La carriera è mia e me la gestisco io. La personalizzazione della carriera come opportunità per tutti i collaboratori

Questo articolo analizza le implicazioni individuali ed organizzative della mass career customization intesa come la possibilità offerta a tutti i collaboratori di personalizzare la carriera scegliendo alcuni aspetti chiave del proprio percorso come il carico di lavoro, i luoghi e l’orario di lavoro, la responsabilità di ruolo.

Come è cambiato il significato della carriera

Parlare di carriera è diventato sempre più difficile. Gli studenti prossimi ad inoltrarsi nella selva delle organizzazioni ascoltano spesso con disincanto e scetticismo quanti propongono l’idea di una carriera che possa essere pianificata dall’impresa, prevedendo percorsi e traiettorie, definendo tempi di permanenza, proponendo strumenti di sostegno alla crescita. Gli uomini e le donne che vivono nelle organizzazioni spesso identificano il tallone d’Achille dei propri datori di lavoro nell’incapacità di prevedere architetture e percorsi di carriera sfidanti, che sappiano conciliare le esigenze di sviluppo individuali con quelle di crescita sostenibile dell’impresa, tanto che, secondo alcune ricerche, le opportunità di carriera rappresentano uno dei primi tre fattori di attraction e di retention per i collaboratori, e il 40% degli alti potenziali ritengono che per poter fare carriera dovranno necessariamente lasciare la loro attuale organizzazione (Towers Watson, 2014).

Numerosi fattori hanno reso i modelli tradizionali di carriera, caratterizzati da una crescita verticale e da un rapporto di dipendenza duraturo con un unico datore di lavoro, sempre più rari, e forse poco desiderabili. Questo ha causato un cambiamento radicale delle basi del contratto psicologico, perché entrambe le parti sono oggi consapevoli che la relazione di lavoro non è destinata a durare per sempre (Arthur et al., 2005). Le ragioni di questa trasformazione sono sia ambientali che individuali: la globalizzazione dei mercati, le innovazioni tecnologiche, il crescente ricorso all’outsourcing e al delayering da un lato, la crescita della vita media, i cambiamenti nelle strutture familiari, il miglioramento dello stato di salute dall’altro hanno generato un’evoluzione delle attitudini nei confronti del lavoro. Il risultato è che le carriere oggi sono più frammentate, tanto da parlare di “boundaryless career“, carriere che vanno al di là dei confini di una singola organizzazione (DeFilippi e Arthur, 1994) o di “protean career“, guidate dall’individuo e caratterizzate da un continuo percorso di apprendimento e di ridefinizione della propria identità (Hall, 1996). La diversity che caratterizza le organizzazioni ha reso ancora più forte il bisogno di poter definire la propria traiettoria di carriera al di là dei confini funzionali, territoriali, organizzativi, personalizzando il proprio percorso. Sono molti a pensare che la crescente diversità di sesso, di età, etnica che caratterizza i contesti di lavoro imponga un ripensamento delle pratiche di Human Resource Management (HRM). Le organizzazioni non possono più basarsi su approcci universalistici (“one-size-fits-all approaches“) nella progettazione e implementazione delle pratiche HR (Boxall e Macky, 2009). Al contrario, devono adottare una prospettiva contingente, affinché ciascun collaboratore abbia l’opportunità di definire il proprio percorso di crescita all’interno dell’organizzazione (Bal, Kooij e De Jong, 2013).

Se le persone sono tra loro sempre più diverse in termini di preferenze, attitudini e bisogni, diverse saranno le loro aspettative nei confronti dell’organizzazione (Rousseau, 2005), anche rispetto alle modalità di carriera.

I-deals o mass career customization?

