La condivisione prima di tutto? Riflessioni e spunti di ricerca sul fenomeno del coworking

Il presente articolo ha l’obiettivo di mappare i temi principali che emergono dal dibattito sul tema del co-working. Viene proposta una riflessione su come tale modalità di lavoro trasformi schemi e relazioni di impiego tradizionali, ponendo sfide inaspettate connesse alla gestione delle persone, delle strutture e dei confini tra individuo e collettività.

Introduzione

Si assiste ad un crescente e diffuso interesse verso l’analisi delle nuove modalità di organizzazione del lavoro. Il dibattito manageriale ed organizzativo (e.g. Spreitzer, Cameron e Garrett, 2017) ha posto l’accento su tempi, modi, spazi e dinamiche sociali distintive delle cosiddette ‘nuove forme di lavoro’. Esse non soltanto contribuiscono a ridefinire la natura del lavoro, trasformandone schemi e relazioni di impiego tradizionali ma, soprattutto, pongono sfide inaspettate connesse alla gestione delle persone, delle strutture e dei confini tra individuo e collettività.

Una parte degli studi sul tema sottolinea che l’affermazione di nuovi modelli di business, le opportunità fornite dalla digitalizzazione e dal fenomeno della cosiddetta ‘sharing economy’ abbiano rappresentato le premesse per la nascita di nuove forme di lavoro, che di volta in volta vengono ricomprese all’interno di più generali termini quali ad esempio, “crowd-work”, “collaborative work”, “gig work” e svariate altre ‘etichette’ definitorie. Nonostante le differenze e le tipicità di ciascuna definizione, alcuni elementi comuni sono rintracciabili in ciò che concerne la natura collaborativa e imprenditoriale del lavoro, lo spiccato senso di autonomia nella determinazione dei tempi e modi in cui svolgere il lavoro, ed una forte identificazione con l’attività lavorativa che diviene parte integrante dello stile di vita e della identità personale.

Abitualmente poste in contrapposizione al “lavoro tradizionale”, poiché svolte al di fuori dei tradizionali confini organizzativi e con modalità diverse da quelle consolidate e istituzionalizzate (OCSE, 2018), le nuove configurazioni di lavoro sono state oggetto di indagine in diverse discipline oltre agli studi di management ed organizzazione, ad esempio esse sono state analizzate negli studi di comunicazione, sociologia, geografia economica e pianificazione urbana.

Tra le nuove forme di lavoro, un posto privilegiato è occupato dal fenomeno del coworking (ad es. Gandini, 2015; Garrett, Spreitzer e Bacevice, 2017; Salovaara, 2015; Spinuzzi, Bodrožić, Scaratti e Ivaldi, 2019) e dalle opportunità che esso può generare per le imprese (Montanari, Scapolan e Leone, 2019), i privati e più in generale i contesti urbani di riferimento.

Finora il tema del coworking è stato relativamente poco trattato negli studi di organizzazione e management (Ropo et al., 2015). Con l’eccezione di un numero limitato di ricerche che hanno posto l’attenzione ad aspetti legati alla costruzione di comunità (Garrett et al., 2017; Blagoev, Costas e Kärreman, 2019) o alla rilevanza della disposizione fisica e dello spazio (Ross e Ressia, 2015), il coworking è abbastanza inesplorato in prospettiva organizzativa, il che è certamente un limite. In particolare, esistono gap conoscitivi riguardanti le implicazioni manageriali connesse alla gestione degli spazi di coworking. Ad esempio: quali sono gli strumenti a disposizione del management per motivare persone o per gestire i conflitti di coloro che frequentano tali luoghi in modo casuale o saltuario? In che modo è possibile fare ricorso a tradizionali strumenti di costruzione del team e coinvolgimento per generare innovazione?

Il presente articolo ha l’obiettivo – sulla base di una ‘scoping review’ – di mappare i temi principali che emergono dalla ricerca in tema di coworking. Dopo un breve inquadramento del concetto e una discussione dei principali temi emersi, si procederà ad una riflessione sulle implicazioni manageriali associate alla gestione ed organizzazione degli spazi di coworking.

Negli ultimi anni il coworking (Waters-Lynch e Potts, 2017) è divenuto un termine molto diffuso e ciò rispecchia in parte la più generale tendenza di ‘portare il lavoro’ al di fuori dei tradizionali uffici.

Coworking è un termine dalle molteplici valenze (Ross e Ressia, 2015).

