Il presente contributo parte da una considerazione che può considerarsi di inquadramento generale.
E’ un dato di fatto che l’Italia spesso non occupi posizioni di prima fila nei ranking internazionali, che misurano e comparano la qualità dei servizi della pubblica amministrazione, sia rispetto ai cittadini che alle imprese (cfr. World Bank 2018).
Anche nei rapporti dell’Unione Europea nell’ambito delle iniziative per EUROPE2020, si misura regolarmente il livello di competitività dell’amministrazione pubblica; il nostro Paese cresce, migliora ma è ancora sotto la media europea e soprattutto occupa ancora una delle ultime posizioni (nell’ultimo rapporto disponibile precedeva solamente Grecia, Bulgaria e Romania) (Unione Europea, 2017).
Pur volendo, per formazione culturale e personale convincimento, sciogliere qualche dubbio nelle granitiche certezze di questi tentativi di classificazione e di operazionalizzazione di variabili e dimensioni che sono molo complesse e articolate, è evidente che il gap di cui la PA italiana soffre deve essere colmato.
Abbiamo sinteticamente ricordato questi elementi per segnalare che c’è un problema da risolvere, che possiamo etichettare sotto il segno della necessità di un recupero di efficacia e di efficienza dell’azione complessiva della PA italiana.
Qui il ragionamento arriva ad una biforcazione. O si decide di ragionare sulle cause di questo divario e sul modo in cui questo viene misurato, oppure si sceglie la strada che porta nella direzione di ragionare sul tipo di risposta che viene attivata per risolvere o aiutare a riequilibrare la situazione. Scegliamo di andare in questa direzione e focalizziamo la nostra attenzione su due punti. Il primo è relativo al tipo di risposta che a nostro giudizio ha caratterizzato in maniera dominante lo scenario negli ultimi anni; il secondo punto si riferisce alla possibilità di incidere positivamente sulla crescita, sullo sviluppo di competenze manageriali e comportamentali attraverso la formazione manageriale.
La spending review come strumento per un recupero di efficienza
Per quanto riguarda il primo punto, il nostro convincimento è che la risposta italiana sia stata fino a questo punto costruita su due pilastri fondamentali.
Il primo pilastro rimanda direttamente al parametro di efficienza. La crisi della pubblica amministrazione italiana, la sua difficoltà a essere competitiva rispetto alle omologhe internazionali viene spiegata come un problema di efficienza. In altri termini, la situazione è insoddisfacente perché i servizi della pubblica amministrazione, sia quelli rivolti ai cittadini, sia quelli rivolti alle imprese costano troppo.
Adottando questa lente di osservazione, la risposta non può che portare alla costruzione di uno strumento di spending review, la cui applicazione è ancora troppo recente per poter trarre conclusioni.
La debolezza del sistema pubblico, che è accusato di non aiutare la competitività del Paese e di non offrire servizi adeguati ai cittadini, viene curata con misure che puntano ad una razionalizzazione della spesa. Si tratta di misure inevitabili, e la loro inevitabilità le rende giuste.
L’elemento principale, a nostro giudizio, è il cono d’ombra che circonda un aspetto fondamentale del problema e che invece appare del tutto dimenticato. Se infatti, partendo da una assunzione ottimistica possiamo fare nostra la supposizione che grazie alle azioni di spending review si riesca ad ottenere un effettivo recupero di efficienza, nulla possiamo dire in termini di effetti sui risultati (in termini di servizi e di qualità offerta ai cittadini e alle imprese).
Ridurre le risorse può mettere un sistema organizzativo nell’impossibilità di raggiungere i propri obiettivi istituzionali. Il taglio delle risorse finanziarie messe a disposizione non produce necessariamente una riduzione proporzionale nei servizi ma può determinare la totale e completa inefficacia dell’azione amministrativa.
In secondo luogo, non si ragiona per nulla sugli effetti che i tagli alle risorse determinano sui comportamenti individuali, di chi lavora con ruoli e responsabilità differenti all’interno della pubblica amministrazione.
Il cambio delle regole
Il secondo pilastro, sul quale, a nostro giudizio, si è incentrato il tentativo italiano di invertire la tendenza e lavorare per un recupero di qualità nei servizi della pubblica amministrazione si collega alla volontà di cambiare le regole.
Il processo di ridefinizione delle regole rappresenta il passaggio fondamentale attraverso il quale l’azione politica di governo degli ultimi anni ha provato a ripristinare le condizioni di efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione italiana.
In questa affermazione c’è una componente giusta ed una sbagliata. Metaforicamente, possiamo immaginare una scena classica dei film hollywoodiani nella quale l’eroe deve disinnescare una bomba e si trova di fronte a due fili.