La domanda di customizzazione dei percorsi di carriera ha trovato in letteratura due possibili risposte: la prima, proposta da Rousseau (2005), si riferisce ai cosiddetti idiosincratic deals (“i-deals”), la seconda riguarda la cosiddetta mass career customization proposta da Benko e Weisberg nel 2007 e portata all’attenzione dell’accademia nel recente articolo di Bal, van Kleef e Jansen pubblicato sul Journal of Organizational Behavior (2015). Le due proposte differiscono in maniera sostanziale perché se la prima afferma una personalizzazione della relazione di lavoro per cui i collaboratori, in particolare gli high performers, potrebbero usufruire della possibilità di personalizzare tutte le condizioni del loro contratto (tra cui i percorsi di carriera) in base alle esigenze personali e professionali, la seconda suggerisce una individualizzazione dei soli percorsi di carriera offerta però a tutti i lavoratori e con riferimento esclusivo ad alcuni aspetti specifici dello sviluppo professionale.

Bal, van Kleef e Jansen (2015, p. 422) definiscono la mass career customization (MCC) come la possibilità per tutti i lavoratori di fare scelte individuali in relazione ad alcuni aspetti chiave (ad esempio ritmo di lavoro, carico di lavoro, luoghi e orari, responsabilità di ruolo) del loro percorso di carriera organizzativo. La MCC è simile agli i-deals ma differisce da questi per una serie di ragioni. In primo luogo, essa è offerta come un’opportunità di individualizzazione a tutti i lavoratori e non solamente alle persone ad alto potenziale e alta performance. In questo senso la MCC non è finalizzata ad aumentare le differenze tra i lavoratori, ma piuttosto a offrire loro traiettorie di carriera in linea con le loro esigenze. In secondo luogo gli i-deals possono riguardare tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, mentre la MCC si limita ai percorsi di sviluppo professionale. Inoltre, la MCC si differenzia anche dalle pratiche di work-life balance (quali ad esempio orari flessibili, telelavoro, orario ridotto) perché queste ultime non sono generalmente orientate a supportare la carriera organizzativa e tendono a limitarsi alla modifica di pochi aspetti dell’organizzazione del lavoro.

L’obiettivo primario della MCC è di supportare il lavoratore nel raggiungimento del successo di carriera (che nell’articolo è misurato nella sua accezione oggettiva in termini di salario e bonus). La teoria sulla career customization è stata sviluppata a partire dalle teorie sul work-adjustment (Baltes et al. 1999) e sullo scambio sociale (Allen et al. 2013), le quali suggeriscono che quando gli individui hanno l’opportunità di adattare le condizioni di loro lavoro in funzione delle loro capacità e bisogni, saranno più motivati e di conseguenza raggiungeranno con maggiore probabilità elevati livelli di successo.

Come questo adattamento influenzi i comportamenti delle persone è spiegabile attraverso due distinti processi. Da un lato, come suggerito dalla teoria sul work-adjustment, dando la possibilità ai lavoratori di agire su alcune delle condizioni della propria attività professionale si aumenta la loro percezione di autonomia e di controllo sulla prestazione. Di conseguenza, essi si sentiranno più coinvolti (engaged) nella loro attività e nel loro lavoro. Dall’altro, come suggerito dalla teoria sullo scambio sociale, quando i lavoratori ricevono l’opportunità di personalizzare il proprio percorso di carriera si sentono in dovere di “dare qualcosa in cambio” all’organizzazione che ha concesso loro tale possibilità. In particolare, la letteratura suggerisce che aumenterebbe il senso di appartenenza all’azienda (organizational commitment).

I due processi descritti in precedenza mostrano come le pratiche di HRM riconducibili alla MCC facciano crescere engagement e commitment dei collaboratori, i quali a loro volta sono predittori di più elevate performance e dunque ricompensati dall’organizzazione con un maggior salario e incentivi monetari.

L’applicazione di pratiche di MCC non avrebbe però sempre effetti positivi ma sarebbe influenzata da alcuni elementi di contesto. In particolare, gli Autori si focalizzano sul supporto dei capi e sull’età dei lavoratori coinvolti. Con riferimento al primo aspetto, si ipotizza che i manager siano fondamentali nella riuscita di queste iniziative perché le comunicano ai lavoratori e sono tramite delle loro richieste di personalizzazione verso la Direzione HR. Inoltre i manager contribuiscono a creare un ambiente organizzativo nel quale i lavoratori si sentono supportati e non “stigmatizzati” negativamente per il fatto di usufruire di queste opportunità. Con riferimento al secondo aspetto, gli Autori suggeriscono che all’aumentare dell’età i lavoratori tendono a sedimentare le loro differenze in termini di esigenze, aspettative e motivazioni sul lavoro. Conseguentemente, una popolazione aziendale “matura” si presenterà con una varietà, in termini di esigenze di carriera, superiore a quella di un gruppo aziendale mediamente giovane. Le attività di MCC porteranno quindi particolare beneficio a lavoratori di età media ed elevata, caratterizzati da crescenti necessità di personalizzazione delle loro condizioni di impiego collegate alla loro vita extra-lavorativa.

