1. Introduzione
Obiettivo di queste note è ripercorrere le tappe di lavoro del Gruppo di Studio e di Attenzione (GSA) attivo dal 2013 in seno alla Accademia Italiana di Economia Aziendale, con il titolo Management, arti e culture.
Illustreremo innanzitutto la genesi e la caratterizzazione di questa esperienza (par. 2.1) e il nostro manifesto (par. 2.2). Successivamente (par. 3) ne metteremo in evidenza la dimensione collegiale, illustrando il nostro metodo di lavoro (par. 3.1) e l’esito in una prima pubblicazione (par. 3.2) con la partecipazione di autori afferenti a diversi gruppi di ricerca. Tematizzando, così, la questione della produttività di ricerca nel campo dell’art management (par. 3.2.1 e 3.2.2) e quanto sia critico il gesto della scrittura accademica in questo ambito. Il par. 4 è dedicato ai risultati della produttività del GSA, presentati in occasione del convegno nazionale dell’ AIdeA 2017 (par. 4.1) il 14 settembre 2017 presso l’Università di RomaTre[1] e la tavola rotonda associata (par. 4.2). Seguiranno (par. 5) alcune considerazioni conclusive su ricerca etnografica e pubblicazioni accademiche.
L’incontro del 14 settembre nei suoi due momenti, il primo interno al confronto tra studiosi e il secondo in dialogo con il mondo delle organizzazioni e istituzioni artistiche, ci consentirà di riprendere la vecchia questione su forze e debolezze nei rapporti dentro e fuori le mura dell’università. A partire dalle criticità da affrontare per tradurre il lavoro di ricerca (artistico-manageriale) in prodotti che siano al tempo stesso rilevanti e accademicamente appealing. Tema rispetto al quale il mondo delle organizzazioni che stiamo studiando da anni ha, probabilmente, molto (o qualcosa) da insegnare a tutti noi: anche a chi fa general management e non abbia interessi immediati in termini di art organization.
2. La caratterizzazione del GSA
2.1. L’origine e le attività
L’incontro preliminare, dopo il quale è stata formalizzata l’attivazione del gruppo, si tenne all’Università Ca’ Foscari Venezia il 29 gennaio 2013. Fu, quella, l’occasione per ritrovarsi tra studiosi di art management abituati negli anni al confronto e alla collaborazione di ricerca e lanciare un invito a tutti gli studiosi italiani di Economia aziendale interessati al tema in oggetto. E, anche, l’occorrenza per avviare una riflessione sull’ orientamento da dare al nascente GSA. Una base a partire dalla quale è poi iniziato un pubblico confronto portato avanti attraverso una fitta serie di incontri fino a giungere alla presentazione di un documento da sottoporre in sede AIdeA.
Il prossimo paragrafo 2.2 ne riprendere i contenuti sotto forma di manifesto: una piattaforma aperta su cui lavorare e ricevere stimoli ulteriori dalla nostra comunità, a partire da un metodo di lavoro seminariale (almeno tre o quatto incontri l’anno presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’Università degli Studi di Bologna) condotto nel tempo.
2.2 Il manifesto
Da ormai diversi anni le discipline economico-aziendali si sono proposte come dispositivi teorici e metodologici per interpretare le organizzazioni culturali e creative, profit e non profit, oltre che per la gestione delle politiche culturali di amministrazioni pubbliche ed enti territoriali su diversa scale. Questo è avvenuto per gli strumenti tipici dell’Economia Aziendale (organizzazione, prospettiva contabile e finanziaria, marketing, strategie, analisi degli stakeholder), fino a coinvolgere e suscitare sconfinamenti interdisciplinari nei campi della Sociologia dell’arte e della cultura, della Geografia Economica e della Pianificazione territoriale (Urban studies), delle discipline umanistiche e filosofiche.