Il filo giusto che non deve essere tagliato è l’idea che una parte dei problemi che oggi noi sperimentiamo dipende da un quadro di regole sbagliato, non più adeguato e dall’esigenza di fare in modo che ci sia congruità e coerenza tra le regole e le esigenze del contesto esterno. Cambia il mondo esterno, cambiano le regole devono cambiare anche le burocrazie e le regole sono uno degli elementi portanti di tutte le strutture burocratiche. Le teorie organizzative, a partire dai contributi teorici degli studiosi delle contingenze strutturali, sostengono la necessità di una coerenza tra variabili di progettazione organizzativa e le caratteristiche dell’ambiente esterno.
Come affermano March, Schulz e Zhou le regole consistono in norme esplicite o implicite, in regolamentazioni e aspettative che regolano il comportamento degli individui e le interazioni tra di loro. Le regole costituiscono una realtà basilare per gli individui e per la vita sociale.
Tornando alle burocrazie, Weber considerava le regole un loro tratto distintivo (Weber, 1946). La prevalenza delle regole distingue le organizzazioni formali da quelle informali e dalle organizzazioni familiari, nelle quali l’elemento di collante è costituito dalla presenza di un tessuto di intime relazioni e interrelazioni. In effetti, delle principali caratteristiche della burocrazia elencate da Weber, almeno sette di queste son legate alle regole ai comportamenti condizionati dall’osservanza delle regole stesse.
Quindi è giusto lavorare per migliorare le regole.
Il filo sbagliato che deve essere tagliato per disinnescare la bomba è l’idea, intrisa di una visione tipicamente positivista, che le regole, le riforme siano elementi ontologicamente sufficienti a sanare il problema.
Dietro l’enfasi, anche retorica, che accompagna le riforme in Italia, sembra nascondersi l’idea che sia solo un problema di bravura e di processo. Se il nuovo impianto è corretto, ben impostato, ben strutturato, se, in sostanza, siamo bravi, possiamo essere confidenti che riusciremo a risolvere i problemi che fino a questo momento ci hanno attanagliato.
La fiducia in questa prospettiva di palingenesi fondata su un cambio delle regole trae ispirazione, come si argomentava, da una visione razionalistica che presuppone che le situazioni di criticità, di insoddisfazione possano essere spiegate con l’incapacità pregressa nell’esame di variabili, dimensioni la cui piena comprensione è invece diventata oggi patrimonio comune ed acquisito.
É un’affermazione che molti non fanno ma che quasi tutti pensano e condividono. E questo giustifica anche l’ansia, l’attesa della riforma decisiva che finalmente sblocca il paese, fa funzionare la pubblica amministrazione, fa riprendere il Sud, competitivi i nostri imprenditori e così via.
Siamo di fronte alle riforme come in attesa del lancio di dadi che si spera sia ogni volta quello buono che consenta di mettere a posto il bilancio familiare e che consenta di vivere sereni per il futuro.
Non è questa l’occasione per ragionare sulle ripercussioni sociali di questa impostazione, ma ci sembra importante sottolineare che questa visione produce delle interessanti conseguenze in termini di percezione del senso responsabilità. Se il problema è nelle regole, per definizione, la causa di tutto finisce con l’essere messa all’esterno della propria area di controllo e di influenza. Si innesca così, a nostro giudizio, un pericoloso processo di scarico di responsabilità individuale, magari inconsapevole, che molto difficilmente può essere utile su un piano sociale, soprattutto quando si dovrebbe lavorare di più e meglio per riscattare una condizione di inferiorità, debolezza e ingiustizia. Un grande scrittore italiano diceva che nelle situazioni di grande difficoltà l’unica arma che rimane è quella che ognuno indipendentemente dagli altri e da altro decida di fare quello che può al meglio delle sue capacità. Una situazione del genere è incompatibile laddove si parta dalla premessa che il problema deriva solo da regole non adeguate.
Il comportamento organizzativo: il convitato di pietra
Cosa manca in questo quadro?
Nel panorama che si è tracciato sembra del tutto trascurato il tema della rilevanza dei comportamenti organizzativi che gli individui e i gruppi adottano all’interno delle organizzazioni. A nostro giudizio molti dei problemi che oggi si devono affrontare e che non trovano soluzione dipendono da una difficoltà a mettere a fuoco l’importanza che i comportamenti individuali e collettivi all’interno delle organizzazioni hanno per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.
È forse giunto il momento di aprire finalmente la porta e far entrare il nostro convitato di pietra: i comportamenti organizzativi, i comportamenti manageriali. Il tema è molto vasto e richiede una focalizzazione molto spinta.
In sintesi, aprire il ragionamento includendo il tema dell’organizational behaviour è la via per prendere atto del fatto che la strada per il miglioramento nei livelli di servizio della PA dipende anche dallo sviluppo di forti competenze comportamentali e manageriali. Il cambio delle regole rappresenta un elemento sicuramente utile ma che non è da solo sufficiente a sbloccare la situazione, se parallelamente non cresce anche la qualità dei comportamenti organizzativi di chi lavora nelle diverse articolazioni della PA italiana.
