Nuove dimensioni per l’engagement del capitale umano.  Quale evoluzione nello scenario post-pandemia?

Abstract

Il recente abbandono della posizione lavorativa da parte di tantissime persone su una scala globale, definito come Great Resignation, rappresenta un fenomeno di discontinuità tanto per le organizzazioni, quanto per il mercato del lavoro. In questo studio, vengono esaminate le cause di tale fenomeno e si cerca di identificare un nuovo approccio all’Engagement del capitale umano quale risposta alle conseguenze della Great Resignation, così da offrire una prima –per quanto ancora embrionale — analisi a HR manager, imprenditrici e imprenditori e, al tempo stesso, offrire alcune chiavi di lettura auspicabilmente utili a policy maker e esponenti delle istituzioni interessati dal fenomeno in esame.

1.Introduzione

Tra i fenomeni susseguenti alla pandemia di Covid-19 che ricadono nell’ambito delle discipline manageriali e organizzative ce n’è uno che, oltre ad essere imprevisto, pare anche difficilmente comprensibile, quantomeno ad una prima lettura. Ci si riferisce al gran numero di abbandoni volontari dell’occupazione, abbandoni non sempre connessi alla ricerca di nuove esperienze professionali.

Il fenomeno ha assunto ormai una rilevanza internazionale e viene definito Great Resignation. In sostanza, si sta registrando una vera e propria ondata dimissioni volontarie dal lavoro: negli Stati Uniti, nel solo mese di Marzo del 2022, circa 4,5 milioni di persone si sono dimesse dalla propria occupazione, di cui oltre il 40% per via di condizioni di lavorative ritenute eccessivamente faticose[1]. Se, tuttavia, la frequente mobilità costituisce una caratteristica abbastanza ricorrente del mercato lavorativo negli Stati Uniti, la stessa cosa non può dirsi del contesto italiano dove, quasi con sorpresa e con le dovute proporzioni, si registra un fenomeno simile. Infatti, i dati dei Centri per l’Impiego di Veneto Lavoro riferiscono che tra i mesi gennaio e aprile del 2022 in Veneto si sono dimesse 66.300 persone, il 50% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Tiziano Barone, Direttore dei Centri per l’Impiego del Veneto, osserva[2]: «La pandemia ha comportato una maggiore attenzione alla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro soprattutto nei giovani, e nei centri per l’impiego stiamo registrando una sempre minore attenzione verso l’aspetto economico. Oggi alcuni impieghi non trovano candidati, anche a fronte di stipendi elevati, perché hanno un impatto più gravoso sulla quotidianità in termini di orari, flessibilità, tutele, e più in generale in termini di welfare, ovvero sul livello di benessere del lavoratore e della sua famiglia, che va al di là della sola retribuzione».

La cosa non sta riguardando solo il Veneto. Anche in Lombardia, nel 2021, circa 420.000 persone si sono dimesse volontariamente dall’impiego, alla ricerca di un’occupazione più sostenibile dal punto di vista della qualità della vita, con un ricorso sempre crescente allo Smart Working, alla disconnessione e alla flessibilità nell’orario di lavoro. In sostanza, pare proprio che tra giovani e meno giovani si sia ormai consolidata la filosofia YOLO (You Only Live Once – si vive una volta sola), in base alla quale l’equilibrio tra vita privata e vita professionale è considerato prioritario, anche a scapito della remunerazione e dei benefit economici. E, in tal senso, le rilevazioni di Confcommercio/Ascom sembrano confermare tale tendenza[3].

Alla luce di quanto osservato, pare quindi opportuno svolgere alcune riflessioni relativamente al fenomeno della Great Resignation ed esaminare, in parallelo, quali possono essere le nuove dimensioni dell’engagement del capitale umano in uno scenario dinamico, discontinuo e caratterizzato da incertezze, nell’ambito del quale le persone sembrano orientarsi alla ricerca di una più compiuta realizzazione della sfera personale, lato sensu, e paiono meno inclini a sacrificarla per privilegiare esclusivamente l’ambito lavorativo.

