Lo smart working nelle pubbliche amministrazioni: un’analisi socio-tecnica del fenomeno

Nel 2020 circa il 35-40% dei dipendenti nelle economie sviluppate ha lavorato da casa la maggior parte o tutto il tempo. A quasi un anno di distanza dall’inizio della pandemia si possono individuare opinioni nettamente divergenti in merito all’impatto del telelavoro (spesso ambiguamente chiamato lavoro flessibile, lavoro agile o smart working) sulle performance della Pubblica Amministrazione (PA), sulla sua organizzazione, sulla gestione dei task e sui comportamenti dei lavoratori. Se da una parte si stima che il numero di lavoratori in remoto continuerà a crescere nel 2021 e che i dirigenti vorrebbero garantire ai dipendenti di continuare a lavorare da casa almeno una parte del tempo lavorativo, rimangono dubbi sul fatto che il lavoro in remoto verrà adottato dalle PA in modo proficuo. In questo articolo si adotta la prospettiva socio-tecnica per identificare e chiarire quali fattori potrebbero favorire una siffatta adozione e quindi realizzare effettivamente il lavoro agile nella PA.

1. La diffusione del lavoro in remoto nelle pubbliche amministrazioni nel 2020

Il lavoro in remoto, inteso come lavoro altrove rispetto all’ufficio (Krishnakumar & Choudhury, 2014) è una pratica diffusa ormai da più di due decenni. Già le innovazioni delle tecnologie digitali degli anni ‘90 avevano permesso a molte organizzazioni di introdurre flessibilità nella gestione del tempo e della dislocazione geografica dei propri impiegati, dando vita a prassi organizzative indicate con il nome di telelavoro (Niles, 1998). A seguito della crisi pandemica SARS-CoV-2 (comunemente chiamata Covid-19), la percentuale di lavoratori in remoto nella pubblica amministrazione è aumentata esponenzialmente e si stima che nel 2021 continuerà a crescere oltre il 40% della forza lavoro. Rimangono molte incertezze su come le pubbliche amministrazioni (PP.AA.)adottino in modo proficuo ed efficace il telelavoro, il lavoro agile e/o lo smart working.

Questo articolo si propone di indagare i fattori che potrebbero favorire l’adozione e quindi la realizzazione effettiva del lavoro agile nelle PP.AA., al fine di identificarli e chiarirne la natura e la portata adottando la prospettiva socio-tecnica.

Nell’ultimo decennio il prefisso smart si è progressivamente imposto come termine per qualificare l’uso innovativo di tecnologie digitali in molte aree del business, e – fra le altre – anche del lavoro in remoto. Diversi studi propongono framework concettuali che mettono in evidenza le differenze semantiche tra l’espressione teleworking/telelavoro, lavoro flessibile, smart working, e agile working/lavoro agile. Come descritto in Cuel, Ravarini & Varriale (2020):

  • il telelavoro o lavoro a distanza si riferisce alla capacità di lavorare in un luogo diverso dall’azienda ufficio come un altro ufficio, aree di coworking, casa, un parco o qualsiasi altro luogo che dispone di connessione. Il concetto di lavoro a distanza comprende il lavoro mobile, lavoro a domicilio o telelavoro. La comunicazione e il coordinamento avvengono principalmente su piattaforme e applicazioni online, ad es. Skype, Hangout, Slack, Hibox, Asana;
  • il lavoro flessibile si riferisce alla flessibilità oraria, di luogo e/o contrattuale. Ad esempio, il contratto può prevedere il telelavoro o lavoro a distanza, orari variabili di entrata e/o di uscita, settimane compresse, part-time lavoro, lavoro a progetto o altra forma contrattuale;
  • il lavoro agile si riferisce a un insieme di pratiche che consentono alle organizzazioni di ottimizzare il lavoro enfatizzando la proattività, riducendo gli sprechi, garantendo una maggiore agilità nella gestione delle attività e nel coordinamento con gli altri;
  • lo smart working è considerato un nuovo approccio all’organizzazione del lavoro finalizzato all’efficienza e all’efficacia delle attività attraverso la combinazione di flessibilità, autonomia nell’eseguire le attività, collaborazione e coordinamento variabili, ottimizzazione degli strumenti di lavoro.

