Il tema della Spending Review (SR), enfatizzato dalle più recenti crisi economico-finanziarie che hanno investito l’Europa, costituisce da tempo un’area di forte interesse per studiosi, amministratori, manager e politici.[1] In Italia l’istituzionalizzazione della SR è avvenuta rendendo la revisione della spesa parte dell’ampio processo di riforma del bilancio pubblico, previsto con la legge n.196 del 2009. La regolamentazione normativa, con i conseguenti dibattiti pubblici, ma soprattutto le più concrete esperienze applicative, hanno evidenziato, tuttavia, che la SR non rappresenta un campo d’interesse per i soli studiosi ed esperti di area contabile e finanziaria. È, infatti, ormai largamente riconosciuto che il termine SR fa riferimento ad un concetto più ampio rispetto a quello tradizionale di puro “contenimento delle spese” di una pubblica amministrazione.[2] Nelle esperienze internazionali più mature e di maggior successo, infatti, gli interventi di SR indicano finalità di riduzione dei costi di funzionamento e di efficienza nelle spese, ma si concretizzano spesso in un ampio e variegato programma di sviluppo del sistema amministrativo, assumendo, in primo luogo, il significato di miglior utilizzo delle risorse disponibili.[3] Si determina, pertanto, un campo di particolare interesse per la scienza organizzativa, costituito dalla definizione dei criteri e delle soluzioni tecniche idonee a guidare l’attuazione di tali iniziative, e dalle condizioni che possono contribuire a determinarne il successo.
Le crisi economiche e finanziarie degli ultimi tempi, dunque, aumentano la complessità che il management pubblico è chiamato a governare e impongono una riflessione sugli approcci e sui modelli d’intervento per la razionalizzazione della spesa, ma più in generale, sull’esigenza di cambiamento dell’organizzazione dei sistemi pubblici. Alcuni punti di questa discussione, integrati in un framework di analisi unitario, composto da variabili interne (si vedano i paragrafi 1, 2, 3 e 4) e da fattori esterni alle organizzazioni pubbliche (paragrafi 5 e 6), possono costituire un valido supporto alla definizione di un approccio più efficace alla SR.
L’esigenza di un approccio strategico al cambiamento
Una chiara e articolata analisi delle caratteristiche del contesto internazionale in cui la SR è stata realizzata negli ultimi decenni permette di approfondire e interpretare con maggiore efficacia tali interventi, alla luce delle importanti dicotomie e contraddizioni che la scienza e la pratica manageriale hanno evidenziato nelle fasi d’attuazione. Se si analizza l’ampio campo dei casi internazionali, risulta evidente quanto sia essenziale, quando si ragiona sui modelli di attuazione della SR, porre al centro della riflessione la relazione tra a) output e outcome che un’amministrazione intende perseguire e b) caratteristiche e quantità delle risorse che essa impiega. Gli interventi di SR di maggior successo, infatti, sono concepiti in una cornice strategica chiara (mission) e assumono in sé la logica del cambiamento (incrementale o radicale) dei processi di lavoro in cui si realizza l’azione pubblica. Lo sviluppo di un processo di SR passa attraverso una corretta visione delle attività organizzative e dei risultati attesi e dichiarati, valutati e misurati rispetto alle condizioni di contesto, alle competenze disponibili e, non ultimi, ai valori culturali che emergono nella specifica compagine organizzativa.[4] In sintesi, un programma di SR dovrebbe essere inteso sempre come una componente di una più ampia “strategia”, evidenziando l’importanza per l’organizzazione di dotarsi di una strumentazione manageriale/direzionale ben congegnata per il successo del programma. La volontà e la forza del bisogno di “razionalizzare” le spese non sono, infatti, sufficienti, nel tempo, per incidere in modo permanente sul funzionamento effettivo delle organizzazioni. Se l’approccio alla SR deve essere correttamente inteso come un approccio al cambiamento organizzativo, è allora possibile attingere in modo proficuo a quanto la scienza organizzativa e le esperienze manageriali propongono in termini di riflessione e di risultati già consolidati sull’argomento. La letteratura organizzativa, infatti, consente di evidenziare le caratteristiche dei diversi approcci strategici al cambiamento[5], le condizioni che rendono tali approcci più coerenti e quindi di successo, i ruoli che devono essere garantiti nel processo di transizione e soprattutto le resistenze cui occorre preparare il management che deve condurlo.[6]