2. Alle origini del fenomeno. Una diversa percezione delle opportunità lavorative

Alle origini di questa nuova percezione delle opportunità occupazionali troviamo alcune componenti specifiche:

  • la pandemia di Covid-19, a causa della quale in un elevatissimo numero di paesi centinaia di milioni di persone nell’arco di pochi giorni si sono ritrovate senza un lavoro o comunque fortemente limitate nella possibilità di erogare servizi e professioni;
  • la crescita esponenziale di altri servizi nel periodo di picco pandemico (distribuzione, logistica, applicativi per smart-working, supporti di varia natura alle persone in lock-down, e così via), la cui domanda ha innescato una ricerca incessante di capitale umano e quindi la riconversione di tante persone verso nuove professioni e nuovi mestieri;
  • la presenza di sussidi di varia natura che, come suggerito dalla teoria economica, portano sicuramente un beneficio di breve termine ai percettori, ma generano un effetto complessivo non sempre positivo nel medio termine.

Esaminiamoli rapidamente. Innanzitutto, a causa della pandemia scoppiata in Italia a fine Febbraio 2020, moltissime persone hanno perso il lavoro o hanno visto la propria attività bloccata e comunque fortemente limitata. In conseguenza di ciò, queste persone hanno sperimentato una situazione drammatica e imprevista, rispetto a cui non esistevano modelli di riferimento e occorreva fare delle valutazioni anche intime, nel quadro di un contesto sociale e sanitario che aveva invece una dimensione globale, cosa che ha indotto nuove e autonome considerazioni circa la vita lavorativa e la sfera personale.

Successivamente, superata la drammaticità del momento, una gran parte di queste persone –anche coloro che tra esse avevano un impiego a tempo indeterminato — ha sperimentato nuove opportunità lavorative spesso “inventandosi” servizi e mestieri comunque caratterizzati da maggiore autonomia, flessibilità e che offrivano per la prima volta la possibilità dell’auto-impiego e dell’imprenditorialità. Ciò per molte persone ha rappresentato un valore in sé, una nuova e gratificante dimensione non conosciuta prima nell’ambito del lavoro dipendente (Flamini, Palumbo, e Pellegrini, 2020).

Ultimo ma non minimo, si consideri l’effetto dei sussidi di varia natura introdotti per compensare i mancati redditi dovuti alla pandemia e la presenza (precedente alla pandemia) del reddito di cittadinanza, i cui effetti di medio e lungo termine sulla qualità e sulla quantità dell’occupazione dovranno essere accuratamente studiati, ma che nel breve termine ha generato negli operatori economici una percezione di maggiore scarsità nella disponibilità di capitale umano. Tale aspetto va peraltro ricollegato all’efficacia generale dei sussidi, la cui dinamica complessiva di medio e lungo termine non pare, ancora ad oggi, aver generato evidenze convergenti nella teoria economica (Meyer, 1990; Schmieder, von Wachter & Bender, 2016).

Indipendentemente dal peso effettivo di ciascuna di tali componenti, rimane la discontinuità circa la percezione e la valutazione delle opportunità lavorative. Sembra opportuno, pertanto, esaminare tale discontinuità e approfondirne gli aspetti strutturali, culturali e organizzativi, così da inquadrarne la natura multidimensionale e offrire una possibile agenda per manager, policy maker e studiosi di organizzazione.

3. Nuove dimensioni nelle relazioni con il capitale umano: il ruolo dell’Engagement

L’Engagement del capitale umano riveste un ruolo molto importante sul piano della motivazione e della performance. I dipendenti con un forte Engagement, infatti, adottano comportamenti adattivi e proattivi, volti a contribuire in misura soddisfacente ai risultati dell’organizzazione di appartenenza. Per ottenere un elevato employee engagement, tuttavia, occorre fare leva sugli aspetti comportamentali, cognitivi ed emotivi, grazie ai quali i dipendenti coinvolti possono eccellere nel proprio lavoro adattando il comportamento agli obiettivi organizzativi e manifestando così un elevato livello di commitment verso l’azienda (Shuck e Wollard, 2010; Maslach Schaufeli, e Leiter, 2001; Kahn, 1990). L’Engagement può quindi essere un valido strumento per contrastare la discontinuità “storica” nella percezione e nella valutazione delle opportunità lavorative che le organizzazioni stanno fronteggiando. Al riguardo, Harter et al., (2002) hanno osservato come tante persone svolgano il proprio lavoro senza un adeguato livello di engagement, sottolineando la necessità di un maggiore coinvolgimento affinché il singolo collaboratore possa contribuire al successo della propria organizzazione. Inoltre, un elevato livello di engagement dei dipendenti è desiderabile poiché è considerato uno strumento utile per incrementare il benessere organizzativo rendendo il posto di lavoro un ambiente positivo e motivante, ossia un contesto in grado di stimolare il commitment e l’autorealizzazione (Chalofsky & Krishna, 2009; Maslow, 1970).