Il termine coworking può assumere una connotazione spaziale ed in tal caso si riferisce ad uno spazio di lavoro fisico. Diversamente dai luoghi di lavoro tradizionali, il coworking opera attraverso una “respazializzazione del lavoro” (Halford, 2015). Seppur diffusi in svariati contesti urbani, talvolta nei principali centri cittadini, gli spazi di coworking offrono un’atmosfera di lavoro simile e la rassicurazione che, nonostante la loro diffusione globale, i lavoratori possono trovare una dimensione estetica riconoscibile. Un’attenzione all’estetica degli spazi, coadiuvata “ad un’enfasi sulle attività sociali e collaborative” sono le caratteristiche distintive del coworking (Waters-Lynch, 2016: 6).

Il coworking non soltanto reinterpreta lo stile proposto dagli open space, proponendo postazioni di lavoro confortevoli (Brennan et al., 2002) ed assimilabili ad un salotto domestico, ma si connota altresì come uno spazio per la condivisione di esperienze di lavoro per i lavoratori indipendenti (Gandini, 2015). In tali contesti, i soggetti (co-) lavorano in un’atmosfera informale e ciò in virtù del fatto che si ritiene questo possa essere di giovamento per la creatività (Moriset, 2013). I servizi offerti includono non solo postazioni di lavoro, sale riunioni, e strutture per gli uffici, ma anche servizi di caffetteria, iniziative formative (es. seminari sull’imprenditorialità), eventi per la creazione di rete e simili attività.

La seconda valenza del termine coworking è invece connessa ad una specifica modalità di lavoro o di concepire il lavoro. In tal caso, l’attenzione è posta sui soggetti che frequentano e vivono tali spazi, ossia liberi professionisti, startupper e lavoratori autonomi. In parte in risposta alla maggiore flessibilità negli accordi di lavoro ed al crescente sviluppo di forme di ‘mobile working’, questi spazi attraggono l’interesse non soltanto di una vasta gamma di liberi professionisti, intellettuali, lavoratori nelle industrie creative e cosiddetti “microimprenditori”, ma anche e con sempre crescente intensità dei lavoratori dipendenti. Ciò ha infatti portato allo sviluppo del cosiddetto coworking aziendale. In questo caso, sono le aziende a riconoscere i benefici della frequentazione di spazi informali e dell’esposizione dei propri dipendenti a stimoli provenienti da professionisti diversi. In tal senso, si riconosce il valore dell’autonomia nel lavoro e si rintracciano vantaggi nella collaborazione di tipo informale e casuale (Eurofound, 2018) perché orientata all’innovazione. Oltre a ciò si ritiene che la frequentazione di spazi condivisi possa dare originare a comportamenti imprenditoriali con implicazioni su diversi aspetti dell’identità lavorativa.

Partendo dall’idea di offrire un’infrastruttura spaziale e sociale a liberi professionisti, imprenditori e altri lavoratori indipendenti (Brown, 2017), il coworking ha assunto contorni più sfumati, divenendo anche una modalità di gestione dei dipendenti, che ha portato allo sviluppo di diversi modelli di coworking aziendali (Busacca, 2019).

Partendo da ciò, diversi studi in varie discipline hanno iniziato a esplorare le origini di questo concetto, le condizioni e i motivi per cui esso è diventato sempre più diffuso in contesti diversi, i principi alla base del suo successo, le opportunità ed i rischi associati alla sua attuazione.

Nella sezione seguente, procederemo alla descrizione della ‘scoping review’ e dei principali risultati emersi da questa.

Approccio metodologico e risultati della ricerca

La ‘scoping review’ (Arksey e O ‘Malley, 2005) è stata scelta come approccio per un’iniziale ricognizione sull’argomento. Suo scopo principale è “mappare” un fenomeno e le sue caratteristiche chiave (p. 21). Gli autori chiariscono che questo tipo di approccio può essere particolarmente utile per:

Esaminare l’estensione, la varietà e la natura degli studi sull’argomento: questo tipo di rassegna non ha il fine di descrivere i risultati degli studi in maniera esaustiva. Tuttavia permette di mappare campi di studio per i quali risulterebbe difficile avere una completa ricognizione dei materiali prodotti. (p. 21)

La mappatura degli studi è iniziata con una prima revisione esplorativa di articoli accademici sull’argomento. In linea con le caratteristiche del metodo scelto, la domanda che ha guidato la ricognizione è la seguente: Quali sono i temi chiave che informano il dibattito internazionale sul coworking?

