Questo studio, basato su una ricerca intervento svolta nel Gruppo Enel, analizza alcuni fattori individuali e organizzativi che influiscono sulla piena partecipazione al lavoro di collaboratori affetti da una patologia cronica, un gruppo ad elevato rischio di esclusione e marginalizzazione dai contesti di lavoro.
Lavoro e malattia cronica: una dimensione di fragilità ancora trascurata dalle pratiche di diversity & inclusion
I lavoratori affetti da malattie croniche rappresentano un quarto della popolazione attiva dell’Unione Europea. Le malattie croniche includono una vasta gamma di patologie come il diabete, le malattie oncologiche e cardiovascolari, o l’artrite. Queste malattie sono di lunga durata e richiedono una gestione continuativa per un periodo di anni o decenni (Nolte e McKee, 2008).
Numerosi studi dimostrano che le malattie croniche incidono significativamente sulla permanenza nel mondo del lavoro, sull’assenteismo, sul turnover e sulle decisioni di pensionamento anticipato (Busse e Blümel, 2010). Inoltre, le persone affette da malattie croniche si trovano spesso ad affrontare diffusi pregiudizi nei luoghi di lavoro che, in taluni casi, si tramutano in forme sottili di discriminazione, con conseguenze negative sul livello retributivo, sulle opportunità di sviluppo e sulle prospettive di carriera (Beatty e Joffe, 2006; OECD/EU, 2018).
Tali condizioni di svantaggio possono far sì che, anche quando l’idoneità al lavoro non risulta pregiudicata, le difficoltà di conciliare lavoro e gestione della malattia portino alla scelta di abbandonare la propria occupazione, con ripercussioni anche pesanti sotto il profilo finanziario, di isolamento sociale e riduzione dell’autostima. Ma in questi casi non è solo il lavoratore ad essere danneggiato, a risentirne negativamente sono anche le organizzazioni, soprattutto in termini di perdita di risorse e professionalità̀ talvolta difficilmente sostituibili, clima aziendale ostile, scarsa motivazione.
Questo scenario evidenzia la necessità di mettere a punto iniziative efficaci per garantire un lavoro sostenibile, prevenire il diffondersi di comportamenti discriminatori, implementare soluzioni di flessibilità che facilitino il pieno reinserimento nel lavoro. Tuttavia, la gestione dei collaboratori affetti da malattie croniche non è ancora entrata nell’agenda programmatica della gran parte delle Direzioni Risorse Umane, né fra le iniziative di Diversity & Inclusion promosse dalle imprese.
In tale contesto, questo articolo descrive il progetto MaCro@Work Caring Program sviluppato da Enel in collaborazione con la Fondazione Lavoroperlapersona. Il progetto si ispira alla metodologia della ricerca-intervento (Argyris et al., 1985) che ha come obiettivo primario di mettere a punto interventi e soluzioni organizzative attraverso le conoscenze acquisite mediante la ricerca. Nello specifico, il progetto si è avvalso inizialmente di un’indagine quali-quantitativa progettata e condotta dal team di ricerca della Fondazione Lavoroperlapersona che, sulla base delle evidenze emerse, ha successivamente consentito al team People Care di Enel di mettere a punto specifiche iniziative atte a migliorare l’esperienza lavorativa dei collaboratori affetti da malattie croniche.
Il progetto di ricerca intervento MaCro@Work Caring Program: contesto e obiettivi
Il Gruppo Enel rappresenta uno dei principali operatori integrati globali nei settori dell’elettricità e del gas.
Con più di 65.000 dipendenti, il gruppo è presente in 30 Paesi nei cinque continenti, con una integrazione verticale lungo l’intera catena del valore dell’energia. Leader globale nel settore delle rinnovabili e principale operatore di rete, è l’impresa privata con la più ampia base di clienti al mondo.
È inoltre una delle imprese italiane che hanno avviato con maggior convinzione un percorso di transizione energetica che mette la sostenibilità al centro della strategia aziendale.
