Negli ultimi si affermato tra studiosi e addetti ai lavori il concetto di “organizzazione ambidestra”, secondo cui il perseguimento simultaneo di stabilità e innovazione diventa elemento qualificante dell’organizzazione stessa. L’articolo prende in esame le principali concezioni di ambidestrismo organizzativo, accompagnando gli argomenti con riferimenti alla realtà delle imprese contemporanee.
Introduzione
Per sopravvivere e svilupparsi, le organizzazioni, ed in particolare le imprese, devono tipicamente fronteggiare due esigenze contrapposte: da un lato sono chiamate a rispondere in modo efficace alle istanze di cambiamento e innovazione provenienti dall’ambiente, dall’altro sono tenute a preservare le condizioni di efficienza nello svolgimento dei propri processi interni. In uno dei contributi classici della teoria organizzativa, J.D. Thompson (1967) sostiene che le organizzazioni si dotano di organi che operano in modo flessibile per poter consentire alle attività principali (che rappresentano il cosiddetto “nucleo tecnico”) di funzionare con il massimo livello di prevedibilità.
La tensione tra efficienza e innovazione è dunque un problema fondamentale nella progettazione delle strutture di impresa, ed è alla base dello sviluppo di una serie di soluzioni alternative nel disegno organizzativo. Queste vanno dalla differenziazione delle unità in rapporto ai “problemi ambientali” affrontati, all’introduzione di meccanismi di integrazione (ad esempio nel caso dell’inserimento di product manager o project manager nelle strutture funzionali) fino alla identificazione di vere e proprie forme di organizzazione appositamente concepite per garantire equilibrio tra stabilità e dinamismo (ad esempio, nel caso delle forme a matrice).
Storicamente il paradosso tra efficienza e innovazione veniva comunque risolto dalle imprese assegnando priorità ad uno dei due obiettivi e adottando forme prevalentemente “meccaniche/rigide” oppure “organiche/flessibili”. La necessità di attribuire eguale importanza a efficienza e innovazione tendeva ad essere limitata a fasi circoscritte della vita aziendale o confinata a settori con caratteristiche ed esigenze del tutto peculiari.
Negli ultimi decenni, tuttavia, la grande turbolenza ambientale e l’accelerazione delle dinamiche competitive hanno generato per la maggior parte delle imprese una sorta di imperativo a perseguire simultaneamente percorsi di cambiamento e esplorazione e obiettivi di sfruttamento efficiente di risorse e conoscenze.
Si è fatto strada perciò tra studiosi e addetti ai lavori il concetto di “organizzazione ambidestra”, secondo il quale la capacità di perseguire continuamente e contemporaneamente stabilità e innovazione diventa elemento qualificante e costitutivo dell’organizzazione stessa.
L’idea di “organizzazione ambidestra”
In un articolo pubblicato nel 2013 da Academy of Management Perspectives e intitolato Organizational Ambidexterity: Past, Present and Future, Charles A. O’Reilly e Michael L. Tushman ripercorrono le tappe salienti attraverso le quali si è sviluppata l’idea di “organizzazione ambidestra”. Il principale riferimento dei due autori è il lavoro seminale di James March (1991), il quale notava che la sfida più importante per un’organizzazione consiste nella capacità di trarre profitto dalle risorse e dalle attività esistenti (exploitation) e contemporaneamente esplorare (exploration) nuove strade, per evitare che i cambiamenti nei mercati e nelle tecnologie rendano irrilevanti le basi del suo vantaggio competitivo.
Il bilanciamento tra exploration e exploitation è appunto l’elemento chiave dell’organizzazione ambidestra. Si tratta però di un equilibrio difficile da perseguire, soprattutto perché le imprese tendono a privilegiare l’exploitation, in quanto associata a profitti certi nel breve periodo. D’altro canto l’exploration è per sua natura una attività inefficiente, perché porta inevitabilmente ad un accumularsi di “cattive idee” o di progetti non praticabili. Al tempo stesso, una certa quantità di esplorazione è vitale per far sì che l’impresa non soccomba di fronte al cambiamento.