È stato raggiunto un elevato grado di diffusione del dibattito anche al di fuori dell’accademia (si pensi anche agli outlet divulgativi come le pagine culturali dei quotidiani e alla ricorrenza nel discorso mediatico e politico di nozioni come “economia della cultura”, “distretto culturale”, etc.) e, in alcuni casi, si è probabilmente trasceso l’ambito di applicazione della dottrina, riducendola a formule semplificate, con uno sfruttamento “strumentale” del management applicato alla cultura. Posto che l’applicazione degli strumenti propri delle nostre discipline a contesti particolari e idiosincratici come quelli dell’arte e della cultura non possa essere operata acriticamente, si ritiene che vi siano ancora ampie possibilità di applicazione degli approcci analitici, filosofie progettuali e altri strumenti propri delle discipline manageriali al contesto delle organizzazioni e degli attori culturali, che si trovano a fronteggiare problemi di sopravvivenza (economici), inaspriti dalla drammatica riduzione di fondi pubblici e privati alle organizzazioni artistiche e culturali, che sono gravemente minacciati da una congiuntura economica e finanziaria segnata dalla più lunga crisi dal Secondo Dopoguerra. Allo stesso tempo, la pratica di continuo confronto dei proponenti il presente gruppo conferma come dagli stessi operatori culturali provengano richieste di scambio e contaminazione tra le pratiche artistiche creative e organizzative e le teorie e gli strumenti economici e gestionali, soprattutto in ambiti come l’imprenditorialità, l’innovazione, le opportunità offerte dai settori emergenti come quello dei media digitali. Si può peraltro evidenziare:
- dopo la fase pionieristica degli studi di art management, si è compreso che l’incontro tra questi due domini semantici (arti e management) dovesse superare l’orrore epistemologico che assumeva l’ipotesi (una sorta di arroganza dei posteri) per cui le categorie istitutive di una disciplina (relativamente giovane, appena centenaria) come l’economia potessero essere “applicate” a categorie e linguaggi dalla tradizione millenaria, tipicamente riconoscibili nelle etichette associate a espressioni come musica, pittura, archeologia, etc. Da cui l’esigenza di un ribaltamento, fondato sull’ipotesi che arti e cultura (e le categorie di pensiero ad esse sottese) possano assurgere a fonti di conoscenza per rinnovare le basi della conoscenza economico-manageriale, specie in una fase di crisi (probabilmente) strutturale; crisi spesso rappresentata a livello internazionale come di matrice finanziaria, prima ancora che come crisi di pensiero;
- benché la nostra vita – e soprattutto la qualità della vita – dipenda in modo drammatico dal contributo delle arti, gli studi sull’economia e sull’organizzazione di questi aspetti sono solo da pochi anni in costante crescita, tanto sul fronte della domanda (quanto si sono modificati radicalmente i nostri consumi negli ultimi 50 anni?), che su quello dell’offerta (con le trasformazioni epocali nei modi di produrre e erogare arte, che tra l’altro interessano una fetta non certo marginale del PIL, specie in paesi come l’Italia);
- la voluta indeterminatezza del titolo del GSA – con un generico riferimento a “arti” e “culture” – vuole anche recepire la possibilità di implicazioni più sottili che le diversità culturali in senso lato possono avere sul modo di concepire i nostri studi. Si faccia solo riferimento alle critiche di etnocentrismo (e di anglo centrismo) che emergono sempre più radicalmente rispetto ad una impostazione acontestuale e astorica degli studi di management internazionale, con la conseguente esigenza di aprire le nostre riflessioni sulla varietà di processi economici e di gestione, che a livello di economia mondiale – e di approccio alla global history – si possono indagare.
