Secondo un’opinione diffusa, gli interventi governativi volti a mitigare la crisi sanitaria potrebbero essere il veicolo per recuperare margini di competitività e per attuare riforme attese da decenni, a cominciare dalla semplificazione dei rapporti tra pubbliche amministrazioni, cittadini e imprese. Purtroppo, semplificare non è semplice, soprattutto in presenza di un apparato pubblico eterogeneo e poco propenso al problem solving. Tuttavia, anche in un contesto ineludibilmente complesso come l’attuale, cambiare rotta è possibile. La sfida della semplificazione può essere vinta.
Introduzione
L’impatto della crisi Covid-19 sui sistemi sociali è stato, e continua ad essere, così forte da poter essere considerato come “one of the defining policy challenges of an era” (Dunlop, Ongaro, & Baker, 2020, p. 366) in grado di cambiare le regole del gioco per la pubblica amministrazione (Ansell, Sørensen, & Torfing, 2020). Nel contempo, la pandemia offre ai governi una finestra di opportunità per “ricostruire relazioni simbiotiche positive col settore privato” (Mazzucato, 2020, p. 136). Con riferimento all’Italia, gli interventi per mitigare la crisi sanitaria e rilanciare l’economia potrebbero essere il veicolo per attuare quelle riforme che il Paese aspetta da decenni, a cominciare dalla semplificazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese.
La ripartenza post-Covid-19 potrebbe effettivamente rappresentare un punto di svolta in termini di modernizzazione della PA e del Paese, ma a condizione che non si dimentichi la lezione imparata in 30 anni e più di tentativi di riforma della macchina burocratica: la semplificazione non è affatto semplice; semplificare è un’attività impegnativa che non può essere affidata a interventi estemporanei o settoriali.
Per anni si è pensato ai possibili modi per ridurre l’oppressione burocratica sulla vita dei cittadini e delle imprese. Un rapporto di ricerca realizzato nel 2019 da The European House – Ambrosetti (https://www.ambrosetti.eu/wp-content/uploads/ricerca-PA-2.pdf) ha evidenziato che in Italia sono attualmente in vigore circa 160.000 norme (di cui 71.387 promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale, comunale e da parte di altri enti e autorità). Tale dato testimonia un’evidente ipertrofia regolatoria che, secondo l’approccio tipico della cultura amministrativa italiana, ha portato a legiferare anche su aspetti di dettaglio (per esempio, si contano oltre 1.250 norme riguardanti l’ambito fiscale) relativi al rapporto tra la PA e i suoi interlocutori.
Tuttavia, il problema della semplificazione amministrativa non è solo quello di contenere la proliferazione delle disposizioni di legge, e neppure una questione di qualità dei testi normativi. Né, tanto meno, si tratta di smantellare la burocrazia cancellando gli uffici con un tratto di penna. Come ricorda la ricerca Ambrosetti, la burocrazia è imprescindibile: consente a uno Stato moderno di funzionare, lo pone nelle condizioni di erogare servizi ai cittadini e alle imprese garantendo diritti essenziali, in primis quelli relativi alla libertà d’iniziativa economica e al rispetto delle regole. Si tratta quindi di ripensare il ruolo della burocrazia. Paradossalmente, come diremo più avanti, la crisi COVID-19 ha reso più urgente la necessità di rafforzare la burocrazia (Di Mascio & Natalini, 2020) per metterla in condizione di dare risposte adeguate ai problemi di rilevanza collettiva.
L’ineliminabile complessità nella Pubblica Amministrazione
La semplicità è una proprietà strutturale di un sistema, ma può anche riferirsi alle modalità di interazione tra un sistema e l’ambiente circostante. Semplicità strutturale e semplicità di interazione sono concetti distinti. L’interazione può essere semplice anche quando un sistema è strutturalmente complesso. Viceversa, anche un sistema strutturalmente semplice può presentare elementi che ostacolano o rallentano l’azione complessiva.
Nel discorso comune, prevale invece l’opinione secondo cui la burocrazia è un male in sé, un’entità oscura e incomprensibile che rende complicato per cittadini e imprese ottenere la soddisfazione delle loro esigenze in tempi certi: da qui il fiorire della retorica della semplificazione intesa come abbattimento o taglio della burocrazia. Va detto che a tutto ciò contribuisce anche una certa confusione terminologica. Ne è un esempio l’incapacità di distinguere tra burocrazia (sostantivo), intesa come modo idealtipico di organizzare le amministrazioni pubbliche (ma non solo), e burocratico, aggettivo quasi sempre associato allo stile manageriale che viene comunemente attribuito al settore pubblico (Hoggett, 2005).
