Cos’è la vision?

Attraverso un’analisi interpretativa dei significati attribuiti in letteratura alla vision organizzativa, si descrivono possibili prospettive di osservazione della stessa, nel tentativo di fornire un framework per una migliore comprensione della sua natura e delle differenze rispetto a concetti quali mission e core values.

 

Il concetto di vision organizzativa è stato trattato a partire dagli anni novanta da diversi autori in ambito organizzativo (Collins e Porras, 1991, 1996; Senge, 1992; Larwood et al., 1995; Awamleh e Gardner, 1999). Alcuni di questi lavori, sebbene non si fondino su una solida metodologia scientifica (si tratta di libri non referati o di articoli su riviste a carattere più “popolare”), hanno raccolto un’importante esigenza conoscitiva, osservando loro stessi l’assenza di proporzionalità tra la scarsa attenzione rivolta alla vision da parte della letteratura e la maggiore rilevanza che tale concetto stava assumendo nella pratica organizzativa (Collins e Porras, 1991). Oltre alla loro chiarezza, è per tale motivo che alcuni degli stessi lavori (in particolare quelli di Senge e di Collins e Porras) hanno poi trovato un utilizzo molto ampio da parte dei c.d. “practitioner”.

Allo stesso tempo, però, tali autori più “popolari” non hanno posto particolare attenzione alla definizione dei concetti cardine dei loro contributi. In altri termini, i concetti vision, mission, fine organizzativo, valori chiave sono usati in queste opere con significati poco definiti, talvolta intercambiabili e addirittura mutevoli o contradditori, andando a creare una sorta di “confusione”, che è rimasta anche in seguito, con riguardo al significato che viene attribuito in ambito aziendale agli stessi concetti.

Più recentemente, grazie ai lavori di studiosi quali Levin (2000), O’Brien e Meadows (2000), Strange e Mumford (2002, 2005), Kantabutra e Avery (2010), si è quindi assistito al riemergere di un’esigenza di approfondimento rispetto a tali concetti.

Lo scopo del presente lavoro è quello di offrire una sistematizzazione del concetto di vision così come usato in ambito organizzativo, identificando alcune possibili modalità di osservazione di tale variabile e le principali differenze rispetto ad altri concetti affini. In particolare, l’intento è quello di comparare posizioni differenti e riconducibili, almeno idealmente, a quegli autori a vocazione maggiormente consulenziale, come Collins e Porras (1996, 2005), Senge (2006) – ed in parte anche Nanus (1992) e Levin (2000) – i cui lavori, avendo trovato più ampia diffusione, hanno creato anche più ambiguità nella pratica organizzativa.

Si vedrà, infatti, come la sopramenzionata condizione di “confusione concettuale” possa essere proprio ricondotta alla differente concezione che tali autori hanno avuto con riferimento alla natura della vision.

Per evidenziare le armonie e distonie esistenti tra le diverse posizioni degli autori, l’analisi è stata condotta “scomponendo” idealmente il concetto di vision.

La sfida è, quindi, quella di dare una risposta a questioni “semantiche” o addirittura “ontologiche”, ossia concernenti la natura del concetto di vision, le prospettive di osservazione della stessa ed i legami fondamentali con i concetti di mission e valori organizzativi. 

Vision, mission e core values: una questione ontologica?

Per giungere ad una migliore comprensione della vision e delle differenze rispetto a concetti affini alla stessa, come ad esempio quello di mission, è opportuno riflettere sulle componenti fondamentali della vision e sui possibili modi di  intendere la stessa.

A tal fine sono state utilizzate le tre domande alla base della vita e della natura dell’organizzazione che erano state poste in evidenza nel precedente numero della rivista (Ferranti e Niccolini, 2016):

  1. il “perché” l’organizzazione esiste;
  2. il “come” lavora, opera, in un certo senso vive;
  3. il “cosa” vuole raggiungere.

Tali domande riguardano la sfera ontologica dell’organizzazione, indagando la sua ragion d’essere e gli obiettivi di fondo.

La risposta al “perché dell’esistenza di un’organizzazione” (quesito A), consente di comprenderne lo scopo essenziale, e di individuare il fine verso il raggiungimento del quale l’organizzazione opera: la sua ragion d’essere.

