Un recente articolo pubblicato su Journal of Cultural Heritage Management and Sustainable Development (Vol. 3 No. 1, 2013) dal titolo “Cultural heritage in building and enhancing social capital”, avvia una riflessione sui legami tra il patrimonio culturale e il capitale sociale. Un interessante punto di vista su le opportunità che il patrimonio culturale e naturale può fornire nella creazione e sviluppo di capitale sociale. Le evidenze principali rigaurdano e individuano il potenziale enorme in termini di creazione di nuovi spazi d’incontro e di “community hub”, di luoghi di integrazione sociale e d’inclusione che rappresentano fonte d’indentità e di orgoglio locale rappresentando anche la motivazione e la ragione d’essere delle numerose attività di volontari e associazioni impegnati nella valorizzazione e salvaguardia del patrimonio culturale.
Introduzione
La questione che riguarda il patrimonio culturale, principalmente fisico, è stata, soprattutto in Italia, per decenni al centro di un dibattito molto acceso e spesso ideologico. Il tavolo su cui si è giocata una contrapposizione tra anime molto eterogenee ha sviluppato numerosissime idee, ma nella maggiorparte dei casi poca pratica. Il mondo degli esperti di Beni Culturali, storici, archeologi, architetti, ha per anni considerato il patrimonio culturale un proprio ambito di azione, mal tollerando le invasioni di campo. Dall’altro lato il mondo accademico, delle professioni e imprenditoriale legato all’area manageriale non ha saputo allontanarsi dalla logica del puro mercato nell’affrontare il tema della valorizzazione e dell’uso del patrimonio. Naturalmente, non sono mancate eccezioni, soprattutto, dove l’attore pubblico è riuscito a fungere da giusto mediatore tra le due visioni, sia attraverso l’intervento diretto sia attraverso il sistema normativo.
Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate e continuano a cambiare. In modo lento, ma continuo è cresciuta l’osmosi tra i due mondi prima contrapposti. È, infatti, sempre più chiara la necessità di combinare sia nell’ambito della ricerca che in quello della pratica diverse competenze in un approccio che riesca a cogliere tutti gli aspetti della questione.
Da questo approccio nascono diversi filoni di ricerca che affrontano i beni culturali e in particolare il patrimonio come risorsa per lo sviluppo non solo economico, ma anche sociale.
Ci sembra importante sottolineare come il patrimonio culturale sia parte dell’identità delle comunità che vivono nel contesto a esso relativo. Situazioni di marginalizzazione o degrado del patrimonio corrispondono spesso a significative situazioni di degrado sociale. Dal’altra parte, come detto da numerosi studiosi (Consiglio S., Riitano A. 2015), il patrimonio rappresenta una potenziale opportunità di sviluppo sia economico che sociale. Infatti, il recupero, a vantaggio principalmente delle comunità legate territorialmente al patrimonio, può essere strumento di aggregazione, coesione e risocializzazione, soprattutto in realtà depresse.
In quest’ottica può essere utile il concetto di capitale sociale che viene messo in evidenza da Murzyn‐Kupisz e Działek nella sua relazione con il patrimonio culturale.
Il concetto di capitale sociale è popolare sia nel mondo della ricerca accademica sia in quello della pratica di istituzioni o organizzazioni pubbliche e private. Molte organizzazioni internazionali, come ad esempio la Banca Mondiale (Grootaert e van Bastelaer, 2001) o l’OCSE (2001) hanno analizzato il fenomeno perché considerato uno strumento di politica economica e sociale (Mohan e Mohan, 2002). L’articolo si concentra, attraverso un’analisi teorica, su un importante aspetto del patrimonio culturale ovvero il suo ruolo nella creazione e nello sviluppo del capitale sociale analizzando le differenti tipologie di legami. (Graham et al. 2009). La cultura e il patrimonio culturale sono generalmente inseriti nel dibattito in tema di costruzione del capitale sociale (BetterTogether, 2001; Naylor et al., 2009). Le implicazioni pratiche riguardano l’impatto di questi aspetti sul policy making, non solo nel campo della salvaguardia e nella protezione del patrimonio artistico e culturale, ma anche in altri campi. Il legame tra il patrimonio culturale e il capitale sociale è utile per gli attori pubblici, per le organizzazioni, così come per i paractitioner nel campo manageriale grazie alle numerose implicazioni sociali dei progetti e delle attività portate avanti nel campo dei beni culturali. Le imprese sociali, infatti, fondano la loro esistenza su asset culturali legati al territorio e alla rete di relazioni, tipiche del contesto culturale locale. In questo senso, il patrimonio culturale diventa il ruolo in cui le competenze culturali, economiche e relazioniali di una comunità si mettono insieme per creare risorse collettive.
