“L’alba del giorno dopo”. Lo smart working nel settore pubblico oltre l’emergenza pandemica

Abstract

Il contributo evidenzia le potenzialità dello smart working nel settore pubblico, particolarmente il suo potenziale consolidamento dopo l’emergenza pandemica. Si è inteso sviluppare una riflessione su come l’accettazione delle tecnologie in un ambiente lavorativo basato sullo smart working possa supportare il cambiamento delle abitudini e la diffusione della conoscenza.

Introduzione

La diffusione della pandemia da Covid-19 ha rappresentato una variabile esogena rilevante per le organizzazioni con un impatto sia nello svolgimento delle attività lavorative, sia nel modo di intendere il proprio “vivere” all’interno dei contesti sociali ed organizzativi (Tursunbayeva et al., 2022; Ratten, 2021; Brigs et al., 2020). La crisi sanitaria globale, quindi, ha fornito una nuova prospettiva di lettura per esplorare la fattibilità del cambiamento dei costumi e delle abitudini sociali, tra queste le modalità classiche del lavoro tradizionalmente concepito verso modalità più innovative, collegate allo sviluppo delle nuove tecnologie. (Briggs et al., 2021; Bolisani et al., 2020; Foss, 2020). Il ruolo fondamentale svolto dalle nuove tecnologie è un acceleratore indispensabile per l’accettazione da parte dei lavoratori di modalità di lavoro maggiormente flessibili ed innovative (Todisco et al., 2022; Yarberry & Sims, 2021; Rainero & Modarelli, 2020).

In uno scenario mutevole, lo smart working ha avuto importante diffusione, configurandosi come una modalità di lavoro fortemente in antitesi con le impostazioni lavorative tradizionali, non solo per l’assenza di limitazioni in termini di tempo e di spazio durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, ma anche per l’approccio differente rispetto agli obiettivi e alle modalità di progettazione a livello organizzativo del lavoro stesso. Alcuni autori come Bednar & Welch (2020), Torre & Sarti (2019) e Ellerton (2015), hanno identificato tre dimensioni chiave per quanto riguarda la diffusione e l’implementazione dello smart working all’interno dei contesti lavorativi che sono: i) fattori tecnologici, ii) riprogettazione degli spazi fisici, iii) diverso approccio alla gestione delle risorse umane. Oltre a queste dimensioni, è necessario considerare anche altri fattori nella valutazione dell’efficacia dello smart working in ambito organizzativo. Uno di questi è la disponibilità e/o propensione dei dipendenti ad accettare l’uso delle tecnologie per supportare il passaggio a una struttura organizzativa maggiormente flessibile, orientata agli obiettivi e mediata dalle tecnologie (Rainero & Modarelli, 2021).  Per questo, il seguente contributo, a carattere esplorativo, si pone l’obiettivo di esaminare e chiarire come l’accettazione delle tecnologie possa influire sulla diffusione e continuità nel tempo dello smart working nella pubblica amministrazione italiana, nonché indagare una prospettiva di diffusione della conoscenza, insita nel consolidamento nell’uso delle ICTs.

Il punto di partenza della riflessione organizzativa esposta è che il verificarsi di uno shock esogeno, come la pandemia, ha reso l’accessibilità, l’efficacia percepita e la semplicità d’uso delle tecnologie a disposizione, un fattore di successo/insuccesso delle stesse in ambito lavorativo, andando ad inserirsi in abitudini e consuetudini consolidatesi nel tempo (Bunker, 2020; Jämsen et al., 2022; Agostino et al., 2021). Per fornire un’interpretazione dettagliata della realtà è stata adottata una prospettiva multiforme basata sulla complessità. A questo proposito, le variabili insite nel quadro di riferimento del modello dell’accettazione della tecnologia, altrimenti conosciuto con l’acronimo di TAM (Technology Acceptance Model), sono state usate con lo scopo di sviluppare un’analisi qualitativa. Attingendo dal modello dell’accettazione della tecnologia e dalla teoria del comportamento pianificato e grazie ad interviste semi-strutturate a dieci funzionari pubblici (posizioni organizzative), è stato possibile indagare sull’evoluzione della percezione dell’uso delle tecnologie in ambito lavorativo dal periodo pre-pandemico a quello post-pandemico, specificamente orientando l’indagine su come le abitudini di lavoro siano state trasformate dalla complessità e dall’urgenza.

