Abstract
Contrariamente agli stereotipi, anche gli addetti con maggiore anzianità aziendale possono contribuire all’efficace introduzione del lean management. È però necessario che l’azienda metta in atto un insieme coerente di pratiche di gestione delle risorse umane, in particolare la formazione, e sostenga i comportamenti di supporto attivo al cambiamento.
Introduzione
Dire che le persone sono il fulcro delle organizzazioni ispirate ai principi del lean management può sembrare un’affermazione ovvia: questa filosofia gestionale presuppone che gli addetti acquisiscano una maggiore discrezionalità rispetto ai modelli gestionali “tradizionali”, come quello fordista, oppure la gestione “a vista” tipica di molte PMI. Non a caso, originariamente, il lean management era stato chiamato “Respect for Humanity System”, dal momento che si proponeva di umanizzare il lavoro e di cambiare in meglio la società (Jadhav et al. 2014).
L’evoluzione degli studi sul tema ha poi privilegiato la dimensione tecnica, sviluppando strumenti e pratiche capaci di rendere i processi aziendali più efficienti, ma sempre sotto la condizione che le persone abbraccino questa filosofia manageriale (Bouranta et al., 2022). Il successo dell’introduzione del lean management passa quindi dalla capacità di disimparare approcci, strumenti e tecniche consolidati e di mettere in atto quelli caratterizzanti il nuovo approccio: in altri termini, l’azienda deve portare a termine con successo un processo di cambiamento organizzativo.
Quando si pensa alle reazioni dei destinatari del cambiamento è istintivo riferirsi al concetto di “resistenza”: il fatto che le persone non modifichino i comportamenti con la rapidità e la passione di chi il cambiamento lo immagina, può far erroneamente ritenere che le persone vi resistano, vittime della sindrome del “si è sempre fatto così”. Un altro pregiudizio riguarda la predisposizione al cambiamento di persone appartenenti a generazioni diverse in termini di anzianità aziendale: si presume che chi è da sempre in azienda sia più riottoso ad adattarsi alle novità.
Con questo lavoro -che esamina l’introduzione dell’approccio lean in una piccola impresa friulana del settore alimentare- affrontiamo questi due preconcetti, troppo spesso accettati acriticamente, per cercare di capire quali siano le condizioni organizzative che consentono l’attivazione di comportamenti favorevoli al cambiamento da parte di soggetti con diversa anzianità aziendale. Nello specifico, andremo a esaminare come specifici strumenti di gestione delle risorse umane si combinano con l’atteggiamento verso il cambiamento degli addetti e la loro anzianità aziendale nel determinare l’effettiva adozione delle pratiche di lean management.
La centralità della gestione delle risorse umane nel lean management
Il lean management è una filosofia manageriale che si propone di realizzare prodotti e servizi in grado di assicurare la varietà, flessibilità e i livelli di prestazione necessari per soddisfare pienamente le esigenze dei clienti, senza accrescere i costi di produzione, attraverso miglioramenti dell’efficienza operativa derivanti dall’eliminazione o riduzione degli sprechi; si tratta di un approccio che, nato con riferimento alla produzione manifatturiera, può essere esteso a tutti i processi aziendali (Womack & Jones 2003). Il lean management prevede una serie di strumenti finalizzati a rendere più efficace ed efficiente la dimensione tecnica dei processi aziendali (come il just-in-time, la standardizzazione delle attività, l’omogenizzazione dei carichi di lavoro), nonché al loro miglioramento continuo grazie al contributo attivo degli addetti. Ma per essere messi in atto, tutti questi strumenti richiedono un insieme di “atteggiamenti, decisioni e azioni” che nasce dalla combinazione di principi radicati nel taylorismo con elementi originali frutto della sintesi del modello produttivo giapponese.
Come le aziende possono stimolare questi “atteggiamenti, decisioni e azioni”? Gli strumenti a disposizione delle aziende includono la presenza di leader riconosciuti, l’organizzazione del lavoro in team, il coinvolgimento attivo degli addetti di flussi di comunicazione, l’attuazione di interventi specifici di formazione; inoltre sono necessari interventi specifici come l’introduzione di sistemi di misurazione delle prestazioni, il collegamento delle ricompense ai risultati, e l’allargamento delle mansioni. Gli interventi che non sono accompagnati da questi strumenti possono portare a fenomeni di scetticismo e ostilità; ad esempio, la sola formazione sui temi lean non produce risultati concreti quando non è accompagnata da iniziative che motivano le persone ad applicare concretamente quanto appreso (Kaur Paposa et al., 2023).