L’analisi ha incluso diversi passaggi: in primo luogo, sono state identificate le parole chiave fondamentali quali ad esempio “futuro del lavoro”, “co-working”, “nuove forme di lavoro”, “nomadic and temporary work”, “spazi collaborativi”. Le parole chiave sono state cercate in tutto il manoscritto. Sono stati inclusi nella ricerca articoli su riviste, libri e capitoli di libro, pubblicati o in stampa, proceedings di conferenze accademiche e policy documents. Gli articoli sono stati reperiti consultando banche dati bibliografiche multidisciplinari, tra le quali Scopus, Web of Science, Proquest e JSTOR. La finestra temporale per la ricerca dei contributi ha fatto riferimento a materiali pubblicati tra il 2005 e il 2020. Il risultato di questa prima fase è consistito in un elenco di circa 100 studi. La lettura degli abstract ha portato alla eliminazione dei contributi non coerenti con il design della nostra ricerca. Una successiva analisi seguita dalla lettura integrale dei testi e da una discussione tra i membri del gruppo di ricerca ha permesso di identificare ulteriori riferimenti utili alla comprensione del campo d’indagine. Si è quindi proceduto ad una mappatura finale dei contributi (71) e infine alla raccolta, sintesi e analisi dei risultati.

Trattandosi di un progetto di ricerca tuttora in corso, nel prosieguo vengono riportati selettivamente alcuni risultati preliminari.

I principali filoni del dibattito sono riconducibili a tre aree tematiche: 1. Genesi, classificazioni e definizione del coworking; 2. La dimensione collaborativa: comunità, creatività, conoscenza; 3. Attitudine e sviluppo dell’imprenditorialità: autonomia networking e dimensione estetica. Di seguito, riportiamo ciò che è emerso da questa esplorazione iniziale.

Genesi, classificazione e definizione del coworking

L’analisi degli studi considerati ha mostrato che il tema del coworking è stato oggetto di analisi da parte di studiosi di diverse discipline, tra cui geografia economica, pianificazione urbana, studi aziendali. Nonostante la diversità delle prospettive, un tratto comune presente negli studi è quello di concentrarsi sulla ricostruzione del fenomeno, illustrandone la genesi ed i tratti distintivi.

Le origini del coworking sono da rintracciarsi in uno spazio aperto a San Francisco nel 2005. Brad Neuberg getta le basi per quello che si sarebbe successivamente diffuso nelle maggiori città: uno spazio di lavoro a metà tra l’ufficio e la casa, in cui si mescolano attività professionali con attività sociali tipiche del tempo libero in uno spazio informale (Garrett et al., 2017; Merkel, 2015; Moriset, 2014; Rus & Orel, 2015; Spinuzzi et al., 2019).

Un ampio filone di studi sul coworking (per esempio nell’area di pianificazione urbana, management and information systems, sociologia) riguarda principalmente la descrizione e definizione del fenomeno (Brown, 2017; Gandini, 2015; Spinuzzi, 2012; Spinuzzi et al., 2019; Aroles, Mitev, & de Vaujany, 2019; Blagoev, Costas, Karreman, 2019).

Ad esempio, Spreitzer et al. (2017) definiscono i coworking spaces come “luoghi di lavoro frequentati da un gruppo eterogeneo di persone che non lavora necessariamente per la medesima organizzazione” (p. 491). Ne consegue che una delle caratteristiche distintive degli spazi di coworking è la compresenza di un gruppo diversificato di professionisti che lavora su progetti autonomi (Gandini, 2015) e che spesso opera in settori diversi. Numerosi autori osservano che gli spazi di coworking rispondono al bisogno di operare in ambienti fisici alternativi e più informali, ma che tuttavia forniscono un senso di connessione con gli individui. L’affiliazione professionale e lo sviluppo di un senso di identità condiviso sono, quindi, aspetti chiave offerti dal coworking.

