Organizzazioni “estreme” ed “effimere” durante il terremoto dell’Irpinia 1980: un booster per il cambiamento organizzativo in materia di emergenze

di Giuseppe Modarelli1, Andrea Fontanella2, Stefano Amelio3, Christian Rainero4

1 AUS American Institute of Applied Sciences
2 Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Studi Storici “Federico Chabod”
3 Università degli Studi dell’Insubria – Dipartimento di Economia
4 Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Management “Valter Cantino”

Abstract

Il contributo delinea fattispecie derivanti dall’esperienza nelle dinamiche gestionali emergenziali del terremoto in Irpinia (1980). Il caso studio, attraverso analisi documentali e interviste dirette ai “ruoli effimeri”, diventa uno spartiacque teorico-pratico influente per l’evidenza relativa all’emergere di organizzazioni elementari temporanee post-disastro. Cambiamenti organizzativi strutturali sono evidenziati in termini di crisis/disaster-management.

Introduzione

I disastri, nonostante il loro impatto devastante su individui e organizzazioni, creano uno spazio unico che colma il divario tra l’ordinario e lo straordinario. Questo spazio facilita l’emergere di nuove realtà che promuovono l’innovazione sociale e l’apprendimento organizzativo.

Le organizzazioni “estreme” e quelle “effimere” prosperano in questo spazio grazie a due fattori principali: 1. Un’improvvisa inadeguatezza delle strutture burocratiche nella gestione delle conseguenze di un disastro, che porta a un calo dell’efficacia delle organizzazioni formali nella gestione dell’evento imprevisto; 2. la necessità di tempo per implementare e formalizzare azioni straordinarie a seguito di un disastro. Le conseguenze immediate di un disastro sono caratterizzate da una rottura delle tradizionali strutture di autorità e leadership, con conseguente interruzione dei meccanismi di controllo sociale. Nonostante l’urgenza dell’intervento, l’assenza di una chiara struttura gerarchica ostacola la comunicazione e il coordinamento, prolungandone i tempi di risposta. Inoltre, le organizzazioni di gestione delle emergenze, spesso governative, sono vincolate da processi burocratici, il che ritarda ulteriormente l’azione.

Sostanzialmente, l’estremizzazione delle condizioni esterne (fattori esogeni), genera sulle persone operanti in taluni contesti emergenziali, un’alterazione delle dinamiche organizzative standard, configurando così perdita di identità di ruolo, una leadership ambigua, mancanza di comunicazioni efficaci e percezione di quanto prima era considerato prevedibile, reso improvvisamente incontrollabile. In questi casi si parla di organizzazioni “estreme”, capaci di emergere in condizioni di crisi, quando è necessario ristabilire un certo “ordine sociale” attraverso improvvisazione, implementazione di una sorta di “collage relazionale” per evitare la disintegrazione organizzativa, indicando ruoli sociali virtualizzati in mancanza di una effettiva e formalizzata gerarchia. Il dinamismo in queste occasioni prende il sopravvento, supplendo alle mancanze di relazioni coordinate e di controllo (Ciborra, 1999; Bakker, 2010; Bakker, 2011; Sydow, Bakker, DeFillippi & Schwab, 2016). Oltre alle organizzazioni “estreme”, in misura più sostanziale, quelle “effimere” sono da identificarsi come punto di slancio per le considerazioni che verranno poste in essere in questo articolo (Lanzara, 1983). Pertanto, il concetto di “ruoli effimeri”, prima che di organizzazioni, è stato originariamente formulato nel contesto delle risposte comunitarie ai disastri, riferendosi specificamente agli aspetti sociali e psicologici di partecipazione nei team di volontariato immediatamente post-disastro (Zurcher, 1978). La definizione, primariamente considerata per i “ruoli effimeri”, nella sua concettualizzazione d’origine, viene delineata come “un set di comportamenti e aspettative comportamentali associate a una transitoria posizione in una struttura sociale emergenziale ad hoc” (Zurcher, 1968). Soprattutto, in questo senso, il comportamento che ne deriva è “primitivo”, usando le parole di Zurcher (1978), essendo molto più fisico che intellettuale, enfatizzando il “fare” piuttosto che il “pianificare”, ritornando “adattivamente” a forme organizzative elementari.

Esse saranno identificate dagli autori come primario tentativo di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto in oggetto. Pertanto, osservabili in via straordinaria e principali precursori di organizzazioni più strutturate con lo scopo di effettuare interventi di “protezione civile”.

