L’intenzione di lasciare il proprio lavoro è da sempre un indicatore prezioso per capire lo stato di salute di un contesto occupazionale. La nostra attenzione in questo studio si sofferma, nell’ambito del settore turistico, sugli operatori delle agenzie di viaggi che hanno subito pesantemente la trasformazione in atto e per i quali approfondire le condizioni di lavoro, quelle che vengono in letteratura definite come job demands (JDs) e job resources (JRs), rappresenta una sfida interessante. L’indagine di cui rendiamo conto in questo articolo esamina questi temi, soffermandosi sul ruolo che una caratteristica individuale, quale quella della resilienza, può giocare per questi operatori, offrendo qualche spunto per una gestione più efficace delle risorse umane di questo settore.
Introduzione
Nell’arco dell’ultimo ventennio si è assistito a profondi cambiamenti nel settore del turismo (basti ricordare l’impatto che le tecnologie della comunicazione e dell’informazione hanno avuto e continuano ad avere e la trasformazione nel profilo del viaggiatore). In questo scenario, le agenzie di viaggio si sono trovate ad affrontare complesse problematiche di ridefinizione del business, di riorganizzazione dei processi e di riallineamento delle competenze possedute dai loro operatori – operatori che, come accade in tutte le imprese ed in particolare in quelle che si occupano di servizi, rappresentano la risorsa strategica fondamentale (si veda al riguardo Gentile, 2017).
Interlocutore prezioso del cliente, con il quale interagisce in forza delle proprie capacità relazionali, della conoscenza di cui dispone relativamente ai trends del settore, l’operatore turistico si trova a dover rispondere alla domanda, sempre più raffinata e competente, di un consumatore informato ed evoluto non facile da catturare e tanto meno da fidelizzare. Insomma, c’è materia a sufficienza per definire di particolare rilevanza il compito di gestire questa risorsa. Specificamente, ci pare che la capacità di trattenere lavoratori con esperienza già consolidata costituisca una sfida importante per aziende che operano in un settore che ha risentito, e sta ancora risentendo, di una fase di crisi. Si tratta di imprese oltretutto connotate da dimensioni modeste che facilmente possono vedere aggravare la loro situazione se non riescono a costruire strategie di rilancio su modelli di business innovativi che devono trovare nelle risorse umane un solido punto di appoggio.
In questa prospettiva, si colloca il progetto di ricerca che abbiamo impostato e che stiamo sviluppando e da cui il presente articolo trae spunto, focalizzandosi sui contenuti del lavoro, in termini di che cosa il lavoro chieda e offra al lavoratore (le JDs e le JRs, già citate), per approfondire il legame tra questi elementi ed il comportamento dell’operatore al lavoro, considerando in particolare quale ruolo giochi in queste dinamiche la resilienza – tema ripreso con particolare attenzione da quando si è posto con crescente intensità e maggiore ampiezza il problema di come fronteggiare fasi di crisi.
La resilienza infatti, in quanto capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, è stata ritenuta dalla letteratura una risorsa preziosa non solo per la sua connotazione di resistenza alle pressioni dell’ambiente, ma anche per la dinamica positiva che essa implica, rendendo possibile (anzi favorendo) un atteggiamento costruttivo laddove non mancano le avversità. Il suo ruolo appare quindi decisamente importante nei momenti di difficoltà e questo spiega le ragioni dell’interesse che il fenomeno ha raccolto nell’ultimo decennio connotato da una pesante crisi economica, che non ha ovviamente trascurato il settore che stiamo esaminando.
Lo studio che abbiamo condotto ci ha offerto alcuni risultati interessanti, che ci pare utile presentare e discutere con l’obiettivo di fornire indicazioni e spunti di riflessione non solo per manager e operatori attivi nel contesto delle agenzie di viaggio ma anche per coloro che, più in generale, si trovano ad operare nel mondo del turismo e dei servizi.