Le reazioni dei destinatari di un cambiamento verso il lean management
Ripensato il processo produttivo e individuati gli strumenti di supporto, chi propone una trasformazione lean si trova ad affrontare le reazioni degli addetti coinvolti in prima persona. Come dicevamo, i leader del cambiamento si aspettano una reazione appassionata che, però, raramente si manifesta con l’intensità desiderata. E questo non per una pregiudiziale avversità verso qualsiasi novità, ma perché i destinatari del cambiamento rilevano un disallineamento tra gli elementi dell’assetto organizzativo. L’introduzione di un cambiamento dà luogo a una varietà di possibili reazioni che possono essere comprese a livello emotivo, cognitivo e intenzionale. Nello specifico, il livello emotivo comprende le reazioni come l’ansia oppure l’entusiasmo per il cambiamento; la reazione cognitiva riguarda la valutazione dei vantaggi e svantaggi e della fattibilità dell’iniziativa; infine, nel livello intenzionale ritroviamo il livello di coinvolgimento e i comportamenti messi in atto (Oreg et al. 2011). Questa distinzione è molto importante perché mette in luce la necessità di distinguere ciò che le persone pensano del cambiamento (ad esempio, ritengono che sia più o meno in linea con i loro interessi) e ciò che fanno nell’ambito dell’iniziativa di cambiamento.
A seconda di come questi tre aspetti si configurano, un individuo potrebbe mettere in atto comportamenti pro-change di esplicito sostegno, che potrebbe andare oltre quanto strettamente richiesto dai leader, oppure mostrare apatia, oppure ancora ostacolare l’iniziativa con azioni anti-change, che possono essere plateali, come uno sciopero o una protesta formale, oppure informali, come un palese atteggiamento di scetticismo (Peccei et al., 2011). Inoltre, una stessa persona può reagire in diversi momenti con diversi comportamenti, talvolta anche contraddittori e ambivalenti: è perciò estremamente semplicistico categorizzare alcune persone come ostacoli solo perché non manifestano l’entusiasmo che ci si aspetterebbe da loro. Inoltre, raramente l’ostilità nasce per un pregiudizio, ma piuttosto perché le persone sono preoccupate per come il cambiamento viene portato avanti o perché temono di venir in qualche modo danneggiate dall’iniziativa, in termini di status, mansioni, relazioni sociali o remunerazione.
L’idea che la fonte delle resistenze sia un’ineluttabile e ingiustificata inflessibilità dei dipendenti deriva da una superficiale interpretazione di una delle teorie classiche del cambiamento organizzativo, il modello del “campo di forze” di Kurt Lewin, secondo cui le reazioni non in linea con gli obiettivi dei leader sarebbero da interpretare meccanicamente come forze contrarie da rimuovere (Oreg et al., 2018).
Il modello concettuale
Da quanto detto, ci aspettiamo che l’effettiva adozione di comportamenti operativi coerenti con il modello lean si traduca in miglioramenti degli indicatori di prestazione del processo; andando in profondità, riteniamo che l’adozione delle nuove pratiche sia legata a tre ordini di fattori: l’efficacia percepita dagli addetti delle pratiche di gestione delle risorse umane adottate dall’azienda; i comportamenti, di supporto o ostilità verso l’intervento, attuati dagli addetti; l’anzianità aziendale degli addetti. Purtroppo, però, la letteratura è di scarso aiuto nell’individuare in quale modo questi fattori interagiscano: abbiamo quindi studiato il caso dell’azienda Alfa con l’obiettivo di portare alla luce tutta la complessità di queste relazioni, rifuggendo da semplificazioni circa l’effetto dei fattori determinanti.
La Figura 1 visualizza il modello concettuale che ci ha guidato nell’analisi del caso.

Figura 1 – Modello concettuale
La metodologia di analisi
La nostra ricerca sul campo ha coinvolto Alfa, un’azienda del settore alimentare, un settore in cui il lean management è difficile da applicare a causa della varietà della domanda, della natura dei processi produttivi e delle stringenti norme sanitarie che limitano lo spazio di manovra degli agenti del cambiamento.
