La “puntata precedente”
In un numero di qualche mese orsono, Prospettive ospitò un pezzo sulle novità introdotte dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) in tema di mappatura delle competenze. L’articolo illustrava un progetto sperimentale che era stato avviato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM) e che aveva coinvolto più di 250 posizioni e dirigenti della struttura amministrativa (Decastri, 2018).
In estrema sintesi, si era proceduto a realizzare le descrizioni delle posizioni e il relativo job profile, a organizzare un percorso di assessment delle competenze manageriali e trasversali di ciascuno dei dirigenti, a individuare più traiettorie di crescita professionale sia per il singolo dirigente, sia per gruppi di dirigenti che manifestavano un fabbisogno analogo. La fase di erogazione della formazione (comprendente anche metodologie assolutamente nuove per la PA come coaching, improvvisazione teatrale, simulazioni) aveva avuto un successo superiore alle aspettative e aveva fatto nascere una grande curiosità del mondo pubblico intorno a questi temi. Si era riusciti – dopo anni di centralità di teorie quali il New Public Management – a portare sotto il cono di luce del management pubblico i temi dell’Organizzazione e della Psicologia del lavoro che da anni soffrivano e attendevano “in panchina” (Decastri, Buonocore, 2020). Il progetto ha creato un’atmosfera altamente positiva e – francamente – contro ogni previsione. Il progetto “ha goduto di ottima stampa” e le persone coinvolte sono state tutte soddisfatte dell’esperienza, hanno giudicato il processo “faticoso, ma interessante e utile”, hanno riconosciuto l’utilità delle job, dei job profile, dei percorsi formativi proposti, tanto che nessuno ha negato la propria disponibilità per la continuazione del progetto in PCM negli anni a venire. La SNA aveva anche ripreso un ruolo-guida nella formazione delle amministrazioni centrali e, forse, nella formazione in assoluto.
Certamente, non si è riusciti a cambiare la PA. Qualche elemento di speranza è però emerso e consente di essere moderatamente ottimisti sui possibili sviluppi. L’articolo si concludeva con l’auspicio che progetti di quel genere potessero essere diffusi e resi “normali”.
Il nuovo progetto
Con grande soddisfazione, il Presidente della SNA ha proposto al Comitato di Gestione (e il Comitato di Gestione ha approvato) l’avvio del progetto di mappatura e di assessment delle competenze di tutte le amministrazioni centrali dello Stato, estendendo il progetto sperimentale realizzato in Presidenza del Consiglio a Ministeri, Enti centrali, Agenzie, Authority.
In un mondo dove l’efficacia dell’amministrazione è fortemente dipendente dalle persone, dai singoli, dalle loro “curve di utilità”, dal loro personale “desiderio” di contribuire, riuscire a fare una ricognizione del capitale umano disponibile nei ruoli manageriali poteva essere un enorme passo in avanti.
Il progetto approvato (e finanziato) prevede un percorso analogo a quello sperimentato in PCM:
- Mappatura dei ruoli apicali (posizioni coperte da dirigenti di prima e seconda fascia) e definizione delle job description e dei job profile delle posizioni mappate.
- Lettura delle competenze manageriali dei titolari delle posizioni.
- Identificazione del gap tra competenze necessarie e competenze disponibili, e disegno di un percorso di sviluppo individuale e collettivo finalizzato a rafforzare le competenze “più deboli”.
L’esperienza fatta in PCM ha consentito di “sistemare” alcuni aspetti che non avevano convinto del tutto. Sono state pertanto aggiunte alcune attività che non erano state inserite in precedenza. In particolare, le fasi introdotte sono:
- la definizione delle core competencies, per evidenziare le competenze giudicate critiche per il futuro di ciascuna Amministrazione;
- l’analisi critica delle job description tramite un confronto con il relativo capo gerarchico;
- una valutazione della macro organizzazione che consenta di mettere in luce eventuali aree di rischio o di miglioramento.
Inoltre, è stato sostituito il test online ed è stato aggiunto un test sugli aspetti valoriali delle persone.
Quest’ultima modifica ha un peso particolarmente rilevante e necessita di un commento ulteriore. Il progetto sperimentale in PCM ha permesso di riscoprire e riaffermare che i valori individuali giocano un ruolo determinante nell’efficacia delle prestazioni del civil servant.