È innegabile che la stragrande maggioranza dei cittadini e delle imprese percepisca l’apparato pubblico come un insieme complicato e/o complesso. Ma, viene da chiedersi: ai fini dell’efficacia, ossia della soddisfazione delle esigenze dei destinatari dei servizi, conta di più la percezione di avere a che fare con un sistema semplice, o l’efficacia con cui le richieste vengono evase, a prescindere dall’intrinseca complessità degli apparati amministrativi preposti?
Dal punto di vista della teoria dei sistemi, in un sistema semplice ancorché formato da numerosi componenti, la relazione tra causa ed effetto è nota, oppure gli esiti sono prevedibili. In generale, interagire con un sistema di questa natura può richiedere qualche tipo di capacità tecnica ma, una volta appreso come procedere, l’interazione è fluida. Basti pensare all’amichevolezza e intuitività dell’applicazione che con pochi clic ci permette di scegliere ed acquistare un libro online.
Una procedura semplice è lineare e deterministica, e ciò la rende facilmente automatizzabile: prevede un percorso di esecuzione prefissato, un risultato predeterminato; insomma, ogni aspetto discrezionale è (tendenzialmente) escluso. Tuttavia, se nel tentativo di rendere semplice e prevedibile una procedura si eccede nella sua formalizzazione, si rischia, paradossalmente, di generare complicazione inutile. Da qui il problema dei carichi burocratici, delle lungaggini esasperanti e incomprensibili che generano sfiducia nelle istituzioni.
Un sistema complicato può includere numerosi componenti e quindi molte interazioni; tuttavia, il comportamento dei singoli elementi costitutivi è prevedibile. I sistemi complicati, come quelli semplici, possono essere analizzati “by identifying and modeling the relationships between the parts; the relationships can be reduced to clear, predictable interactions”(Sargut & McGrath, 2011).
In un sistema complicato le interazioni tra le parti possono essere rese chiare e prevedibili, quindi esso può essere riprogettato in modo razionale, eventualmente eliminando le interconnessioni superflue e/o ridondanti. La semplificazione dei rapporti tra PA e imprese introdotta in Italia attraverso il cosiddetto Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) rappresenta un caso esemplare di questa strategia di semplificazione.
Il sistema di rilascio delle autorizzazioni per l’avvio di un’attività di impresa prima della riforma che nel 1998 ha introdotto i SUAP era estremamente laborioso: con numerosi attori posti a livelli istituzionali diversi, e molte interazioni tra i componenti, alcune delle quali chiaramente ridondanti. Rapportarsi col sistema richiedeva agli utenti una competenza tecnica specifica. L’introduzione del procedimento unico in capo al SUAP ha certamente snellito il dialogo degli utenti con le amministrazioni coinvolte. Possiamo anche affermare che l’intervento di razionalizzazione abbia creato le condizioni per agevolare l’interazione con il sistema da parte delle varie categorie di attori. Nel complesso siamo di fronte ad un insieme di procedure lineare e deterministico, un workflow (tendenzialmente) automatizzato: un percorso di esecuzione unico, un unico risultato prevedibile a priori, con la (tendenziale) eliminazione di ogni elemento di discrezionalità nello svolgimento delle attività.
Eppure, a detta di molti, siamo di fronte a un sistema ancora complesso. Paradossalmente, il susseguirsi dei continui interventi di revisione ha aggiunto ulteriore complessità intrinseca, per esempio in termini di rafforzamento delle interdipendenze tra i componenti. Per tali motivi oggi è richiesta una più forte integrazione a livello informativo e, conseguentemente, anche a livello organizzativo. Il risultato è che, a più di vent’anni dall’introduzione dei SUAP e nonostante numerosi interventi di semplificazione normativa, standardizzazione procedurale e dematerializzazione, l’ostacolo maggiore è tuttora rappresentato dalla necessità di garantire un’efficace gestione delle interdipendenze tra attori e processi. In sintesi, i continui interventi di ridisegno normativo e procedurale non sono riusciti a rendere facile (o facile quanto si sarebbe voluto) l’interazione degli utenti con il sistema (Castelnovo & Sorrentino, 2018).