Quanto specificato è l’oggetto più rappresentativo del valore storico e di cambiamento organizzativo inerente alla presente ricerca, che attraverso il caso studio del terremoto in Irpinia del 1980, e nello specifico di quello relativo agli accadimenti catastrofici evidenziati per il Comune di Castelgrande (PZ), muovono i loro passi verso la strutturazione di un contributo atto ad analizzare: (a) sotto il profilo manageriale, un periodo storico in cui non era ancora attivo un sistema organizzato per la tutela della vita, dell’integrità fisica, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente in generale dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo, (b) valutando gli aspetti inerenti alla ricostruzione e alla ripartenza attraverso modalità prettamente più strutturate a livello di architettura organizzativa. Da questo cospicuo punto di partenza e sulla base dei vuoti letterari in materia, gli autori evidenziano le seguenti domande di ricerca (DR):

DR1: Come un episodio contingente di crisi può far emergere nuove necessità organizzative generate da azioni individuali temporanee?

DR2: Come una contingenza esterna di grave problematicità può far scaturire una soluzione organizzativa alternativa di lungo periodo?

Background e contestualizzazione: il caso del terremoto in Irpina

Il terremoto che ha colpito l’Irpinia nel 1980, dal nome della regione più gravemente flagellata, si distingue come un disastro naturale significativo nella storia italiana (Ricciardi et al., 2020). Questo evento sismico ha registrato un’intensità compresa tra il decimo e l’undicesimo grado della scala Mercalli, colpendo principalmente l’entroterra campano e lucano, con ripercussioni avvertite fino a Roma, colpendo circa 6 milioni di persone. Secondo un rapporto dei Vigili del Fuoco, l’area interessata copriva circa 17.000 km2, delineati da specifici punti geografici: Caserta-Benevento-Ariano Irpino a nord, Melfi-Potenza a est, Battipaglia-Eboli-Sala Consilina a sud e la costa tirrenica a ovest (Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, 1980, p. VII).

Il terreno montuoso della regione, unito alle rigide condizioni invernali, ha rappresentato una sfida per la fornitura degli aiuti iniziali. Il bilancio umano è stato devastante, con 400.000 sfollati, circa 8.850 feriti e 2.735 morti (Ventura, 2006).

A causa dell’interruzione dei sistemi di comunicazione causata dal disastro, le informazioni sul vero impatto del terremoto erano inizialmente limitate. I media hanno inizialmente riferito di un «terremoto in Campania», per poi comprendere l’intera portata della calamità il giorno successivo. Già questo, denota un ritardo effettivo inerente alla mancata o scarsamente tempestiva diffusione di comunicati, telecomunicazioni limitatamente implementate o interrotte e interventi operativi basati sul passaparola.

Gli sforzi di risposta alle emergenze guidati da varie autorità (vigili del fuoco, esercito, forze dell’ordine) si sono inizialmente concentrati sul salvataggio dei sopravvissuti intrappolati nei numerosi insediamenti rasi al suolo (Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, 1980; Ventura, 2006). La distruzione fu così estesa che l’ultima vittima fu scoperta nel gennaio 1981.

Per snellire la risposta a questa crisi, subito dopo il terremoto è stato nominato un Commissario straordinario per la Campania e la Basilicata. A questa figura sono state affidate responsabilità cruciali nelle gravi circostanze di una «calamità naturale di particolare gravità», in conformità alla legge 996/1970. Con il decreto-legge 776/1980, specificamente concepito per l’emergenza, l’autorità del Commissario è stata ulteriormente rafforzata per facilitare il salvataggio, gli aiuti e il recupero complessivo delle aree colpite (Corpo nazionale dei vigili del fuoco, 1980, p. XV).

Dal punto di vista economico, il terremoto dell’Irpinia ha provocato danni stimati in 63 trilioni di lire (Liguori, 2009).

Il terremoto dell’Irpinia ha segnato un disastro significativo nella storia dell’Italia, ma è stato anche un punto di svolta nell’approccio nazionale alla gestione delle emergenze, delineando lezioni per le risposte future.