Il capitale sociale
Il capitale sociale è stato considerato come uno dei concetti più utili per spiegare l’esistenza di diversi livelli di sviluppo socio economico di determinate aree geografiche, regioni o interi paesi. Rappresenta, infatti, una risorsa importante di attori individuali e collettivi che influenzano la crescita economica, le pratiche democratiche, la qualità della governance e la qualità della vita (ad esempio livelli di salute o criminalità).
Putnam definisce il capitale sociale come “… l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui” (Putnam, 1993 p. 169). Un’altra definizione mette in risalto il ruolo del capitale sociale “facilitating the achievement of goals that could not be achieved in its absence or could be achieved only at a higher cost” (Coleman 1994, p. 304). Questa è l’essenza del concetto inteso come il network sociale e l’insieme delle norme di fiducia e di reciprocità che ne scaturiscono (Sander e Lowney, 2006, p. 23).
Il capitale sociale può essere distinto in bonding social capital (relazioni esclusive) e bridging social capital (relazioni inclusive). Il primo caratterizzato da legami forti e fiducia personale, tipici delle relazioni familiari, amicizie o relazioni di vicinato; il secondo caratterizzato da legami deboli e fiducia interpersonale generalizzata, tipici delle relazioni di conoscenza. Ad esempio sulla forza dei legami deboli, lo studio di Granovetter (1974), incentrato sulle modalità con cui le persone cercano lavoro, ha dimostrato che i risultati migliori sono stati ottenuti grazie alle informazioni ricevute dai legami con le persone più distanti dalla propria cerchia di amicizie e conoscenze. Nel contesto economico, il bridging capital è percepito come facilitatore per l’accesso a nuove risorse non diponibili nelle reti di relazioni più forti e più prossime. Il bonding capital può limitare la creatività, l’innovazione e lo spirito imprenditoriale; i limitati contatti con altri attori possono limitare l’accesso a risorse economiche esterne e a capitale umano (Portes, 1998). Entrambe le tipologie di capitale sociale sono considerate utili ai fini dello sviluppo economico e collegate al miglioramento del livello di qualità della vita, perciò è interessante studiare come mantenere e alimentare il capitale sociale posseduto. In questo senso, il patrimonio culturale grazie gioca un ruolo chiave nella creazione e nello sviluppo di capitale sociale utile agli attori locali.
Le relazioni tra il patrimonio culturale e il capitale sociale
Nel lavoro di Putnam et al. (1993) sul concetto di capitale sociale in Italia, si mette in evidenza il fatto che le risorse di capitale sociale dipendono da processi storici di lungo perido. La forza delle relazioni si riflette nella densità e nella qualità della rete di relazioni sociali in una particolare area geografica. La coesione e la fiducia tra gli attori, l’esistenza di modi tradizionali di trasmissione delle competenze, così come la ricchezza delle attività dell’artigianato, della produzione e dell’agricoltura rappresentano le basi dello sviluppo economico. Il patrimonio culturale e naturale ha un ruolo rilevante nella creazione di identità locale e nel rafforzamento del senso di coesione. I siti, i luoghi, le attività e gli eventi rappresentano hub culturali, spazi dove si alimentano la fiducia e le relazioni. Visitare un museo con la famiglia o con gli amici, partecipare a eventi o visite guidate, usufruire di servizi supplementari (ad esempio la gastronomia) si traduce nello sviluppo e nella creazione di legami tra gli attori. La creazione di capitale sociale può essere uno degli obiettivi specifci delle istituzioni che in modo consapevole ampliano il loro programma di attività per includere attività che stimolano nuovi incontri (eventi speciali, tour guidati, workshop, discussioni etc.). Possono essere interventi generalizzati o mirati, rivolti a target specifici come famiglie con bambini utili a rafforzare i legami familiari (bonding capital) oppure con l’intento di far incontrare persone che non si conoscono ma coetanei (bridging capital).