Ma andiamo con ordine. Proviamo dapprima a chiarire la questione che ci ha interessato ed a sintetizzare i passaggi fonamentali della ricerca, per soffermarci poi sui primi risultati che ne sono scaturiti e ragionare quindi, nella parte conclusiva, sulle implicazioni che possiamo trarne per quanto riguarda la prassi manageriale.
Quanto sono importanti le caratteristiche del job? E quanto possono servire a trattenere gli operatori e prevenire l’intenzione di lasciare ( to quit)?
Importanti e noti contributi nell’ambito della psicologia manageriale suggeriscono la rilevanza degli stadi psicologici, di cui si fa esperienza in ambito lavorativo, e delle caratteristiche del job come predittori di alcuni esiti che le singole persone manifestano nel proprio lavoro. Ci riferiamo, ad esempio, alla motivazione, alla soddisfazione, alla qualità della prestazione, ai tassi di assenteismo e a quelli di turnover (il riferimento più classico è agli studi di Hackman e Oldham del 1976). In particolare, molte ricerche si sono soffermate sugli antecedenti di tali atteggiamenti e sui comportamenti manifestati sul lavoro. In generale, si osserva un ampio consenso sul fatto che le caratteristiche del job – assieme a quelle individuali – giochino un ruolo importante nel preannunciare alcune tipologie di comportamento. Molto interessante in questa direzione è il lavoro sviluppato da Demerouti ed alcuni colleghi, pubblicato nel 2001. Questi autori collocano il tema all’interno del modello JD-JR. Secondo questo approccio, basato sulla teoria dello scambio sociale, le caratteristiche del lavoro possono essere classificate in due macro gruppi: le JDs, ovvero quelle caratteristiche del lavoro che si configurano come “richieste” che provengono dal lavoro, ovvero ciò che il lavoro reclama dal lavoratore in termini di sforzi e sacrifici, e le JRs, ossia le ‘ricchezze’ che derivano dal lavoro, ovvero quelle caratteristiche del medesimo che offrono ‘qualcosa’ di positivo al lavoratore, arricchendolo e compensandolo.
Secondo il modello JD-R, le condizioni di lavoro fanno riferimento al contesto nel suo insieme e comprendono gli aspetti psicologici, sociali ed organizzativi del job (Schaufeli et al, 2009; Schaufeli e Taris, 2014). Ricerche svolte dagli autori hanno dimostrato che queste componenti giocano un ruolo prioritario nel predire attitudini e comportamenti positivi al lavoro e, al pari, nel prevenirne di negativi.
Ma cosa sono specificamente quelle che abbiamo definito come le JDs? Gli studiosi le qualificano come tutti quegli sforzi a livello sia fisico che mentale che un job richiede e che si associano a svariati costi di natura fisiologica e psicologica. Correlatamente, le JRs sono quegli elementi di un lavoro che aiutano a raggiungere gli obiettivi (personali ed organizzativi), che riducono l’impatto delle JDs e che favoriscono la crescita personale e professionale. Le JRs sono quindi collegate con il benessere percepito e con il coinvolgimento nel lavoro (come confermano gli studi di Bakker e Demerouti, 2007), mentre le JDs rappresentano fattori impoverenti.
Alcuni studi hanno rimarcato, ad esempio, come le JDs drenino energie fisiche ed emotive e conducano a prestazioni modeste e siano positivamente collegate a condizioni psicologiche di burnout dei lavoratori – quella sindrome patologica di natura stressogena che conduce a forme di esaurimento del lavoratore. In particolare, la pesantezza del lavoro ed i conflitti di ruolo sono indicati tra le JDs più incidenti.