Questi termini (e in particolare smart e agile working) si trovano diffusamente impiegati come sinonimi nel lessico manageriale e nelle pratiche organizzative, forse anche a causa della mancanza di best practice diffuse e condivise.

Quel che è certo è che la crisi pandemica SARS-CoV-2 (comunemente chiamata Covid-19) del 2020 ha imposto in ogni paese del mondo l’adozione di politiche di limitazione della mobilità delle persone per contenere il contagio, favorendo ovunque un’accelerazione enorme del lavoro in remoto.

In Italia, il Ministero per la Pubblica Amministrazione ha promosso nel 2020 un monitoraggio sull’adozione del lavoro in remoto (indicato con il nome di lavoro agile o smart working) nelle PP.AA.[1], che hanno registrato un aumento esponenziale tale da obbligare il governo a varare dei decreti attuativi per promuovere il lavoro agile come attività ordinaria per tutte o quasi le funzioni organizzative, senza che ci sia obbligatoriamente un accordo bilaterale tra le parti. Per tale motivo, si è passati dal 1,7% di personale in lavoro agile nelle PP.AA. a gennaio 2020, al 56% nel primo mese di lockdown (marzo 2020), al picco massimo del 64% a maggio successivo (87% per le amministrazioni centrali), fino ad assestarsi al 46% nel settembre 2020. Proprio dopo l’estate 2020, sono entrate in vigore le norme del decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” convertito in Legge n. 77 del 17 luglio 2020), secondo le quali il lavoro agile va contemperato con il lavoro in presenza ben oltre le sole attività indifferibili, a garanzia della continuità dei servizi per cittadini e imprese. Il lavoro agile ha riguardato l’86% delle amministrazioni interpellate, dal 94% al 100% se parliamo degli enti sopra i 10 addetti. A maggio, le dipendenti donne attive da remoto hanno raggiunto il 66,3% contro il 60,3% degli uomini. A settembre il dato è diminuito al 47,6% per le donne e al 44,4% degli uomini, e in media è stato del 48% per le donne e del 44% per gli uomini. A maggio 2020, il 57% del tempo di lavoro era mediamente svolto in remoto, con punte di quasi l’80% nelle PP.AA. centrali.

Questa remotizzazione del lavoro è stata accompagnata da un insieme di cambiamenti. Dal punto di vista economico, le PP.AA. hanno visto ridursi i costi per utenze e cancelleria sostenuti però dai singoli lavoratori costretti a lavorare da casa. Per il 48% degli enti, durante il lockdown i dipendenti sono stati più responsabilizzati e orientati ai risultati. Ancora più significativo è stato l’effetto della pandemia sul livello di digitalizzazione della PA, cresciuto notevolmente in pochi mesi: a fine 2020, l’87% dei dirigenti dispone di firma digitale, il personale si avvale del 60% dei procedimenti completamente digitalizzati, nel 70% delle amministrazioni i dipendenti hanno acquisito nuove competenze digitali.

Esiste tuttavia una discrepanza tra Enti di piccole e grandi dimensioni, mentre gli enti centrali hanno misurato dei picchi di lavoro agile pari all’86%, negli enti locali la diffusione del lavoro agile ha raggiunto una media del 47% tra marzo e luglio, per assestarsi al 31% a settembre.