Se infatti la macchina dei soccorsi fu lenta, inefficace ed inefficiente, successivamente agli eventi iniziati la sera del 23 novembre 1980, venne fondata la Protezione Civile Nazionale (Ricciardi et al. 2020). Già un decennio prima della catastrofe, si parla dell’8 dicembre 1970, la Legge n. 996 iniziava embrionalmente a definire il concetto di “protezione civile” privilegiando il momento dell’emergenza, cioè del soccorso da attuare nell’immediatezza dell’evento. Il 24 febbraio 1992, con la legge n. 225 nasce il Servizio Nazionale della Protezione Civile che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi” (vedi sito protezione civile). L’introduzione di tali organismi ha migliorato notevolmente i tempi di risposta per eventi, quelli sismici, che in un Paese come l’Italia rappresentano uno dei rischi ambientali più comuni. Parlando di numeri, se per il terremoto dell’Irpinia del 1980 la macchina dei soccorsi si è attivata in 6 ore, per il terremoto dell’Aquila, nel 2009, lo stesso organismo fu attivo in appena 3 minuti, denotando un deciso miglioramento nelle tempistiche di risposta.

Per quanto riguarda alcune zone remote e rimaste isolate per giorni, nell’immediato susseguirsi delle scosse di assestamento, i soccorsi ufficiali arrivarono in estremo ritardo e con estrema inefficienza rispetto agli aiuti spontanei di chi tentò di arrivare sui luoghi, ormai trasformati in cumuli di macerie, per mezzo di soluzioni auto-organizzate, ben note come organizzazioni “effimere”. Dal punto di vista prettamente accademico, tale spartiacque, ben delimita sulla linea temporale delle dinamiche emergenziali italiane e relativamente alla prospettiva più dettagliatamente organizzativa, è una chiara svolta nella gestione delle crisi, al punto di addivenire alla costituzione di organismi quali quelli della “protezione civile”. Pertanto, a partire da quanto indiscutibilmente osservato e conseguentemente ritenuto indispensabile attuare a livello di architettura di sistema, è stato oggetto di modificazioni sociali strutturate per la salvaguardia della vita, predisponendo ad hoc una “macchina” organizzativa permanente, capace di supportare, mobilitare e coordinare, sotto l’egida del  Dipartimento della Protezione Civile (Presidenza del Consiglio dei Ministri), tutte le risorse nazionali utili ad assicurare assistenza alla popolazione in caso di grave emergenza (vedi sito protezione civile).

Metodologia e identificazione del vuoto letterario

Per quanto concerne la metodologia di ricerca utilizzata per stilare questo documento, gli autori hanno fatto riferimento alle indicazioni operative dell’analisi documentale (Karppinen & Moe, 2012; Salminen, Kauppinen & Lehtovaara, 1997; Moore, Salter, Stanley & Tamboukou, 2016), favorita dall’apertura straordinaria degli archivi del Comune di Castelgrande (PZ) (Moore, Salter, Stanley & Tamboukou, 2016). In questo senso, è stata reinterpretata la dinamica osservativa proposta da Paulsen (2009) in riferimento all’osservazione di fenomeni di carattere temporaneo, con riferimento alla dimensione “effimera”, per cui, oltre ad una approfondita analisi documentale, che ha permesso agli autori di fornire un chiaro quadro del disastro e soprattutto di evidenziare i fattori di “delay” nei soccorsi, strutturalmente formalizzati a vantaggio di quelli auto-organizzati, è stato possibile effettuare colloqui diretti con chi effettivamente ha vissuto e gestito la dinamica emergenziale, sia dal punto di vista personale, sia in quanto incaricato primario nella figura pubblica rivestita (Zaccaria, 2015; Trainor, 2013; Mann, 2016; Alshenqeeti, 2014). In tal senso, il protocollo di ricerca dello studio evidenziato è ascrivibile all’identificazione e all’analisi di un caso di studio emblematico (Flyvbjerg, 2011; Tellis, 1997) di notevole significatività per il territorio italiano, sia in termini di estensione, sia relativamente alle cause, sia in relazione agli eventi, alle conseguenze e alle contromisure organizzative intraprese in termini di cambiamento e apprendimento organizzativo. Soprattutto il caso di Castelgrande è stato prescelto dagli autori, oltre che per la significatività, per l’effettiva vastità dei danni, che vengono riportati in specifiche relazioni conservate presso l’Archivio Comunale, sia per la specificità orogenetica del territorio. In questo senso, utile campo di indagine per verificare il necessario emergere e la sussistenza di organizzazioni a carattere temporaneo, come quelle “effimere” ed “estreme”. In tal senso, il caso di studio, per le sue caratteristiche insite, si è ben prestato alla causa accademica analitica di talune pratiche sociali fenomenologiche osservabili a-posteriori. La significatività e l’originalità del lavoro di ricerca sono desumibili anche dall’evidenza del vuoto letterario considerevole in relazione alle query inserite per approfondire l’indagine attraverso il database SCOPUS, identificato come il più ampio a livello internazionale.