Come sottolineato da Merkel (2015), la struttura stessa di questi spazi – concepiti come informali, flessibili e aperti – è alla base di un “modello culturale normativo che promuove un insieme di valori come comunità, collaborazione, apertura, diversità e sostenibilità” (Merkel, 2015, p. 124). In sintesi, il coworking non ha come obiettivo quello di consentire di lavorare “da soli ma insieme” o “gli uni accanto agli altri” in uno spazio flessibile ed accessibile” (p. 124). Si tratta, piuttosto, di una pratica sociale che deve essere collocata all’interno dei cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro e nell’organizzazione del lavoro (ibid. p. 125). Come notato da Aroles et al. (2019, p. 5), gli spazi di coworking sono anche “l’ultima esemplificazione delle economie e delle logiche neoliberali …, in quanto favoriscono, tra le altre cose, l’individualizzazione e l’atomizzazione del lavoro”.

La dimensione collaborativa: comunità, creatività e conoscenza

Un numero significativo di studi sul coworking affronta i temi della comunità e della relazionalità, illustrando in che modo i sentimenti di comunità emergono in questi spazi (Brown, 2017; Capdevila, 2019; Garrett et al., 2017; Rus e Orel, 2015; Spinuzzi, 2012; Spinuzzi et al., 2019).

Il senso di comunità sembra essere uno degli elementi centrali per chi frequenta gli spazi di coworking. Come riportato da Deskmag (2012) nel Global Coworking Survey 2017, per il 56% dei membri, l’interazione con altri membri ed un forte senso di comunità sono fattori essenziali per la scelta di frequentare uno spazio di coworking. L’atmosfera sociale è, quindi, una caratteristica distintiva del coworking e una delle ragioni principali che porta i soggetti a lavorare in questi luoghi.

In un articolo pubblicato su Organization Studies, Garrett et al. (2017) notano che il coworking favorisce le relazioni con la comunità e inoltre agisce come antidoto al senso di solitudine che a volte colpisce i lavoratori indipendenti. Come emerge dalle interviste condotte con persone che operano in spazi di coworking, in questi contesti la comunità è attivamente co-costruita attraverso l’interazione quotidiana e la creazione di un senso di scopo.

Similmente, Spinuzzi (2012) e Spinuzzi et al. (2019) hanno notato che i sentimenti di isolamento, di incapacità di costruire fiducia e relazioni negli uffici sono tra le ragioni che portano gli individui a frequentare gli spazi di coworking. Gli autori fanno un ulteriore passo avanti studiando il legame tra comunità e collaborazione. La collaborazione è, infatti, vista come il motore che permette alla comunità di emergere. Questo punto è ribadito in molti studi che hanno esaminato i benefici derivanti dalla collaborazione (Cabral e Winden, 2016; Rus e Orel, 2015; Spinuzzi et al., 2019).

Diverse ricerche hanno esaminato in particolare l’innovazione e come orchestrare le attività di collaborazione all’interno degli spazi di coworking per innescare l’innovazione (Bouncken, Laudien, Fredrich e Gàrmar, 2018; Moriset, 2014). Tali studi hanno sostenuto che la collaborazione aumenta le possibilità di scambio di conoscenze, che in ultima analisi favorisce la creatività e l’innovazione (Cabral e Winden, 2016; Capdevila, 2019).

Gran parte di questa letteratura suggerisce che la coesistenza di liberi professionisti e microimprese con competenze complementari favorisce la creazione di condivisione delle conoscenze. La conoscenza condivisa dai colleghi è un “modo cruciale per fornire la diversificazione e la collaborazione necessarie per l’innovazione” (Capdevila, 2019: p. 7). Moriset (2014) osserva che incontri casuali (Roberts, 1989) e la probabilità di incontrare persone provenienti da ambienti diversi rappresentano due elementi chiave di questi spazi.

Secondo Capdevila (2019), pertanto, i manager dovrebbero orchestrare le condizioni per consentire l’innovazione: innovazione sociale, innovazione user-based ed open innovation sono solo alcune forme di innovazione che possono essere attivate all’interno di questi spazi. 

Attitudine e sviluppo dell’imprenditorialità: autonomia networking e dimensione estetica

L’analisi dei contributi rivela come diverse ricerche partano dall’assunto che gli spazi di coworking siano, di per sé, in grado di promuovere innovazione e creatività. Un elemento cruciale per la generazione di innovazione è la progettazione degli spazi di lavoro.