Questi risultati rappresentativi del fenomeno sono ancora più significativi se confrontati con i seguenti dati:

  • 10 anni fa gli specialisti informatici erano meno del 3% degli addetti che usufruivano di tecnologie evolute (Camussone & Cuel, 2009);
  • con riferimento al Networked Readiness Index (un indice formato dall’insieme dei tanti fattori che consentono alla digitalizzazione di sviluppare appieno il suo potenziale nella società e nell’economia), nell’ultimo Global Information Technology Report presentato dal World Economic Forum (WEF[2]) a giugno 2019, l’Italia, pur dimostrando un forte investimento in tecnologie digitali, si posizionava solo al 45esimo posto;
  • il Digital Economy and Society Index (DESI[3]) calcolato sui dati del 2018 vedeva l’Italia occupare ancora il diciannovesimo posto. In termini di open data, l’Italia aveva fatto notevoli progressi spingendolo sopra la media UE. La disponibilità di servizi di e-Government (ad esempio, Completamento del servizio online) era – allora – superiore alla media, sebbene i servizi per le imprese siano leggermente meno sviluppati rispetto alla media. L’Italia aveva inoltre ottenuto la peggiore performance nella categoria degli utenti di e-Government, classificandosi ultima tra i paesi dell’UE.

2. Riferimenti normativi

In relazione ai riferimenti normativi sul tema dello smart working nelle PP.AA., il quadro generale si presenta alquanto articolato anche se, in termini temporali, ha origini prevalentemente recenti. In questo paragrafo si analizzano sinteticamente i concetti più importanti della materia oggetto di attenzione da parte del legislatore.

Col primo riferimento normativo, la Legge n. 124/2015 (art. 14 “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”) “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, si dispone che le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle risorse di bilancio disponibili e senza alcun ulteriore e maggiore gravoso onere per la finanza pubblica, sono invitate ad adottare misure organizzative finalizzate a perseguire obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione, anche per tutelare maggiormente le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa. L’art. 14 della medesima Legge n. 124/2015 suggerisce l’adozione delle misure organizzative volte a misurare il raggiungimento degli obiettivi e delle performance organizzative e individuali all’interno delle amministrazioni pubbliche.

Nel 2017, l’ordinamento giuridico italiano ha iniziato ad affrontare il tema del lavoro agile o smart working. Il DPCM n. 3/2017 (“Direttiva del presidente del consiglio dei ministri recante indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti “regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”) si propone di perseguire l’obiettivo primario di adottare nuove misure che consentano ai dipendenti pubblici di avvalersi dei più agili strumenti per lo svolgimento in remoto della prestazione lavorativa e, al contempo, senza penalizzazioni per professionalità e carriera.

Il lavoro agile o smart working fa così il suo ingresso in modo riconosciuto e a pieno titolo nel settore pubblico. In questo senso, le politiche delle PP.AA. devono seguire le seguenti direttrici:

  • valorizzare le risorse umane e razionalizzare le risorse strumentali disponibili al fine di realizzare maggiore produttività ed efficienza;
  • responsabilizzare tutto il personale (dirigenti, manager, impiegati semplici, ecc.);
  • riprogettare lo spazio di lavoro;
  • promuovere e diffondere in modo capillare l’utilizzo delle tecnologie digitali;
  • migliorare i sistemi di misurazione e valutazione della performance;
  • favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

In sintesi, con queste norme le amministrazioni pubbliche sono chiamate ad adottare adeguate misure organizzative e a raggiungere gli obiettivi prefissati andando a valutare i percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all’interno di ogni ente. Gli stessi enti pubblici devono anche monitorare l’impatto delle nuove misure organizzative adottate al fine di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, nel rispetto dei principi di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, e della qualità dei servizi forniti. Per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio, sono chiamate a stipulare convenzioni con asili nido e scuole dell’infanzia e a organizzare, anche mediante intese con altri enti pubblici, servizi di supporto alla genitorialità. In seguito alla direttiva DPCM n. 3/2017, è stata introdotta la Legge n. 81/2017 (artt. 18-24) “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, la quale dispone che il lavoro agile ha “lo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (Art. 18 co. 1, Legge n. 81/2017).