Pertanto, le query utilizzate, sia in italiano, sia in inglese sono le seguenti:

  1. TITLE-ABS-KEY (“earthquake” AND “ephemeral organization” AND “organizational change”)
  2. TITLE-ABS-KEY (“terremoto” AND “organizzazione effimera” AND “cambiamento organizzativo”)

Tali criteri di ricerca sono atti ad individuare la presenza di contributi di ricerca a livello nazionale ed internazionale sul tema, terremoti, organizzazioni effimere e cambiamento organizzativo.

Risultano limitatissimi contributi in materia di indagine relativa alle organizzazioni “estreme” ed “effimere” e addirittura i criteri di ricerca non hanno fornito alcun risultato, né nella prima fase di valutazione, né nella seconda operata a luglio 2025. Comunque, è stato esaminato l’esiguo numero di lavori citati nel testo e la loro connessione con la criticità emergente da disastri come il terremoto del 1980. Ciò in aggiunta alla già considerevole originalità identificabile nel nesso causale desumibile attraverso la dinamica di cambiamento organizzativo, proiettato in ottica longitudinale verso l’istituzione della più contemporanea “protezione civile”. In tal senso, la produzione letteraria risulta scarna, delineando il presente contributo come embrionale precursore di indagine sul tema.

Framework teorico di riferimento

La trasformazione del contesto ambientale espone persone ed organizzazioni a dover fronteggiare situazioni di adattamento alle nuove condizioni che si presentano (Cavada, 2014; Maimone, 2018).

Per quanto concerne i processi di cambiamento organizzativo, il tempo è una variabile che gioca un ruolo fondamentale. Il processo di cambiamento è usualmente graduale e premeditato, in quanto si ritrova a dover modificare dei procedimenti già consolidati. Inoltre, l’organizzazione è composta da persone che, in quanto tali, presentano una dimensione emotiva che viene anch’essa attraversata dal processo di cambiamento (Frigelli, 2017).

Tuttavia, non sempre è possibile prevedere il cambiamento o controllarlo: alcune circostanze impongono il cambiamento, che quindi può essere non programmato (Burke, 2023) o episodico (Grundy, 1994).

La scienza manageriale e organizzativa ha iniziato, da ormai più di qualche decennio, a riconoscere le task force come strutture organizzative temporanee (Meyerson et al., 1996), con particolare attenzione al tempo come fattore chiave nella distinzione tra diverse forme organizzative. In particolare, le organizzazioni temporanee possono essere descritte come entità che collaborano e si auto-organizzano per affrontare compiti complessi per una durata limitata (Goodman & Goodman, 1976; Lanzara, 1983; Meyerson et al., 1996; Jones, 1996; Grabher, 2002).

Tipi specifici di organizzazione temporanea che emergono in particolare in risposta a eventi improvvisi e di forte impatto (compresi quelli imprevisti come le crisi ambientali, disastri naturali o man-made) sono note come organizzazioni “estreme” ed “effimere” (Lanzara, 1983).

Si è notato in letteratura e nella prassi, a seguito di osservazione sistematica, che le organizzazioni “estreme” emergono concomitantemente a situazioni di crisi, quali proprio terremoti, catastrofi e incidenti di diverso tipo che sconvolgono più o meno radicalmente la normalità, ridefinendo i canoni di questa in modo molto meno lineare, altresì ribaltando l’ordine formale delle relazioni sociali e socialmente organizzate, così come da situazione pre-crisi. In tali condizioni, tendenzialmente, emergono le c.d. organizzazioni “effimere”, riconosciute in letteratura come forme di azione collettiva temporanee che hanno origine attorno ad un evento. A questo proposito e proprio nel caso di specie, è da ritenersi il modello più avvalorato nell’osservazione delle dinamiche organizzative emerse durante il terremoto dell’Irpinia (1980). In quanto, nelle ore e nei giorni immediatamente successivi al sisma, numerosi individui, in maniera totalmente auto-organizzata e spesso su spinta motivazionale personale, intervennero spontaneamente sui luoghi (in molti casi irraggiungibili) della catastrofe, per fornire immediati aiuti, soccorso e agendo al di fuori di ogni organo militarmente organizzato, o di effettiva predeterminazione operativa in tal senso.