Nonostante il rilevante interesse, in questo ambito di ricerca, per l’approfondimento delle conseguenze (grande attenzione hanno avuto la prevenzione di situazioni di stress e comportamenti controproducenti), assai meno approfondito pare il tema dell’intention to quit, ovvero l’intenzione dichiarata di lasciare il proprio impiego. La letteratura ci spiega che l’intenzione è un valido predittore di un comportamento successivo e si configura pertanto come un elemento da considerare con cura. Si tratta a nostro avviso di un comportamento interessante da analizzare, capire e prevenire, in modo particolare in settori, quali quelli di servizi, nei quali la continuità dello staff è una delle condizioni principali per garantire servizi di qualità. Non mancano infatti evidenze del fatto che alti tassi di turnover si ripercuotano negativamente sulle prestazioni.
Si rileva pertanto la necessità di indagare gli antecedenti e le determinanti del proposito di abbandonare il lavoro da parte dell’operatore. Secondo precedenti studi una delle più rilevanti caratteristiche del lavoro, e che induce il lavoratore a lasciare il proprio lavoro, pare essere quella dei così detti role stressors, ovvero dei fattori stressanti, mentre un ruolo positivo è giocato dal supporto sociale, ossia dal sostegno che gli stessi percepiscono da parte dei propri capi e dei propri colleghi. Nell’uno e nell’altro caso, ci si riferisce a caratteristiche che declinano il modello JD-JR.
In particolare, ci sembrava interessante approfondire questi aspetti con riferimento alle agenzie di viaggio, attori di primo piano nella filiera turistica, in profonda trasformazione. Il nostro interesse si concentra sulla relazione che JRs e JDs sviluppano con riferimento all’ intention to quit.
Il passaggio successivo della nostra riflessione si rivolge ad esaminare quale ruolo possa interpretare la resilienza, che, per le caratteristiche menzionate sopra, può qualificarsi come interessante elemento nella relazione che andiamo ad osservare.
La resilienza: è una moda? Quale contributo nel favorire outcomes positivi?
In alcuni studi specificamente rivolti al settore di nostro interesse, si segnala come sia importante accrescere la capacità di resilienza nell’attuale forza lavoro. Questo ci ha spinto ad approfondire la questione.
La resilienza costituisce un costrutto non nuovo nell’ambito degli studi di comportamento organizzativo: già considerato a partire dagli anni 90, ha riscosso crescente interesse nell’ultimo decennio e da diverse prospettive, quella inter-organizzativa (Kahn et al., 2016) e quella organizzativa (Ortiz-De-Mandojana e Bansal, 2016). Recentemente se ne è approfondito il ruolo in qualità di antidoto per superare le crisi organizzative (Jones, 2012; Teo et al., 2017).
Di cosa si tratta? La resilienza viene definita come la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, di venire fuori dalle avversità o dai fallimenti o persino da eventi positivi che, implicando crescente responsabilizzazione, possono mettere in difficoltà (Luthans, 2002). Non a caso, viene sottolineato che la resilienza può incorporare sia ostacoli e contrattempi negativi che eventi positivi, ma potenzialmente schiaccianti (Youssef e Luthans, 2007).
Molte sono le aree nelle quali la resilienza – e le modalità con le quali può essere supportata – è stata studiata. Per esempio, alcuni autori hanno enfatizzato come interventi di tipo formativo possano essere volti a migliorare la capacità di resilienza; altri autori si sono concentrati su come sia possibile misurarla, altri ancora hanno investigato l’impatto direttamente prodotto sulle prestazioni. Pochi studi hanno analizzato questo concetto nell’ambito della prospettiva del modello delle JDs e JRs. A noi pare invece che esista un legame tra gli elementi di cui le JDs e le JRs si compongono e la resilienza e che tale legame possa offrire spunti interessanti come predittore di comportamenti e attitudini dei singoli operatori. L’obiettivo del nostro studio è quello di comprendere l’effettivo contributo della resilienza rispetto agli outcome individuali degli operatori delle agenzie di viaggio. Inoltre, ci interessa indagare come la medesima resilienza possa rappresentare un elemento rilevante, da un lato, nell’amplificare le caratteristiche positive del lavoro (JRs) e, dall’altro lato, nell’assorbirne i caratteri negativi (JDs), con la finalità ultima di garantire la permanenza degli operatori nel proprio lavoro.
