinazione, anche in assenza di un sistema organizzato di offerta.

Come sottolineato da Leiper (2000), non sono le destinazioni ad attrarre i turisti, sono invece i turisti a scegliere dirigersi in un luogo, sulla base di moventi e rappresentazioni di significato individuali.

Framke (2002) definisce la destinazione turistica come un insieme di immagini e strutture risultanti da pratiche sociali. La destinazione turistica non è oggettivamente esistente, non ha confini e relazioni predefinite o predefinibili, ma è continuamente creata e ri-creata attraverso processi sociali di costruzione della realtà e di definizione di significati. Essa può essere intesa come una realtà negoziata (Ringer, 2008), modellata dai turisti nell’interazione sociale con i valori e i significati che caratterizzano le comunità locali che li accolgono (Sherlock, 2001).

La destinazione turistica può essere quindi identificata solamente a posteriori, andando a riconoscere le attribuzioni di significato che si sono venute a creare. La pianificazione turistica perde di significato, in quanto essa può al massimo tentare di veicolare significati, immagini e percezioni ai turisti (Urry e Larsen, 2011) e tentare di promuovere lo sviluppo sociale delle comunità locali. In ogni caso, l’esito di tali interventi non è mai perfettamente prevedibile.

Come conseguenza, la DMO è svuotata di attribuzioni, non rilevando le attività pianificazione e coordinamento. Essa tuttavia non scompare, stante il rilievo assegnato alle attività di marketing della destinazione. In questa prospettiva, infatti, l’attività di promozione della destinazione svolta dalla DMO attraverso la veicolazione di immagini, narrative e significati appare fondamentale per attivare percezioni e stimolare l’esperienza dei potenziali turisti (Framke, 2002; Urry e Larsen, 2011). Nei fatti, la DMO diviene una Destination Marketing Organization.

La destinazione turistica come fenomeno evolutivo

Una differente prospettiva teorica, costruita attorno al concetto di esperienza del turista e basata su una concezione evolutiva della destinazione turistica, permette di evitare la dicotomia tra sistema progettato e sistema emergente.

Tale approccio evolutivo trova origine nel classico contributo di Butler (1980) che indaga il ciclo di vita di una destinazione turistica, identificandone le fasi fondamentali: (1) Esplorazione; (2) Coinvolgimento; (3) Sviluppo; (4) Consolidamento; (5) Stagnazione; e (6) Ringiovanimento o Declino.

Per la nostra analisi appaiono particolarmente rilevanti le prime tre fasi:

– La fase di esplorazione implica un numero limitato di turisti che si organizzano in modo autonomo e indipendente e viaggiano verso una attrazione (naturale o creata più o meno intenzionalmente dall’uomo) seguendo percorsi e itinerari non predefiniti. Una volta raggiunta la meta, i turisti interagiscono con la comunità locale e sfruttano i servizi disponibili. L’impatto economico e sociale di tale turismo è estremamente limitato.

– La fase di coinvolgimento si avvia quando il numero di turisti aumenta e assume una qualche regolarità. A livello locale vengono riconosciute le potenzialità turistiche e si iniziano a erogare servizi specificamente diretti ai turisti. In questa fase emergono anche pressioni da parte degli stakeholder locali affinché soggetti pubblici intervengano per migliorare l’accessibilità e garantire infrastrutture efficienti.

– La fase di sviluppo deriva dal riconoscimento della importanza turistica della località ed è caratterizzata dall’intervento di soggetti economici esterni alla comunità locale. In aggiunta a queste nuove imprese, i policy maker locali, regionali e nazionali intervengono in modo più strutturato, il business turistico diviene importante e il numero di turisti cresce in modo rilevante. La destinazione inizia a essere promossa all’esterno. Infine, in questa fase viene spesso creata una DMO per il coordinamento interno e la promozione della destinazione.

Anche in questa prospettiva, il turista assume un ruolo fondamentale poiché, in qualità di fruitore di un’esperienza, “il suo viaggio verso un’attrazione implica necessariamente l’attivazione di un network di interdipendenze. Infatti, la qualità dell’esperienza del turista dipende non solo dalla qualità e dai servizi dell’attrazione che ha motivato il suo viaggio, ma anche dalla qualità e dall’efficienza delle attività complementari” (Porter, 1998, p. 81).

Evidentemente, l’attrazione turistica principale (quella che motiva il viaggio del turista) non è mai in grado di controllare autonomamente tutti i fattori che incidono sull’esperienza del visitatore. Ad esempio, il turista che si reca presso una località avente particolari siti archeologici inevitabilmente svilupperà la propria esperienza non solo sulla base della visita a tali siti, ma anche in relazione a tutto un insieme di servizi complementari e accessori ai quali avrà accesso durante il viaggio e la permanenza.