Le organizzazioni effimere sono spesso avviate da individui che cercano di assistere le persone colpite dalle conseguenze caotiche di un evento improvviso. Queste organizzazioni operano in un ambiente di complessità, incertezza e risorse limitate, come descritto da Kreps (1983) e Lanzara (1983). La struttura organizzativa delle organizzazioni effimere è delineata sulla base di quattro dimensioni chiave:

– Leadership: le organizzazioni effimere si differenziano da quelle tradizionali perché hanno un’autorità decisionale decentralizzata, che potenzialmente porta alla nascita di leader informali;

– Struttura organizzativa: a differenza delle organizzazioni tradizionali, le organizzazioni effimere mancano di una gerarchia verticale e hanno una struttura più orizzontale e caotica;

– Divisione del lavoro: a causa dell’assenza di una struttura ben definita, la divisione del lavoro nelle organizzazioni effimere è fondamentale e cambia continuamente;

– Attività e regole: mentre le organizzazioni formali stabiliscono regole che dettano le attività, le organizzazioni effimere sviluppano nuove regole basate su attività ripetute, enfatizzando le consuetudini rispetto alle procedure formali.

Le organizzazioni effimere danno la priorità al miglioramento della resilienza nel loro ambiente rispetto alla massimizzazione dell’efficienza della produzione (Burton, 1993). A differenza delle organizzazioni tradizionali che si affidano alle esperienze passate per il processo decisionale, le organizzazioni effimere operano sulla base di azioni immediate e informazioni locali a causa dell’elevata incertezza e instabilità del loro ambiente (Ashby, 2017). Nonostante il loro approccio non convenzionale, le organizzazioni effimere sono formate da individui che sfruttano le proprie competenze ed esperienze per fornire aiuto in tempi di crisi. L’interazione tra organizzazioni effimere e autorità consolidate spesso porta alla dissoluzione delle prime, poiché la burocrazia complica le loro azioni un tempo semplici.

Le organizzazioni effimere affrontano sfide nel funzionamento in un contesto di «non-normalità», definito come un ambiente che, sebbene possibilmente caratterizzato da emergenze e circostanze temporanee, viene gradualmente governato da una struttura burocratica e normativa distinta, allontanandosi così dall’imprevedibilità e dal disordine (Lanzara, 1983).

Evidenze: principali riscontri emergenti dal Caso Castelgrande (PZ)

Castelgrande è un comune italiano di 810 abitanti situato in provincia di Potenza nella regione Basilicata. Situato in cima a uno sperone roccioso, le sue origini possono essere fatte risalire all’incirca all’anno 1000, nonostante testimonianze di insediamenti umani nella zona risalgano anche a prima. La città si è sviluppata attorno a una fortezza, ritenuta di origine longobarda, che alla fine è stata demolita a causa dell’attività sismica oggetto di questo studio. A dimostrazione di quanto precedentemente evidenziato, gli autori propongono l’analisi di diverse testate giornalistiche che nei giorni del terremoto in Irpinia hanno fotografato l’emergenza in termini di ritardo negli aiuti (Fig. 1-3). Inoltre, attraverso gli estratti di trascrizioni relative a testimonianze dei primi soccorritori intervistati giunti  a Castelgrande,  si è riusciti a formulare evidenze relative alla sussistenza effettiva in risposta alle domande di ricerca (a) su come effettivamente un fattore critico contingente sia in grado di generare necessità organizzative nuove, imminenti, tempestive e auto-organizzate temporaneamente, formalizzando la definizione di organizzazioni prettamente “estreme” ed “effimere”; (b) su come effettivamente una contingenza esterna, nel caso di specie il terremoto del 1980 in Irpinia, si è resa fattispecie causale per l’emergere di una soluzione organizzativa alternativa ad architetture temporanee, quale il sistema propedeutico alla gestione delle crisi: gli organi di protezione civile.