Il secondo interrogativo (B), invece, indaga le modalità con cui l’organizzazione “vive” all’interno del suo contesto di riferimento. La risposta a tale quesito rivela il modus operandi dell’organizzazione: “come” vuole agire ed in cosa realmente crede.

L’ultimo quesito (C) riguarda il “verso cosa” orientare l’azione organizzativa. Rispondendo allo stesso si delineano le strategie ed i traguardi da raggiungere.

Successivamente, si è scelto di “sistematizzare” in maniera organica alcune differenti definizioni del concetto di vision organizzativa, che sembrano trarre origine da posizioni tra loro profondamente differenti da parte degli autori precedentemente citati. In particolare, in base alla rispettiva modalità di risposta a tali quesiti, appare possibile operare un’importante distinzione a partire dal pensiero di Collins e Porras e di Senge. Pur riconoscendo ai concetti di vision, mission e valori un’elevata importanza, infatti, tali autori sembrano partire da assunti non omogenei, finendo per attribuire, agli stessi concetti, diversi significati proprio sulla base delle tre domande di fondo precedentemente esposte.

Senge (2006: 208), definisce la vision sinteticamente, nitidamente e semplicemente come la “rappresentazione del futuro che cerchiamo di creare”, rispondendo al terzo dei quesiti suddetti (C). L’autore, poi, aggiunge che per comprendere pienamente la vision è necessario leggerla assieme al “senso di finalità” che rappresenta la risposta al primo quesito (A) e che identifica il motivo per cui individui e organizzazioni esistono. Senge, quindi, ritiene quello di vision e quello di finalità dell’organizzazione (che definisce come mission) due concetti tra loro ben distinti e sostanzialmente differenti, pur sottolineando come il legame esistente tra gli stessi sia inscindibile ai fini della piena comprensione dei due.

La vision risponde, dunque, per Senge, all’esigenza di sapere “cosa” l’organizzazione cerca di creare nel proprio futuro (C). La mission concerne, invece, il perché della stessa (A), ossia quel senso di finalità che, trascendendo la soddisfazione degli azionisti e dei dipendenti, fornisce legittimazione alla sua attività.

All’interno di questo quadro, un ruolo altrettanto importante è ricoperto dai valori chiave (core values) alla base della cultura organizzativa, che chiariscono “come” (B) l’organizzazione, nel perseguire la propria mission, intende creare la realtà descritta dalla vision. Nelle parole dell’autore, infatti, i valori chiave “descrivono come l’azienda desidera che sia la vita di tutti i giorni mentre persegue la sua vision” (Senge, 2006: 208). Per Senge, Mission (A), Valori chiave (B) e Vision (C) costituiscono unitamente le “Idee di governo”.

Come già osservato nel precedente numero della rivista (Ferranti e Niccolini, 2016), nel loro framework, invece, Collins e Porras (1991) adottano un’ottica ben differente per definire la vision, assumendo una prospettiva più ampia, che include tutte e tre le domande ontologiche precedentemente descritte (A, B, C). I due autori affermano che la vision consta ad un primo livello di due principali componenti: la core ideology e l’envisioned future.

La core ideology è la parte durevole della vision e dell’organizzazione e risponde ai primi due quesiti di fondo isolati in precedenza: “perché” l’organizzazione esiste (A) e “come” vuole agire per conseguire il proprio obiettivo (B). Collins e Porras, infatti, ad un livello successivo suddividono la core ideology in due ulteriori componenti: i core values (B), “dogmi” essenziali e duraturi che non necessitano di giustificazioni esterne, e il core purpose (A) che, invece, rappresenta il fine ultimo dell’azione organizzativa.

Se core values e core purpose rappresentano aspetti durevoli dell’organizzazione, una diversa natura caratterizza le scelte strategiche adottate dalla stessa. Queste, infatti, necessitano di un’immagine condivisa del futuro (C), l’envisioned future, che rappresenti il punto focale ed unificante degli sforzi dei suoi membri. Core purpose, core values ed envisioned future, vanno a formare, tutti insieme, la vision organizzativa.