Secondo questi approcci teorici nei processi di cambiamento, in primo luogo, in ogni processo di Change Management, l’antefatto essenziale che crea le condizioni per il vero successo del cambiamento è l’esistenza e la condivisione di una “vision”;[7] un punto di arrivo espresso in termini chiari e coerenti a beneficio di tutti gli attori che saranno coinvolti nel processo stesso. Una visione del futuro per un’organizzazione che investe nel cambiamento è necessariamente connotata da una cultura manageriale fatta di tempi chiari di realizzazione degli interventi, di soggetti da coinvolgere in differenti tipologie di partnership e d’iniziative, di costi e di benefici da negoziare in via preliminare o durante la gestione del programma. Una visione matura del percorso di cambiamento può contribuire alla creazione di una comune base di conoscenza, di legittimazione e di committment tra gli attori coinvolti nel progetto, attenuando in tal modo le inevitabili resistenze.
In secondo luogo, è necessaria una robusta fase di programmazione; una fase, cioè, in cui gli obiettivi specifici del cambiamento siano “interpretati”, modellati e calibrati, rispetto alle specifiche condizioni strutturali e relazionali di partenza, per la necessaria armonizzazione tra le diverse voci di spesa di quella configurazione organizzativa.
Un processo di cambiamento di questo genere, tuttavia, difficilmente fornisce risposte efficaci e durevoli rispetto ad esempio a obiettivi di riduzione dei costi di funzionamento di un’organizzazione pubblica, se questi sono calati dall’alto e, soprattutto, se sono imposti in modo uniforme a differenti popolazioni di amministrazioni.
La multidimensionalità del cambiamento nella PA
A seguito dell’evoluzione di un complesso di fattori di carattere politico, economico, tecnologico e normativo nel corso degli ultimi decenni i sistemi pubblici sono stati investiti da importanti spinte all’innovazione, oltre che all’efficientamento dei loro apparati. Al mutare del contesto entro il quale le organizzazioni pubbliche operano, è maturata, infatti, una generalizzata esigenza di trasformazione, necessaria per garantire l’erogazione di servizi innovativi e di qualità a gruppi di utenti portatori di istanze diverse e sempre più complesse. La logica della produttività e dell’efficienza dell’agire pubblico si è affiancata così all’esigenza sempre più forte di garantire efficacemente i diritti degli individui e di promuovere lo sviluppo delle collettività con attente azioni di programmazione e di regolazione. A tali spinte evolutive è corrisposto in ambito scientifico l’emergere di molteplici paradigmi teorici, tra i quali si sono affermati quello del New Public Management (NPM), della Public Governance e della Public Service Motivation che hanno contribuito a comprendere e interpretare in modo più approfondito la complessità e la numerosità dei paini di intervento chiamati in causa.
Il NPM è stato definito come un insieme di approcci e tecniche manageriali concepiti nel settore privato e ritenute di particolare utilità anche per il settore pubblico.[8] Il rafforzamento di tali approcci è avvenuto nel corso degli anni 80′ a seguito di importanti programmi di riforma attuati in Europa a partire da un principio generale: gli organi di governo pubblico hanno il ruolo e la responsabilità, non solo di fornire servizi pubblici, ma di assicurare che tali servizi siano forniti nel migliore dei modi, promuovendo e regolando un sistema di attori che in una logica di cooperazione e competizione intervenga con diversi ruoli e competenze. Gli studi successivi alla nascita del filone del NPM, ma ancor di più la realizzazione di alcune esperienze rilevanti, hanno consentito di riflettere sui limiti dello stesso paradigma[9]: le potenzialità della strumentazione e dei principi manageriali non sono in grado, da soli, di sanare i gap di qualità delle scelte pubbliche, né sempre risolvono il problema della giusta regolazione dei rapporti tra politica e amministrazione.