La cooperazione su progetti legati al patrimonio culturale può creare integrazione tra attori a livello locale e regionale (Allaert e Ludtke, 2007). Questi progetti forniscono l’opportunità di instaurare e portare avanti interazioni con gruppi sociali diversi all’interno di una stessa comunità. Spesso l’obiettivo di salvaguardia e valorizzazione di un sito abbandonato o dimenticato fa sì che si possano sviluppare relazioni di fiducia tra gli attori coinvolti nel progetto, relazioni che spesso si trasformano in imprese vere e proprie. Il numero di attività portate avanti dalle organizzazioni del terzo settore è considerato da alcuni autori come un indicatore della presenza di capitale sociale (van Deth, 2003; Westlund e Adam, 2010).
In molti casi, però, non si tratta esclusivamente di associazioni di volontari che gestiscono attività del terzo settore che mirano all’integrazione sociale, alla salute, all’educazione e che, in un certo senso, integrano o sostituiscono le Ammnistrazioni Pubbliche nelle politiche sociali.
Complice la crisi finanziaria e il riallocamento delle risorse, invece, in Italia si assiste alla nascita di iniziative e progetti che partono dal basso e che vanno a riempire i vuoti e gli spazi lasciati dall’arretramento dell’area di intervento pubblico. Questa caratteristica fa sì che siano più frequenti organizzazioni che impiegano si volontari, ma soprattutto lavoratori remunerati. Ciò perché, anche con una gestione for profit, si possa rendere le iniziative stabili e possibilmente sostenibili economicamente. In questo modo le persone impegnate si possono occupare, di siti culturali o naturali con l’obiettivo di valorizzare, riqualificare e promuovere attività legate al patrimonio in un contesto in prospettiva stabile e gratificante. In particolare, la provenienza di queste esperienze dalla stessa comunità locale permette di restituire attraverso la riqualificazione e la rigenerazione urbana pezzi di patrmonio abbandonato al territorio e soprattutto di attivare percorsi virtuosi di attivazione e sviluppo sociale.
Il patrimonio culturale e naturale italiano: logiche a confronto
Il patrimonio culturale e naturale italiano ha attraversato e sta attraversando una profonda crisi dovuta anche alla scarsità delle risorse economiche a disposizione. Molti luoghi e molti pezzi dell’immenso patrimonio italano, spesso a causa della cattiva o dell’assenza totlae di gestione, sono abbandonati e dimenticati. Le istittuzioni pubbliche, da sempre concenrate sulla protezione e salvaguardia del patrimonio, hanno lasciato spazio nella gestione anche ad attori privati. Le imprese private, però, orientate al profitto e concentrate soltanto sui grandi attrattori hanno lasciato la maggior parte dello straordinario patrimonio italiano abbandonato e non valorizzato. Nonostatnte queste enormi difficoltà sono nate sul territorio numerose iniziative da parte di cittadini esperti ed entusiasti che hanno messo in piedi progetti di valorizzazione e di recupero di pezzi importanti del patrimonio culturale e naturale italiano. Molti siti e luoghi abbandonati sono stati così portati a nuova vita e restituiti alle comunità locali: a turisti e cittadini. Queste iniziative possono essere considerate strumenti di innovazione sociale applicata alla gestione del patrimonio culturale.
Dal punto di vista della teoria organizzativa si possono intravedere due logiche che fino ad ora hanno caratterizzato il campo del patrimonio culturale: una logica di conservazione ed una logica di mercato.
Una logica di conservazione tradizionalmente ha dominato il campo fin dall’introduzione della legge a Tutela delle cose d’interesse artistico o storico (L. n. 1089/1936). Dal 2000, in seguito alle modifiche del framework legislativo, molti cambiamenti hanno caratterizzato le organizzazioni e le strutture del Ministero dei Beni Culturali che gestisce una parte rilevante del patrimonio culturale. A causa della scarsità di risorse economico-finanziarie e delle difficoltà nella gestione dei siti, gli attori privati hanno avuto la possibilità di gestire una serie di atività non core. La riforma del Titolo V ha segnato l’emergere di una logica di mercato nella gestione del patrimonio italiano con chiare distinzioni tra le funzioni di salvaguardia e valorizzazione. Una terza logica minoritaria di partecipazione sta emergendo nel contesto dell’innvazione sociale, può essere interpretata come un processo collettivo in cui i membri di una comunità inventano e ridefiniscono le regole. Si possono osservare, quindi, modelli pubblici, modelli privati e modelli ibridi in cui coesistono entrambe le logiche.