Tra le numerose iniziative avviate per creare un ambiente di lavoro inclusivo e attento al benessere di tutti i collaboratori, si inserisce il progetto nato nel 2018 dall’adesione di Enel al programma di ricerca MaCro@work lanciato della Fondazione Lavoroperlapersona con l’obiettivo di contribuire a diffondere pratiche di people management in grado di favorire l’inclusione e l’employability sostenibile dei lavoratori affetti da malattie croniche.
L’impianto metodologico scelto per il progetto di ricerca-intervento è fondato sulla consapevolezza che un tema così complesso e delicato richiede l’adozione di più prospettive: si è scelto di mettere al centro i malati cronici, per poi allargare l’ascolto anche ai loro capi, colleghi e gestori HR. Per fare ciò, la ricerca si è avvalsa di metodi quali-quantitativi: interviste, focus group, analisi documentale e una survey on-line che ha coinvolto un ampio campione di oltre 6.462 individui composto da persone malate, capi e colleghi con l’obiettivo di capire quali fattori possono facilitare o ostacolare la piena e produttiva partecipazione alla vita organizzativa del lavoratore affetto da una patologia cronica, consentendogli di valorizzare le proprie competenze e capacità.
Presentiamo di seguito alcune delle principali evidenze della ricerca, per poi illustrare le iniziative adottate per migliorare l’esperienza di lavoro dei collaboratori affetti da malattie croniche in Enel.
Le principali evidenze emerse dalla ricerca
Come precedentemente riportato, al progetto di ricerca hanno aderito nell’insieme 6.462 collaboratori di Enel. Di questi, 1.107 erano persone affette da una patologia cronica, 1.850 capi/colleghi di collaboratori malati e 3.505 collaboratori che, seppure privi di un’esperienza diretta, erano interessati a condividere le loro percezioni sul tema.
Nel sotto campione composto dalle persone malate emerge un’elevata presenza maschile (70%), dato che riflette le caratteristiche generali della popolazione aziendale. Coerentemente con le statistiche nazionali e internazionali, anche in Enel si rileva una percentuale più elevata di malati cronici tra le persone più mature: il 71% delle persone cha ha aderito alla survey ha infatti un’età superiore ai 45 anni.
Tra i temi analizzati nella survey è stata dedicata particolare attenzione alla disclosure. Con il termine disclosure (letteralmente “divulgazione” o “rivelazione”) si fa riferimento alla decisione del collaboratore di comunicare la propria condizione di salute al datore di lavoro. Un atto molto importante, senza il quale il lavoratore rende di fatto impossibile qualsiasi intervento di supporto da parte dell’organizzazione, e che contribuisce in molti casi a creare un solco profondo tra l’individuo e i propri colleghi. Non è affatto scontato, infatti, che il collaboratore parli in azienda della propria condizione, soprattutto quando la malattia non è visibile e dunque può rimanere nascosta (Claire et al., 2005). Le resistenze da parte delle persone possono essere alimentate da diversi fattori, quali il timore di essere stigmatizzati ed essere oggetto di comportamenti discriminatori (Munir et al., 2005). Anche fattori interpersonali, quali la preoccupazione di creare disagio tra colleghi, rappresentano importanti deterrenti nel comunicare informazioni relative al proprio stato di salute. Le evidenze raccolte dalla ricerca sottolineano la presenza di queste barriere anche tra i collaboratori malati in Enel. Per quasi la metà del campione (41%) le informazioni sulla propria condizione di salute sono considerate strettamente personali e riservate e circa un terzo teme eventuali ripercussioni sul proprio percorso professionale o di suscitare commiserazione (Figura 1).
La disclosure, inoltre, coinvolge interlocutori diversi: il collaboratore malato, infatti, può scegliere di aprirsi con il capo diretto, con il referente della Direzione Risorse Umane, con il medico competente o, come più spesso accade, con uno dei propri colleghi più stretti. Nel campione esaminato, fra le persone malate che hanno scelto di condividere le informazioni relative al proprio stato di salute prevale la tendenza a rivolgersi principalmente al proprio capo e ai colleghi, mentre risulta meno frequente un contatto con la Direzione Risorse Umane (Fig. 2).
