Negli ultimi anni ci sono stati cambiamenti rilevanti, di tipo culturale, economico e politico che hanno avuto un impatto significativo sull’organizzazione della PA. L’emergenza Covid-19 e il lockdown iniziato la scorsa primavera hanno contribuito ad accelerare questo processo di cambiamento, modificando il modo di lavorare nelle organizzazioni e affermando quindi la necessità di nuovi modelli organizzativi e competenze manageriali per la gestione della cosa pubblica.
Amministratori e manager sono chiamati a ricoprire ruoli più ampi e complessi rispetto al passato, con nuovi compiti e responsabilità, che richiedono spesso comportamenti proattivi nella proposizione di progetti innovativi, nonché la costruzione e il mantenimento di relazioni critiche con altri attori presenti sul territorio.
Questi segnali di cambiamento evidenziano la necessità di un cambio di paradigma per la PA: da modello organizzativo “complicato”, che utilizza le regole della burocrazia per non cambiare o per consentire spazi di gestione del potere non funzionali alle finalità della PA, occorre il passaggio ad un modello “semplificato”, proiettato ai risultati e alla soddisfazione degli utenti, libero dai vincoli di una struttura di potere basata sulla proliferazione delle norme.
In tale prospettiva, le competenze manageriali si sono affermate come un tema di crescente attualità nella letteratura scientifica di public management come nella pratica organizzativa. Studiosi e operatori d’azienda sono concordi nel considerare le competenze amministrative tradizionali non più sufficienti rispetto alla complessità dei nuovi scenari, riconoscendo piuttosto l’importanza di quelle competenze cosiddette “soft”, o trasversali, che dipendono in gran parte dalle caratteristiche personali e dalle attitudini degli individui.
Se da un lato la qualità del personale e le competenze manageriali rappresentano condizioni essenziali per supportare i complessi processi di cambiamento organizzativo, dall’altro lato è necessario rivedere il ruolo delle funzioni HR nelle organizzazioni pubbliche e valorizzarle dal punto di vista delle strategie, delle prassi e degli strumenti di gestione delle risorse umane. Il focus sulle competenze infatti può consentite alle amministrazioni di avere un quadro analitico e solido delle risorse presenti nella propria organizzazione, con l’evidenziazione delle aree di forza e di debolezza sulla cui base elaborare e realizzare interventi di sviluppo organizzativo.
Il contributo nella sezione punti di vista di Decastri, Mangia e Buonocore “Mappatura organizzativa e valutazione delle competenze nella PA: nuovi sviluppi e sfide per il futuro” mostra appunto come per innovare e trasformare la PA il punto di partenza sia quello di mettere in luce le competenze e i talenti delle persone, scoprendo i numerosi ricchi tesori che purtroppo restano spesso nascosti nella PA. Nel contributo viene rappresentato il recente progetto intrapreso dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione in collaborazione con alcune università italiane, finalizzato a definire una metodologia utile con cui sia possibile per le singole Amministrazioni pubbliche analizzare il divario fra competenze richieste per ciascuna posizione dirigenziale e competenze possedute dai singoli. Le informazioni relative a tale divario possono contribuire a migliorare le politiche di formazione e sviluppo dei dirigenti pubblici e a pianificare efficacemente il proprio fabbisogno di personale. Tale processo di mappatura sistematica di competenze è tutt’altro che facile e scontato, in un ambito in cui la dimensione procedurale e formale tende ancora oggi a prevalere su quella personale, finendo in alcuni casi con il sottovalutare o addirittura soffocare lo sviluppo del potenziale e delle capacità delle persone.
Conoscere il patrimonio di competenze e capacità in ambito pubblico significa anche indagare le differenze, legate al confronto tra età e generazioni. Il contributo di Irene Pescatore, Vincenza Esposito, Gilda Antonelli: “Age diversity: motivazione e competenze degli older workers” pone il focus proprio sui dipendenti delle fasce di età più avanzata, che sono come è noto sempre più presenti anche in abito pubblico. Conoscere più specificamente che cosa li incoraggia o li rende insoddisfatti aiuta i manager ad implementare politiche gestionali differenziate mirate a valorizzare le potenzialità dei singoli in termini di maggiore soddisfazione e produttività.
