Rigore e rilevanza : una riflessione e una testimonianza sulla ricerca intervento
Rigore e rilevanza: il tema è cruciale nello sviluppo della ricerca organizzativa. Due criteri non in contrapposizione ma componenti di una danza che arricchisce lo sviluppo della ricerca scientifica e la soluzione di problemi acuti della società.
Più che dilungarmi in una disanima teorica che pure sarebbe utile, voglio contribuire con una testimonianza personale, ossia il lungo viaggio scientifico e professionale condotto attraverso il Centro di Ricerche e Studi dell’Organizzazione della Olivetti ( SRSO) e dell’Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi (IRSO), che dal 1970 in Italia hanno contribuito in modo innovativo sia alle teorie e alla didattica organizzativa sia alla progettazione di alcune aziende, amministrazioni, professioni. Il metodo adottato in quegli anni è stato prevalentemente quello della Ricerca Intervento
Varie modalità di impegno degli studiosi sui processi decisionali e progettuali
Vi sono diverse modalità con cui gli studiosi dell’organizzazione e del lavoro possono influire sui processi decisionali e progettuali:
- fare ricerca su temi rilevanti (per esempio il lavoro di William Foot White con Street Corner Society nella bonifica sociale delle periferie americane; il lavoro di Oliver Williamson con Market and Hierarchies nello sviluppo delle reti di impresa e dell’impresa reteper fare solo qualche esempio fra un innumerevole serie di casi)
- fare ricerca scientifica di alto profilo su commessa dei policy makers, quando essi sollevano problemi e si pongono obiettivi rilevanti
- fare formazione manageriale e imprenditoriale introducendo contenuti innovativi
- fare alto advising
- fare ricerca-intervento
L’action research , la ricerca intervento
Esaminiamo questa ultima modalità per far “danzare insieme rigore e rilevanza”.
Il termine action research fu coniato da Kurt Lewin (1947) e implicava
- Field theory: costrutto di campo; interazione fra conoscenza e azione nel contesto di una situazione reale
- Epistemologia galileiana applicata alle scienze sociali: la legge tratta dall’analisi e dalla interpretazione del fenomeno concreto; la possibilità di scoprire una legge anche nel single case
- Orientamento heisemberghiano all’intervento nella realtà: studiare i contesti sociali e insieme cambiarli , studiando gli effetti del cambiamento
- Valorizzazione dell’attore sociale: le persone sporgono oltre l’organizzazione e in qualche misura la modellano
- La principale implicazione dell’action research la è gestione della dinamica di gruppo e la partecipazione.
Kurt Lewin si occupò di cambiamento sociale ma non propose un metodo di ricerca e intervento sull’organizzazione. Chein, Cook e Harding (1948) classificano diversi tipi di action research a seconda dell’influenza del ricercatore sull’azione del committente della ricerca. La ricerca-intervento (action research, recherche action) come metodologia di analisi e intervento sulle organizzazioni venne inaugurata dal Tavistock Institute di Londra. [1]
La mia definizione di ricerca-intervento è la seguente:
Uno studio sistematico di una singola organizzazione (reparto, stabilimento, impresa, rete organizzativa)
- che parte da una diagnosi relativa a problemi acuti del cliente e da una ipotesi conoscitiva che ha cittadinanza nella comunità scientifica
- orientato verso il cambiamento concreto del modello organizzativo o di sue rilevanti proprietà
- azione esso stesso, in quanto implicante larga parte di formazione e sperimentazione
- visibile alla direzione e alle rappresentanze dei lavoratori, alla comunità scientifica e al pubblico
- che produce come output un prodotto scientifico, un cambiamento, un apprendimento.
Una testimonianza personale
In Italia la ricerca intervento si sviluppò dal 1970 a partire da due eventi.
- la nascita della sociologia dell’organizzazione e della ricerca intervento in Olivetti al Servizio di Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione (SRSO), fondato e diretto prima da Luciano Gallino e poi diretto da me.