Gli stessi Tushman e O’ Reilly nel 1996 osservavano come molte imprese siano riuscite a sopravvivere e cambiare attraverso i decenni proprio grazie al loro carattere ambidestro. A partire da questa considerazione, molte ricerche si sono successivamente sviluppate sul tema, con gli obiettivi principali di: dimostrare l’esistenza di un nesso tra ambidestrismo e performance delle organizzazioni, comprendere attraverso quali strumenti può essere progettata e gestita una organizzazione ambidestra, identificare le condizioni ambientali nelle quali è più utile per un’impresa sviluppare un orientamento ambidestro.
La figura 1 riassume gli elementi principali attorno all’idea di organizzazione ambidestra.
Figura 1. Ambidestrismo organizzativo e performance: determinanti, forme e condizioni
Fonte: Raisch e Birkinshaw (2008) con adattamenti
Le osservazioni empiriche, sia a livello di singoli casi di successo che nella forma di studi longitudinali su grandi basi di dati, hanno fornito un’evidenza molto solida della relazione positiva tra ambidestrismo e performance. Un ulteriore elemento che emerge dalle analisi condotte sul tema riguarda l’effetto contingente dell’ambidestrismo organizzativa. In particolare, l’orientamento ambidestro è maggiormente premiato in condizioni di elevata incertezza e in presenza di risorse in eccesso.
Forme di ambidestrismo organizzativo
Se vi è un buon livello di consenso sulla relazione tra ambidestrismo e performance, c’è maggiore incertezza attorno alla definizione e classificazione delle forme di ambidestrismo. O’ Reilly e Tushman propongono di distinguere tra ambidestrismo sequenziale, strutturale e contestuale.
Imprese sequenzialmente ambidestre
Un’impresa che persegue una ambidestrismo sequenziale è sostanzialmente in grado di cambiare la propria struttura nel tempo allineandola con l’evoluzione della propria strategia. Per esempio, in uno studio longitudinale su Hewlett – Packard, House e Price (2009) mostrano come l’impresa statunitense sia stata capace di oscillare tra assetti orientati all’esplorazione e assetti funzionali all’exploitation nel corso del tempo, gestendo varie transizioni, dagli strumenti elettronici ai mini computers; dalle stampanti ai servizi.
A simili conclusioni giungono altri studi effettuati su grandi imprese come IBM, Hearst Corporation, Fuji e Ford. Al tempo stesso, non mancano gli esempi negativi di grandi organizzazioni che non hanno saputo adattarsi ai cambiamenti, in mancanza di una attitudine ambidestra: Kodak, Polaroid, Boeing sono solo alcuni dei casi di fallimento in questo senso. L’interpretazione sequenziale dell’ambidestrismo lascia tuttavia irrisolte alcune questioni legate all’effettivo significato della transizione tra modalità explorative e modalità exploitative. In altre parole, è sufficiente osservare cambiamenti successivi di struttura e di business model per sostenere che ci si trova di fronte ad una organizzazione ambidestra? Questo percorso è stato compiuto, come abbiamo appena accennato, da Hewlett-Packard, la quale però ha sostanzialmente fallito il passaggio al business dei servizi, nonostante la propria riconversione organizzativa. Questa osservazione dunque depone a favore dell’idea che l’adattamento sequenziale delle strutture non corrisponda necessariamente un carattere ambidestro dell’impresa.
Imprese strutturalmente ambidestre
Il concetto di organizzazione strutturalmente ambidestra appare più utile rispetto all’idea di ambidestrismo sequenziale a chiarire il modo con cui le organizzazioni risolvono il trade-off tra stabilità e innovazione. Un’organizzazione strutturalmente ambidestra persegue simultaneamente entrambi gli obiettivi attraverso unità separate. Per esempio, le unità organizzative che presiedono il core business hanno la responsabilità di garantire l’allineamento dei processi organizzativi con i prodotti e i mercati esistenti, mentre le unità dedicate alla ricerca e sviluppo hanno il compito di sondare nuovi mercati, sperimentare nuove tecnologie e rilevare tendenze emergenti nell’ambiente competitivo.