Nell’insieme, questi risultati confermano le evidenze di numerosi studi che hanno messo in luce l’elevata propensione delle persone affette da una malattia di lunga durata a tenere nascosta la propria condizione nell’ambito lavorativo, con conseguenze negative per l’individuo e per l’organizzazione. Sappiamo infatti che le persone si sentono “autentiche”, e dunque esprimono il proprio potenziale, solo quando possono essere davvero “se stesse” in presenza degli altri (Claire et al., 2005). Inoltre, le persone che hanno una identità sociale nascosta faticano ad acquisire e a mantenere intatta la propria legittimazione nell’ambito delle interazioni sociali sul lavoro. Ad esempio, un lavoratore malato può avere l’esigenza di svolgere un determinato compito in modo diverso da quanto previsto (ad esempio stando seduto anziché in piedi) e si troverà nella condizione di dover spiegare questa necessità, oppure di accettare le reazioni negative dei colleghi, che potrebbero giudicarlo come una persona pigra oppure strana (Charmaz, 2000). Le persone che scelgono di non condividere informazioni sulla propria condizione di salute, inoltre, faticano a bilanciare esigenze relazionali conflittuali. Ad esempio, un lavoratore che ha tenuto nascosta la propria malattia potrebbe evitare di frequentare i colleghi fuori dal lavoro alla presenza di familiari o amici nel timore che questi inavvertitamente possano portare alla luce il proprio reale stato di salute, aumentando così il rischio di isolamento nel contesto di lavoro. Anche in un contesto come Enel, particolarmente sensibile all’inclusione e alla valorizzazione della diversità, emerge l’esigenza di un aiuto nel difficile passo della disclosure per consentire ai collaboratori di far prevalere i benefici individuali e organizzativi della condivisione, riducendo al minimo i timori legati alle eventuali ripercussioni in termini di stress e ansia nelle relazioni sociali.
Un secondo tema critico riguarda il supporto ricevuto nel contesto di lavoro. Sentirsi supportati rappresenta un’importante risorsa per quanti si trovano ad affrontare un periodo, talvolta particolarmente lungo, di fragilità fisica e conseguentemente psicologica. In genere, i capi, i colleghi e i gestori HR sono i soggetti che per frequenza e intensità delle interazioni possono fornire un aiuto maggiore alle persone malate.
Sono diverse le forme di supporto di cui possono avere bisogno le persone che si trovano a gestire una patologia in un contesto di lavoro. Da un lato, infatti, è fondamentale poter contare su un aiuto emotivo, che spesso vuol dire avere una «spalla» alla quale appoggiarsi nei momenti di maggiore debolezza e fragilità psicologica. Dall’altra, per riuscire a conciliare le esigenze della patologia e i suoi impatti sul lavoro, è fondamentale un supporto nell’organizzazione – talvolta «ri»organizzazione – della propria attività e dei relativi carichi. Studi condotti in precedenza confermano l’importante contributo che manager e supervisori diretti possono fornire nel sostenere le performance dei collaboratori (Rhoades e Eisenberger, 2002). Il supporto del capo rappresenta quindi una risorsa concreta a cui i collaboratori malati possono ricorrere per svolgere al meglio le attività richieste. In particolare, poter contare su un capo che comprende le loro esigenze lavorative e cerca di offrire soluzioni organizzative mirate aiuta i collaboratori malati a sentirsi più confidenti delle proprie abilità e competenze, con implicazioni positive in termini di autostima e di risultati (McGonagle et al., 2015).
Dalla survey emerge come capi e colleghi rappresentino in Enel un punto di riferimento per più della metà dei collaboratori coinvolti nel progetto (Fig. 3). Questo risultato, sebbene incoraggiante, ha messo in luce un importante spazio di miglioramento su cui intervenire per favorire ulteriormente l’inclusione. Inoltre, i risultati hanno evidenziato un apprezzamento globalmente più contenuto nei confronti del supporto della Direzione HR, che sembra non esprimere al meglio in suo ruolo di “alleato” dei collaboratori malati per gli aspetti inerenti alla gestione della patologia nel contesto lavorativo. Queste evidenze hanno rafforzato la Funzione People Care di Enel nel convincimento di investire in modo mirato in soluzioni organizzative che aiutino i collaboratori malati a sentirsi più supportati.