- La nascita e lo sviluppo dell’Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi (prima RSO poi Irso), che condusse attività di ricerca, didattica, progettazione delle organizzazioni organizzativa, consulenza
La nascita del Centro di Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione in Olivetti : due versioni di rigore e rilevanza, Gallino ed io[2]
Luciano Gallino entra a far parte dell’Ufficio Studi Relazioni Sociali, una struttura a quel tempo assolutamente inconsueta all’interno di una azienda singolare, e poi ne eredita la direzione da Alessandro Pizzorno, ridenominandolo presto Centro (Servizio) di Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione (SRSO) . Nel 1960 Gallino pubblica il volume Progresso tecnologico ed evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti (1946-1959), Milano, Giuffrè., considerato l’atto di nascita della sociologia dell’organizzazione in Italia
Il tema riguarda un case straordinario che cosa aveva consentito la rapidissima crescita di un’azienda speciale che da media, se non piccola, era diventata in pochi anni una delle più grandi aziende italiane, passando in quindici anni da 5.000 dipendenti a 32.000. Quali erano stati i fattori che avevano reso possibile ciò? Certamente le condizioni esterne favorevoli di mercato e la genialità dell’imprenditore dovevano essere stati rilevanti. Ma le condizioni interne dell’impresa, anzi dell’azienda come amava ribadire spesso, dovevano essere state fondamentali: questo fu l’oggetto della sua ricerca, una investigazione sulla “biologia” dell’azienda . E questa è la sua eredità più importante coem scienziato dell’organizzazione.
Egli studiò e svelò a) le condizioni strutturali in cui si era sviluppata l’azienda , ossia l’eccellenza della ricerca e sviluppo, le straordinarie capacità produttive, il disporre di sistemi informativi all’avanguardia, la forza della rete commerciale, il brand, il design e altro: tutte aree in cui la Olivetti aveva maturato competenze straordinarie; b) le condizioni di funzionamento, ossia il modo con cui erano state integrate le diverse funzioni della struttura gerarchico-funzionale dell’azienda in una fase di intensa crescita e di relativa incertezza; c) le condizioni di competenze, ossia la singolare attenzione a reclutare le persone migliori, ad accettarne la ridondanza, a gestirle con cura e a motivarle.
In tal modo Gallino affrontava un tema di rilevanza generale: come fa a funzionare e a crescere una organizzazione complessa ad altissimo tasso di mutamento dell’ambiente economico, commerciale, sociale esterno? Il punto dirimente della sociologia dell’organizzazione e delle scienze dell’organizzazione, prima e dopo Gallino, è che l’organizzazione complessa non è una derivata dei fattori economici, di mercato, di disponibilità di risorse strumentali e umane del Paese ma ha una sua meccanica, anzi meglio una sua biologia interna. Gallino scrive: «Non è possibile spiegare in modo adeguato il comportamento di una grande impresa, ed in specie, nel caso che ci concerne, il suo dinamismo espansivo, ove ci si limiti ad esaminare le mutevoli condizioni del suo ambiente economico». Per usare una metafora l’organizzazione è come l’uovo che si schiude con un pulcino sia in virtù della sua biologia sia per essere stato fecondato e non solo per il pur necessario calore esterno.
Il secondo elemento del contributo di Gallino è l’analisi empirica e qualitativa di un caso, come quello del suo studio sull’Olivetti, che fa delle scienze dell’organizzazione una scienza empirica come la clinica medica lo è nel campo della medicina.
Il terzo elemento è la progettualità: la proposta dell’”azienda processiva”, modello derivato dall’analisi empirica, viene proposto come un modello progettuale . Ma su questo terzo punto Gallino si ferma: il progetto non deriva dall’analisi razionale, ma l’analisi innesca un processo di decisione e progettazione che ha natura diversa (non solo razionale) e il ricercatore deve coinvolgersi necessariamente nell’intervento. E questo non era nel temperamento e nell’approccio di Luciano Gallino.
Gallino nel 1969 si dimise. A me chiesero di prendere il suo posto, dicendomi che erano in corso grandi cambiamenti organizzativi e che il SRSO sarebbe stato molto utile. Malgrado che ovviamente la mia competenza scientifica non fosse minimamente paragonabile alla sua, temerariamente accettai. Avrei tentato di fare del mio meglio.