Il lavoro agile o smart working è pertanto definito dal legislatore quale “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa” (Art 18 co. 1, Legge n. 81/2017). Le PP.AA. quindi sono chiamate a predisporre le basi per una concreta e profonda maturazione del rapporto lavorativo tra datore e prestatore di lavoro, che sia prevalentemente basato sulla fiducia e sullo svolgimento dei compiti misurati non esclusivamente in termini di tempo impiegato (superando la rigidità nell’orario e nel luogo di lavoro) ma in modo prevalente in termini di risultato (Madini, 2018), (DPCM n. 3/2017).

Nel 2020, a seguito della pandemia si sono registrati numerosi interventi da parte del legislatore per promuovere l’adozione dello smart working, soprattutto nelle amministrazioni pubbliche. Di seguito si citano solo alcune delle disposizioni normative introdotte a causa dell’emergenza Covid-19:

  • DPCM 01/03/2020: introduce la procedura semplificata per l’adozione unilaterale dello smart working, senza alcun accordo tra datore di lavoro e dipendenti;
  • DPCM 11/03/2020: fornisce nuove raccomandazioni per la massima adozione dello smart working (lavoro agile o lavoro da casa) da parte delle aziende;
  • D.L. 18/2020 del 17/3/2020: introduce nuove raccomandazioni per adottare lo smart working sia nel settore pubblico, sia in quello privato;
  • L. 77/2020: al fine di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, dispone che le amministrazioni attuino il riavvio delle attività, ma in deroga alla Legge n. 27/2020 debbano organizzare il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, applicando il lavoro agile.

Tali disposizioni normative hanno sostanzialmente gettato le basi affinché buona parte della PA e delle imprese italiane adottasse lo smart working in modo forzato. Pertanto, l’emergenza sanitaria ha agito in generale da acceleratore nel processo di digitalizzazione delle organizzazioni, e in particolare nell’adozione dello smart working da parte delle amministrazioni pubbliche.

3. L’approccio socio-tecnico (STS) applicato allo smart working

I contributi della ricerca e della pratica evidenziano che sia possibile organizzare il lavoro in remoto secondo modalità più evolute del semplice telelavoro, già diffuso e studiato durante gli anni ‘90. Quest’ultimo è costruito intorno al lavoratore dipendente che, anziché operare su una postazione di lavoro all’interno dell’organizzazione, opera su un’altra postazione fissa, ma in un luogo diverso. Nello smart working, invece, la prestazione è resa in posti e orari non predefiniti e che cambiano nel tempo e, in un rapporto mutevole tra lavoratore e organizzazione, basato (almeno in teoria) su presupposti diversi che definiscono modalità di lavoro flessibili lasciando autonomia al lavoratore dipendente e responsabilizzandolo nel raggiungimento di performance concordate.

In secondo luogo, lo smart working si poggia su tre pilastri fondamentali: la dimensione sociale, in relazione alle pratiche di gestione delle risorse umane e al comportamento dei lavoratori all’interno delle organizzazioni; la dimensione tecnologica, riferita alle tecnologie digitali che permettono di lavorare in remoto e, infine la riorganizzazione fisica degli uffici e degli spazi di condivisione (Raguseo, Gastaldi & Neirotti, 2016). Questo inquadramento concettuale costituisce un’ottima base per interpretare il fenomeno dello smart working attraverso la lente dell’approccio socio-tecnico, in cui le organizzazioni si qualificano come “sistemi aperti” socio-tecnici (Socio-Technical System – STS), cioè scomponibili secondo due dimensioni, tecnica e sociale, strettamente interdipendenti e complementari tra loro (Dossena e Mochi, 2020).

Nel dettaglio, l’approccio socio-tecnico è basato sull’assunto che il cambiamento richiede una prospettiva progettuale centrata sull’uomo, in quanto i sistemi di lavoro vedono la partecipazione di una o più persone che interagiscono tra loro e/o che interagiscono con le macchine (Bednar & Welch, 2019). Pertanto, tale approccio suggerisce di unire in un’unica rappresentazione le variabili tipicamente oggetto di discipline ben distinte, secondo una prospettiva cross-disciplinare. In particolare, la dimensione tecnica viene associata ai processi aziendali, articolati in attività, e alla tecnologia, riconosciuta quale motore principale per attuare i processi, e quindi trasformare gli input in output di valore per l’organizzazione e per tutti i suoi stakeholder. Gli sviluppi più recenti dell’approccio socio-tecnico si occupano del funzionamento interno dell’organizzazione anche in relazione al contesto ambientale di singoli processi, ruoli, unità organizzative, reti ed ecosistemi (Mohr & van Amelsvoort, 2016).