Fig.1 “La Repubblica” – I morti sono più di tremila per i vivi mancano gli aiuti

Fonte: https://www.google.it/search?q=repubblica+i+morti+sono+pi%C3%B9+di+tremila+terremoto+&sca_esv

Fig.2 “Cronache di Potenza” – 23 Novembre ’80: ore 19,34 (foto del disastro)

Fonte: https://www.google.it/search?sca_esv=aa52302f45f8cf1b&sca_upv=1&q=cronache+di+potenza+terremoto&uds

Fig.3 “Il Mattino” – FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo per aiutare chi non ha più nulla

Fonte: fotoriproduzione da materiale in possesso degli autori

La Fig.1, tratta dalla prima pagina de “La Repubblica”, identifica nel titolo la numerosità dei morti e la mancanza di aiuti per i sopravvissuti.

La fig.2, tratta dalla prima pagina delle “Cronache di Potenza”, riporta nel titolo il giorno e l’ora del terremoto (23 novembre ’80: ore 19,34), riportando le foto del disastro.

La Fig.3, tratta da “Il Mattino”, riporta nel titolo un’esortazione a fare presto per salvare chi è ancora vivo per aiutare chi non ha più nulla.

Ciò denota indiscutibilmente la mancata efficienza della macchina organizzativa strutturata a favore di quella informale, incentrata su dinamiche di improvvisazione individuale e/o di gruppo.

Pertanto, una prevalenza di modalità operative e organizzative c.d. “effimere” (Quarantelli & Dynes,1977) è resa visibile e riscontrabile anche e soprattutto dai resoconti narrati e trascritti, come di seguito, dai primi soccorritori su base individuale e volontaria:

Soccorritore 1: La sera del 23-11-1980, all’incirca verso le 19:30 nel mentre stavo guardando una partita di calcio, avvertii una forte scossa di terremoto e mi trovavo al 4° piano di un edificio a Napoli. Mi trovavo per caso in tasca una decina di gettoni, ovviamente chiamai i miei genitori lontani, ma i telefoni erano fuori uso.

Presi la decisione, insieme ad altri amici, di raggiungere l’autostrada a piedi per avviarmi verso la Basilicata in autostop.

Giunto a Castelgrande, iniziai a vedere le case crollate e nel chiedere dove potessero essere le persone a me care, mi indicarono una zona periferica del Paese. Nel frattempo, iniziava a sorgere il sole – erano circa le 6 del mattino.

In quella giornata l’unica forza dello Stato che ho visto era rappresentata da due poliziotti e dall’amministrazione comunale. Solo dopo due giorni iniziò ad arrivare l’esercito che issò una cucina da campo e verso la metà della settimana iniziava ad arrivare qualche soccorso volontario.

Soccorritore 2: Aderii alla proposta di amici più grandi che si erano mossi verso Castelgrande. In realtà non si conosceva l’iter di richiesta di aiuto, sembra fosse partita dal “movimento di comunione e liberazione” (Reggio Emilia – Milano) (all’epoca non riconosciuta come fraternità). A Castelgrande non si conosceva nessuno, si è stati dirottati dove vi era bisogno e nelle zone più remote e inaccessibili. La mobilitazione fu su base spontanea, anche se spontanea può non essere sembrata.

Soccorritore 3: La macchina organizzativa è partita pressoché immediatamente appena si è saputa la notizia, ma io mi stavo per laureare in medicina e con i colleghi e le persone facenti parte di “comunione e liberazione” abbiamo dilettantisticamente organizzato i soccorsi e lo smistamento degli aiuti.

Ricordo dell’amico che era ad Avellino; lui faceva da alter ego in modo da essere un punto di riferimento logistico. A Castelgrande sono stato una sola notte, il mio ruolo improvvisato è stato quello di gestire lo smistamento degli aiuti dalla sede milanese. Di fatto l’orogenesi del territorio e le condizioni climatiche hanno reso impossibile il raggiungimento delle zone nell’immediato.

Il primo soccorritore si trova a descrivere esattamente quella che sembrerebbe essere una fase iniziale di organizzazione “effimera”. Il secondo soccorritore descrive un’organizzazione “effimera” definibile di seconda fase, leggermente ritardata rispetto all’evento e quindi, in questo senso, assumerebbe già dei caratteri di azione organizzata in modo quasi-strutturato.

Ad avvalorare quanto anzidetto e per considerare in modo deterministico l’andamento osservato sistematicamente a livello empirico in letteratura, in riferimento alle tipologie di organizzazione dal carattere temporaneo oggetto dello studio, è da notarsi che proprio la temporaneità, in quanto caratteristica peculiare, pone queste ultime come infrastruttura “ponte” per la definizione di impianti più strutturati di gestione.