Riassumendo è quindi possibile paragonare ed evidenziare alcune differenze rilevanti nelle posizioni degli autori proprio attorno alle tre domande di fondo dell’azione organizzativa.

cas
Fig. 1 – Le posizioni di Collins e Porras e Senge nei confronti delle tre domande di fondo dell’azione organizzativa e rispettive accezioni date al concetto di vision

 

 Fonte: elaborazione personale

Osservando attentamente queste due posizioni, in particolare il differente modo di intendere il legame tra concetti quali vision e mission organizzativa, è importante rilevare come siano già state distinte (Niccolini in Morandi, et al. 2012: 111-112) due diverse accezioni del concetto di vision, sulla base della maggiore o minore “ampiezza” riconosciuta allo stesso.

L’accezione ristretta, riconducibile alla posizione di Senge, riconosce nella vision la risposta alla sola domanda “che cosa vogliamo creare?” (Senge, 2006: 192), ossia al terzo dei quesiti di fondo (C). Essa, definisce ciò che l’organizzazione intende raggiungere, la realtà futura da creare.

L’accezione ampia è invece quella riconducibile alla posizione di Collins e Porras, per i quali la vision organizzativa risponde nel suo complesso alle tre domande di fondo sulla natura dell’organizzazione componendosi di envisioned future (C), core purpose (A) e core values (B).

In questa accezione, il solo envisioned future risponde al “che cosa” l’organizzazione vuol realizzare (C) e quindi corrisponde all’essenza della vision nell’accezione ristretta.

Una lettura non verticale, ma orizzontale (per riga) della suddetta tabella mette, inoltre, in luce le profonde differenze semantiche che intercorrono tra gli autori. Ad esempio, Senge chiama mission quello che Collins e Porras chiamano core purpose. Solo per il “come” (B) l’organizzazione intende agire, gli autori sono concordi nel parlare di core values.

Un’importante questione aggiuntiva concerne la ricerca nel connotare la vision secondo la dimensione di staticità/dinamicità. In questo senso Nanus e soprattutto Levin sembrano assumere una prospettiva orientata verso un’ottica più dinamica rispetto ai precedenti autori. Il primo, infatti, osserva nella vision (definita secondo l’accezione ristretta) “un realistico, credibile, attrattivo futuro”, ma al contempo sottolinea il suo essere una singola “parte di un continuo processo di orientamento rispetto alle realtà emergenti del mondo esterno” (Nanus, 1992: 8, 158). L’autore (1992: 32) osserva nella vision un “processo dinamico” capace di sfidare continuamente la leadership visionaria. Nanus (1992: 158), infatti, ritiene necessario un continuo processo di monitoraggio e revisione della vision da parte della leadership, per apportare aggiustamenti anche frequenti lungo quella che dovrebbe essere la traiettoria seguita dall’organizzazione. La vision, dunque, trova la sua naturale collocazione all’interno di un più ampio e costante processo di orientamento organizzativo, in relazione alle condizioni interne ed esterne che vengono di volta in volta a prospettarsi.

La concezione dinamica della vision sembra assumere contorni ancor più nitidi nelle parole di Levin, il quale si esprime in termini di una descrizione in azione di un certo futuro (Levin, 2000: 91). Non del tutto d’accordo con Collins e Porras, l’autore fornisce una sua personale prospettiva riguardo al concetto. Per Levin (Levin, 2000: 93) la vision non consiste in “una serie di dichiarazioni generali circa finalità, aspirazioni, o principi”, né in un’altrettanto statica “dichiarazione di ciò per cui l’organizzazione esiste o in cui crede. Essa, piuttosto, costituisce un “racconto estremamente lucido di un futuro preferito dall’organizzazione in azione”, capace di descrivere come sarà “la vita per i dipendenti, i clienti, ed altri stakeholder chiave”.

Questa concezione sembrerebbe rimandare al concetto di storytelling (Boje, 1995). Letta sotto questa ottica, dunque, la stessa vision assumerebbe i caratteri di una narrazione, vivida e persuasiva, del futuro verso il quale l’organizzazione è destinata.