Recenti studi che guardano alla dimensione estetica dello spazio sostengono che la collaborazione, tra le altre cose, richieda un’appropriata configurazione dello spazio di lavoro (vedi, ad esempio, Salovaara, 2015). Come osservato da de Vaujany, Dandoy, Grandazzi e Faure (2019) un certo tipo di atmosfera e configurazioni spaziali modellano la costruzione delle esperienze e delle attività di lavoro. Per esempio, Gregg e Lodato (2018) si riferiscono alla gestione dell’atmosfera come l’attività di organizzare le condizioni che consentono alle persone di interagire casualmente, conoscersi ed evitare fonti di potenziale attrito.

Il design dello spazio può essere motivo di attrazione per alcune categorie di utenti, come liberi professionisti e lavoratori autonomi. Un buon numero di studi sul coworking sostiene che il coworking sia progettato per comunicare senso di autonomia ed indipendenza (vedi ad esempio Bouncken, Clauss e Reuschl, 2016). Tali valori sottendono ad una capacità imprenditoriale che sembra essere centrale in questi nuovi luoghi di lavoro. Lo spirito imprenditoriale è infatti facilitato dalle infrastrutture e dall’assenza di una gerarchia (Bouncken et al., 2016), il che offre opportunità per lo sviluppo di reti personali. Oltre alla retorica dell’autonomia, dell’indipendenza e dell’auto-realizzazione dei lavoratori, un ulteriore filone pone in connessione il coworking con il rinnovamento urbano (Correia e Gouveia, 2019). Il fatto che in molte città tali spazi appaiano sia come spazi aziendali che come iniziative pubbliche è ascrivibile alla presenza di più ampi interventi sui contesti urbani. Come osservato da Merkel (2015), il coworking può essere assimilato a fenomeni come i cosiddetti “giardini comunitari” o agli “interventi di natura artistica”, tutte iniziative che indicano una forma di riappropriazione degli spazi urbani (p. 124). Ciò spiega l’uso del coworking come leva per rivitalizzare aree urbane problematiche, creare distretti creativi e, più in generale, città creative.

Implicazioni teoriche e manageriali

Il coworking è un fenomeno riconducibile ai più ampi cambiamenti riguardanti l’organizzazione del lavoro. Secondo Leclercq-Vandelannoitte e Isaac (2006) l’origine del coworking si ricollega, in una certa misura, alla cosiddetta ‘virtualizzazione’ dei processi di lavoro’. Con ciò si indica il fatto che la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sotto forma di personal computer e mobile technology abbiano contribuito alla disgregazione spaziale e temporale del lavoro, portando ad una riconfigurazione delle attività in spazi ‘altri’ e in tempi non scanditi dal tradizionale orario di ufficio. Come evidenziato da Gregg e Kneese (2019) che citano il caso di WeWork – pioniere e leader nella gestione degli spazi di coworking, diventato famoso per lo slogan: ‘Grazie a Dio, è lunedì!’ – l’idea di avere dei limiti di orario non è soltanto obsoleta per i nuovi professionisti, ma in una certa misura è quasi fuori luogo rispetto alla loro sensibilità; il committment verso il proprio lavoro non è dimostrato dalla prossimità fisica e dal prolungamento delle attività oltre l’orario canonico, quanto piuttosto dalla passione per ciò che si produce (Gregg e Kneese, 2019: 2).

Tale cambio di prospettiva pone interessanti domande non soltanto relativamente alla dimensione identitaria e di attribuzione individuale al significato del lavoro, ma soprattutto rispetto all’emergere di modelli alternativi per misurare la produttività e per la definizione di strumenti di coordinamento oltre lo spazio circoscritto dei confini organizzativi. È importante sottolineare che alcuni autori leggono questo cambiamento in chiave critica. Secondo questa posizione, la graduale attenuazione dei confini tra il tempo non di lavoro e il tempo di lavoro, e la percezione che il lavoro possegga una dimensione per così dire ‘ludica’ potrebbe dare spazio all’emergere di forme di controllo ‘neo-normative’, ovvero forme di controllo del lavoro basate sull’autodisciplina e l’interiorizzazione di valori e norme inglobate nel modo di essere ed agire individuale (Fleming e Sturdy, 2009).

Alla luce di ciò, riteniamo che un’accettazione acritica delle affermazioni che caratterizzano il discorso sul coworking, considerato come un rimedio ai più comuni ‘mali’ dell’organizzazione del lavoro tradizionale, quali ad esempio la rigidità negli orari di lavoro o percorsi di carriera basati su obiettivi di produttività prestabiliti, impedisca di analizzare tale fenomeno con la giusta lente.