La rappresentazione tipica di un sistema socio-tecnico è presentata in Figura 1 e contempla (Bostrom & Heinen, 1977; Cherns, 1976; Cooper & Forest, 1971):

  • un sottosistema tecnico, costituito da tecnologie, mezzi, strumenti e know how che supportano il processo di conversione degli input in output;
  • un sottosistema sociale, costituito da persone che lavorano individualmente o in gruppo, gestiscono vari livelli di responsabilità e formalizzano le loro relazioni attraverso la struttura organizzativa.

In funzione delle opportunità fornite dall’ambiente esterno, e tenendo conto dei vincoli posti dallo stesso, l’organizzazione definisce le proprie priorità e i propri obiettivi. Dall’interazione tra risorse umane e tecnologie deriva il comportamento organizzativo, rivolto al raggiungimento degli obiettivi, che produce i risultati.

Fig. 1. Il Sistema Socio-Tecnico (tratto da Cuel, Ravarini & Varriale, 2020)

Le variabili interne al sistema organizzativo comprendono:

  • le variabili umane, relative alle caratteristiche delle persone che operano nel sistema organizzativo (qualificazione, atteggiamenti, motivazione, personalità);
  • le variabili sociali, ossia l’insieme delle relazioni interpersonali che si creano all’interno del sistema organizzativo;
  • le variabili tecniche, relative alle tecnologie impiegate;
  • le variabili organizzative, ossia le modalità attraverso le quali si realizzano le connessioni tra gli elementi del sistema organizzativo. Sono normalmente considerate variabili organizzative: la struttura organizzativa, i sistemi (o meccanismi) operativi, lo stile di leadership e, più in generale, la cultura organizzativa.

4. Lo Smart Working secondo la prospettiva socio-tecnica

Come evidenziato in precedenza, la normativa italiana considera lo smart working (indicato anche come lavoro agile) non tanto come telelavoro, ma come un nuovo paradigma di lavoro basato su specifici elementi, quali flessibilità, autonomia, gestione delle attività basate su obiettivi e gestione delle responsabilità.

Con lo smart working le organizzazioni e i lavoratori sono invitati a ripensare in modo sostanziale il proprio rapporto attraverso diverse modalità, ossia creando nuovi posti di lavoro, acquisendo nuove e più innovative competenze (multitasking, lavoro di team virtuali, ecc), scegliendo in maggiore autonomia gli spazi, gli orari e gli strumenti di lavoro, acquisendo una maggiore responsabilizzazione sui risultati (Bednar & Welch, 2019).

Alcuni studi hanno evidenziato che la dimensione sociale e quella tecnica dello smart working sono strettamente interdipendenti, soprattutto in relazione a quei fattori che lo rendono efficace, quali: la comunicazione, il workflow management, la co-creazione di conoscenza e competenza, il bilanciamento tra vita privata e lavorativa, la leadership orientata alla flessibilità del lavoro e alla condivisione di conoscenze, l’autonomia, la proattività e l’empowerment del lavoratore (Dossena & Mochi, 2020). Pertanto, lo smart working si può considerare come un sistema intrinsecamente socio-tecnico scomponibile lungo le due dimensioni, tecnica e sociale, sopra presentate.

I prossimi paragrafi presentano in modo analitico queste due dimensioni, permettendo di individuare alcuni aspetti che influenzano radicalmente l’efficacia dello smart working nelle amministrazioni pubbliche.

4.1 Variabili sociali (structure)

Lo smart working richiede di sviluppare un processo di managerializzazione delle PP.AA.: si tratta di un totale e radicale cambiamento, che dovrebbe spingere gli enti ad un passaggio da una logica di adempimento verso una reale logica del servizio.