Alla luce di quanto appena osservato, un aspetto fondamentale nella questione esaminata in questo articolo riguarda la comprensione della sua dimensione temporale: si tratta di un cambiamento di natura transitoria o strutturale?

Secondo alcuni, si tratta di un fenomeno strutturale che riguarda il capitale umano di più recente ingresso nel mondo del lavoro, e in particolare la generazione dei Millennials, ossia le persone nate tra il 1981 e il 1996. Infatti, in base ad alcuni osservatori specializzati[4], questa sarebbe la generazione meno engaged rispetto alle opportunità lavorative, tra quelle lavorativamente attive. Se così fosse, l’Engagement diventerà la leva principale per il recruiting di questo e del prossimo decennio.

Una spiegazione alternativa potrebbe essere connessa alla natura eccezionale e storica della pandemia, in base alla quale si verrebbero a configurare le condizioni tipiche del cosiddetto shock esogeno, in seguito a cui si creano condizioni di discontinuità che con il tempo vengono in parte riassorbite, senza che però si ritoni allo status quo ante. In questo caso, pur rimanendo centrale, l’Engagement andrebbe ad aggiungersi alle altre leve tradizionali del recruiting.

In entrambi i casi, sarà comunque necessario nel breve termine esaminare con maggiore attenzione le ragioni di questa nuova modalità di valutazione delle opportunità lavorative e come tali ragioni possano influire sull’organizzazione del lavoro, sulle dimensioni dell’engagement e sul job design nelle sue componenti centrali e periferiche e, più in generale, sulle nuove modalità di organizzazione del lavoro.

Con riferimento a tale aspetto, in particolare, già da tempo — e sicuramente prima dello scoppio della pandemia – il ricorso a strumenti di flessibilità riferiti agli orari lavorativi e alla location di svolgimento del lavoro stesso hanno alimentato il dibattito sul tema. A tale riguardo, in Italia, la legge 124/2015, normando in materia di lavoro agile, ha inteso affrontare direttamente gli aspetti relativi al work-life balance, spostando l’enfasi sulla verifica dei risultati e della performance e consentendo la possibilità di affiancare lo smart-working al tradizionale “lavoro d’ufficio” così da perseguire obiettivi di flessibilità, benessere e autonomia per le lavoratrici e i lavoratori, in modo da ottenere  mutua soddisfazione in un contesto relazionale win-win. Le successive modificazioni a tale impianto normativo, dovute principalmente agli effetti diretti e indiretti della pandemia da Covid-19 hanno ampliato gli aspetti di flessibilità e benessere organizzativo, così da tenere nella dovuta considerazione sia gli aspetti sanitari e sia quelli legati al benessere organizzativo ampiamente inteso.

Tuttavia, se tale nuova dimensione delle relazioni lavorative — orientata a premiare il contenuto e i risultati e meno indirizzata al controllo della presenza e dell’orario di lavoro — si attaglia bene ai profili professionali legati alle attività amministrative e burocratiche, sono anche da tenere in considerazione altri contesti lavorativi dove la presenza fisica rappresenta un elemento imprescindibile. Si pensi a tutte le attività del terziario, dell’intrattenimento, della ristorazione o a quelle collegate direttamente e indirettamente all’agricoltura e ai processi manifatturieri, dove il personale aziendale deve necessariamente erogare una serie di attività operative, al chiuso e all’aperto, in front-office e back-office, oltre che monitorare che l’intero network di progettazione dell’attività in questione (sia essa un ristorante, un parco a tema, un percorso culturale o enogastronomico, un cinema multisala, un centro commerciale, o che si tratti di attività connesse al mondo agricolo e manifatturiero) funzioni bene nelle sue componenti core e periferiche. Tali contesti soffrono più di altri di questa carenza di capitale umano, per due ordini di ragioni: in quanto risorsa importante, il capitale umano può diventare relativamente più raro ma non per questo maggiormente rilevante ai fini della performance d’impresa. A tale riguardo, una HR manager presso una catena di ristoranti internazionali, ha osservato: “Il Covid ha generato un cambiamento nello stile di vita delle persone. Questo ha avuto come conseguenza la riduzione della propensione delle persone a sacrificare parte del loro tempo per dedicarlo al lavoro. Tuttavia, alcune mansioni, seppure necessarie, non per questo diventano più importanti per l’improvvisa carenza di personale. Si pensi al lavoro amministrativo di base o alle operazioni connesse al lavaggio nei ristoranti. Per quanto queste attività siano importanti, i clienti non scelgono un ristorante in base a questi servizi, anzi essi non vengono neppure presi in considerazione. Ma sono comunque necessari perché si possa svolgere il servizio nella sua qualità completa. In sostanza, sono necessarie, ma non distintive al punto da contribuire al vantaggio competitivo. Il fatto che divenga più difficile reperire personale in questi ambiti influisce anche sul loro valore percepito e sulla loro attesa di remunerazione. E quindi noi HR manager dobbiamo lavorare di più sulle dimensioni non economiche dell’engagement perché è evidente che per alcune mansioni ci sono tetti di remunerazione che non possono essere superati.

