I luoghi dell’innovazione aperta per lo sviluppo dei territori: prospettive di un soggetto gestore

L’innovazione è un fenomeno complesso che necessita nuove forme di governance che adottino un’ottica ecosistemica. In questa prospettiva, gli spazi giocano un ruolo importante, soprattutto per i territori che li ospitano.

Introduzione

Nell’era della cosiddetta terza globalizzazione, dove la trasformazione digitale e l’automazione generano effetti polarizzanti sulla distribuzione della ricchezza e asimmetrie di accesso alle opportunità, le città sono nuovamente al centro delle politiche di sviluppo. Sono il livello territoriale dove i problemi diventano reali per le persone, quello dove nuove soluzioni possono essere immaginate e testate, e quello dove l’integrazione di queste soluzioni nella vita quotidiana delle persone può contribuire a ridurre le asimmetrie dell’attuale modello di sviluppo. Dalla mobilità sostenibile ai modelli di welfare per una popolazione sempre più anziana, dallo sviluppo del capitale umano all’inclusione nel mercato del lavoro, sono le città i luoghi dove ogni giorno vediamo emergere innovazioni interessanti che possono fare la differenza.

Queste innovazioni necessitano di una convergenza di intenti da parte di tutti gli attori della quadrupla etica per essere sviluppate (istituzioni, accademia, imprese, cittadini), in quanto se da una parte nascono dalla ricerca applicata in campo tecnologico e dalla volontà, spesso, di giovani imprenditori, dall’altra devono essere integrate in un contesto di carattere pubblico e devono quindi essere supportate da politiche pubbliche locali e dall’accettazione della popolazione target che le deve accogliere ed utilizzare.

Il ruolo degli ecosistemi per l’innovazione

Sviluppare ecosistemi urbani che facilitino l’emergere sistematico di queste innovazioni diventa uno dei più efficaci investimenti per lo sviluppo economico e sociale di una città, perché solo attraverso l’interazione costante e consapevole tra i diversi attori dell’elica diventa possibile immaginare prima, e realizzare poi, interventi così complessi e articolati.

Si sta assistendo quindi al nascere di nuovi modelli di governance che si sono aggiunti a quelli più consolidati di government. Questo passaggio ha portato a una crescente diffusione di progetti e strutture tese a coinvolgere cittadini e attori organizzati nei processi decisionali in campo urbanistico, della sostenibilità ambientale, della vivibilità degli spazi, nella pianificazione dei servizi, e più in generale delle politiche di sviluppo locale e delle politiche pubbliche integrate. Infatti, alla base di strumenti come l’Agenda 21 Locale, i Progetti Integrati Territoriali, i Programmi Comunitari quali Leader, Equal, Interreg e URBACT, i Piani Sociali di Zona, i Piani Strategici per le città e altri, ci sono processi decisionali inclusivi che facilitano la partecipazione attiva dei cittadini.

Se gli ecosistemi per l’innovazione sono ambienti in cui i diversi operatori interagiscono tra loro perseguendo a volte obiettivi egoistici e a volte obiettivi comuni, sono collegati in rete tra loro e si scambiano informazioni e risorse, servono allora snodi della rete dove i legami si formano e dove avvengono le transazioni tra gli operatori. Questi snodi hanno sempre preso la forma di luoghi fisici, dai salotti delle famiglie bene di una città alle camere di commercio, sono sempre esistiti luoghi dove le reti locali si incontrano e si scambiano conoscenza. Oggi, questi luoghi sono spazi fisici di nuova generazione, più inclusivi e trasparenti, dove non occorre appartenere ad un clan o un club, perché questo andrebbe contro i principi dell’innovazione aperta. Sono spazi di elaborazione e sintesi di pratiche e politiche, e di capacità di progettazione e implementazione di interventi. In questo senso, negli ultimi anni molte amministrazioni locali hanno deciso di investire promuovendo la nascita di luoghi fisici che hanno la missione di animare e sostenere processi di innovazione a livello urbano, spesso innestandoli dentro immobili iconici simbolo della storia industriale del paese. L’obiettivo è quello di restituire alle città spazi inutilizzati trasformandoli in luoghi di produzione dell’innovazione, che si inseriscano nel contesto socio-economico locale come elementi catalizzatori di nuove energie e processi di sviluppo di nuove idee e politiche per le città. Ciò significa diventare, innanzitutto, contenitori di progettualità e innovazione, soprattutto dal basso, intercettando reti attive di relazioni e generando una cultura alla collaborazione. In sostanza, si tratta di applicare processi di innovazione aperta allo sviluppo dei territori, sfruttando principi come la contaminazione tra diverse discipline e saperi, l’apertura alla collaborazione tra “coopetitor” e il co-design di soluzioni condivise come leve per generare innovazioni collaborative e quindi valore condiviso per tutti gli attori coinvolti nel processo. Servono dunque luoghi terzi pensati per attivare questi processi di innovazione aperta applicata allo sviluppo dei territori, che assolvano le funzioni di piattaforma per lo sviluppo territoriale e che come Fondazione abbiamo battezzato col nome di “laboratori urbani aperti” in una delle nostre pubblicazioni sul tema.