La differenziazione strutturale può anche riguardare unità che sono responsabili di interi business. Un’impresa può considerarsi strutturalmente ambidestra, ad esempio, anche nel caso in cui presenti un portafoglio di business costituto da varie divisioni, ciascuna delle quali opera in mercati caratterizzati da tassi di innovazione differenti. Recenti contributi su Harvard Business Review (ad es. Nagji & Tuff, 2012) si spingono a definire una regola 70 – 20 – 10 che suggerisce l’appropriata ripartizione percentuale rispettivamente tra investimenti in innovazioni incrementali nel core business (“safe bets”), innovazioni in business adiacenti, e iniziative di innovazione radicale e ad alto rischio.
In presenza di queste condizioni la separazione strutturale delle unità è necessaria perchè, in coerenza con l’obiettivo di exploration o di exploitation sono richieste differenti competenze, sistemi operativi, incentivi, processi e culture.
In un’impresa strutturalmente ambidestra le unità differenziate sono “tenute insieme” da una prospettiva strategica comune, da un sistema di valori unificante, ma anche da appositi meccanismi di integrazione. In questa concezione ricorre l’idea classica di bilanciamento tra differenziazione e integrazione resa popolare dalla teoria delle contingenze organizzative di Lawrence e Lorsch (1967).
Le imprese strutturalmente ambidestre inoltre necessitano di una leadership efficace che sia in grado di bilanciare le tensioni associate a fabbisogni organizzativi contrastanti.
Tabella 1. Ambidestrismo strutturale e contestuale. Le principali differenze.
Impresa strutturalmente ambidestra | Impresa contestualmente ambidestra | |
Come si costruisce l’ambidestrismo | Le attvità orientate all’efficienza e all’esplorazione sono svolte da unità o da gruppi diversi | I singoli individui ripartiscono il loro tempo attività di exploration e exploitation |
Dove vengono prese le decisioni riguardanti il trade-off exploration – exploitation | In corrispondenza del vertice | Ai livelli operativi |
Ruolo del top management | Definire la struttura creando una dualità tra exploration e exploitation | Orientare il contesto organizzativo |
Natura dei ruoli | Relativamente ben definiti | Relativamente flessibili |
Competenze del personale | Specialistiche | Generaliste |
Fonte: Birkinshaw e Gibson (2004)
In generale, tuttavia, la separazione richiesta dall’ambidestrismo strutturale può condurre all’isolamento delle unità. In molti casi le idee sviluppate dai teams di ricerca e sviluppo e business development non vengono accettate perché non vi sono dei collegamenti appropriati con le unità del core business. Per questo motivo, come accennato in precedenza, le imprese possono ricorrere a soluzioni diverse per mitigare il contrasto tra obiettivi e culture insito nelle strutture duali. Tuttavia si tratta sempre di soluzioni top-down, nelle quali la responsabilità di dividere e integrare spetta ai top managers, che sono i soli responsabili dell’assegnazione di ricorse e persone a compiti di esplorazione o di exploitation. Secondo varie osservazioni e studi condotti da Julian Birkinshaw e Cristina Gibson (2004) e ripresi da O’ Reilly e Tushman (2013), un’organizzazione intimamente ambidestra dovrebbe invece fare leva sulle capacità di tutti i dipendenti di allocare i propri sforzi su attività funzionali all’efficienza e attività orientate all’innovazione. Questa propensione organizzativa dà vita alla cosiddetta ambidestrismo contestuale.