Lo sviluppo degli studi sulla Public Governance (PG) avviene intorno agli anni novanta come naturale prosecuzione del NPM ma, rispetto ad esso, adotta una logica che ridimensiona il ruolo del managerialismo pubblico che enfatizzava prevalentemente una visione efficientista a scapito del ruolo delle scelte politiche. La governance è un concetto multidimensionale spesso associato ai modelli concepiti per condurre le riforme delle pubbliche amministrazioni, e quindi, per realizzare il cambiamento. In tal senso la PG è da intendersi come un approccio che non nega, ma, piuttosto, tenta di migliorare quanto definito dal movimento del NPM, enfatizzando il ruolo e le responsabilità del decision making e auspicando il maggiore coinvolgimento di tutti gli stakeholder nel processo decisionale.[10]
Tra gli aspetti problematici rilevati nelle esperienze di cambiamento delle pubbliche amministrazioni più fortemente ispirate al NPM e alla PG c’è il tema della motivazione dei dipendenti pubblici. Su questo aspetto insiste il movimento culturale della Public Service Motivation (PSM), formalizzato tra gli anni settanta e ottanta e di recente tornato all’attenzione degli studiosi.[11] La PSM può essere definita come l’orientamento personale che ispira il comportamento di un dipendente pubblico, teso a promuovere il benessere generale degli individui e delle collettività cui esso rivolge i suoi servizi.[12] Secondo questa teoria, compito principale del management pubblico è supportare i propri collaboratori nel comprendere i motivi di gratificazione e di soddisfazione intrinseca associati allo svolgimento di lavori rivolti a promuovere l’interesse pubblico e nel valorizzare comportamenti ispirati alla giustizia sociale, allo spirito di sacrificio e al dovere civico.
Un intervento consapevole di SR non può prescindere dunque, oltre che da una chiara cornice strategica, dai tre piani evidenziati: a) un approccio professionale alla gestione del cambiamento; b) la strutturazione di modelli aperti e concertativi di governance per l’adozione e l’attuazione di scelte pubbliche; c) la valorizzazione delle competenze e dei comportamenti dei dipendenti pubblici.
Il ruolo del management per il cambiamento
Lo sviluppo e il successo di un cambiamento è dunque strettamente collegato alla “qualità” del contesto che lo promuove, che deve dimostrarsi capace, al di là delle affermazioni retoriche, di interiorizzare i segnali e le spinte verso una nuova condizione strategica e operativa; ma, come già rilevato, deriva anche dalle sensibilità e dal grado di attenzione che si dà al tema della gestione del cambiamento e alla strumentalità necessaria alla sua conduzione. L’impostazione tradizionale delle teorie sul Change Management ha dimostrato di essere più attenta agli aspetti propriamente tecnico-manageriali, con una spiccata attenzione alle tipologie di cambiamento, alle modalità di governo delle variabili decisionali dal parte del management e alle possibili azioni da mettere in atto per guidare al meglio i percorsi di trasformazione. Il cambiamento è presentato spesso in questi approcci come qualcosa di oggettivo, di volontario ed imparziale, o meglio uno strumento utile a risolvere uno specifico problema e a favorire un migliore funzionamento delle organizzazioni.[13] Questa modalità di sistematizzazione, ha manifestato ben presto evidenti limiti di applicabilità in condizioni di incertezza ed è stata superata dal nuovo dibattito manageriale che ha introdotto, insieme alla dimensione tecnica e gestionale, anche quella sociale.[14] La razionalizzazione delle spese va, quindi, saggiamente interpretata come la risultante di una più ampia trasformazione che investe tutti gli aspetti e le persone che contribuiscono al funzionamento di un ente. Questo è naturalmente un livello di complessità, tipicamente insito in ogni iniziativa di Change Management (quale la SR nei fatti si presenta), che può essere fronteggiato al meglio solo con un consapevole utilizzo di strumenti coerenti e con una marcata sensibilità manageriale rispetto alla negoziazione degli interessi in gioco nell’arena del cambiamento.