I dati acquisiti mettono in evidenza che non sono solo gli individui affetti da una patologia cronica ad aver bisogno di supporto sul luogo di lavoro. Anche i capi si trovano inevitabilmente a dover gestire le ripercussioni che la malattia ha sul team di lavoro, sia su un piano psicologico che organizzativo. Chi lavora con una persona vulnerabile spesso si sente in «prima linea» nella gestione di situazioni delicate e complesse per le quali sente di non essere adeguatamente preparato. Le evidenze raccolte mostrano, infatti, che quasi la metà dei capi ritiene di non aver ricevuto supporto dall’organizzazione nella gestione di collaboratori affetti da patologia cronica (Fig.4). Emerge l’esigenza di riferimenti organizzativi che aiutino chi interagisce con le persone malate a comprendere meglio le implicazioni della malattia sul piano psicologico, giuslavoristico e di sicurezza sul lavoro. I capi, in modo particolare, ritengono necessarie occasioni di confronto con interlocutori competenti con i quali scambiare conoscenze e esperienze per apprendere a relazionarsi nel modo corretto con i collaboratori che stanno affrontando (o hanno affrontato) una patologia cronica.
Un terzo filone analizzato nel progetto di ricerca ha riguardato le percezioni relative agli adattamenti introdotti dall’organizzazione per consentire ai lavoratori affetti da malattie croniche di dare al meglio il proprio contributo (Fig. 5). Allineare le condizioni di lavoro alle mutate abilità e motivazioni conseguenti alla condizione cronica è un passo decisivo per consentire alla persona di ritrovare la consapevolezza di possedere le abilità che le permettono di lavorare utilmente. Gli adattamenti possibili includono diverse tipologie di interventi: dalla flessibilità oraria ai cambiamenti di mansione, dall’adattamento della postazione di lavoro al telelavoro e allo smart working.
Il nostro studio conferma che gli strumenti che consentono di accrescere la flessibilità sia in termini di tempo che di spazio di lavoro sono un elemento chiave per favorire l’inclusione e l’employability dei collaboratori affetti da patologie croniche (Munir et al., 2005), costituendo dei veri e propri strumenti di empowerment particolarmente efficaci per questo specifico target (Varekamp et al., 2009). Talvolta, essi rappresentano l’unico modo per continuare a lavorare per quei collaboratori che hanno riportato conseguenze particolarmente limitanti nella propria condizione fisica.
È importante sottolineare che a seguito della pandemia Enel ha introdotto alcune soluzioni di flessibilità, quali lo smart working, per tutti i collaboratori. Questa soluzione, che favorisce in generale la conciliazione tra attività lavorativa e esigenze personali, risulta particolarmente utile e importante per chi deve quotidianamente confrontarsi con le limitazioni poste da una condizione psico-fisica precaria. Occorre tuttavia considerare che ogni collaboratore presenta esigenze non solo uniche ma anche mutevoli, richiedendo interventi ad hoc che devono essere necessariamente flessibili. Ciò implica un’ulteriore sfida per i capi che non possono fare affidamento su soluzioni standardizzate. Diventa quindi essenziale un coinvolgimento costruttivo dei collaboratori malati nell’individuazione degli interventi di flessibilità più appropriati e nel loro continuo adattamento a esigenze che sono per loro natura differenziate e in continua evoluzione (Profili et al., 2022). È qui che la Direzione Risorse Umane può davvero fare la differenza, facilitando la ricerca e l’implementazione di interventi gestionali che rispondono ad esigenze specifiche senza alimentare nelle persone malate il timore di essere stigmatizzate o addirittura di subire discriminazioni a seguito della scelta di ricorrere a specifiche soluzioni di flessibilità.