Imprese contestualmente ambidestre
L’organizzazione contestualmente ambidestra si distingue da quella dotata di ambidestrismo strutturale per una serie di aspetti importanti (tabella 1), anche se secono Birkinshaw e Gibson (2004) i due approcci possono essere considerati complementari. L’orientamento contestualmente ambidestro fa soprattutto riferimento agli individui piuttosto che alle strutture. In particolare, si riconoscono alcuni attributi chiave dei comportamenti individuali ambidestri:
- Capacità di prendere iniziative e identificare opportunità al di fuori dei confini della propria mansione.
- Attitudine alla cooperazione e alla combinazione degli sforzi individuali
- Capacità di mediare e costruire collegamenti e opportunità di comunicazione
- Attitudine al “multitasking” associata ad una personalità che tollera bene situazioni ambigue ed è capace di gestire diversi ruoli
- Autonomia di azione, combinata ad un fondamentale allineamento culturale con gli obiettivi strategici di base dell’impresa.
Nel complesso, questi comportamenti possono essere attivati in presenza di un contesto organizzativo che ne faciliti l’espressione. Per questo, a livello organizzativo, l’ambidestrismo contestuale può essere definita come una “organizational capability” di ordine superiore, in coerenza con la definizione classica di “dynamic capability” fornita da Teece, Pisano e Shuen (1997), secondo i quali le dynamic capabilities sono definite in generale come “la capacità dell’impresa di integrare, costruire e riconfigurare competenze interne ed esterne per affrongare ambienti in rapido cambiamento” (Teece, Pisano & Shuen, 1997, p. 516)”. In questo senso, una dynamic capability è una “competenza che riguarda le competenze” ed è esattamente ciò di cui si parla quando si richiama il concetto di ambidestrismo contestuale.
Esempi di modelli organizzativi tra ambidestrismo strutturale e contestuale
Uno dei casi più vividi di ambidestrismo contestuale nell’organizzazione aziendale è dato dal sistema di produzione Toyota nella descrizione offerta da Adler, Goldoftas and Levine’s (1999).
Nel modello Toyota lavoratori di stabilimento svolgono le attività di routine riguardanti l’assemblaggio di automobili (exploitation), ma sono anche chiamati a sperimentare e suggerire nuove modalità più efficienti di svolgimento del proprio lavoro (exploration).
In questo contesto, la cultura organizzativa e i sistemi operativi creano le condizioni per cui i lavoratori possono perseguire contemporaneamente l’orientamento all’efficienza e all’innovazione: la struttura gerarchica molto chiara si combina con la libertà decisionale del dipendente; le informazioni vengono trasferite in modo fluido tra i livelli e orizzontalmente; il management incoraggia i dipendenti a partecipare attivamente a gruppi e network di discussione, utilizzando l’informazione disponibile per generare nuova conoscenza, per trovare soluzioni ai problemi e immaginare cambiamenti rispetto allo status-quo; gli investimenti in formazione e sviluppo di nuove competenze sono destinati a tutti i livelli dell’organizzazione e a tutte le figure professionali.
Per evidenziare l’adozione di entrambe le logiche di ambidestrismo organizzativo si può invece richiamare Il caso di Google Inc.
La riorganizzazione a livello corporate di Google con la creazione della nuova parent company Alphabet rappresenta un chiaro tentativo di potenziare la dimensione strutturale dell’ambidestrismo.
La nuova configurazione separa i business “consolidati” come Google Search e YouTube dalle iniziative imprese più rischiose o non-core come GoogleX e Google Capital. La struttura “a ombrello” con diversi business sotto Alphabet permette di combinare obiettivi di sperimentazione con la necessità di proteggere l’integrità dei brands. Una configurazione a business units modulari permette anche di ottenere una maggiore flessibilità strategica per far fronte a ambienti competitivi eterogenei. Inoltre, questa soluzione rende più facile la sperimentazione e l’innovazione attraverso fusioni e acquisizioni, in quanto riduce notevolmente i problemi di integrazione post M&A.