Il “new normal”: il lavoro che cambia in una prospettiva tecnologica

Nel corso degli ultimi decenni, particolare attenzione è stata dedicata al tema delle nuove forme di lavoro (Appelbaum, 2013; Engeström, 2004). Forme di lavoro quali il “remote working”, il “near working”, lo “smart working”, sono da collocarsi nel contesto di sostanziali cambiamenti sociali, in base ai quali le tecnologie hanno generato metamorfosi nelle relazioni interpersonali e nei principi che guidano il vivere sociale (Becker, et al., 2022; Byrd, 2022). Questi cambiamenti verificatisi hanno modificato le dinamiche tra individui e organizzazioni sulla base di due aspetti distinti, vale a dire l’interdipendenza tra uomo, macchina e società, e l’interdipendenza tra uomo, istituzione, macchina e società (Bahri et al., 2021; Layard, 2011). Nell’ambito delle organizzazioni si sono diffuse nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa incentrate sull’uso delle tecnologie e sulla diffusione della conoscenza attraverso le stesse. L’emergenza pandemica, appartenente agli eventi esogeni imprevedibili, nelle fasi più cruciali, ha impedito l’esecuzione fisica delle attività lavorative, provocando cambiamenti sia personali, che organizzativi (Alipur et al., 2021; Bolisani et al., 2020). In questo scenario, per la maggior parte delle attività lavorative, si è passati ad una modalità da remoto (Osthuizen 2022; Todisco et al., 2023). La tecnologia ha assunto, quindi, un ruolo di facilitatore per le attività legate al lavoro e all’erogazione dei servizi agli utenti. Questo stravolgimento ha avuto un considerevole impatto soprattutto pensando al radicamento tradizionale all’ufficio (fisicamente definito). Ci si pone quindi di fronte ad un tema di rilievo su come l’accettazione della tecnologia da parte dei dipendenti possa rafforzare nuovi approcci al lavoro “smart” (Rainero & Modarelli, 2020). Questa modalità di lavoro comporta un significativo grado di autonomia in termini di individuazione dell’orario e del luogo di lavoro, con l’obiettivo di migliorare sia il benessere individuale, sia l’efficacia organizzativa (Cori et al., 2023, Hu, 2020, Torre & Sart, 2019). La sua diffusione e implementazione si basa sostanzialmente su tre dimensioni cruciali: (a) lo sviluppo efficace della dimensione tecnologica, (b) la riprogettazione e riutilizzo degli spazi fisici, (c) una nuova visione delle persone nell’organizzazione.

La prima dimensione di analisi riguarda l’uso competente delle tecnologie a supporto delle attività lavorative in smart working. Questa dimensione è il presupposto affinché si possa ragionare in termini di diffusione dello stesso. I lavoratori sono così chiamati ad un compito cruciale: quello di sviluppare competenze tecnologiche e di superare le resistenze all’utilizzo per rendere più fluido il processo di lavoro e la diffusione delle informazioni.

La seconda dimensione di analisi riguarda la riprogettazione degli spazi fisici. Ciò comporta la creazione di spazi che facilitino lo stesso, consentendo ai dipendenti di lavorare in modo confortevole, produttivo ed efficiente. (Dingel & Neiman, 2020). La riprogettazione degli spazi fisici diventa fattore critico fondamentale per il successo dello smart working, con implicazioni che si riflettono anche sulla sostenibilità economica e ambientale.