Per concludere, si può dire che il modello pubblico ha fallito nella gestione efficiente di un patrimonio così vasto, allo stesso modo le imprese private hanno deciso di non investire in un business non considerato remunerativo. Si sono creati così dei buchi da riempire: nuovi progetti e nuove forme di cittadinanza attiva e nuove forme organizzative sono nate per riempire questi spazi. Attori impegnati sul campo per la gestione, promozione e salvagauardia del patrimonio culturale e naturale. Si intravede, quindi, un nuovo possibile assetto dove la parte più debole del patrimonio culturale, italiano e non italiano, torna o ritorna ad essere fulcro delle comunità e importante risorsa economica e sociale. In questo nuovo assetto vanno ridesegnati i rapporti tra comunità, amministrazione pubblica e imprese. Soprattutto le amministrazioni pubbliche hanno il dovere di essere facilitatori e sostenitori dell’iniziativa di cittadini e imprese, attraverso la definizione di nuove regole in un nuovo quadro normativo.
Implicazioni
Il patrimonio culturale materiale e immateriale può essere l’ispirazione per la creazione e il potenziamento del capitale sociale. Le relazioni virtuose tra patrimonio culturale e capitale sociale sono le seguenti:
- i monumenti, le istituzioni e siti come luoghi d’incontro e di aggregazione, d’integrazione, di discussione come fossero “community hub”;
- il patrimonio come parte integrante ed espressione della cultura, del senso di appartenenza, il patrimonio come motivo per celebrare tradizioni e festività;
- la densa rete di legami personali e professionali trasmessa di generazione in generazione;
- il ruolo del patrimonio nell’attrarre nuovi residenti facilitandone l’integrazione con la comunità locale;
- i monumenti, i siti e le istituzioni hanno un importante significato simbolico promuovendo l’inclusione, la tolleranza, il rispetto delle diversità includendo i bisogni dei gruppi sociali a rischio emarginazione;
- il patrimonio fisico, i siti o le tradizioni considerati come l’obiettivo e la ragione per intraprendere azioni comuni e per promuovere l’integrazione delle comunità intorno ad un obiettivo comune;
- il legame tra patrimonio culturale e rigenerazione e riqualificazione urbana e del territorio.
Gli autori evidenziano anche alcuni possibili effetti negativi della relazione tra patrimonio culturale e capitale sociale. Nelle comunità molto legate alle tradizioni forti legami sociali possono limitare i contatti esterni. In alcuni casi, le istituzioni culturali promuovono i valori dei gruppi dominanti dal punto di vista sociale ed economico trasformandosi così da opportuità di inclusione in strumento di controllo. Il patrimonio culturale può a volte rappresentare anche motivo di conflitti e tensioni su ciò che deve essere salvaguardato e valorizzato.
I conflitti tra gli obiettivi di conservazione del patrimonio e quelli di promozione e sviluppo locale possono indirettamente comportare un indebolimento del capitale sociale. Gli attori possono avere interessi divergenti e visioni diverse: dallo sviluppo basato sulla conservazione e l’uso locale del patromonio, allo sviluppo e alla promozione turistica. Inoltre, i processi di rigenereazione urbana attirano nuovi residenti di status economico finanziario e sociale più elevato.
La definizione del capitale sociale dovrebbe essere, quindi, parte integrante delle analisi qualitative dei progetti culturali, in modo da promuovere iniziative e progetti che valorizzino e sviluppino le relazioni sociali e l’attivazione di circoli virtuosi a partire dalle comunità interessate.
Principali riferimenti bibliografici
Coleman, J.S. (1994), Foundations of Social Theory, Harvard University Press, Cambridge, MA.
Consiglio S., Riitano A., (2015) Sud Innovation. Patrimonio culturale, Innovazione sociale e nuova cittadinanza, Franco Angeli.
Murzyn ‐Kupisz M., Działek J., (2013), “Cultural heritage in building and enhancing social capital”, Journal of Cultural Heritage Management and Sustainable Development, Vol. 3 Issue: 1, pp.35-54
Putnam, R.D., Leonardi, R. and Nanetti, R.Y. (1993), Making Democracy Work. Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, Princeton, NJ.