Il valore dei valori
Un valore è una convinzione stabile che rende preferibile un comportamento rispetto a un altro. Un insieme di valori può essere intesa come “un’organizzazione durevole di rappresentazioni cognitive su cosa sia giusto, buono e migliore” (Cenciotti, Borgogni, 2018). In altri termini, in una sorta di misura che guida il comportamento delle persone, dei gruppi e delle istituzioni, tramite preferenze definite e “non calcolate razionalmente” sugli obiettivi da perseguire, le condotte da utilizzare, i criteri di valutazione dei comportamenti propri e altrui: “mi comporto così perché è giusto”, “preferisco fare in questo modo perché ci credo”, “dedico molta energia a quelle attività perché ci credo”, “non condivido quel modo di agire perché non è coerente con i miei principi”. Pertanto, i valori rappresentano una spinta all’azione basata su preferenze “apodittiche”, frutto dell’educazione ricevuta, delle caratteristiche profonde della personalità, dell’apprendimento sociale.
Se le capacità sono delle caratteristiche stabili personali che portano ad agire in modo omogeneo nel tempo e la motivazione è la spinta che rende disponibili le energie, i valori sono una mappa delle priorità personali e culturali. “Le motivazioni hanno a che fare con la componente energetica individuale che sostiene il comportamento della persona; i valori hanno invece a che fare con il sistema di pensiero che orienta le scelte comportamentali (pur senza determinare, di per sé, la messa in atto di una specifica azione) e con cui i comportamenti stessi vengono valutati” (Cenciotti, Borgogni, 2018) In sintesi, le motivazioni forniscono le energie, le capacità, le modalità comportamentali stabili, mentre i valori rappresentano le priorità e indicano a ciascuno la direzione da seguire. I comportamenti sono quindi alimentati dalle motivazioni e guidati dai valori e, nonostante possano essere difficili da valutare, risultano un aspetto chiave nella gestione e nella valutazione delle pratiche manageriali (Mangia et al., 2016; Mangia, 2019).
Tra le possibili tassonomie disponibili, quella proposta da Capanna, Vecchione e Schwartz (2005) è un buon esempio. Tra le dieci dimensioni valoriali identificate, alcune sono molto significative ai nostri fini:
- Potere: status sociale e prestigio, controllo delle risorse e dominanza sulle altre persone.
- Universalismo: comprensione, tolleranza, rispetto e protezione del benessere di tutte le persone e della natura.
- Benevolenza: mantenimento e miglioramento del benessere delle persone con cui si è a diretto contatto.
- Conformismo: contenimento di azioni, inclinazioni e impulsi suscettibili di disturbare o danneggiare gli altri e di violare aspettative o norme sociali.
- Sicurezza: incolumità, armonia e stabilità della società, delle parentele e della propria persona.
Immaginiamoci un’amministrazione i cui dirigenti possiedono valori elevati di “Conformismo” e di “Sicurezza” e bassi di “Benevolenza” e “Universalismo”: è molto probabile che i comportamenti non siano fortemente orientati al cambiamento, al servizio, all’attenzione verso il cittadino, bensì al mantenimento dello status quo, degli equilibri interni, delle posizioni di potere. Ancora, la presenza di dirigenti con elevato “Potere” piuttosto che con alta “Benevolenza” può determinare – a parità delle altre condizioni – comportamenti anche estremamente diversi e più o meno coerenti con le finalità della PA.
La fase sperimentale della ricerca ha dato ulteriore evidenza alla rilevanza dei valori come determinante dei comportamenti da civil servant (accanto a competenze e motivazioni). Volendo ricorrere a una “quasi formula”, il comportamento è determinato da competenze x motivazioni x valori. L’indicazione è estremamente interessante poiché può influenzare in modo significativo i sistemi di selezione e carriera (e, sin qui, nulla di radicalmente nuovo) e, soprattutto, i sistemi di valutazione della prestazione.
Tutti gli sforzi fatti per aziendalizzare la PA non hanno sortito effetti particolarmente positivi. E i sistemi di valutazione della prestazione – da Bassanini a Brunetta – non hanno dato prove entusiasmanti. Il motivo va forse ricercato (almeno in parte) nella scarsa misurabilità del lavoro pubblico. È spesso difficile conoscere l’output della singola struttura, della singola posizione e avere degli indicatori di prestazione oggettivi; è ancora più difficile sapere quale sia l’outcome e avere la disponibilità di indicatori oggettivi e, soprattutto, realmente significativi dell’effetto finale del lavoro svolto nel corso dell’anno.
Se il risultato non è del tutto valutabile e/o per nulla misurabile, i sistemi di performance management divengono deboli, difficili da utilizzare, eccessivamente soggettivi (Mangia, 2019; Van Dooren et al., 2015). Fino a risultare inutili o, peggio, un adempimento che porta via tempo e non produce valore.