La Fondazione Giacomo Brodolini gestisce attualmente otto di questo tipo di laboratori in altrettante città Italiane, ed è quindi nel suo lavoro quotidiano un cosiddetto “practitioner” e osservatore diretto di come questi luoghi siano piattaforme dove un costante approccio di innovazione aperta a sfide sociali possa realmente generare nuove pratiche e nuove soluzioni.

Due casi concreti: Open INCET Torino e Milan LUISS Hub for Makers and Students

Open INCET – Open Innovation Center Torino, si insedia per volontà della Città di Torino nel corpo centrale del complesso della ex fabbrica di cavi elettrici, appunto la INCET (Industria Nazionale Cavi Elettrici Torino) di proprietà della famiglia Bruni-Tedeschi, che ha deciso di donare l’immobile alla città. Il complesso si trova nel quartiere di Barriera Milano, considerato periferico sebbene a poco meno di 3 km dal centro della città, ed è una zona residenziale che negli ultimi anni ha visto nascere numerose iniziative sociali dal basso che dimostrano una certa vitalità dell’area. Dopo diverse decadi di abbandono e 28 mil. di euro di ristrutturazione, il complesso EX-INCET accoglie oggi diverse funzioni: una caserma dei carabinieri, una scuola materna, una piazza semi coperta per lo svolgimento di eventi pubblici, ed appunto il centro Open INCET, che occupa una superficie coperta di più di 5.000 mq lordi. Opposto ad una delle maniche occupate da Open INCET, sempre nel corpo centrale della ex-fabbrica, è da quasi un anno entrato in funzione EDIT – Eat Drink Innovate Together, un centro polifunzionale dedicato al food, di proprietà di un investitore privato della famiglia Piemontese Brignone, che ospita una caffetteria, un birrificio artigianale/pub, un ristorante stellato, un cocktail bar, sei cucine professionali per show cooking ed eventi aziendali e dodici loft per uso residenziale. Completa la ristrutturazione del complesso EX-INCET una nuova piazza pedonale antistante all’entrata principale del complesso. Nell’insieme, si tratta di un importante opera di rigenerazione urbana, con un forte impatto sul quartiere e sulla vita dei cittadini.

Open INCET è un hub fisico dedicato all’apprendimento e la pratica dell’innovazione in tutte le sue espressioni: tecnologica, sociale, culturale, aperta. Si caratterizza come luogo di incontro aperto al territorio, come punto di intersezione tra diverse realtà: gli innovatori “fattivi” (startupper, maker, imprese digital), il mondo delle associazioni e del Terzo Settore, i giovani e gli studenti universitari, le scuole, le imprese, le comunità cittadine. Un luogo dove si sperimentano collaborazioni e si prova a rendere la famosa parola “contaminazione” una realtà. L‘idea portante di questo Laboratorio Urbano è infatti quella di porsi quale spazio di ibridazione tra diversi mondi con la missione di generare idee e sviluppare progetti innovativi. Una vera e propria factory di idee e progetti al servizio della Città, che ne ha la proprietà, ne determina la direzione strategica insieme al soggetto gestore e verifica il raggiungimento dei risultati concordati col gestore ad inizio di ogni anno.

Oggi Open INCET è una realtà che ospita 150 residenti su base quotidiana. Il modello di business e quello di servizio sono infatti entrambi basati sull’occupazione degli spazi da parte di realtà organizzate, che contribuiscono sia alla copertura dei costi di gestione dell’immobile, molto alti a causa della sua dimensione, sia all’organizzazione delle attività del Laboratorio a favore del territorio. Non si tratta di mero co-working, ma di una co-abitazione di organizzazioni con competenze complementari e missioni adiacenti. Il Centro ospita infatti i laboratori di scenografia e di sartoria dell’Accademia di Belle Arti, accanto ad una falegnameria popolare e fab lab, un co-working gestito dal brand internazionale Impact Hub, ed alcune realtà tra profit e no profit che si occupano di innovazione digitale. Chiude il cerchio della sostenibilità economica dell’operazione, e a sugello della partnership pubblico-privata alla base del Laboratorio, un accordo previsto dal contratto di concessione che abbatte il canone di concessione della struttura in cambio di servizi gratuiti, o a massima accessibilità, per la popolazione cittadina.