Questo commento invita a riflettere su un principio basilare nelle attività gestionali e manageriali e quindi sul valore delle risorse utilizzate nelle attività economiche rispetto alla dinamica complessiva di creazione del valore, obiettivo di sopravvivenza necessario per qualsiasi organizzazione. A tale proposito, infatti, è opportuno ricordare come il valore di scambio di una risorsa (ossia, quanto si è disposti a pagare per il suo utilizzo) non può mai superare il suo valore d’uso (ossia, quanto essa contribuisca a creare valore nel contesto in cui è utilizzata), altrimenti il processo di creazione di valore diviene insostenibile per le organizzazioni. Diviene pertanto evidente, sia per gli HR manager di aziende di medie e grandi imprese e sia per gli imprenditori e le imprenditrici di PMI, la necessità di lavorare sugli elementi non economici dell’Engagement del capitale umano.

4. Una concezione evolutiva dell’engagement dei collaboratori. Il ruolo sinergico dell’Attrattività del contesto, della Reputation e del Benessere organizzativo

Se la selezione del capitale umano si trasforma in un processo di Engagement, di seguito si riflette su quali dimensioni tale attività debba comprendere, per andare oltre il compensation package. In particolare, si farà riferimento a tre specifiche dimensioni: Attrattività del Contesto; Reputation dell’organizzazione; capacità di garantire il Benessere Organizzativo e un adeguato work-life balance. Di seguito vengono esaminate in dettaglio tali dimensioni[5].

Attrattività del Contesto. Nell’ambito di tale dimensione, sembra opportuno enfatizzare alcune attività specifiche che una data organizzazione dovrà curare al fine di esercitare una efficace attrazione sulla risorsa da selezionare. Ci si riferisce in particolare alle attività relative al potenziamento della Company Image, del Corporate Brand promotion e del Personal Branding dell’imprenditore/imprenditrice (ovvero dalla figura manageriale che riveste un ruolo di leader). Se, infatti, l’attrazione si sposta dagli elementi economico funzionali ad altri aspetti, un’organizzazione deve poter offrire alla risorsa potenzialmente in ingresso un contesto lavorativo attrattivo, a cui si desideri appartenere. E per ottenere tale risultato, l’immagine aziendale deve essere curata professionalmente, con un importante e coerente utilizzo degli strumenti relativi alla Social Media Communication (Martinez et al, 2018). In particolare, sarà importante che la capacità comunicativa e attrattiva del Corporate Brand sia costantemente monitorata e, laddove necessario, potenziata. In parallelo, qualora l’imprenditore/imprenditrice abbia un profilo attrattivo, è importante che si faccia leva su tale aspetto attraverso adeguate campagne di personal branding, così da generare un effetto sinergico complessivo che renda l’organizzazione nel suo complesso attrattiva agli occhi della risorsa da assumere/reclutare. Ad esempio, Brunello Cucinelli, azienda leader nell’abbigliamento e accessori di alta qualità, ha pubblicato sul proprio sito un vero e proprio decalogo in cui sono riportate le condizioni lavorative favorevoli che caratterizzano l’organizzazione, così da renderla attrattiva agli occhi delle collaboratrici e dei collaboratori potenziali[6].