Ciò non significa che i sistemi di valutazione non servono. Vanno progettati in coerenza con le caratteristiche della PA (che non sono sempre le stesse del mondo delle imprese…) e con la consapevolezza che – essendo più complessi e sofisticati – sono necessari capi con competenze di valutazione estremamente robuste. Ma accanto a solidi sistemi che consentano di rilevare e giudicare gli outcome dell’amministrazione, è necessario curare con la massima attenzione gli “input”, ossia le persone che inseriamo e muoviamo nelle organizzazioni. In particolare, è opportuno verificare che i nuovi entrati (e i promossi a ruoli rilevanti) siano dotati delle caratteristiche minime per produrre comportamenti efficaci e, conseguentemente, risultati di valore. Tali caratteristiche minime sono ovviamente e innanzi tutto le competenze, ossia l’insieme di conoscenze, esperienze e capacità. Ma non basta, le competenze di per sé non sono una garanzia di efficacia. Sono necessarie anche le condizioni abilitanti, ossia motivazione e valori. Quest’ultimi giocano un ruolo determinante poiché definiscono le priorità nell’uso delle energie e delle competenze e i comportamenti desiderati (e non accettabili). Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, si potrebbe affermare che i valori sono la variabile critica nel determinare la prestazione in un ambiente come quello pubblico in cui la complessità normativa e l’indeterminatezza dell’organizzazione lasciano molti spazi vuoti: sono i valori che trainano la prestazione e le competenze sono uno strumento necessario, ma non sufficiente.
I prossimi passi
I risultati ottenuti e la “buona stampa” conquistata hanno consentito alla Scuola – come si accennava all’inizio – di far proseguire il progetto, allargandolo a tutte le amministrazioni centrali.
È stato pubblicato un bando in cui è stato chiesto alle università di manifestare il proprio interesse per avere un ruolo attivo nel programma; sono stati selezionati sette atenei o raggruppamenti di atenei con i quali è stata firmata una convenzione; la convenzione prevede che l’ateneo (o la rete di atenei) abbiano la responsabilità di svolgere la prima metà del lavoro (la mappatura organizzativa) in una o più amministrazioni. Sono stati poi banditi (e assegnati) dodici contratti per psicologi iscritti all’albo con provate competenze di analisi di potenziale e due per la gestione del progetto. Al momento, quindi, il progetto si avvale della collaborazione di 7 team universitari, 12 psicologi (di cui due Professori “metodologi”) e un PMO composto da due persone. Particolare rilievo ha il PMO che – oltre a seguire l’organizzazione degli interventi nelle varie amministrazioni – ha la responsabilità di garantire l’omogeneità dei metodi di lavoro, la qualità dei deliverables, l’aggiornamento continuo della metodologia.
Al termine del progetto, ogni amministrazione ha a disposizione quattro output, ossia:
- Il report organizzativo: nella prima sezione, sono illustrati l’assetto organizzativo macro, le core competencies, le job description e i job profile delle posizioni dirigenziali. In una seconda sezione, sono illustrate la diagnosi organizzativa ed eventuali suggerimenti per lo sviluppo dell’assetto.
- Il report individuale: per ogni Dirigente intervistato, è previsto un report individuale contenente la descrizione di tutte le dimensioni analizzate. Il report ha l’obiettivo di illustrare i comportamenti agiti durante le varie situazioni di lavoro e dare consapevolezza dei punti di forza e di debolezza emersi, evidenziando le possibili aree di miglioramento e di sviluppo professionale.
- Il report collettivo: è uno strumento che contiene le principali evidenze riscontrate nella popolazione. I dati relativi alle competenze oggetto di valutazione sono aggregati per livello organizzativo, per dipartimento, per famiglie professionali in modo da favorire ragionamenti su sezioni omogenee della popolazione intervistata. I dati così prodotti sono utilizzati per individuare i fabbisogni formativi e le politiche di sviluppo.
- Il piano di sviluppo: contiene le raccomandazioni che derivano dall’analisi dei gap tra competenze necessarie e competenze disponibili. Tali raccomandazioni vanno dall’indicazione di temi su cui avviare percorsi di apprendimento, a corsi di formazione, a sistemi di apprendimento “relativamente nuovi” come il coaching.
