Provate ad immaginare un Leader maschio e a fianco un Leader femmina. Fatto? Grazie!
Il primo è caratterizzato da forza ed energia? Possiede elementi distintivi, cravatta pc, telefono? Sta comunicando? Ha degli elementi mutuati dallo sport? Dimostra di avere visione?
La Leader trasuda dolcezza e garbo? Ha la gonna e i tacchi? Sorride con una bocca resa attraente dal rossetto? Risulta accogliente ed empatica? Ascolta? Presenta elementi mutuati dall’arte o da un contesto privato o familiare? Ha un atteggiamento materno?
Ed ora confrontiamoli. Il leader maschio è più alto e vigoroso della femmina? Risulta più sicuro, tende ad imporsi di più? Ha più movimento? La femmina è più dolce e protettiva? Più remissiva?
Ecco, se avete risposto in modo negativo a tutte le precedenti domande siete esenti da uno dei più radicati pregiudizi del mondo manageriale attuale: l’esistenza di una leadership femminile tipica e peculiare che si concretizza attraverso una traslazione del canonico modello di madre amorevole e premurosa. Un modello secondo cui la donna in alcuni orari si occupa dei suoi piccoli con pappine e biberon e in altri momenti cura i suoi collaboratori con riunioni e azioni da intraprendere, una leader attenta ai dettagli ma meno alla visione, alle persone ma meno ai numeri, alle variabili soft ma meno alla tecnologia. Il suo ufficio dai colori pastello è pieno di fiori e gioiosi quadretti familiari a dispetto di quello del collega maschio tutto tecnologia e scale di grigi.
Scherziamo, vero?
Nelle organizzazioni di lavoro rubare il titolo ai due simpatici film Maschi contro Femmine e Femmine contro Maschi non è particolarmente produttivo.
Chiunque abbia esperienza di azienda ha incontrato leader molto eterogenei per personalità, per competenze ed approcci e qualsiasi tipo di generalizzazione mi sembra, sinceramente, una forzatura. La tentazione di associare la donna al modello della madre (o al contrario della zitella acida) in un’epoca di commistioni culturali continue e stratificate è quantomeno originale: il mondo corre, il business anche, le persone devono sentirsi persone e liberare le proprie potenzialità nascoste. La leadership, dal mio punto di vista, è proprio come un apribottiglie che serve a togliere i tappi e far emergere la forza e l’energia delle competenze.
Inoltre, se percorressimo il triste sentiero dell’esistenza di una leadership al femminile fortemente connotata da alcuni indicatori, inevitabilmente arriveremmo anche a ipotesi discriminatorie. Se vi fosse un fondamento alla specificità della leadership femminile con il suo corredo di indicatori comportamentali, in fase di analisi del fabbisogno di selezione, l’imprenditore, il General Manager o l’HR Manager (maschi o femmine che siano) sarebbero autorizzati a richiedere un leader maschio o femmina in base a caratteristiche precise. Il decreto legislativo n. 5/2010 in materia di pari opportunità, fortunatamente, non lo permette.
Altra osservazione: Ma perché nel caso delle donne il fatto di appartenere al genere femminile e’ la caratteristica che emerge per prima? Perché continuiamo anche senza il supporto degli uomini a parlare di leadership al femminile? Perché quando un ruolo viene ricoperto con successo da una donna si enfatizza che è una donna? Frasi come “è una donna il manager che ha realizzato…” quasi come a dire “nonostante sia una donna…”.
Perché il calendario non prevede una festa dell’uomo? Quale gap dobbiamo recuperare? Quale diversità di approccio e competenza ha tutto il genere femminile? Perché anche in contesti managerialmente evoluti si sentono ancora frasi come ”Le donne sono più brave in questo o quello”? Quale è il fondamento scientifico ed esperienziale che ci spinge in questi luoghi comuni? E l’orientamento sessuale che ruolo giocherebbe? “Gli uomini sono più bravi in questo, le donne in quello e gli omosessuali in altre cose…”.
Manager e leader sono termini che non devono evocare maschi o femmine ma competenze e risultati. Leadership al femminile? No grazie, preferisco semplicemente leadership.
Credo che la riflessione interessante e utile da fare sia sulla leadership in quanto tale e, secondo me, sullo scollamento profondo tra le dichiarazioni di intenti e la vita gestionale quotidiana. La leadership si colloca al centro di numerosi studi e ricerche nell’ambito della letteratura manageriale, eppure la difficoltà ad evitare gli ostacoli di narcisismo, egocentrismo, tendenza all’autorità, carenza di ascolto ed empatia, difficoltà comunicative, insicurezza, mancanza di delega riguarda con moltissime sfumature differenti i manager, maschi o femmine che siano.
È quasi come se la leadership al femminile esistesse solo in confronto e talvolta in antitesi con quella al maschile. Su questo ho sempre nutrito fortissimi dubbi. La leadership, dal mio punto di vista, è fonte di energia ed elemento di liberazione di potenzialità.
John Quincy Adams ha affermato: “se le vostre azioni ispirano altri a sognare di più, imparare più, fare di più e trasformare di più, voi siete un leader” e, sulla base della mia esperienza “di campo” si concretizza nella costante possibilità di capire, analizzare, indirizzare, guidare persone e risorse nei processi umani di creazione di prodotti ed erogazione di servizi, rispettando i limiti e la cultura delle strategie e delle tattiche aziendali. Indipendentemente dal sesso o dagli orientamenti sessuali, dalla razza, religione ed opinioni politiche.
Il continuo ritorno ad etichettare la leadership femminile e a cercare caratteristiche peculiari che possano distinguerla dalla primogenita leadership (se non si aggettiva è ovviamente maschile…) la trovo un ghettizzazione volontaria e un po’ antica. Ci sono dei problemi per le donne in ambito lavorativo? Certo ma non si risolveranno sottolineando con fare difensivo una presunta differente caratterizzazione della leadership. La leadership è frutto di fattori complessi ed eterogenei dipendenti da variabili personali, sociali, economiche, professionali. La dimensione qualitativa e quantitativa della leadership conta e conta, a mio avviso, molto pragmaticamente, per il risultato che produce.
La mia esperienza professionale, che non racconterò per paura di annoiarvi, mi ha portato attraverso vari percorsi a ricoprire il ruolo di consulente HR di molte aziende e ad assumere ruoli manageriali. Oggi sono Presidente del gruppo campano dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale. In AIDP contano la leadership, il team working, l’ascolto delle esigenze altrui, la passione e risultati. Abbiamo la fortuna di avere Presidenti Regionali davvero trainanti e un Presidente Nazionale che è un vulcano.
In AIDP ci sono persone che lavorano per le persone con impegno e tenacia ed esercitano con entusiasmo la propria leadership.
Conta davvero se sono maschi o femmine?