Lo studio empirico presentato nell’articolo è condotto all’interno di un’impresa di servizi Olandese. L’organizzazione fornisce servizi business-to-business in ambito legale, finanziario, contabile e di consulenza organizzativa. Il percorso di carriera all’interno dell’organizzazione è rappresentato dal tipico sistema up-or-out: i collaboratori sono chiamati a una progressione di carriera con cadenza triennale, altrimenti, se non sono in grado di rispettare il percorso di sviluppo atteso, sono incentivati a uscire dall’impresa. L’azienda attrae persone molto giovani (tra i 18 e i 25 anni), tanto che lavoratori con età superiore ai 40-45 anni sono considerati “older workers”. Il progetto di MCC è stato implementato nel 2009 con l’obiettivo di aumentare la capacità di retention dei collaboratori e sviluppare percorsi di crescita alternativi al sistema up-or-out. Nel settembre di quell’anno alle persone è stata offerta la possibilità di negoziare alcune importanti caratteristiche del loro percorso di carriera: i ritmi di lavoro, il carico di lavoro, i luoghi e l’orario di lavoro, il loro ruolo. È interessante notare che questa opportunità ha generato tre diverse risposte nei lavoratori: un primo gruppo (composto per il 56% da donne) ha scelto di personalizzare la propria carriera, un secondo gruppo ha deciso di conformarsi al percorso di sviluppo progettato e proposto dall’organizzazione, un terzo gruppo ha deciso di non prendere parte all’iniziativa.

I risultati della ricerca, svolta su un campione di 496 lavoratori, confermano come le persone che partecipano a programmi di MCC diventino più engaged nel corso del tempo e come questo permetta loro di ottenere maggiori ricompense economiche, in particolare bonus ma non aumenti salariali. Il mancato incremento del salario potrebbe essere collegato al fatto che tra le scelte dei lavoratori in relazione alla personalizzazione del loro percorso potrebbe esservi quella di ridurre le proprie responsabilità e il proprio tempo di lavoro. Come ipotizzato dagli Autori, l’effetto positivo delle pratiche MCC su commitment ed engagement è influenzato dal supporto ricevuto da parte dei capi, in particolare quando i lavoratori hanno un’età elevata.

Quali implicazioni per la pratica manageriale?

La scelta di ripensare le carriere garantendo a tutti i collaboratori l’opportunità di personalizzare il proprio percorso di crescita all’interno dell’organizzazione pone al management numerose sfide e altrettanti elementi di riflessione. Dallo studio di Bal, Van Kleef e Jansen (2015) emerge che la possibilità per gli individui di personalizzare la propria carriera (ricorrendo alla MCC) ha un impatto positivo sul loro livello di engagement e conseguentemente sul successo di carriera. Questo risultato conferma il ruolo centrale che le opportunità di avanzamento e di sviluppo offerte dall’organizzazione svolgono nel motivare e ingaggiare i propri collaboratori. Ma lo studio ci dice anche che a rafforzare l’engagement è la chance data a tutti i membri dell’organizzazione di farsi carico, con responsabilità e autonomia, di scegliere i tempi, le modalità e le caratteristiche del proprio percorso, “dosando” il carico di lavoro, rallentando o accelerando i tempi di permanenza, usufruendo dei vantaggi della flessibilità spaziale e temporale. “Niente di nuovo”, qualcuno potrebbe commentare. Da diversi anni si parla della necessità di una responsabilità condivisa da impresa e individuo nella definizione dei percorsi di sviluppo e carriera. Di carriere non più progettate unilateralmente dalle Direzioni HR, ma negoziate e continuamente ridefinite sulla base di un processo continuo di ascolto dei propri collaboratori (ad esempio durante le performance review, i colloqui di feedback, il rapporto quotidiano tra capo e collaboratore). Ma lo studio di Bal e colleghi pone una sfida in più: quella di riconoscere l’opportunità di una carriera “su misura” a tutti i membri dell’organizzazione. Non un diritto che spetti ad una élite di collaboratori (gli high performer o i talenti), non un’eccezione alla “regola” rappresentata da traiettorie di carriera ben definite, ma una pratica gestionale che sia aperta a tutta la popolazione aziendale. Una “sartoria” delle carriere alla portata di tutti.