La scoping review condotta permette di fare luce su alcuni aspetti collegati a quanto avviene all’interno di tali spazi: senso di collaborazione e comunità (Bilandzic, Schroeter e Foth, 2013; Spinuzzi et al., 2019), condivisione delle conoscenze e spinta verso la creatività e l’innovazione (Brown, 2017; Capdevila, 2013; Cheah e Ho, 2019), l’emergere di una certa attitudine verso comportamenti micro-imprenditoriali (Bouncken, Aslam, et al., 2018; Bouncken e Reuschl, 2018).

Il coworking, così come altri spazi collaborativi, quali ad esempio i Fab Labs, Living Labs, gli hackerspaces ed i makerspaces, non si limita a offrire generiche occasioni di innovazione collaborativa. Come osservato da Capdevila, (2019) le specificità di ciascuno di questi spazi rende possibile una diversa configurazione dei processi di innovazione, consentendo l’emergere di forme differenti quali user-based innovation o social innovation. Tale considerazione genera rilevanti implicazioni manageriali in quanto pone l’attenzione sul fatto che ciascuno di questi spazi può essere adeguatamente modellato ed orchestrato dal management per favorire specifici processi di innovazione. L’analisi degli spazi collaborativi, quali il coworking, appare oggi quanto mai centrale, anche alla luce dell’emergenza sanitaria globale legata al Covid-19, che ha contribuito a consolidare e diffondere lo smartworking in tutti i tipi di contesti organizzativi. Se da un lato la generale tendenza ad adottare forme di lavoro mobile, flessibile, de-strutturato nei modi e nei tempi appare rafforzata dagli eventi connessi alla pandemia, d’altro canto lo scenario di fronte a noi solleva dubbi sulla sopravvivenza futura degli spazi comuni – di lavoro e non – e su come essi debbano essere rimodulati e ripensati. Le prospettive, si badi bene, non sono necessariamente di segno negativo. Dal punto di vista dell’offerta, la ‘nuova normalità’ ha portato i provider più lungimiranti a investire sull’adeguamento degli spazi e delle attrezzature, in linea con i nuovi standard igienici. Ad esempio, un sito web specializzato (coworker.com) riporta l’esperienza di un fornitore portoghese (IDEA Spaces) che ha continuato a investire nel proprio business anche durante la fase acuta della pandemia, ed oggi si appresta a inaugurare nuove sedi nel proprio paese. Dietro questa controtendenza vi è un aspetto interessante, finora poco presente in letteratura, ossia il fatto che il superamento del lavoro remoto svolto da casa sia una priorità avvertita anche dal personale delle grandi aziende, a cominciare da quelle della Silicon Valley (allwork.space). Da qui l’accresciuta domanda di multipurpose work hub di prossimità, ossia ubicati fuori dai centri urbani principali, ma non molto distanti dalla propria abitazione.

In termini più ampi, la scoping review effettuata ci consente di osservare che gli aspetti relazionali e sociali ricoprono un ruolo centrale negli studi dedicati agli spazi collaborativi e nello specifico nei coworking. Numerose indagini fanno riferimento a come gli individui sperimentano quotidianamente il lavoro. Sarebbe tuttavia interessante porre a confronto maggiormente il coworking con i tradizionali schemi e pratiche di lavoro, al fine di comprendere in che modo e con quali differenze l’agire individuale è influenzato e mediato dal modo in cui tali spazi sono proposti ai frequentatori. In altre parole, i coworking space non sono semplicemente ‘luoghi alternativi’ o contenitori fisici dotati di infrastrutture tecnologiche per permettere attività relazionale. Essi strutturano e configurano la possibilità stessa di agenzia. Se è vero che gli oggetti e gli elementi materiali non sono neutrali, ma mediano ed informano l’organizzare (Beyes, Holt e Pais, 2019), è necessario porre maggiore attenzione agli strumenti e le pratiche manageriali, ad esempio come affrontare dinamiche interne ai team come il potere ed il conflitto, gestire l’equilibrio tra bisogni individuali e di gruppo, oppure come fare ricorso a strumenti di coordinamento non gerarchici e informali. In altri termini, per gli studiosi di coworking e delle modalità di lavoro ad esso assimilabile, diventa essenziale in primo luogo capire come persone, spazi e struttura si modellano e sono modellati da questo fenomeno.

Tab. 1 – Overview della letteratura sul co-working

Authors Year Title Journal title or other source 
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