Lo studio di campi come le arti e le culture hanno poi una tendenza a produrre problemi metodologici di portata non indifferente. Per esempio, esistono problemi di reale dialogo interdisciplinare, condizionato, più che altrove, dal ruolo sotterraneo giocato da valori professionali. Il che tende a complicare sia i processi di ricerca che di comunicazione dei risultati. Si pensi come in ambiti simili (es. la gestione dei beni culturali in paesi di diversi continenti), la ricerca richieda approcci di tipo etnografico, fortemente attenti alla varietà di contesti e pratiche, che poi risulta di difficile comunicazione nei modelli usuali e prevalenti della ricerca anche a livello internazionale. Difficile pubblicare su riviste “A” qualora l’interesse sia e rimanga per il fenomeno, più che per le teorie o, ancora, per un fenomeno che va capito a fondo e narrato con modi che non necessariamente soddisfano i criteri della generalizzabilità, così come dominanti nella ricerca manageriale mainstream.
Va inoltre rilevato come l’ambito delle arti e delle culture sia un’area in cui il nostro Paese si trova ancora a avere un vantaggio competitivo, grazie alla ricchezza del patrimonio e delle tradizioni presenti.
In questo quadro, il nostro manifesto intende:
- favorire iniziative e progetti di ricerca in questo ambito;
- consentire e favorire momenti di approfondimento e scambio sulle esperienze di ricerca e didattica specifici a quest’area;
- rilanciare la ricerca empirica in un’ottica di impegno civile (“we care”, nel senso di responsabilità sociale degli studiosi rispetto a questo campo e alle condizioni che vi si trovano);
- sfruttare potenzialità di sviluppo di ricerca accademica anche a livello internazionale.
3. Una prima esperienza collegiale
3.1 Il nostro metodo di lavoro
Il GSA sta lavorando dandosi un taglio snello e centrato sul confronto, al tempo stesso serrato e aperto, tra i partecipanti ai numerosi incontri: un metodo, un format ampiamente condiviso[2], sentito come funzionale a stimolare il miglioramento e la crescita delle ricerche proposte in occasione di ciascuna delle sessioni, tra Napoli e Bologna: ciascun paper è stato presentato da un discussant, con una successiva, breve replica degli autori. Per poi essere oggetto di pubblico confronto tra i partecipanti, anche in forza del preventivo invio a tutti dei materiali oggetto di discussione.
Un percorso durante il quale ci siamo scambiati esperienze e punti di vista a volte anche molto distanti tra loro. Facendo, però, di quelle differenze, una base di confronto sui possibili modi di intendere l’art management e, in ultima analisi, una occasione di raccordo tra sedi accademiche.
L’esperienza fin qua condotta ci consente di mettere a fuoco l’eterogeneità di approcci e contributi, seppure con riferimento ad una popolazione di ricercatori certamente non esaustiva dell’universo di quanti si occupano di questi temi. Eppure, tutto quanto messo in campo ha permesso a ciascuno di noi di rivedere le nostre certezze, ripensarle e tornare a riflettere sulle ricerche in corso, con l’obiettivo di renderle più forti nella competizione internazionale, sia su riviste di general management, sia su riviste focalizzate. È questa la funzione di pensiero, di confronto, di scambio, di orientamento al risultato e al miglioramento che noi pensiamo debba animare costantemente una comunità scientifica in apprendimento.
3.2. Oggetto o metodo?
Il libro Management Arti Culture[3] contiene alcune delle ricerche presentate durante i lavori del GSA. Si è investigato lo stato di avanzamento, allo scopo di dare respiro al pensiero che sottende i percorsi seguiti in ciascuna delle ricerche presentate.
Quel libro fornisce una rappresentazione di come si sta gradualmente configurando l’incontro tra più generazioni di studiosi che si occupano a tempo pieno di economia e management dell’arte, dopo gli anni iniziali, quando in pochi, forse eterodossi, aprivano – agli inizi degli anni Novanta – ad un campo fino ad allora estraneo al pensiero prevalente. Arti e culture, come si è avuto modo di discutere in seno al GSA, non più come esplorazioni di frontiera eccentriche, ma sparring partner stabili per una comunità scientifica che cerca domande migliori e possibili risposte a scenari macro e d’impresa, sempre più incerti e discontinui al cospetto di una crisi che interessa le nostre aziende e i sistemi di non facile e immediata soluzione.