Le responsabilità che ricadono sulla formazione manageriale sono evidenti, perché i contenuti, le modalità didattiche, il processo stesso di erogazione della formazione diventano uno strumento potenzialmente molto efficace per aiutare le persone che lavorano nella PA a migliorare e a portare miglioramenti concreti all’interno del contesto di lavoro.
Le azioni operative che il Dipartimento di Management Organizzazione e risorse Umane, che ha ad oggi la responsabilità di curare la formazione manageriale all’interno della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, sono andate in due direzioni precise.
La prima riguarda i contenuti dei processi formativi. La seconda il coordinamento con le amministrazioni centrali dello Stato che rappresentano gli interlocutori istituzionali principali della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Per quanto riguarda i contenuti vi è un’implicazione diretta ed evidente: la necessità di dedicare più spazio ed attenzione ai temi propri dell’organizational behaviour. è una scelta che strategicamente si è fatta, ed in maniera del tutto evidente, con riferimento alla programmazione didattica a catalogo dell’area manageriale della scuola nazionale dell’amministrazione per il 2018.
Concretamente rispetto all’offerta complessiva, ben 22 corsi a catalogo presenti nelle Pagine SNA sui 120 complessivamente disponibili, sono collegati a temi di comportamento organizzativo.
Ecco quindi nell’offerta a catalogo della Scuola corsi dedicati alla gestione dei gruppi di lavoro, alla gestione dei processi di cambiamento, ai processi di negoziazione e alla risoluzione di forme di conflitto. Questi sono esempi di corsi inseriti nell’offerta a catalogo della scuola nazionale che vengono riportati per dare un’indicazione chiara del tipo di indirizzo strategico che si è deciso di seguire.
La stessa impostazione riguarda anche l’organizzazione dei contenuti dei moduli di contenuto manageriale inseriti nei grandi programmi di formazione destinati alla formazione iniziale dei neo-assunti: funzionari e dirigenti (ovviamente con diverse tonalità e sfumature).
Partendo da questa scelta fatta in termini di contenuti, la riflessione ha riguardato anche le metodologie di insegnamento. Siamo partiti dalla convinzione che lo sviluppo di competenze comportamentali e manageriali passi anche attraverso una revisione attenta delle modalità e delle metodologie di didattica. Anche su questo all’interno del Dipartimento di Management organizzazione e risorse umane (in maniera coerente alle linee di indirizzo fornite dal prof. Stefano Battini presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione) si è deciso di aumentare l’attenzione rivolta agli aspetti collegati alle metodologie didattiche. I docenti sono stati chiamati a progettare i corsi prevedendo una maggiore partecipazione dei discenti attraverso metodologie didattiche che combinino la tradizionale lezione frontale con forme di didattica più interattive. Sempre in coerenza con questo obiettivo di crescita e di sviluppo di competenze, nella progettazione dei corsi si vuole provare a raggiungere una nuova forma di equilibrio tra esperienze sul campo e conoscenze teoriche adottando sistematicamente forme di co-docenza nelle quali practitioners, esperti e docenti accademici devono trovare forme di cooperazione necessarie per un effettivo sviluppo delle competenze comportamentali e manageriali dei discenti.
Per quanto riguarda il secondo punto relativo al coordinamento con le amministrazioni dello Stato, è estremamente interessante, dal nostro punto di vista, mettere in evidenza che le scelte ora descritte in termini di contenuti, finalità, metodologie didattiche sono state anche il risultato di una forte convergenza di opinioni con i referenti della formazione delle amministrazioni centrali (che rappresentano i destinatari principali dell’azione formativa della Scuola Nazionale dell’amministrazione).
Per incrementare il livello di allineamento e di cooperazione tra la Scuola Nazionale dell’Amministrazione e le amministrazioni centrali dello stato si è organizzato, con la regia del prof. Stefano Battini, un gruppo di lavoro denominato club dei formatori che raggruppa oltre ai referenti della formazione della SNA tutti i referenti della formazione delle 35 amministrazioni centrali dello Stato. i primi incontri di lavoro che hanno visto la partecipazione del 95% delle amministrazioni coinvolte ed invitate sono stati indirizzati specificamente a ragionare sulla coerenza dei contenuti didattici offerti dalla Scuola. In maniera convergente, i referenti hanno confermato la necessità di un forte investimento sui temi delle competenze comportamentali e manageriali.
In conclusione, l’investimento nella formazione sulle competenze di comportamento e manageriali rappresenta un elemento imprescindibile per raggiungere un obiettivo di sviluppo e di miglioramento della qualità dei servizi della PA sia quelli rivolti ai cittadini che quelli indirizzati alle imprese. Si tratta però di un processo lungo e graduale, ma che negli anni può garantire progressi incrementali crescenti.
Autori
Università degli Studi di Napoli Federico II