La terza dimensione riguarda una nuova prospettiva di gestione delle persone nei contesti organizzativi. Questa dimensione richiede un approccio trasformativo alla gestione delle risorse umane, immaginando nuove metodologie di reclutamento, nuove attività di formazione, maggiore attenzione allo sviluppo di talenti. Inoltre, si impongono nuovi metodi per valutare le prestazioni dei dipendenti, nonché approcci alternativi al coinvolgimento e alla motivazione di questi ultimi. Come hanno evidenziato Brunetto e Beattie (2020), un’efficace implementazione dello smart working richiede una maggiore attenzione allo sviluppo di conoscenze specialistiche e competenze relazionali trasversali, con il management che svolge un ruolo fondamentale in questo senso.

Lo smart working presenta diversi vantaggi sia per i dipendenti, sia per le organizzazioni. Per i dipendenti offre maggiore flessibilità, autonomia e maggiore equilibrio tra lavoro e vita personale. Per le organizzazioni offre la possibilità di amplificare la produttività, ridurre i costi e migliorare la fidelizzazione dei dipendenti. L’influenza trasformativa dello smart working nel rapporto degli individui con il lavoro e con gli ambienti di lavoro non va sottovalutata. Gli approcci culturali e manageriali alla gestione delle risorse umane devono essere ridefiniti con l’obiettivo di realizzare la piena estensione di approcci “smart”. In questo modo, l’uso della tecnologia diventa fondamentale per consentire, lavorativamente parlando, più facili interazioni in tempo reale tra i dipendenti, ridefinendo i processi di diffusione della conoscenza. Ciò può aiutare individui e organizzazioni a migliorare l’efficienza e ridurre al minimo l’impatto negativo dall’allontanamento dalla presenza fisica sul posto di lavoro (ove possibile).

L’accettazione della tecnologia tra urgenza, complessità, attitudini, credenze e comportamenti: un quadro operativo

Il presente contributo pone la sua lente di analisi sull’uso delle tecnologie nello smart working partendo da un quadro teorico che integra la visione strategica del Technology Acceptance Model (TAM), quella del TPB (Theory of Planned Behavior) e della facilitazione del trasferimento di conoscenze nelle organizzazioni (From Knowledge to Knowledge Strategy) (Rainero & Modarelli, 2021b). La logica alla base di questa scelta è duplice: in primo luogo, la tecnologia è diventata onnipresente nella vita sociale ed è ampiamente utilizzata sul posto di lavoro. A questo proposito, l’utilità percepita e la facilità d’uso, variabili convalidate nell’ambito del TAM, svolgono un ruolo cruciale. L’influenza dei media e dell’urgenza, combinata con una prospettiva manageriale, nonché la capacità dell’individuo di creare conoscenza, può facilitare lo sviluppo della stessa (autoindotta, interna o esterna), verificando così gli obiettivi della strategia FKTK, in parallelo allo sviluppo di comportamenti (es. accettazione o rigetto) a seconda delle attitudini, credenze e percezioni individuali. L’urgenza provocata dalla pandemia, insieme all’intenzione/motivazione di far fronte all’emergenza (Bunker, 2020), ha portato a uno spostamento delle norme soggettive e del controllo individuale basato sulla volontà personale/collettiva di utilizzare le tecnologie (atteggiamento) verso l’accettazione comportamentale del cambiamento delle abitudini lavorative, in modo socialmente organizzato e generalizzato. Il contesto in cui si muove la seguente analisi è quello della pubblica amministrazione italiana. Tale scelta è legata al fatto che l’Italia è stato uno dei primi paesi a dover cambiare la propria modalità di gestire il lavoro e i servizi al cittadino durante l’emergenza.