Il nostro secondo caso è il Milan LUISS Hub for Makers and Students. Il laboratorio si insedia in un’area che era occupata da un magazzino abbandonato di proprietà comunale, che è stata bonificata e l’edificio completamente ricostruito, ampliandone la metratura. L’indirizzo è Via D’Azeglio a Milano, dietro Porta Garibaldi e Corso Como, tra il quartiere Isola e Brera, un quartiere che è tornato alla ribalta con grandi investimenti per creare strade pedonali, la bellissima Piazza Gae Aulenti con le torri Unicredit e il bosco verticale, la presenza di Eataly, il quartier generale della Feltrinelli, che ospita anche gli uffici della Microsoft, etc. Un’area della città viva e con una vasta offerta di servizi di intrattenimento. L’edificio che ospita il laboratorio è stato costruito con un investimento di quasi due milioni di euro dell’Università LUISS Guido Carli di Roma, nostro socio nel progetto assieme a ItaliaCamp Srl.

Il Laboratorio di Via D’Azeglio nasce con l’idea di essere un “Fab Lab di sistema”, cioè un Service & Learning Center per la community di maker di Milano. È anche un centro di educazione e sulle nuove tecnologie digitali per cittadini e soprattutto giovani. Le competenze, le tecnologie e gli spazi che sono messi a disposizione dal laboratorio sono l’occasione per giovani studenti, cittadini, ricercatori, innovatori e aspiranti imprenditori di avvicinarsi al mondo dell’innovazione sociale e della digital fabrication, di creare sinergie, di contribuire alla nascita di nuove idee, di servizi per il territorio, di prodotti artigianali e innovativi e di imprese, valorizzando la creatività della community che si forma intorno allo spazio e sviluppando strumenti e processi con cui generare innovazione sul territorio e per il territorio. Ogni anno, migliaia di persone visitano il laboratorio per partecipare a conferenze, seminari e corsi. Circa mille ragazzi delle superiori ogni anno partecipano ad una formazione specifica per l’alternanza scuola-lavoro, con grandi aziende che offrono tirocini formativi a completamento dell’esperienza. Come per Open INCET, Anche qui il modello di business si basa su una varietà di fonti di ricavo: affitto spazi per eventi, sponsor e progetti finanziati. Anche qui come nel caso di Torino la governance del progetto è espressione della partnership tra il Comune di Milano, proprietario del luogo, ed il soggetto gestore che lo anima.

Alcune considerazioni conclusive

Dalla nostra esperienza come soggetti gestori e animatori di queste operazioni, ci sono alcuni elementi importanti da considerare per il successo di progetti di questo tipo.

Prima di tutto la comprensione delle strategie complessive di sviluppo delle economie locali a cui questi luoghi devono contribuire. Senza questa comprensione, non sarebbe possibile sviluppare all’interno di questi laboratori delle attività che abbiano un reale respiro o che producano il risultato sperato, perché mancherebbe la possibilità di attivare quelle sinergie con altre iniziative sul territorio, che sono fondamentali per aumentare la scala dell’impatto e per assicurarne la sostenibilità anche economica.

Secondo, la scelta dei partner con cui fare questo tipo di operazioni, perché se da una parte difficilmente un singolo soggetto può essere in grado di sostenere gli investimenti necessari, dall’altra la varietà di competenze necessarie per gestire con efficacia queste operazioni può venire solo da un’intelligente complementarietà con altri soggetti. In questo senso, la Fondazione ha fatto della sua capacità di lavorare in rete una leva strategica di sviluppo fondamentale, ma soprattutto ha capito che nel nuovo mondo dello sviluppo locale questo rappresenta l’unico vero modo per portare un cambiamento significativo nelle realtà dei territori.

Terzo, la capacità di intercettare reti attive sui territori che possano sia amplificare i risultati delle attività che si svolgono all’interno di questi luoghi, sia rappresentare bacini di potenziali utenti che possano utilizzare questi luoghi. Senza di questo, verrebbe a mancare la massa critica necessaria per alimentare circoli virtuosi che sono il reale motore generativo di questa tipologia di operazioni. Da questo punto di vista, la Fondazione ha imparato nel tempo che per dialogare con una pluralità di attori, anche molto diversi tra loro, è necessario sviluppare un linguaggio che guarda alla contemporaneità come un tempo in cui occorre andare oltre gli interessi di parte e le posizioni ideologiche, in quanto solo trascendendo i particolarismi si possono alimentare processi virtuosi di sviluppo economico e sociale nei nostri territori.

Quarto, e ultimo, la relazione tra laboratori e settore privato è la chiave di volta della loro sostenibilità. Prima di tutto perché le aziende più socialmente responsabili possono trovare nei laboratori capacità progettuale, reti territoriali e bacini di potenziali beneficiari per amplificare l’impatto delle proprie politiche di RSI. Allo stesso tempo, perché le aziende con una domanda di innovazione possono incontrare attraverso i laboratori una offerta di soluzioni innovative e servizi qualificati provenienti da una pluralità di attori: laboratori di ricerca, spin off universitari, start up e PMI.

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