Nonostante l’importanza dei processi programmatori già rilevata, infatti, la risorsa realmente essenziale in ogni processo di Change Management spesso si dimostra essere la competenza manageriale nella gestione dei modelli organizzativi “emergenti”. La sensibilità e la competenza del manager sono essenziali per interpretare tali modelli e per incidere in modo duraturo sulle caratteristiche di funzionamento delle Amministrazioni e, dunque, anche sui loro effettivi livelli di spesa. Abilità e comportamenti che devono coniugare il “professionismo” nella conduzione del cambiamento e nella predisposizione della strumentazione manageriale di supporto, ma anche marcati tratti distintivi di leadership e di capacità negoziali.
L’infrastruttura del cambiamento: le competenze e l’orientamento culturale
Il rischio di fallimento per un processo di SR è simile a quello con cui si confrontano anche i più tradizionali processi di riforma amministrativa. Le pubbliche amministrazioni, infatti, spesso sono spinte alla trasformazione da annunci di cambiamenti radicali che hanno per oggetto la ristrutturazione organizzativa, il downsizing/delayering, la riprogettazione dei ruoli, l’innovazione tecnologica e il Business Process Reengineering. Altrettanto spesso, però, queste riforme si esauriscono in marginali adeguamenti degli effettivi modelli di funzionamento che si dimostrano capaci di un elevato tasso di rigidità e di capacità di resistenza. Tale circostanza sposta allora il focus dell’analisi dal contenuto e dalla tipologia del cambiamento ideato a quello delle risorse necessarie per attivarlo. Per la buona riuscita di un programma di cambiamento, anche finalizzato alla SR, occorre garantire, infatti, capacità di apprendimento, change capabilities e sviluppo delle competenze professionali in tutta la compagine organizzativa.[15] Il risultato del cambiamento, infatti, normalmente si realizza in un percorso che interessa contemporaneamente la dimensione dell’apprendimento, quella dello sviluppo delle risorse e quella della gestione del potere.[16]
Nessun rinnovamento può infatti concretizzarsi in un sistema organizzativo senza l’attivazione di meccanismi di apprendimento dedicati e partecipati che, oltre a creare le premesse per nuovi modelli di organizzazione del lavoro, contribuiscano alla ridefinizione dei sistemi di potere esistenti. Questo perché le “coalizioni dominanti” tenderanno naturalmente a convogliare gli sforzi e i contenuti dei sistemi di apprendimento verso situazioni già consolidate o verso propri interessi ed obiettivi.
Il coinvolgimento delle risorse umane rappresenta, quindi, uno degli aspetti di maggiore complessità dal punto di vista delle modalità di governo del cambiamento. Lo sviluppo dell’azione organizzativa è alimentato, infatti, sia da obiettivi e compiti ben definiti e dichiarati in maniera esplicita, sia da aspetti emozionali, il più delle volte inconsci, che costituiscono ciò che alcuni autori definiscono la “zona d’ombra” delle organizzazioni.[17]
Dunque è nel delicato passaggio dalla dimensione di individuo a quella di gruppo che va costruito faticosamente e con devozione un percorso di cambiamento. In questa ottica la cosiddetta inerzia organizzativa, intesa come tendenza a preservare uno status quo, rappresenta qualcosa di molto diverso da una patologia, in quanto naturale tendenza ad attuare meccanismi di difesa a tutto ciò che è nuovo ed inaspettato.