In questa direzione, l’obiettivo dello smart working è facilitare i lavoratori a conciliare vita privata e lavoro, incoraggiando la produttività attraverso processi più efficienti, riducendo anche i tempi legati al pendolarismo. Per proteggere la categoria più debole (i lavoratori), è necessario un accordo tra dipendente e datore di lavoro in merito a:

  • l’alternanza tra lavoro fuori dai confini aziendali e presenza sul posto di lavoro;
  • l’interazione diretta con i superiori e la socializzazione con i colleghi in certi momenti della giornata;
  • il rispetto del limite massimo delle ore di lavoro giornaliero, considerando i periodi di riposo settimanali;
  • il diritto di disconnessione dagli strumenti di lavoro;
  • il controllo e la valutazione del lavoratore orientati alla misurazione dei risultati.

4.2 Variabili umane (people)

L’adozione dello smart working è associata al riconoscimento di:

  • un maggiore controllo da parte dei lavoratori sulle proprie attività;
  • la riduzione di fenomeni di alienazione al lavoro e di routine;
  • la creazione di un network professionale più articolato e creativo;
  • l’arricchimento del lavoro e un maggiore coinvolgimento nelle attività lavorative (empowerment) (Bednar & Welch, 2019; Sarti & Torre, 2017; Wrzesniewski & Dutton, 2001).

Si rendono sempre più necessarie nuove competenze per organizzare adeguatamente il lavoro, comunicare con altri colleghi e superiori, lavorare in team per l’erogazione di servizi o l’implementazione di progetti innovativi. Tali attività devono essere sviluppate utilizzando spazi di team building virtuali, coltivando connessioni stabili tra i colleghi e gestendo in modo efficace la partecipazione e la comunicazione. I lavoratori della PA dovrebbero diventare knowledge worker, sviluppando competenze tecniche ma anche affinando tutte quelle competenze soft legate alla comunicazione, al coordinamento, alla gestione dei task e delle routine cognitive individuali e interpersonali (Autor e Price, 2013; Reinhardt et al. 2011; Meyer, 2010; Hargadon, 2002).

Un aspetto oggetto di grande dibattito quando lo smart working viene adottato, è la possibilità di promuovere il benessere di lavoratori, creando una routine quotidiana con il corretto numero di pause, riducendo le distrazioni a casa, il mantenimento di un buon rapporto work-life per permettere la cura del sé: fisica, spirituale, intellettuale, emotiva.

Tra gli svantaggi si evidenziano: il rischio di schiavitù digitale per la mancata predisposizione di regole in merito alla disconnessione e un maggiore rischio di interferenza della sfera lavorativa nella sfera privata e viceversa.

4.3 Variabili organizzative (task)

Queste caratteristiche implicano dei cambiamenti radicali nell’organizzazione del lavoro delle PP.AA., nell’articolazione dei task e nella loro gestione, così come nelle modalità operative con cui i task vengono attuati dagli individui.

Anche a seguito della forte spinta alla digitalizzazione generata dalla pandemia, ricercatori e dirigenti si stanno interrogando su come debbano essere riprogettati i processi di business per rendere efficace il lavoro in remoto. Alcuni dei temi oggetto di analisi sono la riprogettazione dell’articolazione dell’insieme dei task di un processo e la loro distribuzione tra gli individui coinvolti, per tener conto dei vincoli alla comunicazione interpersonale derivanti dalla distanza fisica tra individui, la distribuzione dei task, l’aumento dell’autonomia nella gestione delle attività, la distribuzione temporale dei task di ciascun individuo per garantire un buon equilibrio tra vita privata e lavoro, la gestione delle diversità e delle disabilità, favorire la gestione degli spazi lavorativi nell’arena domestica, ridurre il fenomeno dello skill shortage in merito alla digitalizzazione e soddisfare il bisogno di nuove competenze per gestire strumenti tecnologici sempre più complessi, gestire la comunicazione e il senso di appartenenza dei lavoratori (Schenk & Dolata, 2020; Amirul & Mail, 2020).