Come si è configurata la nostra ?
Per approfondire i temi sopra introdotti abbiamo predisposto un questionario online, utilizzando domande già testate in precedenti ricerche. Un invito via email alla compilazione è stato mandato alle agenzie di viaggio, i cui elenchi sono disponibili in registri provinciali pubblici, spiegando i nostri obiettivi e chiedendo la loro collaborazione. A seguito di due solleciti sono pervenute 200 risposte; di queste 100 questionari sono stati compilati in maniera completa e sono pertanto risultati utilizzabili ai fini della nostra ricerca.
Come abbiamo approfondito l’argomento prescelto?
Con l’intento di verificare l’effetto della resilienza, delle JDs e JRs sull’intention to quit, i dati raccolti sono stati analizzati attraverso un modello statistico di regressione lineare. Tale modello ha consentito di verificare: 1) la significatività della relazione fra resilienza e intention to quit, 2) la relazione fra JDs e resilienza nel predire intention to quit, 2) la relazione fra JRs e resilienza nel predire intention to quit.
Oltre alla variabile dipendente ‘intenzione di lasciare il proprio lavoro’, misurata con una singola domanda valutata su una scala di risposta da 1 a 5, sono state altresì incluse nel modello di regressione le scale di misurazione relative alle variabili indipendenti. In particolare, con lo scopo di misurare la resilienza è stata utilizzata la scala di ego-resilienza, adattata e validata da Alessandri e colleghi (2007). I role stressors, o JDs, introdotti nel questionario sviluppavano quattro aspetti considerati dalla letteratura di particolare importanza (Firth et al., 2004): l’ambiguità di ruolo, i conflitti di ruolo, il sovraccarico lavorativo e i conflitti lavoro-famiglia, ciascuno indagato da tre items. Per quanto concerne le JRs, ne sono state inserite quattro, scelte tra quelle che gli studi in materia hanno privilegiato. Nel dettaglio si tratta di: sviluppo delle skills, supporto da parte dei colleghi, autonomia e varietà (Karasek et al., 1998).
Nel modello di regressione sono state considerate altresì alcune variabili di controllo – età, sesso, livello di istruzione, ruolo ricoperto in azienda, anzianità aziendale – per loro natura correlate con il fenomeno di interesse e che potrebbero quindi rendere spuria la relazione tra l’intenzione di lasciare il lavoro, livello di autonomia e resilienza.
L’elaborazione dei dati ci ha confermato le ipotesi che avevamo formulato. Specificamente è stato avvalorato che le JDs hanno un effetto positivo sull’intention to quit, mentre le JRs incidono negativamente. Per quanto riguarda il ruolo della resilienza, questa svolge un importante ruolo nel prevenire l’intenzione di lasciare il proprio lavoro da parte degli operatori e al contempo rappresenta una variabile che ha un ruolo fondamentale nel caratterizzare la relazione fra JDs ed intenzione di lasciare il lavoro e fra JRs e la stessa intenzione di abbandonare.
I risultati di questo studio evidenziano un legame di natura statisticamente significativa fra resilienza e JDs nel prefigurare l’intenzione di lasciare il proprio lavoro. In particolare si dimostra che alcuni elementi potenzialmente stressanti, quali appunto le JDs e in particolare la possibilità di conciliare vita privata-vita lavorativa, vanno ad incidere sulla dimensione della resilienza individuale conducendo quest’ultima, a sua volta, alla riduzione della propensione degli individui di lasciare il proprio lavoro.