Riprendendo alcune parole-chiave della tradizione aziendale italiana (che saranno poi centrali anche nel Convegno AIdeA del 2017), arti e culture sono considerate, nelle nostre ricerche, sia come “oggetto” sia “metodo”. Un binomio che si ripropone oggi, in questa esperienza AIdeA, con un potenziale di innovazione che passa probabilmente anche per la forza che ciascuno di noi avrà nell’investire il proprio tempo e le proprie risorse intellettuali in attività di ricerca in n contesti artistico culturali, empiricamente rilevanti. Quella silloge, dunque, contribuiva anche al non poco ambizioso obiettivo di sostenere la già ricca identità dei saperi economico aziendali, ampliando il raggio della tradizione mainstream.
3.2.1 L’opzione metodologica: il gesto della scrittura accademica
Ciascun testo presentato ricalcava uno schema concettuale omogeneo, condiviso con ciascuna unità di ricerca, seppure con qualche necessaria variazione su tema[4]:
- Obiettivo della ricerca
- Contesto empirico studiato
- Metodologia utilizzata
- Perché quel contesto e cosa quel contesto può restituire agli studi aziendali
- Perché quella metodologia e cosa quella metodologia può restituire agli studi aziendali
- Conclusioni
La scelta di una comune scaletta, a cui ciascuna unità in seno al GSA si è attenuta per redigere il proprio contributo, consentiva di ripensare ex post il lavoro proposto e di rifletterci su in modo da verificare, grazie all’aiuto del gruppo, il pensiero sotteso e le possibili criticità non emerse precedentemente. Per poi andare avanti, facendo tesoro degli apprendimenti, primo fra tutti quello che vien fuori proprio attraverso il gesto della scrittura accademica.
3.2.2 La non neutralità dei mezzi rispetto allo scopo
L’esperienza di “mettersi a scrivere” (da considerare anche in relazione a quanto si dirà nel prossimo par. 4 e ss.) su un proprio lavoro in progress, ma con struttura formale comune, ha consentito di portare in superfice l’opzione metodologica che ha generato e orientato quel libro: l’opportunità di sollevare, e al tempo stesso tematizzare attraverso il lavoro di un gruppo eterogeneo di aziendalisti, l’enorme e ampio problema teorico della non neutralità di un mezzo rispetto allo scopo. Nessun medium lo è mai: non lo è la scrittura, ma neppure l’attività di ricerca in sé rispetto ai propri obiettivi conoscitivi. O, specularmente, non lo è un qualunque contesto di verifica empirica rispetto al framework teorico con il quale viene osservato, indagato, studiato: una impresa manifatturiera o un teatro d’opera; uno scavo archeologico o una banca; un sindacato o un museo; un’orchestra o una azienda sanitaria; un distretto industriale o un cast di danzatori; una istituzione accademica o un ente locale o una rete sociale, etc. Ciascuno di essi è, per definizione, un oggetto (che pone una sfida di metodo) ambiguo o, meglio, polisemico ed espressivo di tanti significati quanti sono gli sguardi che si possono gettare.
Ne deriva uno iato tra fonti e impieghi delle conoscenze manageriali, che indirizza l’azione di una comunità di aziendalisti matura, non più in fase pionieristica, di seconda generazione sui temi di art management. Una comunità scientifica che voglia partecipare, a pieno titolo, a questo ampio dibattito, tanto irrisolto quanto non eludibile: da un lato i saperi manageriali, con i propri strumenti, possono contribuire a comprendere il funzionamento delle organizzazioni artistico–culturali; per verso contrario, proprio queste ultime sono depositarie di tradizioni e saperi, spesso millenari e precapitalistici, che si sedimentano in pratiche e azioni quotidiane che possono restituire significati e informazioni a noi, gente di management[5]. Immersi nelle realtà delle arti e della cultura, ci muoviamo per comprenderne le specificità e per imparare da quei contesti (lo stesso vale, eventualmente, per chi ne fosse interessato sul piano generale al di là degli interessi sostantivi per le organizzazioni in questione) fino a trasferire rinnovate logiche dell’organizzare nelle aziende stricto sensu, nel pieno di una crisi, le cui risposte non sembrano essere chiare ai più.