Reputation. La reputazione è probabilmente la più importante tra le risorse sociali/relazionali presidiate da un’organizzazione, poiché riflette le performance e i comportamenti pregressi in virtù dei quali, le varie audience (clienti, fornitori, stake-holder di vario livello, dipendenti attuali e futuri, analisti, critici o esperti di settore, e così via) formano i propri giudizi e le proprie valutazioni. In particolare, con riferimento alla reputazione che connota una data organizzazione quale datore di lavoro, è possibile prendere in considerazione alcune aree, quali quelle relative ai percorsi di carriera per i talenti o per le donne, così da verificare se in quella data azienda via una specifica attenzione verso tali aree. Ad esempio, presso la AbbVie, un’azienda operante nel contesto delle biotecnologie, è stato lanciato il progetto “Talent Booster” attraverso cui vengono sviluppati piani personalizzati per migliorare la soddisfazione di ciascun dipendente, mentre presso la Cisco Systems, azienda leader nel settore ICT, è stato lanciato “Women of Cisco”, un programma finalizzato allo sviluppo della carriera delle donne. Oppure si consideri il progetto di Experian Italia, operante nei servizi finanziari, dove è stato attivato un programma per il superamento delle discriminazioni denominato “Promozione della Diversità”, nel cui contesto ci sono cinque specifiche aree di attenzione: Genere, Razza e etnia, LGBTQ+, Disabilità, Salute Mentale (Report “Best WorkPlaces Italia 2022”). Naturalmente, si tratta soltanto di alcuni esempi, ma sono importanti per rilevare come sia percepita la reputazione delle aziende e dei datori di lavoro in ragione dei comportamenti e delle iniziative adottate con riferimento a specifiche aree, in particolare, e alla reputazione in materia di career development e inclusività, più in generale.

Benessere Organizzativo. Sebbene il concetto di benessere organizzativo abbia una tradizione radicata negli studi psicologici e organizzativi (Voorde,Veldhoven, Paauwe, 2012; Wright, e Cropanzano, R. 2000), nell’ultimo decennio si è assistito ad una crescente attenzione verso tale importante aspetto della qualità della vita lavorativa delle persone. In particolare, si è progressivamente diffusa la concezione che il benessere organizzativo non debba essere solo considerato come prevenzione di fenomeni negativi quali lo stress fisico e psicologico, l’assenteismo, l’abbandono della posizione lavorativa e altre manifestazioni negative associate ad un contesto lavorativo non salubre. E, a in tale prospettiva, si è progressivamente affermata la posizione che il benessere organizzativo debba rappresentare un valore in sé, vale a dire un aspetto fondamentale nel design dei processi organizzativi, tale da garantire alle lavoratrici e ai lavorativi un contesto professionale sano, motivante, sereno e in grado di assicurare un corretto work-life balance. La capacità di garantire un contesto positivamente connotato nella prospettiva dell’organizational well-being diviene così un importante elemento di Engagement nei confronti di quelle persone che antepongano questa peculiarità alle gratificazioni di altra natura (remunerazione e/o prospettive di carriera). A tale riguardo, potrà giovare esaminare altri casi di aziende considerate tra i Best Workplaces 2022 (Report “Best WorkPlaces Italia 2022”). Ad esempio, presso la P.A. Advice, una società di consulenza campana specializzata nei servizi per la PA, è stata adottata la settimana lavorativa breve, vale a dire una riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 36 ore settimanali a parità di remunerazione e obiettivi. In tale ambito, ciascun gruppo di lavoro gestisce gli obiettivi in piena autonomia senza vincoli di orario, garantendo l’erogazione dei servizi senza particolari vincoli di spazio e tempo per la loro produzione. Presso la Trek Bicycle Italia, invece, si è puntato sugli aspetti fisici del benessere. A tal fine, è stato eliminato il controllo sugli accessi ed è stato inserito l’orario flessibile nella pausa pranzo per permettere ai dipendenti di uscire in bici e di fare la doccia prima di riprendere a lavorare.

In estrema sintesi, sono sempre di più le organizzazioni che stanno adottando l’Engagement quale leva di attrazione del capitale umano e che hanno intrapreso, attraverso l’Attrattività, la Reputation e il Benessere organizzativo, un percorso evolutivo verso una nuova concezione delle relazioni con i collaboratori e le collaboratrici e, più in generale, verso un approccio rinnovato nei confronti della valorizzazione del capitale umano.

Considerazioni conclusive.

La Great Resignation ha suscitato notevole attenzione da parte di una ampia platea di soggetti interessati da questo imprevisto e rilevante fenomeno tra cui HR manager, imprenditrici e imprenditori; studiose e studiosi di organizzazione e di psicologia; policy maker. I primi, in quanto interessati direttamente dall’improvviso shortage di capitale umano in una serie di attività e mansioni rispetto a cui sono chiamati a trovare una soluzione attraverso leve non economiche; i secondi, in quanto interpellati dal manifestarsi di un fenomeno imprevisto a cui occorre dare risposte (data anche la consistenza) attraverso l’analisi dei dati e, se necessario, l’elaborazione di nuovi modelli e nuove teorie; i terzi, in quanto soggetti chiamati a disegnare nuovi strumenti di flessibilità e promuovere l’adozione di nuovi incentivi per fare fronte a tale scenario e non lasciare sguarniti nel breve termine interi comparti lavorativi nel contesto dei servizi, della manifattura e dell’agribusiness.