L’instabilità delle condizioni di contesto e la sfiducia
La fisiologica rigidità dei modelli organizzativi pre-esistenti a fronte di una “minaccia” di cambiamento si manifesta spesso nelle esperienze concrete maturate nel nostro panorama nazionale, in concomitanza con alcuni fattori di forte criticità: la turbolenza del contesto politico/istituzionale, il conflitto tra management e commitment politico, la sfiducia di fondo dell’opinione pubblica.
Le repentine ed imprevedibili trasformazioni nei gruppi di controllo e di governo delle amministrazioni, le ripercussioni delle evoluzioni del contesto politico e istituzionale, i comportamenti manageriali più orientati alla costruzione di alleanze e coalizioni che alla realizzazione di risultati e programmi, creano spesso un assordante “rumore” di fondo che avvolge e limita le iniziative di cambiamento. L’implementazione dei progetti di sviluppo organizzativo sono spesso ostacolate dal continuo rimescolarsi “delle carte” che riguardano le “regole del gioco” e le caratteristiche del potere politico che controlla e determina le trasformazioni realmente perseguite.
In più, spesso, alla debolezza della politica locale ha fatto riscontro quella degli organi di governo regionale che spesso assecondano passivamente le scelte di SR effettuate a livello nazionale, senza tuttavia produrre atti normativi e/o di indirizzo che ne favoriscano concretamente l’attuazione.
Sembra rilevarsi dunque, a tutti i livelli delle amministrazioni pubbliche, una forte resistenza al cambiamento, rispetto alla quale le argomentazioni razionali e formalmente condivise della revisione della spesa, si scontrano con due ulteriori sistemi di potere, esercitati in forma negativa, rappresentati rispettivamente dalla tendenza a non decidere e alla difesa di assetti che si sono consolidati nel tempo, per i quali è fin troppo facile sollevare argomentazioni “tattiche”.
Si tratta della diffusa espressione del “potere duale” delle organizzazioni pubbliche.[18] Tale criticità determina, specie in una fase iniziale, una forte difficoltà ad acquisire velocemente le informazioni necessarie per individuare gli attori e le fasi principali del processo oggetto di analisi. In altri casi, pur in presenza di istanze legittime e largamente diffuse di innovazione, che spesso accompagnano in modo naturale ad identificare oggetti, contenuti e risultati attesi dal cambiamento, le dinamiche interne tra organi di governo politico e management, già in atto, rendono complessa la formalizzazione e la legittimazione degli impegni.
Infine, la profonda crisi in cui versano la politica e le istituzioni nel contesto nazionale italiano, ha sicuramente generato una profonda sfiducia collettiva e “di fondo” circa le capacità delle pubbliche amministrazioni di rivelarsi quali problem solver dei bisogni della collettività. Così il cambiamento è spesso guardato con sospetto, anche per l’assommarsi di esperienze negative provenienti dal passato.[19]
E così da un lato, la dirigenza interna ai corpi amministrativi in evoluzione manifesta costantemente il timore di essere coinvolta passivamente in ottuse “manovre calate dall’alto”, tessute con approccio verticistico e senza chiarezza di intenti e che agiscono da fattore assorbente delle energie emotive positive che pure potrebbero attivarsi. Dall’altro, ciò produce a cascata un processo di delegittimazione e di sfiducia nel management agli occhi dell’opinione pubblica che rischia di incidere sui livelli effettivi di collaborazione, garantiti semmai nelle fasi di attuazione del cambiamento da parte dei gruppi sociali e professionali interessati.
La legittimazione e la significatività degli standard per la revisione dei costi e la valutazione delle performance
Un ultimo fattore significativo per la strutturazione di un meta-modello di SR che possa concretamente sostenere lo sforzo di razionalizzazione dei costi di una pubblica amministrazione è costituito dalla disponibilità di informazioni strutturate sui valori standard e sulle altre misure di performance perseguite.