A tal proposito, come esplicitato a livello introduttivo, l’interazione tra organizzazioni “estreme” ed “effimere” e le autorità consolidate porta alla dissoluzione delle prime dopo un certo periodo e a crisi ormai arginata.

In questo caso, l’Amministrazione Comunale, attraverso l’ “operazione trasparenza”, posta in essere per i fondi assegnati tra 1981 e 1991, al fine del recupero del patrimonio immobiliare gravemente danneggiato dal terremoto, costituisce armonicamente un quadro di sintesi a-posteriori e al contempo riferisce nozioni fondanti dell’operato gestionale pubblico a supporto delle reciproche aspettative di una piccola comunità devastata dagli eventi sismici, soprattutto sotto il profilo interagente finanziario-organizzativo. Per cui, il tempestivo intervento da parte dei primi soccorritori autonomi, il tempestivo intervento dell’apparato statale più vicino ai cittadini, i successivi interventi di organizzazioni a carattere sociale e il più tardivo intervento strutturato statale hanno decretato il passaggio di consegne, accademicamente riconosciuto, come transizione da organizzazioni “estreme” ed “effimere” a un meccanismo organizzato, architettonicamente più definito e riconosciuto.

Discussioni

Gli studi di organizzazione hanno visto una esponenziale crescita di interesse relativo alla dimensione di “estremizzazione” (Hällgren, Rouleau & De Rond, 2018), intesa proprio in riferimento alle condizioni estreme, alla temporaneità ed eccezionalità di eventi osservabili ecc. In questa direzione, si è mosso l’interesse degli autori del presente contributo, al fine di sottolineare come eventi “estremi” possano favorire ricadute organizzative dello stesso tipo per far fronte a specifiche esigenze.

Pertanto, il caso di studio, come spartiacque temporale nella logica pratica manageriale e nella teoria organizzativa più strettamente connessa alla visione accademica, fornisce indicazioni preliminari chiave sull’effettiva determinazione di sussistenza di tipologie organizzative rudimentali ed elementari, necessarie per fronteggiare l’emergenza.

Il caso di Castelgrande, nello specifico, e del terremoto del 1980 in Irpinia, più in generale, hanno determinato le condizioni di osservabilità a-posteriori di dinamiche organizzative “eccezionali” orientate primariamente da quella dinamica di “ruolo effimero” che Lanzara (1983) e Zurcher (1978; 1968) descrivono in merito alle organizzazioni sociali autodeterminate volontariamente nell’imminenza del post-disastro. Tale ruolo, eufemisticamente “effimero”, è risultato invece di cruciale importanza sotto un duplice aspetto: (a) per il raggiungimento degli aiuti iniziali in zone la cui orogenesi rendeva impraticabile la tempestività della macchina organizzativa pubblica statale; (2) per la riformulazione e l’assestamento di task force costituite ad hoc e stabili, capaci di far fronte nell’imminenza ad emergenze di diverso tipo che impattino l’incolumità delle persone.

Proprio il terremoto del 1980 e il caso di Castelgrande, rispetto alle domande di ricerca, configurano una linea di demarcazione temporale “ponte” nel risk-management odierno, fondando le basi di tempestività di intervento che hanno caratterizzato dapprima le “organizzazioni effimere” coeve all’evento sismico, successivamente l’emergere di una più strutturata e finalizzata organizzazione: la protezione civile.

Questa frattura con carattere di eccezionalità, insita nel terremoto del 1980, formalizza a livello teorico accademico, oltre che nelle implicazioni pratiche, un passaggio chiave evolutivo nella logica organizzativa, tale per cui l’organizzazione “effimera” troverebbe un fondamento nella sua fattispecie metamorfica strutturale “non-effimera” (Hussein, & Keshtiban, 2019).

Conclusioni

Disastri di ogni natura necessitano di interventi tempestivi nella gestione e soprattutto nel far rientrare l’emergenza, passando da uno stato di non linearità ad uno nuovamente di linearità. Questa situazione comporta sforzi e mobilitazione di ordine generale e specifico, economico, politico, ma soprattutto organizzativo. In questo senso, la prospettiva dinamica si muove attraverso due direttrici: (a) quella delle organizzazioni “estreme” ed “effimere”; (b) quella delle architetture di gestione emergenziale strutturate. Talvolta le seconde non riescono a sopperire adeguatamente e tempestivamente alle necessità del caso, così le prime diventano il “new-normal” organizzativo.