Christensen and Lægreid (2012) hanno evidenziato come la complessità sia una caratteristica intrinseca del settore pubblico che deve essere adeguatamente considerata dai programmi di riorganizzazione amministrativa, e non un difetto da eliminare a tutti i costi. In altri termini, anziché cercare di ridurre/eliminare la complessità trattando un sistema complesso come un sistema ‘semplicemente’ complicato, è necessario gestirne la complessità (Castelnovo & Sorrentino, 2018; Rhodes, Murphy, Muir, & Murray, 2011), e fare leva proprio su tale complessità per individuare le soluzioni più soddisfacenti rispetto ai problemi da risolvere. Da questo punto di vista, una strategia di ‘complexification’ (Giustiniano, 2017; Joosse & Teisman, 2020) può rappresentare una valida alternativa alla visione predominante in tema di semplificazione.
Strategie per la semplificazione
Le strategie di semplificazione normative e procedurali adottate in ambito pubblico sono tese prevalentemente a ridurre ciò che è percepito come complicato. In termini generali, l’obiettivo della semplificazione/riduzione è quello di ottenere facilità di uso attraverso la linearizzazione, la specificazione (intesa come descrizione analitica) dei comportamenti e la standardizzazione. Senza interventi di semplificazione un sistema complicato può produrre un sovraccarico di decisioni (cosiddetto overload), di elementi da conoscere e gestire, di informazioni da trattare. È molto facile che tutto ciò degeneri e produca sistemi caotici, cioè in insiemi che pur governati da leggi deterministiche, possono dar luogo a risultati apparentemente casuali o ambigui. In tali situazioni l’azione organizzativa progettuale rimane, ovviamente, esclusa. D’altra parte, se la semplificazione viene attuata attraverso una iper-specificazione, allora il sistema torna ad essere complicato, perdendo di vista l’obiettivo della semplicità d’uso. Quando si arrivano a normare gli aspetti più minuti, è molto probabile che all’atto pratico si verifichino situazioni di stallo che mettono in forse il raggiungimento dei risultati desiderati. Gli addetti ai lavori parlano di implementation gap (Castelnovo & Sorrentino, 2018) ogniqualvolta si verifica uno scostamento tra il dettato dei provvedimenti o delle politiche, e i risultati effettivi che si possono osservare nel concreto.
Occorre notare che, anche in presenza di un ridotto livello di complessità, il sistema può essere soggetto al ciclo vizioso di semplificazione/iper-specificazione (vedi il processo tratteggiato nella figura 1). Tuttavia, e per fortuna, la trasformazione di un sistema complesso in sistema complicato non è l’unica strada percorribile. Una valida alternativa può essere l’adozione di una strategia che faccia leva sulla flessibilità (contestuale) offerta dai sistemi complessi.
Rispetto alla tradizionale strategia di semplificazione, fortemente orientata alla standardizzazione, all’iper-regolamentazione e – tendenzialmente – all’automazione mediante tecnologie dell’informazione, una strategia di gestione della complessità rientra appieno tra le prerogative manageriali (Giustiniano, 2017). Si tratta, infatti, di mettere al centro dello sforzo di riforma la capacità del decisore, o del generico agente che opera nell’amministrazione, di elaborare soluzioni adattative rispetto alla situazione concreta. In questo caso, viene data priorità al raggiungimento dell’obiettivo, anziché ai modi per ottenerlo.
Data la sua essenziale flessibilità contestuale, una siffatta strategia di gestione della complessità è poco compatibile con l’orientamento prevalente (che in Italia è di tipo tecnico-normativo) delle amministrazioni pubbliche italiane. Tale tradizione limita fortemente, fino ad escludere, la possibilità di adattare le regole ai casi specifici. L’alternativa potrebbe consistere dunque nell’affidarsi a una regolazione flessibile dei processi, e non a una loro regolamentazione indifferenziata.