Abbiamo studiato questo caso attraverso l’esame di documenti aziendali e l’analisi di un questionario rivolto a tutti gli addetti coinvolti nel cambiamento. Il questionario è stato costruito con riferimento alla letteratura rilevante e le misure hanno adottato una scala da 1 a 7. Nello specifico, l’adozione delle tecniche lean è stata misurata in termini di intensità di utilizzo delle procedure standard, della manutenzione preventiva, dell’interruzione del processo per consentire la risoluzione dei problemi e dell’impiego della metodologia delle 5S. I comportamenti pro-change riguardano l’entità degli sforzi profusi per promuovere il cambiamento, l’entusiasmo dimostrato, la promozione dell’iniziativa presso i colleghi; quelli anti-change, invece, toccano le critiche espresse a colleghi e superiori e il supporto a chi manifesta comportamenti ostili. Gli strumenti di gestione delle risorse umane considerati sono l’efficacia della formazione, del lavoro in team, della misurazione delle prestazioni, degli incentivi, del supporto da parte degli agenti del cambiamento; abbiamo inoltre considerato la coerenza percepita della cultura d’impresa. Infine, abbiamo rilevato l’anzianità aziendale dei dipendenti.
Abbiamo analizzato i dati raccolti con una metodologia che ormai ha acquisito centralità negli studi organizzativi, la Qualitative Comparative Analysis (QCA), che ha il grande pregio di considerare come diversi fattori si combinano nel produrre un certo risultato, invece di apprezzarne il contributo in isolamento dagli altri (Ragin, 2000). Il risultato di questa analisi è una serie di configurazioni, ciascuna caratterizzata dalla presenza, assenza o indifferenza dei vari fattori; è possibile che più configurazioni possano condurre allo stesso risultato oppure che un determinato fattore conduca a un risultato se inserito in una certa configurazione e uno opposto se combinato con altri fattori. In questo modo, è possibile cogliere tutta la ricchezza delle interdipendenze tra fattori che producono i fenomeni organizzativi. Adottando questa logica, abbiamo considerato ciascun addetto come un caso definito da una configurazione di attributi (anzianità, atteggiamenti rispetto al cambiamento, efficacia percepita della formazione), la cui combinazione può portare ad adottare o a non adottare la filosofia lean.
Verso il lean management in un’impresa del settore alimentare
Alfa produce filetti di pesce precotti, confezionati sottovuoto, di alta qualità e pronti al consumo, che vengono distribuiti attraverso negozi specializzati, ristoranti e catene di grande distribuzione, soprattutto a livello nazionale. Fondata nei primi Anni ’70, ha raggiunto un fatturato di quasi 5 milioni di Euro, in costante crescita nell’ultimo decennio. Alfa ha un proprio allevamento di pesce e produce i propri mangimi: l’integrazione verticale a monte vuole assicurare la qualità delle materie prime e la continuità della fornitura. L’impianto di trasformazione è situato in prossimità dell’allevamento per minimizzare i costi logistici e ridurre i rischi di contaminazione batterica. La garanzia della qualità del prodotto e la velocità del processo sono fattori critici di successo, poiché rispondono alle aspettative dei consumatori e dei rivenditori, quest’ultimi interessati a poter contare su una lunga durata di conservazione. Alfa è interamente di proprietà della famiglia del fondatore, i cui membri sono direttamente impegnati nella gestione, e, al momento dell’analisi, impiegava 16 addetti e cinque addetti alle vendite e all’amministrazione.
L’iniziativa di cambiamento non nasce dalla necessità di rispondere a una crisi contingente, ma come mossa strategica finalizzata a consolidare il vantaggio competitivo. Il progetto è stato portato avanti da membri della direzione che, pur non avendo una formazione specifica in materia, non si sono avvalsi della consulenza di esperti esterni. Tutte queste condizioni portano a ritenere che l’intervento sia stato ad alto rischio di insuccesso.
L’intervento ha riguardato due linee di trasformazione che coinvolgono nove addetti. Il progetto è stato strutturato secondo le fasi canoniche di diagnosi, pianificazione degli interventi secondo un modello specifico per l’industria alimentare, e implementazione. Il team di progetto ha analizzato il processo produttivo attraverso lo strumento della mappatura del flusso di valore, integrando consolidati principi lean con concetti e tecniche specifiche dell’industria alimentare. Alla luce dell’analisi, il team ha identificato una serie di miglioramenti che consistono nella modifica del layout con l’adozione di nuove strumentazioni (tra cui abbattitori per prolungare la durata di conservazione dei prodotti), l’ottimizzazione della capacità produttiva, la riduzione delle interruzioni, l’efficientamento delle postazioni di lavoro e la manutenzione preventiva. Ottenuta l’approvazione da parte della famiglia e lanciato il progetto, che si è sviluppato in un periodo di tre settimane, il team supportato gli addetti con una serie di interventi di formazione.