Il caso del terremoto in Irpinia nel 1980 risulta essere emblematico, da un lato per la configurazione di organizzazioni soprattutto “effimere” e dall’altro per la configurazione di un cambiamento organizzativo verso la costituzione di strutture atte a tutelare l’integrità della vita (protezione civile) successivamente all’episodio catastrofico. Questo caso di studio rende pienamente comprensibile la definizione di organizzazione “estrema” ed “effimera” e ne delinea i contorni e i confini nella misura in cui queste ultime, arrivate alla loro fase di evoluzione massima, si dissolvono, dando vita ad architetture di sistema maggiormente strutturate (non-effimere).

Implicazioni teorico-pratiche

Sotto il profilo teorico, la letteratura organizzativa trarrebbe beneficio dal presente contributo soprattutto nell’identificazione di una linea di demarcazione tra il prima e il dopo l’evento catastrofico del caso di specie, in termini di “lezioni apprese”. Tale considerazione determina un passaggio cruciale di esperienza in ottica di cambiamento organizzativo evolutivo, fornito dalla “casuale”, “rudimentale” ed “elementare” necessità di gestire e fornire immediato aiuto, auto-costruendo architetture sociali non strutturate e temporanee, coeve e funzionali all’eccezionalità della crisi (di carattere effimero). Proprio il passaggio dalle connotazioni organizzative “effimere” a quelle “non-effimere” destituisce e trasla il ruolo delle prime nell’attribuzione di valore e nelle finalità delle seconde in una strutturata, legittimata istituzionalizzazione.

A livello manageriale l’insegnamento che ne deriva riflette la posizione di imprevedibilità dell’evento catastrofico e l’insoddisfacente risposta organizzativa degli organi preposti a favore dell’iniziativa individuale volontaria, più repentina, ma indiscutibilmente effettuata con meno risorse a disposizione. Da qui, come precedentemente espresso, la necessità percepita di strutturare, parallelamente alle organizzazioni già esistenti, gli organi di Protezione Civile, decretando un passaggio fondamentale da segnalare a livello accademico come spartiacque decisivo di cambiamento organizzativo.

Limitazioni e futuri sviluppi di studio

I limiti intrinseci al contributo sono riscontrabili nel parziale utilizzo di fonti documentali storiche d’archivio, nell’impossibilitato accesso ad archivi sul territorio nazionale, come quello del “movimento di comunione e liberazione” o di altre Amministrazioni Comunali e nella possibilità di intervistare solo un numero esiguo di soccorritori per la distanza temporale dall’evento, per la difficoltà di reperimento del campione, ma soprattutto per la difficoltà di degli intervistati di ripercorrere momenti tragici ed emotivamente carichi. I documenti d’archivio presenti sul territorio nazionale, relativamente alle aree geografiche e alle comunità colpite dal sisma, meriterebbero un approfondimento sotto diversi profili, tra cui quello finanziario, di rendicontazione dei danni, di etica nella ricostruzione ecc.

 Tali dimensioni, in stretta interconnessione con la dinamica interdisciplinare dell’area manageriale legata ai disastri, alla gestione del rischio e alla dimensione socio-politica della salvaguardia della vita, trovano terreno fertile per gli studi organizzativi successivi, che potranno attingere a riscontri osservativi paralleli, sinossi e comparazioni transterritoriali, oltre che a beneficiare di diversi approcci metodologici, come focus group e reportage di etnografia indiretta, atti a limitare gli impatti psicologici sugli intervistati.

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Sitografia

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Ringraziamenti

Molto di quanto emerso per la strutturazione di questo studio è frutto del contributo essenziale dei racconti del Sindaco del Comune di Castelgrande (PZ), Francesco Cianci, che in prima persona ha mosso le redini dell’assistenza immediata e poi della ricostruzione.

Si ringraziano vivamente i soccorritori intervistati per il contributo fondamentale nella narrazione della memoria storica degli eventi.

Si ringraziano altresì, Angelo Racaniello, Sindaco 1980; Don Vito Troiano, Parroco 1980; Don Mimmino e Gruppi Scout Comune di Galatone; Vincenzo Lozito; Amoroso Daniela; Vincenza Lisanti, Lucio Saggese.

Autori

+ articoli

AUS American Institute of Applied Sciences

Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Studi Storici “Federico Chabod”

Università degli Studi dell’Insubria – Dipartimento di Economia

Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Management “Valter Cantino”

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