Gestire la complessità: una visione operativa
L’implementazione delle politiche pubbliche si conferma un processo che resiste alle soluzioni semplici (Teisman & Klijn, 2008). Gestire la complessità significa, in primo luogo, riconoscere l’impossibilità di applicare meccanicamente ricette predeterminate (procedure standardizzate) in tutte le situazioni e con le medesime modalità: “the complexity perspective emphasizes the importance of a moderate degree of structure and the pursuit of coevolutionary adaptation of multiple business unit organizations with their dynamic organizational environments” (Maguire, Allen, & McKelvey, 2011, p. 17).
Dal punto di vista pratico, una prospettiva alternativa rimanda a una visione non convenzionale della semplificazione amministrativa, basata cioè sulla possibilità/capacità degli attori pubblici di sviluppare soluzioni locali per supportare imprese e cittadini nelle loro interazioni con la PA. In parole semplici, occorre praticare una logica di adattamento al contesto che esclude l’applicazione pedissequa delle norme. In altri termini, si tratta di “prendere sul serio l’ambiguità e assumerla come irriducibile; assumere l’incertezza del mondo come esistente” (Giustiniano, 2017). Ciò che serve è, allora, una strategia che fa leva sul problem solving, sulla flessibilità e sulla responsabilizzazione degli individui. La logica di servizio orientata al case management qualifica gli operatori pubblici come intermediari tra le amministrazioni e le diverse categorie di utenti.
Vanno in questa direzione due recenti iniziative finalizzate alla semplificazione amministrativa: il progetto degli ‘Angeli antiburocrazia’ e la proposta di introduzione dei cosiddetti ‘Singoli Punti di Operazione’. Vediamo rapidamente di che si tratta.
Il primo consiste in un progetto sperimentale realizzato tra il 2015 e il 2019 dalla Regione Lombardia in collaborazione con il Sistema camerale italiano, ossia la struttura che comprende – tra gli altri – la rete delle Camere di Commercio. Da gennaio 2015 a dicembre 2019 il compito di interfacciare gli operatori economici sul territorio è stato affidato a 30 neolaureati (principalmente in Giurisprudenza e Scienze delle Pubbliche Amministrazioni) per la soluzione dei cosiddetti “nodi burocratici” che generano oneri molto gravosi per l’intera collettività.
Il progetto lombardo è nato con un’impronta innovativa. Giovani risorse sono state infatti selezionate e inserite nel tessuto amministrativo regionale con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa, superando i tradizionali meccanismi burocratici, e favorendo quindi un approccio maggiormente orientato ai bisogni concreti. Coinvolti e attivati dalle Pubbliche Amministrazioni e dagli imprenditori stessi, “gli angeli anti-burocrazia, in collaborazione con gli uffici territoriali regionali e le Camere di Commercio, si sono occupati di fornire informazioni e assistenza rispetto alle procedure da seguire, indicare le normative e gli adempimenti per l’esercizio delle attività produttive, garantire l’osservanza delle migliori prassi amministrative, coordinare le pubbliche amministrazioni coinvolte nei procedimenti, promuovere e diffondere le opportunità dei bandi nazionali ed europei, favorire l’informatizzazione dei sistemi informativi, individuare gli ostacoli ed elaborare in tempi brevi soluzioni” (Regione Lombardia, DGR X/3840 del 14/07/2015). Nei primi quattro anni di vita, gli Angeli antiburocrazia hanno fornito un supporto diretto a circa 700 imprenditori.
I Singoli Punti di Operazione (cosiddetti “SiPuÒ”), descritti nello studio di Ambrosetti sopra citato, consistono in punti di contatto fisico dislocati sul territorio, in modo tale da garantire il miglior equilibrio fra la massima vicinanza al cittadino e la necessità di razionalizzazione la struttura del sistema pubblico (e, quindi, in ogni Comune o a livello di aggregazione di Comuni). I SiPuÒ fungono da punti di riferimento (front-office) che agiscono come interfaccia della PA verso imprese e cittadini, sgravando il privato o l’impresa dall’onere del coordinamento tra i singoli enti della PA. In questo caso il ruolo di raccordo è esercitato da figure individualmente responsabili verso l’interlocutore esterno, rafforzando l’accountability dell’intero sistema.