L’implementazione dello smart working, altrimenti conosciuto con il termine di “lavoro agile”, è pre-esistente alla pandemia; il quadro normativo che disciplina questa modalità operativa in Italia si basa sulla legge n. 124/2015 (art. 14) e sulla n. 81/2017 (articoli 18-24). Oltre a questo inquadramento normativo, la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri DL n. 3/2017 traccia linee guida organizzative di implementazione in merito. Il brusco e diffuso processo di transizione, nel Marzo 2020, ha reso necessaria l’applicazione di procedure semplificate per attuare modalità agili di lavoro. Si rimanda al DPCM del 1° marzo 2020, rimasto in vigore fino al 31/08/2022. Queste procedure semplificate sono state superate dalla L.122/2022. Significativamente, tale riconfigurazione organizzativa ha rappresentato un’opportunità per il settore pubblico di passare dai paradigmi tradizionali a quelli ibridizzati.  La cornice normativa è una premessa, che tuttavia non può spiegare la complessità del fenomeno dello smart working, con le sue luci e e le sue ombre. Pertanto, questo studio, è stato condotto sul tema dell’accettazione della tecnologia e della diffusione della conoscenza tra i lavoratori pubblici (nei rispettivi ambienti lavorativi), durante l’implementazione dello smart working.

Il campione di riferimento è piccolo, ma rilevante, considerando un gruppo di dieci funzionari pubblici. La posizione ricoperta da questi soggetti all’interno delle amministrazioni locali (nell’ambito di una regione meridionale dell’Italia), li ha resi candidati ideali per verificare azioni di successo/insuccesso, in ambito di diffusione e consolidamento dello smart working, anche oltre l’emergenza. È bene ricordare che gli intervistati, avevano già svolto durante la pandemia la loro attività lavorativa in smart working. Grazie alle variabili del TAM, usate a livello a qualitativo, integrato con aspetti teorici riconducibili alla TPB e FKTKS, è stato richiesto agli intervistati di rispondere a dieci domande relative a vari aspetti riguardanti le tecnologie, al loro livello di accettazione e al loro potenziale utilizzo anche rispetto alla diffusione di conoscenza nelle organizzazioni di appartenenza. L’arco temporale di riferimento riguarda sia il periodo concomitante, sia quello successivo alla crisi pandemica. Le interviste sono state condotte per una durata di 25-30 minuti, mediante discussione costruttiva. La ragione alla base della scelta del TAM per questo studio è la sua notevole efficacia nel chiarire i fattori che esercitano un’influenza sull’accettazione e sull’utilizzo di nuove tecnologie.

Risultati preliminari e potenziali implicazioni manageriali: la complessità del “technology welcome” nelle organizzazioni pubbliche

Le interviste che sono state condotte hanno mostrato come la natura multiforme dell’accettazione delle tecnologie emergenti, alla luce di shock esogeni, quale la pandemia da Covid-19, rappresenta una sfida manageriale di rilievo per chi gestisce la complessità organizzativa e le persone, soprattutto in ambito pubblico. Le interviste realizzate hanno condotto verso l’interpretazione dell’accettazione delle tecnologie quale dimensione strettamente connessa con il miglioramento dell’efficienza lavorativa, così come sottolineato da uno dei partecipanti. Inoltre, l’analisi delle interviste ha messo in evidenza un rapporto principalmente positivo tra accettazione delle tecnologie, il loro utilizzo efficace e la diffusione delle informazioni. Questi aspetti emersi spingono verso prime potenziali implicazioni manageriali sintetizzabili come segue:

  1. è possibile immaginare una continuità di sviluppo del modello “smart” nel settore pubblico anche dopo la condizione emergenziale, facendo leva in primo luogo su una specifica attenzione al fabbisogno formativo dei lavoratori pubblici da parte degli uffici competenti per gli ambiti di formazione. Ciò avrebbe valore, sia rispetto a competenze più tipicamente verticali, sia rispetto allo sviluppo di competenze di tipo trasversale;
  2. è possibile, da parte di chi ricopre posizioni apicali nelle organizzazioni pubbliche, utilizzare delle leve d’intervento per la diffusione dei dati attraverso le tecnologie, promuovendo un’effettiva diffusione informativa foriera di conoscenza. Cruciare è supportare, quindi, la creazione e la gestione della conoscenza, in aggiunta alla gestione dei meccanismi di coordinamento necessari a tale scopo.