Stava avvenendo infatti un terremoto. La Olivetti, allora azienda di 40.000 dipendenti, a causa della concorrenza delle macchine digitali giapponesi, vedeva sfidare la sua tecnologia di base di prodotto e di produzione, dai pezzi di ferro ai chip. L’Olivetti sopravvisse e l’Olimpia (il suo competitor più grande) chiuse. Come fu possibile? Dopo una prima fase di panico, scoprimmo che era possibile sviluppare un modo di produzione efficace e flessibile smontando le lunghe catene di montaggio e costituendo le isole di produzione. Erano in corso alcuni innovativi esperimenti localizzati di job enrichment e di work group: li studiammo, insieme con i manager e tecnici della produzione li sperimentammo e proponemmo di farne il nuovo modello di produzione.
Iniziò il percorso che io dopo chiamerò di change management strutturale. Dopo un viaggio in America pubblicai I frantumi ricomposti: ideologia e struttura nel declino del taylorismo in America (Marsilio) e un articolo su Studi Organizzativi sulle isole di produzione che sarà tradotto in sette lingue. Iniziava così la “danza” fra da una parte a) la ricerca empirica sulle trasformazioni organizzative in USA e Europa, le capacità evolutive dell’organizzazione e delle professionalità in Olivetti e le condizioni strutturali tecnologiche e di mercato del settore delle macchine per ufficio e dall’altra b) il processo di strategia, progettazione, implementazione, formazione in una arena altamente conflittuale.
L’Amministratore Delegato della Olivetti Ammiraglio Beltrami all’inizio fu titubante nell’abbandonare le lunghe linee di montaggio ma venne convinto dalla accresciuta flessibilità produttiva e dalla responsabilizzazione delle persone, dopo un drammatico confronto di vertice in via Clerici a Milano in cui il Direttore di Produzione ing Gribaudo, il capo degli Studi Economici Franco Momigliano ed io, avemmo la meglio sui difensori delle catene di montaggio e di tempi e metodiBeltrami mi chiamava il “papà delle Isole di produzione”: ma io avevo usato un metodo che non gli piaceva, ossia quello di accompagnare i dirigenti, i tecnici, gli operai che sapevano le cose a riprogettare essi stessi l’organizzazione. Questo metodo a un militare avvezzo a dare ordini non piaceva. Quando mi chiese perentoriamente di trasformare il glorioso servizio fondato da Gallino nel suo ufficio organizzazione -ossia preparare per lui ordini di servizio- io me ne andai, buttando nella più grande costernazione mio padre, che tuttavia, essendo una grande persona, ebbe rispetto e fiducia e non contrastò questa mia scelta folle.
Ma c’era una logica in quella follia. Mi sembrava in realtà di avere una idea forte applicabile a tutta l’industria che in quel momento non riusciva ad innovarsi ed era afflitta da una conflittualità permanente: ossia una nuova organizzazione del lavoro manifatturiero flessibile e basata sulla professionalità individuale e di gruppo, sviluppata con la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Questo piaceva all’IRI e alla CISL ma non alla Fiat, alla Confindustria, alla CGIL: pensavo tuttavia che buoni progetti avrebbero convinto tutti come era avvenuto in Germania e Scandinavia, in cui Mittbestimmung e Industrial Democracy si erano sviluppati a partire da progetti esemplari che avevano convinto i più scettici.
Pensavo che avremmo dovuto fondare una cosa come il Tavistock Institute di Londra a cui partecipavano Emery, Trist, e Davis (il mio maestro dell’Università di California) che avevano voluto associarmi al Board dell’International Council for Quality of Working Life. Ma come fare: io non avevo una lira e non volevo chiedere soldi a nessuno. Ci arrivò un contratto delle acciaierie di Terni.
Solo il giorno dopo l’arrivo di questo contratto io, Adriano De Maio e altri due corremmo dal notaio e fondammo l’Istituto di Ricerca intervento sui Sistemi Organizzativi a cui presto demmo un logo: erre.esse.o., tutto per esteso. [3]
La nascita e lo sviluppo dell’Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi
Sul progetto di Terni lavorammo due anni facendo anche i turni di notte. La Terni riorganizzò poi i propri gruppi di lavoro, noi pubblicammo con Einaudi il libro Lavoro umano e prodotto tecnico in cui scoprimmo quello che chiamammo l’”organizzazione reale”: quello che si celava dietro lo squinternato concetto di organizzazione informale, ossia gli “strati organizzativi” di regolazione fatti di cultura, norme sociali, pratiche sociali, forme di cooperazione, modalità di condividere conoscenza, comunità e altro.