Il turista, attraverso le sue scelte di visita e consumo, crea quindi il proprio prodotto turistico come sommatoria di interazioni con una moltitudine imprese, istituzioni, e persone (sia residenti, sia altri turisti) e attiva così un network di soggetti che andrà a influenzare la sua esperienza turistica. I soggetti coinvolti in tale network possono non in tale fase non avere consapevolezza della loro interdipendenza nella co-creazione dell’esperienza turistica; d’altro canto, nel medio-lungo periodo, essi possono identificare delle regolarità e comprendere l’interdipendenza in atto tra di loro. Questo riconoscimento può a sua volta stimolare il coordinamento e, alla fine, lo sviluppo di azioni cooperative.

A questo stadio di sviluppo (corrispondente alle fasi di esplorazione e coinvolgimento proposte da Butler), si ha una destinazione turistica embrionale e non formalizzata (Barbini e Presutti, 2014). Una simile destinazione può essere interpretata come una organizzazione informale (Barnard, 1938) ossia come un insieme di contatti e interazioni tra soggetti che genera risultati integrati o collettivi in assenza di accordi preliminari sugli obiettivi da raggiungere. Attraverso reiterate interazioni nell’ambito dell’organizzazione informale, gli operatori turistici acquistano consapevolezza dell’interdipendenza che li lega e sviluppano interesse verso l’adozione di comuni strategie di coordinamento per favorire il loro comportamento interdipendente. In tale prospettiva, l’insieme delle relazioni sviluppate all’interno di questa organizzazione informale è di primaria importanza in quanto possibile precursore di una organizzazione formale, vale a dire un sistema di forze o attività consapevolmente coordinate (Barnard, 1938).

L’evoluzione da organizzazione informale a organizzazione formale non è tuttavia necessaria, né imposta da forze esogene: essa deriva dalla naturale tendenza dei soggetti a rendere più semplice il proprio coordinamento per migliorarne l’efficienza.

Quindi, al fine di limitare la complessità e i costi indotti dal coordinamento per mutuo adattamento (Thompson, 1967), i partecipanti al network possono essere indotti a strutturare i propri rapporti cooperativi attraverso la formalizzazione dell’organizzazione, in modo da favorire la definizione di regole e piani preliminari.

In questo frangente, nella transizione tra fase di coinvolgimento e fase di sviluppo proposte da Butler, è plausibile ipotizzare la creazione di una DMO, esplicitamente diretta a coordinare l’azione cooperativa dei soggetti partecipanti alla destinazione turistica (Barbini et al., 2014). Val la pena notare che la DMO qui descritta non deve necessariamente essere un soggetto pubblico, né deve basarsi su una partnership pubblico-privata; anche un’impresa privata può efficacemente svolgere tale ruolo, purché sia in grado di proporre regole di coordinamento accettate dai partecipanti al network.

Discussione e implicazioni manageriali

Nel testo abbiamo individuato tre principali prospettive teoriche che caratterizzano la letteratura relativa alla destinazione turistica. La prima prospettiva considera la destinazione come un sistema di soggetti e relazioni progettato per fornire al turista una esperienza di valore. La seconda prospettiva si concentra sulle percezioni del turista e vede la destinazione come uno spazio di significati socialmente creati e attivati dal turista. Infine, la terza prospettiva interpreta la destinazione come un fenomeno evolutivo, assegnando un ruolo fondamentale all’esperienza del turista ed evidenziando come l’organizzazione della destinazione si costruisca e si formalizzi nel tempo.

Come abbiamo visto, l’adesione a una prospettiva interpretativa piuttosto che alle altre è densa di implicazioni per quanto concerne l’organizzazione della destinazione, la sua governance, e la capacità di iniziativa imprenditoriale privata.

In particolare, con riferimento a quest’ultima dimensione, un approfondimento appare necessario.