Strumenti di tracciabilità e controllo delle attività svolte a distanza devono essere introdotti per monitorare compiti, attività e definire gli obiettivi. La PA deve anche sviluppare e adottare gradualmente un set di incentivi innovativo e radicalmente rivisto a favore dell’adozione di componenti variabili della remunerazione legati al raggiungimento degli obiettivi. In altre parole le attività di progettazione, pianificazione e controllo degli obiettivi devono essere maggiormente sviluppate in tutte le PP.AA. di piccole o grandi dimensioni (Mergel, Ganapati, & Whitford, 2020; Marović & Bulatović, 2020). 

4.4 Variabili tecniche (technology)

L’adozione dello smart working nelle PP.AA. richiede un profondo ripensamento dell’organizzazione in termini di ruoli e coordinamento, di definizione dei tempi di lavoro, degli spazi e dei metodi di lavoro, oltre che un ripensamento della cultura organizzativa su cui si basa il rapporto tra i dipendenti della PA a tutti i livelli. Dal punto di vista della struttura dei sistemi informatici, un tema centrale nel contesto dello smart working è la semplificazione dell’accesso ai sistemi che si può realizzare con soluzioni tecnologiche, quali l’integrazione delle piattaforme e il miglioramento della user experience delle applicazioni software, oppure con soluzioni organizzative, quali la fornitura di un servizio di help desk (Davis 1989; Davis, 1993).

A livello di singolo individuo, la scelta delle dotazioni tecnologiche dovrebbe innanzitutto tenere conto – per quanto concerne le applicazioni – della diversa familiarità con le tecnologie digitali e le differenti competenze tecniche nell’utilizzo del software. Pertanto un modello one-for-all potrebbe rivelarsi fortemente inadeguato (Hitchcock, Laycock, & Sundorph, 2017). Dal punto di vista dell’infrastruttura hardware, durante la pandemia le organizzazioni si sono preoccupate di fornire agli impiegati personal computer, mouse e tastiera. Poche amministrazioni hanno incentivato lo sviluppo di una vera e propria stazione di lavoro ergonomica e completa degli strumenti necessari per un efficace lavoro come, per esempio, la disponibilità di una connessione Internet veloce e affidabile, la disponibilità di periferiche necessarie per il buon risultato del lavoro, quali una stampante e un monitor di dimensioni adeguate alla realizzazione dei task da parte del singolo individuo.

4.5 La diversità e le disabilità

Di particolare interesse è considerare lo smart working come una soluzione di compliance normativa (Angeletti, 2020) e forma proattiva di riprogettazione spazio-temporale del lavoro volta a gestire le diversità e in particolare le disabilità della forza lavoro.

Analizzando gli aspetti relativi alla struttura, alle persone, ai task e alla tecnologia, lo smart working permette di perseguire obiettivi di conciliazione dalla diversa configurazione temporale, esigenze temporanee per lavoratori e lavoratrici in relazione a determinati periodi della propria vita personale e lavorativa (ad esempio, la maternità, la cura di figli piccoli o di anziani non autosufficienti a carico, e malattia), o permanenti perché in presenza di una problematica non risolvibile in un tempo determinato (ad esempio, la presenza di casi di disabilità o di gravi patologie proprie o di un familiare).

Lo smart working nell’ambito degli strumenti di attuazione delle politiche di gestione delle diversità e delle disabilità della forza lavoro, permette non solo di perseguire gli obiettivi di conciliazione, ma riesce anche a soddisfare l’esigenza di introdurre innovazioni organizzative (cambiare il modo in cui il dipendente si relaziona con la propria struttura), tenendo presente l’obiettivo anche di migliorare il livello di produttività ed efficienza o allo stesso tempo gettare le basi per introdurre massivamente le nuove tecnologie finalizzate alla dematerializzazione e digitalizzazione dei processi.