Alla Dalmine, alla Montedison, alla Ansaldo Ingegneria, alla Honeywell Information System e altre avviammo ricerche-intervento con taglio socio-tecnico. Molte sono nei working paper dell’Irso, alcune poi pubblicate , per es quella di Dalmine [4].
Mai pubblicato come caso ma importante per le tematiche sui sistemi professionali, oggetto di un gran numero di ricerche intervento da allora, fu il progetto condotto ai laboratori di R&S di Pregnana della Honeywell Information System, l’ex centro di Ricerca e Sviluppo della Olivetti dove si era sviluppato il primo calcolatore italiano. Eravamo stati chiamati per trovare una organizzazione migliore. L’ing. Cesa Bianchi, capo del centro, mi disse: qui la gente è geniale ma fa come vuole, comandano i vecchi marpioni; abbiamo fatto quattro organigrammi diversi e non è migliorato niente, aiutateci a trovare la migliore struttura organizzativa. Dopo una ricerca veloce gli dicemmo: lasciate perdere gli organigrammi, sono tutti equivalenti. La verità è che non siete capaci di identificare e governare la vostra organizzazione reale, che è una expert dependent organization: non siete capaci neanche di rappresentare e gestire il vostro sistema professionale, quel sistema che al tempo stesso è sistema di erogazione di servizi, sistema di gestione delle RU, sistema di identità delle persone. La ricerca si trasformò così in intervento: un progetto durato tre anni
Nella tavola seguente si vede la evoluzione dell’Istituto dal 1975 ad oggi, un soggetto che ha mantenuto la stessa partita iva e soprattutto la stessa identità.
Fondammo una nostra collana presso Franco Angeli dove pubblicammo i nostri lavori. Iniziò anche una attività di formazione manageriale . Parlavamo di ricerca-formazione: portavamo in aula i risultati delle nostre ricerche e le testimonianze dei manager che stavano realizzando cambiamenti organizzativi; puntavamo a proporre nuove idee e paradigmi che si stavano diffondendo dalle nostre e dalle altrui ricerche; imparavamo da chi veniva in aula e con cui abbiamo continuato a scambiare idee e conoscenze. , proponedo una vista diversa delle organizzazioni: i processi invece delle gerarchie, i ruoli invece delle mansioni, la leadership invece della gerarchia, i paradigmi organizzativi da orologi a organismi.
Dopo aver fondato il MIP al Politecnico, nel 1984 Adriano De Maio fondò la sua Main, che divenne presto una importante società di consulenza strategica e organizzativa italiana.
L’Istituto nel 1986 si divide in due: l’Istituto RSO ispirato al Tavistock e titolare del marchio che fa ricerca e alta formazione e diverse RSO srl, autorizzate ad usare lo stesso marchio (Progetto, Futura, Sviluppo etc) che confluiranno presto nella RSO spa, una società di consulenza e formazione, ispirata alla GEA e all’IFAP.
La RSO spa fa progetti con un grandissimo numero di imprese e pubbliche amministrazioni, da Mondadori a Boheringer Ingelheim, da Univac a Cassina, da Akzo a Merloni, e cresce fino a raggiungere circa 50 professionisti, provenienti dalle migliori aziende italiane da Pirelli a 3M. In tutti questi progetti, anche quando non si trattò di ricerca-intervento, veniva adottata un approccio clinico: studiare il problema e la situazione, proporre e sviluppare cambiamenti insieme alle persone.
All’Istituto RSO si erano frattanto uniti studiosi di diverse discipline, adottando l’interdisciplinarietà come epistemologia e come metodo di intervento: Sebastiano Bagnara, psicologo cognitivo; Giorgio De Michelis, informatico; Giulio Sapelli, storico d’impresa; Federico Maria Butera, progettista di ambienti abitati; Sergio Capranico, psicologo dell’organizzazione; Dario Barassi, economista; Paolo Perulli, sociologo dello sviluppo locale; Gianfranco Dioguardi, docente di organizzazione aziendale e imprenditore; Emanuele Invernizzi, studioso di comunicazione organizzativa; Angelo Pichierri, sociologo industriale e più tardi Massimo Saita, economista aziendale e altri.