Lungi dall’avere o anche solo dal cercare, naturalmente, una direzione univoca rispetto a temi così vasti, le ricerche presentate dai partecipanti al GSA si muovono invece sul crinale, spesso fertile, del dubbio, con prudenza, con umiltà. Cercando di fornire delle chiavi di lettura, piuttosto che delle soluzioni definitive, in funzione sia dell’ “oggetto” artistico-culturale (che è al tempo stesso un mezzo e un fine) messo sotto osservazione; sia in funzione del “metodo” (anche esso nella duplice veste di mezzo e fine) adottato, proposto o anche sperimentato in chiave critica. Confermando in ultima analisi, attraverso questa impostazione, un orientamento non razionalista, oramai consolidato sia tra gli studiosi di scienze umane e sociali in senso ampio, sia tra le più qualificate sensibilità di aziendalisti, in particolare e, più di recente, tra i ricercatori di economia e management dell’arte e della cultura.
4. Convegno AIdeA, Roma 2017
4.1. La produzione accademica del GSA Management, arti e culture
La attiva partecipazione ai convegni internazionali e nazionali; l’organizzazione di numerosi seminari l’anno, alcuni dei quali in connessione al convegno nazionale AIdeA; la compartecipazione del gruppo ai workshop EIASM su “Management of art organizations”[6]; la sinergia con EURAM (track “Intitutional Change, Power, Resistance and Critical Management” [7] e la maratona “en attendant EURAM”[8] ad esso collegato; il Symposium “Art, Entrepreneurship and Resistance”[9]; la messa in campo di progetti di ricerca inter-ateneo (con l’incontro e la circolazione delle idee tra Gioca – Ricerche; puntOorg International Research Network; MacLab Venezia e alcuni studiosi affiliati ad Ask – Bocconi) sono le principali leve su cui stiamo agendo, che ci consentono di presentare alcuni risultati sulla produttività del gruppo.
In occasione del convegno AIdeA di Roma 2017 abbiamo organizzato una sessione strutturata in due parti: presentazione di alcuni dati e tavola rotonda. A tutti i membri del GSA è stato chiesto di indicare la lista delle pubblicazioni in tema di art management nel periodo 2013-2017, distinta per articoli (su riviste nazionali/internazionali), contributi su volumi collettanei (nazionali/internazionali), monografie (nazionali/internazionali). Per dare migliore rappresentazione del lavoro svolto, viene riportato per ogni articolo l’abstract e una veloce sinossi per le monografie.
Ne emerge il seguente quadro, di seguito commentato. Ne suo insieme il GSA presenta livelli d produzione accademica consistenti. Sono stati pubblicati:
- 42 articoli su riviste (31 internazionali e 11 nazionali)
- 63 capitoli in volumi collettanei (15 internazionali, 48 nazionali)
- 17 monografie (7 internazionali e 10 nazionali).
A partire dalla criticità dei processi di ricerca in questo ambito, evidente perché al momento non presente nei dati sopra riportati, di seguito alcune considerazioni ulteriori, che ripropongono la storica questione del rapporto tra Università e contesti economici, così come impostato nella “tavola rotonda”.