Parallelamente, la stessa resilienza, secondo il nostro studio, risulta collegata in modo significativo e positivo (come pare facilmente anche intuibile) alle singole JRs qui indagate. I risultati emersi evidenziano dunque il ruolo centrale della resilienza nel ridurre la propensione di abbandonare il proprio impiego nonché l’esistenza di un legame fra la stessa resilienza e le JRs che tende a rafforzare l’azione congiunta delle sopracitate variabili nel trattenere gli individui nel proprio lavoro. In particolare quando nel nostro modello di regressione multipla viene inclusa la variabile resilienza, le JRs che già impattano in modo significativo e inverso sulla propensione a lasciare il proprio lavoro assumono, insieme alla resilienza anch’essa significativa, una ‘forza’ ancora superiore nel ridurre l’intenzione dei singoli di rinunciare alla propria occupazione.
I risultati dello studio dimostrano che la presenza di resilienza favorisce, nel contesto di analisi, la riduzione dell’intenzione di lasciare il proprio lavoro e dunque la propensione a restare. Al contempo, i risultati evidenziano come la stessa resilienza contribuisca ad amplificare l’azione delle JRs nel trattenere i lavoratori e contemporaneamente si dimostri in grado di ‘assorbire’ ed alleviare l’effetto delle tensioni derivanti dagli elementi stressogeni del ruolo.
Quali implicazioni possiamo trarre?
Cosa suggerisce ai manager questo tipo di ricerca? Cosa propone in primis per coloro che operano in agenzie di viaggio? Sicuramente alcune indicazioni su cui è utile riflettere. Vediamo di richiamarle brevemente.
Il nostro obiettivo era esaminare il ruolo giocato dalla resilienza come variabile chiave in grado non solo di ridurre l’intenzione di lasciare la propria occupazione ma anche come elemento in grado di amplificare o assorbire l’azione delle JRs e JDs come antecedenti dell’intenzione di restare nella corrente occupazione.
Secondo la nostra opinione, la questione – è bene ribadirlo – ha un certo rilievo in quanto, da un lato, si attribuisce alla resilienza uno spazio cruciale per la sopravvivenza dell’impresa e, dall’altro, l’insieme dei fattori costitutivi il modello JD-R è in grado di influenzare gli esiti del lavoro. Cosa emerge quindi dall’analisi che abbiamo svolta?
Innanzitutto, la relazione positiva tra JDs e intention to quit e quella negativa tra JRs e lo stesso proposito ci conferma quanto sia rilevante l’indicazione di gestire in maniera equilibrata le diverse dimensioni del lavoro in modo da ridurre il rischio che gli operatori lascino la propria occupazione; fatto che per le agenzie di viaggio – al pari di tutte le imprese di servizi – non può che essere percepito nella sua negatività e per contrastare il quale è quindi opportuno esse si attrezzino. In particolare, va prestata attenzione a ciascuno dei fattori che influenzano il lavoro: per quanto possa apparire ovvio, l’esperienza dimostra la facilità con la quale questi stessi aspetti possano essere sottovalutati, soprattutto se letti dal punto di vista del singolo operatore. Al contrario, è buona e saggia prassi manageriale che ognuno di questi componenti sia curato e soprattutto che si ponga l’attenzione a come questi vengano percepiti dagli operatori.
Relativamente alla resilienza, il suo ruolo nella relazione tra le JDs e l’intenzione di lasciare ci conferma quanto questa sia una risorsa preziosa in situazioni ed in contesti organizzativi difficili e complessi. Al tempo stesso, l’importanza della resilienza nell’amplificare l’effetto delle JRs sul proposito di abbandonare il lavoro è evidente, confermando l’importanza che esse assumono tra le condizioni di lavoro.
Pare evidente che le agenzie di viaggio – e più in generale le imprese che offrono servizi, che fondano quindi il loro vantaggio competitivo sulla qualità del servizio erogato dai loro lavoratori – traggano beneficio dal tenere nella dovuta considerazione questi elementi. In particolare, la sfida manageriale che deve essere colta è costituita da un adeguato bilanciamento di tutte le dimensioni del lavoro, i cui effetti sul clima organizzativo, in generale e sullo specifico dell’intenzione di lasciare sono palesi e diretti. In questa direzione un ruolo importante può essere giocato dalla formazione, cui è affidato un ruolo importante nel favorire lo sviluppo della resilienza, secondo le modalità proprie delle soft skills.