In alcune aree della pubblica amministrazione, come in ambito sanitario, comportamenti manageriali proattivi che coinvolgono il personale sono particolarmente importanti per garantire la qualità del servizio e dell’assistenza agli utenti. Sono dunque benvenuti gli studi come quello di Federica Morandi, Fausto Di Vincenzo Americo Cicchetti: “Alle origini dell’attitudine manageriale: uno studio empirico sul middle-management in sanità” che esplorano sul campo i micro fondamenti dell’azione manageriale che si spinge oltre un livello di mero adempimento: tra questi le caratteristiche personali, il grado di specializzazione e il livello di identificazione organizzativa sembrano avere un ruolo rilevante.
Appare chiaro che rivolgere l’attenzione progettuale organizzativa oltre l’orizzonte normativo, liberando e incentivando comportamenti proattivi, pone in primo piano la valorizzazione delle capacità di leadership dei manager pubblici. Questo tema è affrontato nel contributo di Mauro Romanelli e Roberta Oppedisano: “Riscoprire la leadership quale identità del manager pubblico”, che sottolinea la necessità di promuovere la leadership quale dimensione costitutiva nella funzione manageriale.
L’adozione di una prospettiva di sviluppo integrale delle persone, per quanto necessariamente adattata e inquadrata nella cornice normativo-istituzionale delle amministrazioni pubbliche, rappresenta un ulteriore promettente territorio di indagine e sperimentazione per la ricerca organizzativa in questo ambito. In questo senso, il contributo di Alessandro Hinna e Fabian Homberg: “C’era una volta la ricerca del posto fisso: implicazioni ed evidenze empiriche sull’attrattività del pubblico impiego”, si incentra sulla analisi delle possibilità di sviluppo delle politiche di reclutamento in ambito pubblico, che sono ancora oggi per lo più prevalentemente gestiti da rigide (quanto ovviamente rilevanti e delicate) impalcature formali di tipo giuridico-amministrativo.
Uno sguardo olistico sulle competenze nella PA si spinge non solo a scoprire e attrarre nuove risorse per la PA, ma anche a ridefinire i percorsi di formazione e di sviluppo per la valorizzazione delle risorse esistenti. Il contributo di Sara Bonesso, Laura Cortellazzo e Fabrizio Gerli: “Diventare un leader risonante nella pubblica amministrazione? Evidenze e riflessioni di un percorso formativo per i manager pubblici” offre l’analisi di una sperimentazione sul campo in questo senso. Adottando il modello teorico della cosiddetta “leadership risonante”, questo studio descrive la metodologia implementata in un percorso formativo rivolto a profili manageriali pubblici operanti nel Nord-Est, offrendo spunti di riflessione sui positivi risultati e le loro implicazioni per le organizzazioni.
Certo, come tanta letteratura evidenzia anche in ambito aziendale, quell’area di competenze manageriali e di leadership più squisitamente legata a comportamenti e capacità di relazione umana non è certo facilmente plasmabile e trasferibile con interventi formativi e valutativi tradizionali. Il contributo di Raffaella Iaselli, Maurizio Decastri: “Il coaching e la PA: un incrocio innovativo che produce cambiamento “diffuso”” evidenzia come gli strumenti dell’assessment e del coaching manageriale, ben noti in ambito aziendale, suggeriscano ampi margini di intervento e sperimentazione anche in ambito pubblico.
Il contributo di Danilo di Guida “L’Intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione. Il progetto SIMPATICO H2020” apre una ulteriore rilevante area di indagine e riflessione sulle competenze nella PA. Il progetto presentato dall’autore mostra come le tecnologie avanzate e in particolare l’Intelligenza Artificiale possano avere un ruolo chiave sia nel miglioramento della accessibilità e qualità dei servizi pubblici in una ottica di dialogo con il cittadino, sia per il contenimento dei costi e il conseguimento di efficienze operative. Il progetto SIMPATICO H2020 impiega infatti tecnologie di Intelligenza Artificiale per rendere possibile il dialogo in linguaggio comune per la fornitura di servizi comunali di un sistema di Sportello telematico del cittadino del Comune di Trento. Gli autori sottolineano come lo sviluppo di nuove competenze in ambiti di frontiera come questi possa avvenire attraverso l’apertura e la collaborazione verso soggetti esterni come centri di ricerca, reti di organizzazioni innovative e Università.