Nel 1988 l’Istituto organizza a Camogli un pionieristico workshop internazionale sull’impresa rete (che, come disse il prof Chuck Sabel, si presentava allora come la “famosa fumosa impresa rete”), a cui parteciparono, oltre a noi, importanti studiosi come Oliver Williamson, Howard Aldrich, Ken-Ichi Imai, Giacomo Beccattini, Claudio De Mattè, Sergio Vaccà, Sebastiano Brusco, Giovanni Dosi, Arnaldo Bagnasco e imprese come Fiat, Benetton, Enea, Lega Coop, Impresa Dioguardi. Inizia in Italia la ricerca e la pratica delle reti di impresa. Dopo poco pubblicai il libro-manifesto che sarà ristampato in oltre venti edizioni, Il castello e la rete [5]che avvia la ricerca e la pratica delle reti di imprese.
Nel 1988 negli spazi della Scuola di San Rocco di Venezia, duecento persone da tutto il mondo abbacinate dai dipinti del Tintoretto che incombevano su di noi, parteciparono al Convegno Joint Design of Technogy, Organization and People Growth (la progettazione congiunta di tecnologia, organizzazione e sviluppo delle persone): erano con tutti noi, Louis Davis, Enid Mumford, Michael Scott Morton, Niel Biorn Andersen, Michael Shuman, Thomas Sheridan, Thomas Martin, Antonio Ruberti, Umberto Colombo, Bruno Pavesi, Giancarlo Lombardi, Bruno Trentin, Luciano Gallino, Cristiano Antonelli, Domenico De Masi e molti altri.
L’Istituto e i suoi partner professori universitari nei suoi 40 anni hanno dato impulso alla nascita di cattedre universitarie e corsi di laurea, a centri di ricerca. Fino al 1988 tra le principali il MIP fondato da Adriano de Maio; Technopolis-Novus Ortus a Bari diretto da Gianfranco Dioguardi; la mia Cattedra di Sociologia dell’Organizzazione alla Sapienza; il Corso di Laurea in Comunicazione a Siena di Sebastiano Bagnara. Successivamente il Disco- Dipartimento di informatica della Bicocca- diretto da Giorgio De Michelis; e più tardi il Master in Sviluppo locale dell’Università del Piemonte Orientale fondata da Paolo Perulli; il mio Corso di Laurea in Scienza dell’Organizzazione dell’Università di Milano Bicocca e altro.
Nel 1988 avevo lasciato la guida della RSO spa a un ex compagno di scuola . L’azienda nel 1990 andava male e facemmo entrare soci di capitali. Ciò si rivelò un disastro. Nel 1997 Butera e altri uscirono dalla RSO spa, che poi chiuderà nel 2012.
L’Istituto per distinguersi dalla RSO spa dal 1997 abbandona il suo marchio storico e assume la denominazione di Irso – Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi. Attiva progetti di ricerca internazionali come Klee and Co, Milk ed altri; inaugura il Customer Management Forum, un forum multi cliente sul Customer Care. Organizza workshop come quello al Centro Telecom San Salvador Venezia sui knowledge worker, a cui partecipano fra l’altro studiosi Michel Crozier, Stephen Barley di Berkeley, Nitin Nohria.
Contemporaneamente era nata la società di consulenza Butera e Partners (BeP), che già nel 2000 impegnerà altri 50 professionisti, sviluppando in modo inestricabile con l’Irso progetti che innovavano profondamente i paradigmi organizzativi e professionali delle organizzazioni clienti, anch’esse molto numerose. Alcuni progetti di Irso-BeP ( un logo simbiotico con cui comunicavamo il modo ricorsivo con cui gestivamo la ricerca e l’attività professionale, la ricerca e l’intervento organiozzativo) furono: l’unificazione degli Uffici delle Entrate in cui organizzazione, tecnologia, layout ruoli professionali furono radicalmente riprogettati con l’idea guida di fornire servizi e non eseguire solo procedure; la formazione associata alla gestione del cambiamento dell’INPS in cui vennero impegnati tutti i dirigenti e funzionari dell’Istituto; il sistema di Customer Care della Vodafone con un rivoluzionario progetto “Nuovi Orizzonti” che consentì ad una piccola azienda come la Omnitel di surclassare nella qualità dei servizi il gigante TIM e diventare presto un colosso internazionale; il ridisegno del sistema dei quadri intermedi della Fiat, ossia i capi della marcia dei 40.000 che si stavano trasformando in knowledge worker; il sistema professionale della Finsiel trasformando tecnici softwaristi in consulenti professionisti e molti altro. Solo due esempi per tutti.