4.2 La tavola rotonda
La tavola rotonda segue la prima parte dell’incontro centrato sulla produttività accademica del nostro Gruppo, attraverso lo sguardo di cinque professionisti di esperienza maturata in alcuni dei campi di interesse del GSA: Roberto Balzani (Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi Bologna); Giovanni Crupi, (Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano); Gianfranco Mariotti (Rossini Opera Festival); Renato Quaglia (Foqus, Future Forum, EFFE Festival); Jane Thompson (Herculaneum Conservation Project), con una sorta di rappresentatività allargata del comparto dell’arte (sistema museale, teatro musicale, esperienze di rigenerazione urbana e festival, scavi archeologici e conservazione).
L’intento: chiedere a ciascuno un contributo di pensiero articolato in due fasi.
- Presentazione dei problemi di trasformazione incontrati nella propria organizzazione così come percepita e affrontata attraverso il cristallino delle posizioni apicali ricoperte da ciascuno.
- Sulla base di quanto ascoltato nella prima parte dell’incontro, esplicitare le attese, in termini di contributi alla conoscenza economico aziendale, dal lavoro accademico e le esigenze che di fatto non trovano riscontro. E, per esempio, le eventuali necessità di cambiamento da parte dell’accademia, superando la retorica, talvolta logora e abusata, dello scambio “scuola-impresa”, grazie alla possibilità di argomentare i vuoti da colmare attraverso questioni specifiche, intessute nelle esperienze interne alle organizzazioni rappresentate.
- Riflessioni conclusive: ricerca etnografica e pubblicazioni accademiche
Questa seconda questione va riportata, a nostro avviso, alla peculiarità dei modi attraverso cui si fa ricerca di art management: essa (anche per differenza rispetto ai tradizionali studi di economia della cultura avviati dalla metà degli anni Sessanta sulle principali riviste di area economica) si conduce spesso entrando nel corpo vivo dei territori studiati. Nel corso del lavoro i nostri interlocutori sono spesso musicisti, pittori, designer, archeologi, architetti, urban planner, conservatori, web worker, danzatori, etc. e – à la Pettigrew – anche imprenditori[10]. Questi professionisti hanno strutture di linguaggio che affondano radici in valori diversi dai nostri: l’estetica, il suono che si fa musica, il colore che si fa pittura, ma anche la comprensione e conservazione, fine a se stessa, della storia del mondo antico, etc. A questi attori, dall’interno dei loro processi di creazione di valore, spesso non interessano le nostre categorie che sono “altro”, lontane dai loro obiettivi, dalle loro scale, dal loro modo di costruire gerarchie tra mezzi e fini. Insomma, nelle pratiche di ricerche in art management, ci troviamo spesso in condizioni diverse da quando gli interlocutori sono i tradizionali imprenditori o un manager o banchieri, etc. Questi ultimi hanno storie professionali e backgroud più simili a chi studia azienda: formati a volte nelle nostre stesse business school, sugli stessi banchi universitari o comunque orientati – anche criticamente – ai criteri dell’efficienza, dell’efficacia, della economicità. I soggetti e le organizzazioni che noi studiamo in art management, invece, spesso non sono allineati in modo davvero autentico ai nostri approcci; altre volte si, ritengono che valga la pena un orientamento aziendale, da capire e approfondire, anche fare proprio; ma comunque da acquisire perché non è quello, veramente, il “loro” mondo.
Tanto premesso, chi fa ricerca di art management ha da prendere atto di una forbice strutturale tra sistemi di senso, da gestire e contenere. Ciò può essere fatto, probabilmente, proprio a partire dalle caratteristiche associate alla dimensione etnografica (già menzionata nel manifesto, par. 2) della nostra ricerca.
A meno che non si ritenga che la ricerca accademica sia una operazione di colonizzazione culturale (si è detto, nei precedenti paragrafi, dell’arroganza dei posteri associata alla prima fase dei nostri studi), allora ci si deve domandare attraverso quali metodologie lasciarsi fecondare dai contesti e come fecondarli, senza perdere di vista una questione urente per chi vive l’università: quella della pubblicazione[11] dei risultati (prodotto, participio passato del verbo all’infinito, nel lessico più recente) della ricerca. E interrogarsi, quindi, su perché il gesto stesso della scrittura accademica, fondamentale per le nostre carriere, debba o possa interessare l’impresa artistica e chi vi partecipa con i propri orientamenti in parte non squisitamente aziendali.