La logica alla base dei punti SiPuÒ è quella di offrire soluzioni concrete. È quindi indispensabile che chi opera in queste unità organizzative abbia adeguate capacità di gestione di problemi complessi, in quanto l’operatività dei SiPuÒ è orientata al raggiungimento dell’obiettivo e non all’esecuzione meccanica di procedure operative rigidamente strutturate. Il Rapporto Ambrosetti raccomanda di configurare i SiPuÒ superando l’approccio formale: ad esempio, anziché definire un mansionario dettagliato è molto meglio attribuire al singolo operatore sufficiente libertà per raggiungere l’obiettivo, unitamente ad adeguati strumenti e autorità.
Pur muovendo da contesti assai differenti, gli Angeli antiburocrazia e i Punti SiPuÒ rispondono a una logica comune, vale a dire la riduzione – a normativa invariata – dell’impatto degli oneri burocratici su imprese e cittadini. Entrambe le proposte prevedono la presenza di facilitatori qualificati, veri e propri ‘mediatori culturali’ in grado di far dialogare soggetti eterogenei, appartenenti ad amministrazioni diverse che spesso faticano a comprendersi. Utilizzando il linguaggio degli studi organizzativi, possiamo affermare che entrambe le soluzioni fanno leva sul rafforzamento delle capacità dinamiche delle amministrazioni pubbliche. Data l’imprevedibilità del contesto, si assume, inoltre, che la presenza diffusa di ‘boundary spanner competenti’ (Williams, 2002) possa valorizzare l’intelligenza diffusa delle persone e generare ricadute positive anche al di fuori dell’ambito/attività oggetto di intervento.
Nel caso degli Angeli, i facilitatori sono “parti terze” che si pongono come intermediari tra il mondo delle imprese e le amministrazioni pubbliche. Nel caso dei SiPuÒ, invece, i facilitatori appartengono alla sfera pubblica e, sotto un certo profilo, rappresentano una sorta di revisione/evoluzione della figura del cosiddetto Responsabile Unico del Procedimento, presente nell’ordinamento italiano dal 1990. Il profilo del facilitatore possiede tuttavia una minore connotazione giuridica. Nel contesto dei SiPuÒ fanno premio, infatti, le capacità di coordinamento e monitoraggio dei processi ai vari livelli. In particolare, ai fini della gestione efficace delle interdipendenze tra i processi amministrativi, tre sono i requisiti cruciali che un addetto deve possedere: l’esperienza maturata in vari contesti organizzativi, la conoscenza interdisciplinare e le capacità cognitive (Williams, 2002).
Conclusioni
Proviamo ora a trarre qualche considerazione di sintesi, rivolgendo uno sguardo d’insieme alle questioni sollevate finora. Abbiamo osservato anzitutto come nel nostro Paese la pandemia abbia ingigantito e accelerato la necessità di un apparato pubblico orientato ad affrontare le emergenze, ma anche in grado di superare i gravi ritardi accumulati nei decenni.
Ci siamo soffermati sul tema della semplificazione amministrativa e sui modi tipici con cui i decisori pubblici l’hanno affrontato, mettendo in luce i limiti dei programmi d’intervento tesi soprattutto a cancellare gli adempimenti amministrativi, a ‘smantellare’ la burocrazia o a riscrivere le norme. La vera sfida, è stato osservato, non consiste nel voler ridurre a tutti i costi la complessità di una struttura composta da decine di migliaia di soggetti eterogenei (le amministrazioni pubbliche), collocati su livelli istituzionali diversi. Si tratta, piuttosto, di rivedere l’approccio alla complessità, concentrandosi sulle interazioni che nel sistema vengono attivate nel corso dei vari processi amministrativi. In sintesi, i programmi di ridisegno vanno rivolti verso la qualità della regolazione anziché della regolamentazione, senza dimenticare il vero tema che qui è stato volutamente lasciato sullo sfondo, ossia l’insufficiente capacità organizzativa delle amministrazioni pubbliche italiane.
L’ultima parte dell’articolo ha illustrato due casi esemplificativi che – pur nella loro diversità – fanno leva sulla figura del case manager, cioè del soggetto che conosce i meccanismi di funzionamento del sistema ed è in grado di individuare per e con i cittadini le risposte più efficaci in rapporto alle diverse esigenze. In entrambi i casi descritti la gestione della complessità a livello di front-office viene affidata a un problem solver che interviene per facilitare l’interazione tra istituzioni e fruitori dei servizi. Anche in condizioni di contesto ineludibilmente complesse la sfida della semplificazione può essere vinta.
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