Ma la Butera e Partners inopinatamente alla vigilia di Natale del 2002 subì uno spinoff ostile ad opera dal mio migliore allievo che avevo nominato Amministratore Delegato della Società: fu un grave colpo economico e affettivo. L’Istituto Irso rimane indenne da questa vicenda ma non la Butera e Partners. Dopo un infelice tentativo di fondere Butera e Partners con la TESI “per fare la più grande società di consulenza italiana” io, i miei partner storici e un gruppo di giovani leoni, nel 2006 uscimmo dalla Butera e Partners, che poco dopo scomparve. Rimanemmo nell’Irso srl che nel 2007 viene trasformata in Fondazione Irso, una Fondazione Nazionale, per marcare la sua natura di istituzione della cultura organizzativa italiana.
Cominciammo con un progetto ambizioso commissionatoci dall’allora Ministro della Pubblica Amministrazione, Luigi Nicolais. Era una ricerca per la predisposizione di un programma nazionale di riorganizzazione delle Pubbliche amministrazioni centrali, sull’ispirazione del Reinventing Government di Clinton e Gore. Ci lavorammo Bruno Dente ed io insieme ad altri colleghi di Irso e del Politecnico e preparammo un rapporto [6] Il DFP non implementò la proposta e rimase in circolazione solo il nostro libro.
Ma una applicazione ad una unica amministrazione di quella idea del “cambiamento promosso da vertice e realizzato dal basso” fu dopo poco possibile: l’amministrazione della Giustizia. Uno dei progetti più impegnativi della Fondazione Irso fu infatti il progetto Innova Giustizia. Nel 2009 il Ministro della Giustizia, il Ministro della Pubblica Amministrazione e le Regioni avevano concordato con l’Unione Europea un progetto interregionale denominato “Diffusione di buone pratiche negli Uffici Giudiziari in Italia” finanziato dal Fondo Sociale Europeo. Al Progetto hanno aderito 23 Regioni, 190 Uffici Giudiziari e sono stati attivati 700 cantieri esecutivi. Esso costituì un esperimento di valorizzazione del “margine di manovra” di miglioramento organizzativo e gestionale alla portata dei poteri gestionali già esistenti del Gruppo Dirigente dei singoli Uffici Giudiziari. Il Progetto di riorganizzazione degli Uffici Giudiziari della Lombardia, denominato “Innovagiustizia”, è stato il primo e finora quello di riferimento. Nell’ambito di tale progetto in particolare la Fondazione Irso ha seguito il progetto di riorganizzazione del Tribunale e della Procura di Monza.
In questi ultimi due anni la Fondazione Irso ha fatto altri progetti impegnativi e con un simile approccio di integrazione fra ricerca e intervento, come il vasto Progetto NORD per lo sviluppo di sistemi di governance funzionali (ricerca, porti, trasporti,fluvialità, scuola del Nord) guidato da Paolo Perulli; la ricerca sull’Italian Way of Doing Industry guidata da Giorgio De Michelis il modello professionale dell’INPS; l’organizzazione dei nuovi Poli Museali; la progettazione di una Scuola del Saper Fare Italiano per Altagamma; la progettazione didattica e la docenza nei corsi della Scuola Superiore della Magistratura di Scandicci in cui abbiamo avuto in aula per 5 giorni 600 alti magistrati che aspirano a diventare Procuratori Capo o Presidenti di Tribunale
In sintesi: che cosa è stato l’Istituto, come ha gestito la “danza fra ricerca e intervento organizzativo”
Allora in sintesi che cosa è stato l’Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi?