Nella prospettiva del sistema pianificato, l’iniziativa imprenditoriale privata è subordinata ai processi di pianificazione, definizione strategica e allocazione delle risorse attuati dai soggetti pubblici coinvolti nella DMO. La capacità dei singoli imprenditori di intervenire nei processi strategici di pianificazione dipende dal potere contrattuale e quindi dalla dimensione e dalla rilevanza politica ed economica dei singoli. La galassia di piccoli e medi imprenditori coinvolti nella destinazione turistica è pertanto chiamata ad adeguarsi alle linee di indirizzo definite attraverso i processi pianificazione top-down guidati dai decisori pubblici. Esempi di questo approccio emergono chiaramente dalle politiche pubbliche di sviluppo e gestione del turismo (Barbini et al., 2015). Possiamo citare la popolarità dello strumento del Piano strategico, di cui molte città si sono dotate o si stanno dotando: nell’ambito di questa forma di pianificazione partecipata, ampio risalto è dato alle politiche di sviluppo turistico e del sistema dell’accoglienza e della accessibilità; queste politiche muovono tipicamente dalla definizione da parte dei soggetti pubblici (anche coinvolgendo e ascoltando gli stakeholder locali) degli obiettivi e dei vincoli ai quali gli operatori economici locali sono chiamati a conformarsi. Un ulteriore esempio può essere identificato nell’Ordinamento turistico della Regione Emilia Romagna (Legge Regionale 25/3/2016, n.4), che definisce le destinazioni turistiche come “enti pubblici strumentali degli enti locali” che “istituiscono, sulla base di specifiche linee guida della Giunta regionale, una Cabina di regia con la partecipazione dei soggetti privati del settore turistico locale. La Cabina di regia svolge funzioni di concertazione sulle linee strategiche programmatiche per lo sviluppo dell’attività di promo-commercializzazione turistica dell’ambito di riferimento”.

Nella prospettiva del sistema emergente, la gestione della destinazione si sostanzia nelle attività di marketing e nei tentativi di promuovere immagini e percezioni evocative per i turisti. D’altro canto, una volta istituzionalizzata un’immagine della destinazione, gli imprenditori operanti nella località turistica sono costretti ad adeguarsi ad essa e a sviluppare servizi coerenti. Secondo questa prospettiva, anche un’oasi nel deserto può divenire una destinazione turistica, quando socialmente percepita come un luogo dove i turisti si recano. Si tratta chiaramente di una definizione ex-post: chiunque può provare a creare la destinazione, ma essa si istituzionalizza solo quando flussi consistenti di visitatori iniziano ad affluire ed emerge una percezione diffusa (basti pensare, ad esempio, a Stonehenge…). Ancora una volta, la capacità di indirizzo e intervento del singolo imprenditore è nei fatti alquanto limitata poiché essa è subordinata alla capacità di tale imprenditore di promuovere e istituzionalizzare spazi di significato ulteriori e differenti per la destinazione.

Nella prospettiva evolutiva, gli imprenditori divengono soggetti attivi poiché essi possono, attraverso la creazione o la promozione di una attrazione di valore, fungere da iniziatori e da fulcro della destinazione turistica. Esemplari in tal senso sono i casi di iniziative quali parchi di divertimento o musei aziendali, nati senza obiettivi di sviluppo turistico locale, che hanno poi creato attorno ad essi reti di relazioni e coordinamento evolute poi in network formalizzati. Potremmo in tale sede citare il Visitor Center di Jack Daniel’s che, attirando milioni di visitatori nella storica distilleria, ha indotto lo sviluppo di un ecosistema turistico e di un network di operatori in una località altrimenti anonima del Tennessee (Barbini e Presutti, 2014). Allo stesso modo, è possibile identificare casi nei quali soggetti privati hanno deliberatamente creato una destinazione turistica, basti pensare al caso Disneyland Paris. Anche le funzioni di DMO possono essere efficacemente svolte da un imprenditore o da un gruppo di imprenditori in quanto tali attività riguardano la definizione di regole condivise per il coordinamento interno e la promozione e il marketing della destinazione.

Infine, val la pena notare come l’esperienza turistica sia concepita in modo estremamente diverso nelle tre concezioni di destinazione turistica. Quando la destinazione turistica è intesa come un sistema pianificato, l’esperienza è interpretabile come l’output, il prodotto finale del sistema. Nella interpretazione della destinazione turistica come sistema emergente, l’esperienza turistica dipende dalla relazione tra l’immagine e le aspettative del turista prima della partenza e la realtà costruita da questi durante la visita. Infine, nella visione della destinazione turistica come fenomeno evolutivo, l’esperienza turistica è l’elemento fondante della creazione della rete di interdipendenze fra i soggetti locali e quindi il precursore dell’organizzazione informale.

L’analisi che abbiamo proposto permette di evidenziare come la riflessione sui concetti e sulle prospettive di studio di un fenomeno non costituisca un mero esercizio metodologico; al contrario, quanto più il fenomeno indagato risulta complesso e differenziate le prospettive di studio, tanto più ampie e profonde possono essere le implicazioni concrete. Con riferimento alla destinazione turistica, questo contributo evidenzia come interpretazioni differenti rispetto a quelle mainstream (basate sulla concezione di sistema pianificato) possano rivitalizzare il ruolo del turista e delle comunità locali e fungere da stimolo all’iniziativa imprenditoriale.

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