D’altra parte, Google è nota anche per una cultura aziendale pienamente coerente con lo status di organizzazione contestualmente ambidestra. La cultura organizzativa di Google supporta lo sviluppo di dynamic capabilities, attraverso la costante attenzione verso il cambiamento ambientale da parte del management e dei dipendenti. Lo stesso processo di reclutamento e selezione è concepito con l’obiettivo esplicito di identificare persone in grado di affrontare e gestire il cambiamento, accettando significativi livelli di autonomia e responsabilità.
La comunicazione interna punta dichiaratamente sulla trasparenza e l’apertura, con l’obiettivo di aumentare la fiducia nei dipendenti. Il management inoltre cerca di limitare la dimensione burocratica e procedurale delle mansioni per agevolare la comunicazione e la collaborazione tra i colleghi.
Dal punto di vista dei task individuali, Google applica la già citata regola del 70-20-10 per cento. In particolare, il 70 per cento del tempo del dipendente dovrebbe essere impiegato nelle attività relative al core business, il 20 per cento su progetti di miglioramento incrementale relativi al core business e il 10 per cento per progetti di innovazione non legati al core business. Gli Ingegneri hanno così la possibilità di usare una frazione importante dell’orario di lavoro per perseguire lo sviluppo di propri progetti di innovazione. Allo stesso modo, i dipendenti che in diverse unità abbiano idee che desiderano sviluppare in autonomia hanno la possibilità di perseguire queste iniziative ancora secondo la regola 70-20-10, anche interagendo con personale di altre unità. L’attività di perseguimento di progetti innovativi, in accordo con l’idea di ambidestrismo contestuale, viene effettuata in parallelo all’assolvimento dei compiti quotidiani.
Considerazioni conclusive
Al termine del loro articolo di discussione sul concetto di ambidestrismo organizzativo, O’ Reilly e Tushman (2013) riprendono la riflessione fondativa di James March (1991), e sottolineano ancora una volta come alla radice delle possibilità di sopravvivenza e sviluppo a lungo termine di un’impresa vi sia la tensione tra la lo sfruttamento corrente delle risorse e l’esplorazione proiettata al futuro. Il concetto di organizzazione ambidestra, nelle sue diverse espressioni (sequenziale, strutturale e contestuale) aiuta a spiegare, per esempio, come IBM sia stata in grado di passare dalla produzione di hardware ai mercati del software e soprattutto dei servizi, oppure come Hewlett Packard abbia sperimentato una transizione di successo da creatore di dispositivi elettronici per mini computer a specialista nelle stampanti, per poi fallire nella sua metamorfosi in service-provider. Ancora, l’organizzazione ambidestra si rinviene nella gestione dei dipendenti dello shop floor da parte di Toyota, o nella recente trasformazione societaria di Google, con la creazione di Alphabet come “umbrella company” di business eterogenei.
E’ importante tuttavia sottolineare, a chiusura di questo articolo, come l’utilità del concetto di ambidestrismo non vada considerata solo in relazione alle grandi aziende multinazionali. In particolare, imprenditori e manager di PMI che intendano stimolare il carattere ambidestro delle proprie organizzazioni dovrebbero considerare alcune indicazioni operative e di progettazione organizzativa, tra le quali: (1) adottare uno stile di leadership ambidestro, che combini e alterni aspetti legati all’impostazione contrattuale del rapporto di lavoro con elementi visionari e non convenzionali; (2) esternalizzare ad un partner una delle due funzioni (exploration o exploitation) mantenendo con il partner stesso uno stretto coordinamento e un rapporto di fiducia; (3) tenere conto della personalità e delle abilità ambidestre delle persone nei processi di reclutamento e selezione del personale; (4) spostare con facilità e in modo flessibile risorse tra progetti a carattere esplorativo o exploitative.
Anche le imprese di minori dimensioni possono dunque trarre spunto dai principi dell’organizzazione ambidestra per gestire al meglio le risorse scarse in ambienti sempre più dinamici e turbolenti.
Riferimenti bibliografici.
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