Lo smart working può agire come strumento di age management, capace di conciliare esigenze diverse, senza penalizzare la quantità e la qualità del lavoro svolto. In un’epoca in cui ancora lento si presenta il fenomeno di ricambio generazionale nelle PP.AA., lavorare a distanza consente di rispondere ai nuovi bisogni di conciliazione legati alla gestione di situazioni familiari dove sono presenti persone anziane che necessitano di assistenza. Allo stesso tempo lo smart working può operare come efficace strumento di disability management, capace di supportare i lavoratori con disabilità e/o bisogni speciali. Difatti lo smart working può permettere di creare adeguate condizioni organizzative e professionali favorevoli sia alla definizione di opportunità di lavoro per persone con disabilità, sia alla maggiore flessibilità in termini temporali e spaziali tali da consentire ai lavoratori di gestire in modo più ampio e agevole la propria disabilità.

5. Conclusioni

Nonostante la registrazione di significative resistenze al cambiamento, si possono individuare molte PP.AA. che hanno adottato lo smart working come una nuova forma di organizzazione del lavoro orientata alla flessibilità, autonomia ed empowerment, ma la strada da percorrere si presenta ancora molto complessa.

L’analisi svolta ha permesso di comprendere come le due dimensioni, sociali e tecniche, debbano essere prese in considerazione per comprendere vantaggi e svantaggi dello smart working in un contesto organizzativo reale. Nonostante la forte accelerazione verso il lavoro in remoto determinata dalla situazione emergenziale generata dalla pandemia da Covid-19, da parte delle amministrazioni pubbliche permane una certa resistenza al cambiamento verso una forma di lavoro che rispecchi effettivamente la definizione di smart working, soprattutto in merito al radicato orientamento verso il modo di organizzare il lavoro. La normativa da una parte e i dirigenti dall’altra non pongono l’accento sull’esigenza di mutare le tradizionali e vincolanti pratiche dei modelli di gestione del lavoro delle PP.AA., quali ad esempio:

  • l’adozione di rigidi standard relativi agli orari e luoghi di lavoro;
  • il mantenimento di meccanismi motivazionali e di remunerazione non basati sui risultati;
  • la conservazione di politiche di sviluppo delle carriere tradizionali, poco orientati agli obiettivi e alle performance produttive;
  • il rifiuto di utilizzare in modo sistematico delle metriche di misurazione del lavoro e delle performance.

D’altra parte, affinché si possa concretamente parlare di adozione di smart working nelle PP.AA. secondo una prospettiva socio-tecnica, in cui le due dimensioni, sociale e tecnica, convivono e interagiscono continuamente ed efficacemente, si dovrebbe promuovere un percorso interno alle medesime organizzazioni a tutti i livelli (dirigenti, funzionari, impiegati semplici, ecc.) finalizzato a coinvolgere e riconoscere un reale potere del lavoratore (knowledge worker), in termini di autonomia e flessibilità nello svolgimento delle proprie attività.

 

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[1] Ricerca realizzata nell’ambito del Progetto «Lavoropubblico.gov – Strumenti, sistemi informativi e azioni di accompagnamento per una gestione strategica delle risorse umane – PON Governance 2014-2020». Le amministrazioni rispondenti sono state ben 1.537 (circa 300mila i dipendenti rappresentati) per un periodo che va da gennaio 2020 al 15 settembre 2020. (http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/04-12-2020/pa-ecco-i-numeri-del-monitoraggio-sullo-smart-working ultimo accesso 04/12/2020).

[2] The Global Information Technology Report: Country Profiles, Published: Tuesday, May 14, 2019.

(https://knoema.com/infographics/ljisicg/the-global-information-technology-report-country-profiles?country=Italy ultimo accesso 10/12/2020).

[3] Digital Economy and Society Index (DESI)1 2018 Country Report Italy

(https://ec.europa.eu/information_society/newsroom/image/document/2018-20/it-desi_2018-country-profile_eng_B4406C8B-C962-EEA8-CCB24C81736A4C77_52226.pdf ultimo accesso 10/12/2020).

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