Non possiamo non riflettere sulle implicazioni di una tale scelta organizzativa.

C’è da chiedersi anzitutto come possa un sistema di carriere che è potenzialmente rimesso alle scelte dei collaboratori e che dunque perde i suoi punti di riferimento, i suoi ancoraggi fissi, essere conciliabile con la necessità di chi guida l’impresa di definire un piano strategico e di pianificare il costo del lavoro. Esiste un “algoritmo” così sofisticato da consentire una pianificazione strategica di medio-lungo periodo senza poter contare su un chiaro sistema di carriere e di successione?

Inoltre, se per alcuni ruoli è più facile immaginare concretamente il ricorso a questa pratica, in cui il collaboratore sceglie le caratteristiche del proprio lavoro futuro, l’intensità dello stesso, nonché il luogo e i tempi di lavoro – sebbene, immaginiamo, entro certi limiti – per altri è davvero difficile. L’esperienza descritta in questo articolo riguarda una società finanziaria dove operano un gran numero di ruoli di “back-office”, caratterizzati da una bassa intensità relazionale. Come trasferire la mass career customization in contesti di lavoro caratterizzati da ruoli fortemente interdipendenti, che ricorrono frequentemente al team work, o da processi produttivi con un forte contenuto innovativo? Inoltre, qual è il ruolo dei sindacati in questa nuova dinamica? Ed, infine, è possibile applicare questa pratica anche alle carriere manageriali senza incorrere nel rischio di veder sfumare quel “potenziale manageriale” che le imprese tanto faticano a sollecitare ed estrarre dai propri collaboratori? Una sfida non banale, che merita l’attenzione del management e l’approfondimento della ricerca accademica.

Dallo studio proposto emerge un altro dato importante: questa pratica di career management funziona solo se i capi garantiscono il loro pieno e convinto supporto. Il supervisor support, cioè, rappresenta una condizione necessaria affinché le attività di individualizzazione della carriera generino un effetto positivo sull’engagement e sul successo individuale. Questo risultato conferma la convinzione che sempre di più i manager di linea rappresentano lo snodo critico attorno al quale si gioca il successo delle pratiche di HRM; senza il loro commitment e il loro concreto supporto anche le politiche più innovative legate alla flessibilità, messe in campo per massimizzare la soddisfazione individuale attraverso una riconquista del sospirato work-life balance, sono destinate a fallire.

Ma attenzione: secondo lo studio che stiamo commentando anche l’età giocherebbe un ruolo centrale nel rapporto tra career management e successo individuale. L’impatto della MMC sul successo di carriera, infatti, è positivo soprattutto per gli older workers, che dunque più di altri sembrano apprezzare e poter valorizzare un sistema flessibile di carriere. Un risultato che stupisce, e che deve far riflettere quanti ritengono che oltre una certa età i bisogni di crescita e di avanzamento sarebbero soppiantati da bisogni di tipo diverso. E su questa base giustificano sistemi di carriera e di talent management che, di fatto, tagliano fuori dai piani di sviluppo dell’impresa chi ha superato una certa soglia di età. Le sfide che i cambiamenti demografici e l’allungamento della vita lavorativa stanno ponendo alle imprese impongono un ripensamento radicale dei sistemi di sviluppo e ricompensa dei lavoratori maturi, che probabilmente più di altri hanno raggiunto quel grado di autoconsapevolezza che è condizione indispensabile per assumersi la responsabilità del proprio sviluppo.

Riferimenti bibliografici

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