Ad un livello micro, le stesse vision individuali costituirebbero delle narrazioni ancora più intime e personali di ciò che ogni membro intende creare nel proprio futuro. Il compito dei leader in questo senso sarebbe quello di incoraggiare tali aspirazioni (in tal senso anche Senge, 2006: 197) e di guidarle verso l’immagine del futuro che vorrebbero l’organizzazione perseguisse, sottolineandone gli aspetti più in linea con esso (Boje, 1995: 1030-1031).

La concezione dinamica della vision, dunque, sottolinea il potere immaginifico attribuibile alla vivida descrizione e creazione del futuro: la narrazione della vision rappresenta in tale ottica un “potente meccanismo per spingere e guidare tale attuazione” (Levin, 2000: 106).

Implicazioni manageriali

Il concetto di vision nel tempo è passato dall’essere considerato solo come un termine “modaiolo” (Kantabutra (2009: 319), ad attributo rilevante nell’ottica del miglioramento della performance dell’organizzazione (Kirkpatrick e Locke, 1996; Baum et al., 1998; Kirkpatrick et al., 2002).

Per diversi manager, soprattutto di aziende di dimensioni medio-grandi, la vision è divenuta un fulcro nel predisporre “l’agenda futura” dell’organizzazione e comunicare convinzioni e valori ai propri collaboratori (Berson et al., 2001). L’importanza assunta dal fenomeno, ha spinto sempre più manager ad avvicinarsi alla vision nel tentativo di comprenderne l’essenza e farne un fondamentale strumento di leadership.

Il presente lavoro consente di approfondire la questione relativa alla definizione della vision, spingendo il lettore ad interrogarsi su alcune delle principali prospettive di osservazione della stessa.

La lettura congiunta delle prospettive ed accezioni presenti in letteratura può costituire un buon framework per lo studioso ed il manager che intendano provare a comprendere l’essenza di tale fenomeno, anche semplicemente aiutando a maturare una maggiore consapevolezza circa la complessità di tale variabile organizzativa.

A prescindere dalla possibilità distinguere più posizioni, infatti, appare necessaria una lettura quanto più ampia e profonda nell’ottica di favorire una migliore comprensione della variabile vision ed una più efficace comunicazione organizzativa (Ferranti e Niccolini, 2015).

In questo senso, in base alla propria idea del futuro da raggiungere, i manager possono dunque scegliere di adottare l’una o l’altra prospettiva, con l’intento di dare risalto agli aspetti della vision che ritengono maggiormente persuasivi e capaci di stimolare una maggiore motivazione nei collaboratori e – allo stesso tempo – garantire una maggiore legittimazione all’azione organizzativa sia da parte dei collaboratori che dall’ambiente esterno.

Spunti di riflessione

Numerose e sostanziali sono le riflessioni e le possibili direttrici di sviluppo del presente lavoro.

È chiaro che molto può esser ancora fatto per identificare eventuali ulteriori prospettive di osservazione della vision, capaci di aiutare ancor di più studiosi e manager nella comprensione di una simile variabile organizzativa. Pur non essendo la dottrina in materia di vision così fornita come per altre variabili, sembra probabile l’esistenza di ulteriori definizioni dello stesso concetto, capaci di aggiungere altri punti di vista da cui studiare il fenomeno.

Dalla descrizione delle prospettive di osservazione della vision, sarebbe inoltre piuttosto naturale passare all’osservazione delle proprietà della stessa. Ciò specialmente nell’ottica di evidenziare quei caratteri che, adottando l’una o l’altra prospettiva, il manager avrebbe possibilità di mettere maggiormente in luce.

Per il suo carattere esplorativo ed interpretativo, il presente lavoro si è poi concentrato sull’osservazione e la descrizione della vision esclusivamente da un punto di vista teorico. Certamente utile per manager e imprenditori, potrebbe essere la verifica empirica delle questioni qui sollevate.

Sarebbe interessante, infatti, osservare come i manager di aziende più o meno performanti concepiscano la propria vision e quale delle due prospettive “ontologiche” sia maggiormente usata nella pratica organizzativa.