L’Istituto è stata una strana cosa: né solo un istituto universitario, né solo una società di consulenza, né solo un centro di formazione, ma tutto ciò insieme. Noi, per farci capire, spesso abbiamo detto che eravamo come un centro di clinica medica che fa ricerca e cura i malati, come uno istituto di architettura che studia le forme e le strutture e progetta edifici e oggetti. Non erano gli organismi umani e gli edifici, ma invece le organizzazioni e il lavoro quello che l’Istituto studiava, curava e progettava cose, ma erano le organizzazioni e i lavori: organization design and job design. I nostri miti irraggiungibili furono il Tavistock Institute, l’Istituto dei Tumori di Veronesi, lo studio di Renzo Piano.
Alla domanda su cosa è stato ed è il nostro Istituto, abbiamo dato nel tempo tante risposte diverse ma la più frequente e forse quella chiave è questa: è stata una scuola.
One more thing: il futuro
Abbiamo fatto in questi anni una maratona e la continueremo in altre forme e con nuovi contenuti. La Fondazione continua la sua decisa maratona con i fondatori e i circa 50 senior partner e con la collaborazione di validi colleghi free lance. Il percorso che ho riassunto continua, è un “unfinished business”.
Abbiamo ancora un sogno. La storia dell’Irso e delle istituzioni universitaria a cui abbiamo dato vita è centrata sulla idea che lo sviluppo e la progettazione innovativa delle organizzazione e dei lavori non siano una mera derivata dell’economia e della tecnologia (come mi aveva insegnato Gallino) ma siano materia di progetti specifici utili per innovare e risolvere sia problemi importanti delle imprese e delle pubbliche amministrazioni sia per affrontare problemi acuti del paese e soprattutto delle persone. Il sogno è quello che si sviluppino un ben più gran numero di progetti e cantieri che migliorino le cose e che si diffondano viralmente nuovi paradigmi di sistemi produttivi e amministrativi. Il nostro sogno è di prender parte all’unico tipo di politica che dalla ricostruzione post-bellica non ha mai fallito, quella della Italy by design, i mille fiori di progetti virtuosi malgrado tutto.
Quale sarà il futuro delle organizzazioni e del lavoro? Noi abbiamo le nostre idee su un futuro che non sia solo la mera conseguenza dei grandi sconvolgimenti in atto: un futuro che trovi i margini per essere scritto e progettato per il benessere, la prosperità e l’equità delle persone.
In questo, continuiamo a credere che la ricerca capace di ottimizzare la danza fra rigore e rilevanza sarà determinante.
Note
[1] La più completa raccolta di quegli studi e di quelle esperienze è in Eric Trist and Hugh Murray The social Engagement of Social Science. The socio-technical perspective, Volume II University of Pensylvania Press, 1993. In essa sono contenuti studi seminali e profetici come The Coal mining project (E.Trist, K.Bamforth); The Amedhabad experiment (A.K. Rice); Characterystics of Socio-tecnical Systems (F. Emery); The Job redesign experiments (L. Davis); The Industrial Democracy Project (E.Thorsrud); Alternatives to hierarchy (P. Herbst) e altri.
[2] Una breve storia del Centro di Sociologia e Studi Organizzativi è in Federico Butera “La nascita della sociologia dell’organizzazione alla Olivetti: le Scienze dell’Organizzazione in Italia e il loro futuro”, Numero Speciale di Studi Organizzativi, a cura di Federico Butera e Angelo Pichierri, 2 2016.
[3] La storia dell’ l’Istituto di Ricerca intervento sui Sistemi Organizzativi (prima Istituto RSO poi Istituto Irso poi Fondazione Irso) è in http://www.irso.it/eventi/i-40-anni-dellirso-istituto-di-ricerca-intervento-sui-sistemi-organizzativi-milano-1-ottobre-2016-chiostri-dellumanitaria
[4] F. Butera La progettazione congiunta di tecnologia e organizzazione: il caso NTM della Dalmine, in F. Butera Il Castello e la rete, Franco Angeli, 1989 e in F. Butera e J. Thurman Automation and work design, North Holland , 1984
[5] 13. F. Butera Il castello e la rete: Impresa, Organizzazione e Professioni nell’Europa degli anni ’90, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 234 (XIV edizione, 2004) (tradotto in francese: La métamorphose de l’Organization Les Edition d’Organization, Paris, 1991).
[6] F. Butera e B.Dente Change management nelle pubbliche amministrazioni: una proposta, Franco Angeli, 2009