In definitiva, lo smart working può essere pensato, superata la fase emergenziale, in una prospettiva di rivalutazione delle scelte manageriali per la gestione e la diffusione delle conoscenze, soprattutto in un’ottica prospettica, che vada oltre la semplice diffusione dei dati e di semplice prosecuzione dei servizi, ma anzi, come una modalità generativa di valore. Ciò offrirebbe alle organizzazioni pubbliche un’eccezionale possibilità di maturazione, passando da modelli organizzativi convenzionali a modelli più flessibili e adattabili alle differenti circostanze. In una dinamica di superamento della complessità, dovrebbe attuarsi pienamente quello che potremmo definire come un “technology welcome”.

In conclusione, l’implementazione dello smart working nel settore pubblico rappresenta un passaggio potenziale fondamentale per innescare un meccanismo virtuoso di miglioramento nella capacità di risposta alle crisi, emergenze e fenomeni esogeni imprevisti, come nel caso della pandemia. Inoltre, l’accettazione delle tecnologie, da un punto di vista manageriale e di analisi critica del fenomeno, può fornire alla dirigenza, ai policy e decision maker un’ulteriore leva di cambiamento, capace di mediare l’azione di facilitazione nell’utilizzo delle stesse.  In questa fattispecie, la prospettiva di utilità percepita e facilità d’uso, insite nel modello del TAM, aprirebbero le porte del settore pubblico verso pratiche operative basate sull’ibridizzazione, andando oltre lo smart working, quali ad esempio l’emergente “workation” (Voll et al., 2023) o il fenomeno del “south working”.

Di seguito si forniscono gli estremi codificati sugli estratti delle interviste effettuate (tab.1).

Codifica fattore favorevoleVariabili collegate al TAMRisposta intervista
Efficienza lavorativaUtilità percepita“Con le nuove tecnologie, sia dal punto di vista delle procedure tecniche interne che dell’interazione tra colleghi, ho migliorato la mia efficienza lavorativa. Ho reso più agevoli le attività lavorative a casa e in ufficio”. (partecipante n.2)
NecessitàUtilità percepita“Non ho una particolare attitudine all’uso delle tecnologie, ma lo faccio in un’ottica di miglioramento. Non è un rapporto d’amore, ma so di cosa ho bisogno dal punto di vista lavorativo. Spesso ho bisogno di un tecnico quando ho problemi che altri utenti magari sono in grado di risolvere da soli.” (partecipante n. 1)
Miglioramento qualità/compiti Utilità percepita“Le tecnologie sono state uno strumento importante per ampliare le competenze durante la pandemia e migliorare la comprensione dei compiti assegnati mentre lavoravo a distanza”. (partecipante n. 8)
Miglioramento comunicazione/interazione interpersonaleUtilità percepita/ Facilità d’uso“Le tecnologie mi hanno permesso una maggiore possibilità di interazione con i colleghi, e ho potuto svolgere attività lavorative da remoto con maggiore facilità.” (partecipante n. 3)
  Maggiore risolutività  Utilità percepita/ Facilità d’uso“Prima della pandemia il lavoro da remoto non era una modalità praticabile di lavorare. Lo vedevamo come l’unico possibile durante la pandemia e attualmente. Comunque, va bene, grazie alla maggiore consapevolezza nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Lo preferisco all’ufficio perché lo scambio di più informazioni permette l’interazione e la risoluzione dei problemi.” (partecipante n. 5)
Migliore scambio informativoUtilità percepita/ Facilità d’uso“Lo scambio di informazioni è stato maggiore durante e dopo la pandemia rispetto al passato. Lo smart working, dal mio punto di vista, ha aiutato molto questa diffusione”. (partecipante n. 7)
Tab.1. Sintesi sinottica dei fattori rilevanti di accettazione e continuità dello smart working nella PA oltre l’emergenza pandemica derivanti dalle interviste svolte

Fonte: Elaborazione degli autori

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