Si potrebbe, quindi, dire che per quanto si condivida il pensiero di Senge (2006: 142) secondo cui “non è importante cosa la vision è, ma cosa la vision fa”, a nostro modo di vedere una qualsiasi riflessione sulla vision, anche in ottica strategica, non può prescindere dal tentativo di comprendere la sua vera essenza. Ciò nella consapevolezza che molto spesso ciò che la vision “fa” dipende in larga misura da come essa viene concepita, strutturata e comunicata dai manager.

Bibliografia

Awamleh, R., & Gardner, W. L. (1999). Perceptions of leader charisma and effectiveness: The effects of vision content, delivery, and organizational performance. The Leadership Quarterly, 10(3), 345-373.

Baum, J. R., Locke, E. A., & Kirkpatrick, S. A. (1998). A longitudinal study of the relation of vision and vision communication to venture growth in entrepreneurial firms. Journal of Applied Psychology, 83(1), 43.

Berson, Y., Shamir, B., Avolio, B. J., & Popper, M. (2001). The relationship between vision strength, leadership style, and context. The Leadership Quarterly, 12(1), 53-73.

Boje, D. M. (1995). Stories of the storytelling organization: A postmodern analysis of Disney as “Tamara-Land”. Academy of Management journal, 38(4), 997-1035.

Collins, J. C. & Porras, J. I. (1991), Organizational vision and visionary organizations, California Management Review, Fall, 30-52.

Collins, J. C. & Porras, J. I. (1996). Building Your Company’s Vision. Harvard Business Review, 74(5), 65-77.

Collins, J. C., & Porras, J. I. (2005). Built to last: Successful habits of visionary companies. Random House.

Ferranti P. & Niccolini F. (2016), Ritorno al futuro. Storie di organizzazioni visionarie e del loro successo, in ProspettiveinOrganizzazione, Vol. 2.

Ferranti P. & Niccolini F. (2015), Vision organizzativa, indicami la meta e ti seguirò, in ProspettiveinOrganizzazione, Vol. 1, pp. 73-86

Kantabutra, S. (2009). Toward a behavioral theory of vision in organizational settings. Leadership & Organization Development Journal, 30(4), 319-337.

Kantabutra, S., & Avery, G. C. (2010). The power of vision: statements that resonate. Journal of Business Strategy, 31(1), 37-45.

Kirkpatrick, S. A., & Locke, E. A. (1996). Direct and indirect effects of three core charismatic leadership components on performance and attitudes. Journal of Applied Psychology, 81(1), 36.

Kirkpatrick, S. A., Wofford, J. C., & Baum, J. R. (2002). Measuring motive imagery contained in the vision statement. The Leadership Quarterly, 13(2), 139-150.

Kotter, J. P. (2007). Leading change. HBR’s 10 must Reads on Change, 2.

Larwood, L., Falbe, C. M., Kriger, M. P., & Miesing, P. (1995). Structure and meaning of organizational vision. Academy of Management Journal, 38(3), 740-769.

Levin, I. M. (2000). Vision Revisited Telling the Story of the Future. The Journal of Applied Behavioral Science, 36(1), 91-107.

Morandi F., Niccolini F. & Sargolini M. (2012), Parks and Territory. New perspectives in planning and organization. Trento: List Lab.

Nanus, B. (1992). Visionary Leadership: Creating a Compelling Sense of Direction for Your Organization. Jossey-Bass Inc., 350 Sansome Street, San Francisco, CA 94104-1310.

O’Brien, F., & Meadows, M. (2000). Corporate visioning: a survey of UK practice. Journal of the operational research society, 36-44.

Senge, P. M. (1992 e 2006). The fifth discipline: The art and practice of the learning organization. Random House LLC. – Trad. It. (2006), La quinta disciplina. Milano: Sperling & Kupfer Editori Spa.

Strange, J. M., & Mumford, M. D. (2002). The origins of vision: Charismatic versus ideological leadership. The Leadership Quarterly13(4), 343-377.

Strange, J. M., & Mumford, M. D. (2005). The origins of vision: Effects of reflection, models, and analysis. The Leadership Quarterly, 16(1), 121-148.

Autori

+ articoli

_

+ articoli

_

_

Ultimi articoli