I risultati del progetto di cambiamento
L’intervento ha ridefinito sostanzialmente le fasi del processo, riducendo i tempi di inattività, le interruzioni del flusso di attività e incrementando la quantità di materia prima lavorata ogni giorno. La proprietà ha considerato i risultati “pienamente soddisfacenti e propedeutici alla trasformazione di altri processi, sia tecnici che amministrativi”. Il raggiungimento degli obiettivi è corroborato da misure di performance che soddisfano gli obiettivi prefissati (Tabella 1). Pertanto, il caso di Alfa può essere considerato un caso di successo di trasformazione, su piccola scala, verso il lean management.
Tabella 1 – Variazione dei principali indicatori di performance prima/dopo l’intervento

Questi esiti positivi sono stati raggiunti attraverso un cambiamento nel comportamento dei dipendenti che non è stato però omogeneo: mentre la maggioranza degli addetti ha adottato le quattro tecniche lean in modo sistematico, alcuni presentano un punteggio molto basso (Addetto E=2,5) o moderato (D=3,75; G=4; B=4,5); inoltre, l’intensità di applicazione di alcune pratiche è molto variabile tra gli addetti, come messo in luce dalla Figura 2 che presenta i valori minimo, medio e massimo di adozione. Nello specifico, l’addetto E è particolarmente refrattario a qualsiasi pratica, mentre gli altri addetti non hanno adottato le previste procedure di manutenzione preventiva. Questi risultati ci permettono di ipotizzare che un progetto di trasformazione lean possa produrre risultati soddisfacenti anche se alcuni addetti non cambiano le proprie pratiche di lavoro, o lo fanno solo in misura limitata, purché gli altri agiscano come catalizzatori del cambiamento.

Figura 2 – Intensità di adozione delle tecniche lean
Le determinanti della trasformazione dei comportamenti
Il contesto di Alfa presenta diversi aspetti favorevoli al cambiamento, quali la presenza di team di lavoro e una cultura che apprezza gli sforzi individuali. Queste caratteristiche sono riconosciute tanto dagli addetti quanto dalla famiglia proprietaria, i cui rappresentanti affermano: “Abbiamo sempre promosso l’esplorazione di modi nuovi e migliori di fare le cose. Nel corso della storia dell’azienda, ciò si è tradotto in un continuo miglioramento delle procedure e nell’adattamento o nell’invenzione ex novo di macchinari o strumenti. I dipendenti sono sempre stati coinvolti in queste iniziative e incoraggiati a condividere le loro idee. La comunicazione è informale e promossa a tutti i livelli dell’azienda”.
Tutti gli addetti hanno riconosciuto l’efficacia di strumenti di supporto al cambiamento lean quali gli indicatori delle prestazioni del processo, gli incentivi legati ai risultati del progetto e il supporto manageriale dedicato agli addetti, mentre si riscontra maggiore eterogeneità con riferimento all’impatto degli interventi di formazione.
La maggior parte degli addetti ha supportato cambiamento, pur senza particolare slancio. In particolare, due addetti (A e C) hanno presentato comportamenti pro-change moderati (4/7), pur non resistendo esplicitamente (punteggio anti-change di 1/7). I due addetti che si sono opposti al cambiamento sono invece B e I; quest’ultimo ha mostrato, contemporaneamente, anche un’elevata propensione al cambiamento. Questi risultati rappresentano un ammonimento a non considerare la promozione e la resistenza al cambiamento come speculari.
Ma come si combinano i comportamenti pro– e anti-change con l’efficacia percepita della formazione (che è l’unica pratica di gestione delle risorse umane la cui efficacia è stata percepita differentemente dagli addetti) e l’anzianità aziendale nello spiegare l’adozione e la mancata adozione delle pratiche lean? La QCA condotta per spiegare la non-adozione non ha prodotto nessun risultato affidabile; ci concentriamo quindi sulle quattro configurazioni di fattori che conducono all’adozione (Tabella 2).
Tabella 2 – Risultati della QCA. Risultato: adozione delle pratiche lean.

Le prime due ricette causali riguardano gli addetti con elevata anzianità aziendale: nello specifico, la prima indica che l’adozione delle nuove pratiche è attuata da chi si spende attivamente per promuovere il cambiamento e riconosce l’efficacia della formazione, indipendentemente dalla presenza, o meno, di comportamenti anti-change. La seconda indica che gli addetti che non attuano comportamenti ostili cambiano poi il loro modo di lavorare, indipendentemente dal supporto mostrato dall’iniziativa e dall’efficacia della formazione. Questi risultati suggeriscono che l’assenza di comportamenti contrari al cambiamento è più importante della presenza di comportamenti favorevoli, che, per produrre l’effetto atteso, devono accompagnarsi a una efficace formazione. In altri termini, è più importante non avere addetti esperti ostili che averne di favorevoli.