Gli interventi messi in campo: la rete di “Gestori di Cuore”
Alla luce delle evidenze emerse dalla ricerca, nel 2021 Enel ha avviato un’iniziativa pilota con l’attivazione di una rete di “Gestori di Cuore”. L’iniziativa è stata inizialmente rivolta ai collaboratori di Enel in Italia, con una rete di 15 People & Business Partner che hanno aderito volontariamente al programma e hanno ricevuto una formazione dedicata per offrire ascolto empatico e supporto a colleghi con malattie croniche e loro responsabili e collaboratori. Il progetto è stato esteso nel 2022 alla Spagna, all’Argentina, al Brasile, al Messico, all’America Centrale e alla Romania (cfr. Bilancio di Sostenibilità 2022), ed è diventato operativo nel primo trimestre 2023 con la creazione di circa 50 altri Gestori del Cuore a livello globale.
Il Gestore di Cuore, nel pieno rispetto della privacy, supporta i colleghi nell’identificazione delle migliori opportunità di conciliazione vita privata e lavoro. È un “facilitatore” rispetto ad aspetti normativi, accesso a servizi e attivazione di azioni gestionali che affianca nel tempo i colleghi che decidono di usufruire di questo servizio, per supportarli al meglio nel riadattare la situazione lavorativa in base all’evoluzione delle loro condizioni di salute.
Il Gestore – che ha ricevuto una formazione specifica – non è uno psicologo, né un medico o un coach (Enel, 2021a). È un consulente capace di comprendere i risvolti emotivi che la malattia può avere sulle persone, al quale rivolgersi per avere ascolto e tutte le informazioni utili per gestire in azienda una patologia cronica, sia dal punto di vista pratico sia da quello relazionale, per bilanciare al meglio tempi e modalità di lavoro e di vita, senza rinunciare alla carriera e alle soddisfazioni professionali. Non è a disposizione soltanto delle persone con patologie croniche, ma anche di dipendenti che vivono una situazione di questo tipo in famiglia, di colleghi e anche di responsabili di malati cronici (Enel, 2021a).
Si può entrare in contatto con un Gestore di Cuore attraverso l’intranet aziendale, dove, oltre alle informazioni specifiche sulle malattie croniche e agli strumenti, è possibile consultare le schede di presentazione di tutti i volontari, accompagnati da un video. Si può chiedere un incontro conoscitivo, durante il quale il Gestore illustrerà i contenuti del ruolo, i servizi attivi e la procedura di accesso, nonché le modalità degli eventuali “incontri” successivi. Tutte le informazioni, i dati e le richieste formulate al Gestore di Cuore sono coperte da riservatezza e possono essere condivise esclusivamente previa autorizzazione.
Il progetto ha ricevuto in Italia il DNA – Difference iN Addition Award, che premia i progetti e le buone pratiche di inclusione delle diversità nei contesti aziendali, a dimostrazione di una cultura organizzativa che pone al centro l’empatia e la cura delle persone per vivere un contesto lavorativo positivo, costruttivo e inclusivo che permetta la valorizzazione del talento di ognuno (Enel, 2021b).
Conclusioni
Questo progetto di ricerca contribuisce ad accrescere la sensibilità verso una minoranza finora trascurata nei contesti organizzativi, individuando pratiche di people management e soluzioni organizzative in grado di favorire l’inclusione di dipendenti affetti da malattie croniche. L’interesse verso questi interventi non potrà che crescere nel tempo in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione del Paese e dei lavoratori. Si tratta di una “diversità emergente” generata da alcuni fattori di contesto, come quelli socio-demografici, che ci ricorda quanto sia difficile racchiudere entro una lista statica le forme attraverso cui si presenta nel tempo la diversità, dimensione strutturalmente dinamica e variabile.
La ricerca sui malati cronici può dunque rappresentare un efficace e generativo laboratorio organizzativo per sperimentare pratiche innovative di riconoscimento della diversità e delle sue variabili forme espressive, ma anche per accrescere nuova consapevolezza tra i manager e le direzioni HR sulla necessità di allenarsi costantemente a leggere e cogliere la nuova diversità e disegnare ambienti di lavoro sicuri e inclusivi, nei quali ci si senta liberi di potersi esprimere pienamente (Shore et al., 2018).
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