Una chiosa. In che modo quel gesto può assumere una funzione al tempo stesso di cesura e di cerniera tra università e impresa? Perché la nostra produttività dovrebbe generare valore in un contesto a elevato scambio interdisciplinare, ovvero in contesti in cui circolano numerose categorie, stati del mondo e narrazioni non allineate ex ante, come avviene per esempio nel caso in cui uno di noi studia una impresa industriali o di servizi?
È difficile, naturalmente, rispondere a una simile questione, ma si può pensare a due ordini di orientamenti: da un lato, riconoscere che il lavoro di ricerca sia fisiologicamente distante, in chiave epistemologica, dalla realtà sociale e che accademia e imprese artistiche debbano quindi seguire vie parallele; dall’altro (con precedenti illustri nella tradizione aziendale italiana) riteniamo possibile gettare ponti tra università e istituzioni/attori culturali, muovendoci su terreni non necessariamente centrici sulla scrittura accademica, lontani dalle urgenze di pubblicare, producendo risultati in modo altro nella costruzione di un linguaggio condiviso con soggetti e organizzazioni portatori di storie eterogenee e diverse (spesso millenarie: si pensi alla pittura o alla musica,) dalle nostre, più recenti, in fondo appena centenarie.
Questo doppio binario, lanciando potenti dubbi sul lavoro che conduciamo, si pone al tempo stesso come un ballon d’essai per la ricerca aziendale tout court, anche con riferimento alle questioni sollevate nel corso del Convegno di Roma dedicato all’evoluzione dei rapporti azienda-società, attraverso la storica citazione delle “Tendenze nuove”.
[1]“Tendenze nuove” negli studi economico-aziendali. L’evoluzione dei rapporti azienda-società.
[2]In più occasioni abbiamo generato una virtuosa sinergia (spalmando quindi le nostre sessioni su più giorni consecutivi) con gruppi di lavoro operanti in seno a società scientifiche internazionali, di cui si dirà al par. 4.1.
[3]L.M. Sicca, Zan, L. (a cura di), Management Arti Culture. Resoconto del primo anno di attività del GSA – Accademia Italiana di Economia Aziendale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2013
[4]Se ne discosta del tutto il solo testo conclusivo di Bonini Baraldi e Zan (che riprende una delle presentazioni proposte nell’incontro di Napoli a maggio 2014), per la sua natura esperienziale associata all’utilizzo di materiali multimediali nella didattica.
[5]Ribadendo in questo modo la funzione rivelatrice dell’art management, che rende evidente, come avviene sotto la lente del microscopio, quanto complesse siano le dinamiche di divisione del lavoro (anche cognitivo) e di coordinamento, Sicca, L.M. (2000), Chamber Music and Organization Theory: Some Typical Organizational Phenomena Seen Under The Microscope, Culture and Organization, 6(2): 145-169.
[6]Coordinato da Luca Zan.
[7]Chair: Luigi Maria Sicca, Edoardo Mollona, Ilaria Boncori, Stewart Clegg, Alessia Contu, Andrea Fumagalli, David Levy, Mariella Pandolfi, Luca Solari.
[8]Coordinato da Luigi Maria Sicca e Edoardo Mollona.
[9]Coordinato da Birgit Helene Jevnaker, BI Norvegian Business School.
[10]Pettigrew, A. M. (1979), On studying organizational cultures, in Administrative science quarterly, Vol. 24 4: 570-581.
[11]Zan, L. , Prefazione, in Ferri, P. (2016), I commissariamenti nel settore culturale italiano. Obiettivi, azioni e risultati, Napoli, Editoriale Scientifica.