Infine, è di tutta evidenza che occorre approfondire ulteriormente il tema, sia allargando la base di analisi (vale a dire coinvolgendo un numero maggiore di agenzie) sia considerando ulteriori aspetti che possono incidere nella dinamica dell’intention to quit, a partire dai contenuti della professione al più ampio contesto strategico, dalle componenti del clima organizzativo così come al grado di fit tra persona e organizzazione. Insomma, molto spazio resta per gli sviluppi della ricerca.
Bibliografia
Alessandri G., Vecchio G., Steca P., Caprara M.G., & Caprara G.V. (2008). A revised version of Kremen and Block’s ego-resiliency scale in an Italian sample. Testing, Psychometrics, Methodology in Applied Psychology, 14, 1-19.
Bakker, A. B. and Demerouti, E. (2007). The Job Demands‐Resources model: state of the art, Journal of Managerial Psychology, 22(3), pp.309-328.
Branzei, Oana and Abdelnour, Samer. 2010. Another day, another dollar: Enterprise resilience under terrorism in developing countries .Journal of International Business Studies, 41(5), pp.804-825
Demerouti, E., Bakker, A.B., Janssen, P.P.M. and Schaufeli, W.B. (2001). Burnout and engagement at work as a function of demands and control. Scandinavian Journal of Work, Environment & Health, 2, pp.279-286.
Firth, L., Mellor, D. J., Moore, K. A., & Loquet, C. (2004). How can managers reduce employee intention to quit?. Journal of managerial psychology, 19(2), 170-187.
Hackman, J.R., and Oldham, G. R. (19 76). Motivation through the design of work: test of a theory. Organizational Behavior and Human Performance, 16, 250.
Jones, J. R. (2012). Manage workplace chaos by building your resilience: Jane Redfern Jones on coping with the stresses of nursing. Nursing Standard, 27(3), 63-63.
Kahn, W., Barton, M., Fisher, C., Heaphy, E., Reid, E., & Rouse, E. (2017). The Geography of Strain: Organizational Resilience as a Function of Intergroup Relations. Academy of Management Review, amr-2016.
Karasek, R., Brisson, C., Kawakami, N., Houtman, I., Bongers, P., & Amick, B. (1998). The Job Content Questionnaire (JCQ): an instrument for internationally comparative assessments of psychosocial job characteristics. Journal of occupational health psychology, 3(4), 322-355.
Luthans, F. (2002). The need for and meaning of positive organizational behavior. Journal of organizational behavior, 23(6), pp. 695-706.
Ortiz-De-Mandojana, N. and Bansal, P. (2016). The long‐term benefits of organizational resilience through sustainable business practices, Strategic Management Journal, 37(8), pp.1615-1631
Saks, A.M. 2006. Antecedents and consequences of employee engagement, Journal of Managerial Psychology, 21(7), 600-619.
Schaufeli, W. B., and Taris, T. W. (2014). A critical review of the Job Demands-Resources Model: Implications for improving work and health. Bridging occupational, organizational and public health, 43-68, Springer Netherlands.
Schaufeli, W. B., Bakker, A. B., and Van Rhenen, W. (2009). How changes in job demands and resources predict burnout, work engagement, and sickness absenteeism. Journal of Organizational Behavior, 30(7), pp. 893-917.
Teo, W. L. , Lee, M. , Lim, W.‐S.. (2017).The relational activation of resilience model: How leadership activates resilience in an organizational crisis. Journal of Contingencies and Crisis Management, 25(3), pp.136-147.
Youssef, C. M., & Luthans, F. (2007). Positive organizational behavior in the workplace: The impact of hope, optimism, and resilience. Journal of management, 33(5), 774-800.
Yücel, I. (2012), “Examining the Relationships among Job Satisfaction, Organizational Commitment, and Turnover Intention: An Empirical Study”, International Journal of Business and Management, 20(7), pp. 44–58.