E’ evidente, tuttavia, come il fenomeno esaminato in questa sede rappresenti una significativa discontinuità rispetto al passato e che, pertanto, le decisioni manageriali e imprenditoriali, così come gli sviluppi concettuali e le revisioni normative non possano che costituire le prime reazioni –da parte dei soggetti sopra richiamati — rispetto ad un fenomeno tutt’ora in corso di svolgimento, i cui effetti di medio e lungo termine non potranno che essere osservati a distanza di qualche anno. In ogni caso, il management, la ricerca e la politica dovranno tenere nella massima considerazione questa discontinuità e coglierne le implicazioni strutturali con il massimo anticipo possibile, al fine di evitare ripercussioni negative a diversi livelli: organizzativo, settoriale, di filiera e di intero sistema economico, ripercussioni che andrebbero inevitabilmente a ricadere sulle persone e sulle loro reti familiari, relazionali, lavorative, sociali e istituzionali.

Bibliografia

“Best WorkPlaces Italia 2022”.  Report: https://www.greatplacetowork.it/classifica-best-workplaces/italia/2022

Chalofsky, N., & Krishna, V. (2009). Meaningfulness, commitment, and engagement: The inter section of a deeper level of intrinsic motivation. Advances in Developing Human Resources, 11, 168-188.

Flamini, G., Palumbo, R., & Pellegrini, M. (2020). Quando la digitalizzazione porta il lavoro a casa: le implicazioni del lavoro da remoto sul bilanciamento vita-lavoro e sul benessere lavorativo. Prospettive in Organizzazione.

Harter, J. K., Schmidt, F. L., & Keyes, C. L. M. (2003). Wellbeing in the workplace and its relationship to business outcomes: A review of the Gallup studies. In C. L. Keyes & J. Haidt (Eds.), Flourishing: The positive person and the good life (pp. 205-224). Washington, DC: American Psychological Association

Kahn, W. (1990). Psychological conditions of personal engagement and disengagement at work. Academy of Management Journal, 33, 692-724.

Martinez, M., Antonelli, G., Tursunbayeva, A., & Di Lauro, S. (2018). Measuring organizational identity via LinkedIn: the role played by employees’ tenure, type of employment contract and age. Franco Angeli-Studi organizzativi : XX, 2: 114-129.

Maslach, C., Schaufeli, W. B., & Leiter, M. P. (2001). Job burnout. Annual Review of Psychology, 52, 397-422.

Maslow, A. 1970. Motivation and personality (2nd ed.). New York: Harper & Row.

Meyer, B.D. 1990, Unemployment insurance and unemployment spells, Econometrica, Vol. 58, No. 4, July, pp. 757–782,

Schmieder, J. F., von Wachter, T., & Bender, S. 2016. The effect of unemployment benefits and nonemployment durations on wages. American Economic Review106(3), 739-77.

Shuck, B., & Wollard, K. (2010). Employee engagement and HRD: A seminal review of the foundations. Human resource development review, 9(1), 89-110.

Van de Voorde, K., Van Veldhoven, M., Paauwe, J. 2012. Employee well-being and the HRM-Organizational Performance Relationship: a review of quantitative studies. International Journal of Management Reviews, 14: 391-407;  

Wright, T. A., & Cropanzano, R. 2000. The role of occupational behavior in occupational health psychology: A view as we approach the millennium. Journal of Occupational Health Psychology, 5, 5–10.


[1] https://www.key4biz.it/great-resignation-negli-usa-londata-di-dimissioni-si-rafforza-e-accelera/404436/

[2]   Corriere del Veneto, 14 maggio 2022.

[3] https://bergamo.corriere.it/notizie/economia/22_maggio_23/lavoro-c-mancano-lavoratori-due-giorni-poi-se-ne-vanno-bar-fabbriche-personale-fuga-0f5592a4-da5a-11ec-85d9-79001994e61c.shtml

[4] https://www.gallup.com/workplace/231587/millennials-job-hopping-generation.aspx

[5] Si tratta delle prime evidenze empiriche di una ricerca qualitativa condotta su un panel di HR manager, imprenditrici e imprenditori, tuttora in corso.

[6] https://www.brunellocucinelli.com/it/co-workers.html

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