In quanto processo di cambiamento ogni intervento di SR, per le motivazioni già illustrate in precedenza, deve essere corredato dalla chiara definizione dei “punti di arrivo”; visione strategica, ma soprattutto impatti concreti e indicatori target di performance tecnico-operative. In tal senso, ogni target fornito nella fase di avvio di una manovra di SR (come ad esempio quelli relativi a tagli generalizzati di specifiche categorie di costi di funzionamento, spesso imposti dai governi nazionali a categorie di pubbliche amministrazioni), oltre a costituire dei veri e propri vincoli al processo di cambiamento, sono anche un fattore esterno che orienta fortemente le scelte politiche e organizzative più generali di un ente. Le amministrazioni spesso rincorrono, nei limiti delle loro possibilità, questi target, incidendo, in senso più ampio, anche su politiche e ambiti di intervento, semmai più virtuosi e non direttamente connessi ai processi che hanno generato le spese da ridurre o da eliminare. L’esigenza di ridurre i costi legati ad una specifico servizio o ambito operativo, si ripercuote così a macchia d’olio su tutti i settori di attività dell’organizzazione. Ad arginare questo rischio possono intervenire due importanti fattori di contesto. Da un lato, il processo di cambiamento può essere agevolato dall’esistenza di luoghi organizzativi istituzionali e indipendenti (osservatori, authority, agenzie, centri di ricerca), detentori di fonti strutturate di dati connessi alle specifiche performance e alle categorie di costi che devono essere oggetto di SR (si pensi ad esempio alle fonti di dati sulle performance in ambito sanitario che possono orientare chiaramente sulla definizione dei costi standard di una prestazione o sui costi del personale); dall’altro lo stesso beneficio può derivare dall’esistenza nei provvedimenti governativi centrali di meccanismi trasparenti che consentano aggiustamenti tecnici dei target posti, o meglio imposti, dalla SR. Previsioni regolamentari che consentano margini di flessibilità entro cui definire indicatori e valori target più coerenti con le proprie scelte politiche e soprattutto con proprie specifiche le condizioni organizzative e di contesto.
Queste due ulteriori componenti concorrerebbero, in altri termini, a creare “un’infrastruttura istituzionale” idonea a supportare la razionalizzazione dei modelli organizzativi delle pubbliche amministrazioni. L’autonomia e la reputazione dei soggetti terzi che potrebbero contribuire a rilevare e misurare, in ambito nazionale, le performance standard auspicabili, rispetto a famiglie di processi di lavoro ben definite, rappresenterebbero i fattori di garanzia della qualità del processo di valutazione.[20] La previsione di un maggior grado di flessibilità nella definizione degli indicatori target per ogni singola amministrazione potrebbe consentire d’interpretare in maniera più ragionevole le specifiche caratteristiche delle diverse realtà organizzative pubbliche, prima di fissare le soglie verso cui deve tendere la SR. Si potrebbe così contribuire ad abbattere le resistenze di cui si è discusso, innalzando il livello di legittimazione delle manovre governative di SR e rafforzando il profilo tecnico delle specifiche richieste di cambiamento che da esse derivano.
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Note
[1] De Ioanna, 2013; Cottarelli, 2013; Vandierendonck C. (2014), Kelleners, 2014.
[2] Flora, Mercurio, 2015.
[3] Allegro, Formato, 2015.
[4] Govindarajan, Fisher, 1990.
[5] Burnes, 2004.
[6] Bridges, 2009.
[7] Kettinger e Grover, 1995.
[8] Armstrong, 1998; Flynn, 2002.
[9] Miller e Dunn, 2007; Mongkol, 2011.
[10] Rhodes, 2007.
[11] Durant et al., 2006.
[12] Perry, 1996.
[13] Jones, 2013.
[14] Kotter, 1995; 2011.
[15] Martinez et al., 2015.
[16] Moran e Blauth, 2007; Boonstra e Bennebroek Gravenhorst, 1998.
[17] Perini, 2007.
[18] de Nardis, 2011.
[19] Zan, 1989.
[20] Yang e Hsieh, 2007.