Dopo una fase di “stallo” dovuta alla pandemia, i lavori sono stati avviati in due amministrazioni e proseguiranno da febbraio in altre sei. Prevediamo di completare la mappatura entro il 2021, garantendo il rilascio dei risultati lungo l’anno, man mano che le attività saranno concluse.
Alcune “lezioni” apprese e da apprendere
Sul fronte della ricerca, due i risultati di rilievo:
- la SNA e la pubblica amministrazione hanno a disposizione una metodologia solida e affidabile per il disegno e la lettura critica dell’organizzazione macro e micro delle amministrazioni, per l’analisi delle competenze manageriali, per la comprensione del fabbisogno formativo individuale e collettivo. E’ stato costruito e reso disponibile un know how unico, nuovo e prezioso per il miglioramento del funzionamento della PA, un know how che mancava e che è necessario (se non indispensabile) per rendere la PA più efficace e più vicina alle esigenze dei cittadini.
- La metodologia costruita tramite il progetto ha consentito di individuare una prima immagine delle competenze manageriali dei dirigenti pubblici, con le luci e le ombre che appartengono a questa popolazione. Con il progredire della ricerca, si potrà giungere a identificare le competenze manageriali “fondamentali” per essere un dirigente efficace e, da qui, individuare un profilo minimo da proporre al decisore politico per l’eventuale modifica delle regole di ingresso nella dirigenza pubblica e di mobilità e carriera.
Sul fronte dell’azione, ecco gli esiti al momento:
- le amministrazioni avranno a disposizione un quadro analitico e solido delle competenze dei propri dirigenti, con l’evidenziazione delle aree di forza e di debolezza sulla cui base elaborare e realizzare interventi di sviluppo organizzativo. Tali interventi sono già stati avviati e un numero elevato di dirigenti sono stati coinvolti in iniziative formative. Tra queste, spicca il percorso di coaching intrapreso da circa cento persone e che si pone come una novità particolarmente rilevante nella “cassetta degli attrezzi” della formazione della Scuola.
- Il progetto ha avuto una certa risonanza tra operatori ed esperti e ha consentito di rafforzare e valorizzare il ruolo della SNA nei processi di formazione e cambiamento della PA. È ormai di dominio pubblico il cambio di ritmo che la Scuola Bruno Dente ha avviato e che Stefano Battini ha realizzato. La Scuola è ora un partner di qualità e di eccellenza anche sui temi manageriali.
Sul fronte accademico, queste le riflessioni che ci sentiamo di proporre:
- gli “organizzativi” posso e devono giocare un ruolo centrale nel cambiamento della PA e non essere più osservatori di dinamiche guidate da altre discipline. Il cambiamento che siamo riusciti a introdurre nella SNA non deve essere un episodio isolato e – dopo anni di New Public Management – sarebbe opportuno reclamare e conquistare un ruolo di leadership sui temi della PA e del suo funzionamento.
- Le cosiddette soft skills sono competenze strategiche, in particolare per la PA. Come detentori di tali competenze (insieme agli psicologi a i sociologi), dovremmo accelerare l’introduzione di percorsi didattici e di ricerca in tali ambiti e sollecitare collaborazioni (e chiamate…) di colleghi di questi altri due settori disciplinari.
Bibliografia
Capanna C., Vecchione M., Schwartz S.H. (2005), “La misura dei valori. Un contributo alla validazione del Portrait Values Questionnaire su un campione italiano”, in Bollettino di Psicologia applicata
Cenciotti R., Borgogni L. (2018), “L’influenza dei valori nelle scelte individuali”, in Alessandri G., Borgogni L., Psicologia del lavoro: dalla teoria alla pratica, Vol. I. L’individuo al lavoro, Franco Angeli
Decastri M. (2018), “Un percorso pratico di analisi, verifica e rafforzamento delle competenze nella PA”, in Prospettive in Organizzazione, n. 9.
Decastri M., Buonocore F. (2020), “Organizing public administration”, in Decastri M., Battini S., Buonocore F, Gagliarducci F., Organizational development in public administration, Palgrave Macmillan.
Mangia, G., Hinna, A., Mameli, S., (2016), “Comportamenti e regole per l’efficacia del management pubblico”, In Hinna, A., Mameli, S., Mangia, G. (eds). La Pubblica Amministrazione in movimento: competenze, comportamenti e regole. EGEA.
Mangia, G., (2019), “Formare per l’esercizio della valutazione: esperienze e riflessioni teoriche”, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Vol. 4, No. Q4, pp. 123-126.
Van Dooren, W., Bouckaert, G., & Halligan, J. (2015). Performance management in the public sector. Routledge.