Nel complesso, questi due percorsi causali smentiscono il preconcetto che i dipendenti esperti siano un ostacolo al cambiamento: l’accumulo di conoscenze specifiche in azienda e lo sviluppo di routine non inibiscono, di per sé, l’adozione di nuovi comportamenti, purché si verifichino le altre condizioni abilitanti evidenziate. Questo risultato supporta il punto di vista, presente nella letteratura, secondo cui l’esperienza dei dipendenti può avere un impatto positivo sul cambiamento lean.
Le altre due ricette causali riguardano tutti i destinatari del cambiamento, indipendentemente dalla loro anzianità, e ribadiscono la centralità dell’assenza di resistenze che deve essere accompagnata una formazione efficace oppure dalla propensione a supportare attivamente il cambiamento. Avevamo già incontrato questi due fattori nella prima configurazione, in cui dovevano essere presenti entrambi per portare all’adozione delle nuove pratiche. Questo risultato dice qualcosa di in più rispetto agli effetti inerziali dell’anzianità aziendale e della resistenza attiva al cambiamento: l’anzianità sembra frenare il cambiamento di più dei comportamenti contrari, in quanto entrambi i fattori compensativi della formazione e dell’adesione al progetto devono essere presenti per modificare il modo di operare degli addetti esperti. L’eventuale presenza di comportamenti anti-change richiede uno sforzo organizzativo molto più elevato per generare il cambiamento rispetto alla possibile inerzia dei lavoratori esperti, come rende evidente la configurazione 2. In sintesi, l’azienda può contare sull’esperienza dei propri dipendenti più esperti per portare il cambiamento, purché siano presenti determinate pratiche di gestione delle risorse umane che, tra l’altro, siano capaci di stimolare l’adesione al progetto.
Considerazioni conclusive
Il nostro esame di un’iniziativa di cambiamento in ottica lean di una PMI del settore alimentare ci ha permesso di mettere in luce alcuni rilevanti aspetti della relazione tra impiego di pratiche di gestione delle risorse umane, reazioni al cambiamento ed effettiva modifica dei comportamenti.
Innanzitutto, il caso ribadisce che abbracciare la filosofia del lean management può portare a tangibili miglioramenti delle prestazioni aziendali che possono essere ottenuti anche in tempi molto rapidi e con interventi di costo relativamente contenuto. In che modo? Abbiamo mostrato che non esiste un’unica ricetta per l’adozione del lean management, ma più percorsi, caratterizzati da strumenti e destinatari diversi, che possono portare allo stesso risultato.
Innanzitutto, è importante il coinvolgimento della direzione aziendale e degli addetti coinvolti, che hanno espresso atteggiamenti sia favorevoli che contrari al cambiamento: sembra che il successo degli interventi non necessiti l’adesione di tutto il personale, ma di una massa critica che consenta il passaggio allo stato futuro, coerentemente con i modelli che concettualizzano le dinamiche che portano al “punto di svolta” nei processi di cambiamento (Kim & Mauborgne, 2003). L’attivazione del cambiamento, poi, non può prescindere da adeguate pratiche di gestione delle risorse umane e dall’ascolto attivo degli addetti, così da stimolare atteggiamenti di supporto attivo al progetto e di stemperare quelli di ostilità.
Un elemento di criticità che non va trascurato è l’aggiustamento delle pratiche in base all’anzianità aziendale: l’adattabilità del personale più esperto è controversa in letteratura e i nostri risultati suggeriscono che l’anzianità sia pregiudiziale per il successo degli interventi; l’effetto non è però automatico, in quanto devono essere presenti delle condizioni abilitanti, in particolare l’assenza di atteggiamenti di resistenza, il coinvolgimento convinto nel progetto e la formazione. Gli sforzi di dirigenti e imprenditori in termini di ascolto e supporto con adeguati strumenti di gestione delle risorse umane dovrebbero concentrarsi quindi sugli addetti con maggiore anzianità aziendale.
Tra gli strumenti di gestione delle risorse umane spicca la formazione: chi sente di aver ricevuto una formazione più efficace tende a essere più incline a modificare i propri comportamenti operativi, ma offrire un livello di formazione adeguato sembra più difficile rispetto ad adottare altri strumenti.
Come ogni ricerca, anche questo studio presenta delle limitazioni di cui è importante essere consapevoli. Innanzitutto, abbiamo studiato un’azienda che, per quanto non abbia mai abbracciato progetti di trasformazione lean, ha già esperienza con la standardizzazione dei processi a causa delle normative di settore e in cui la cultura del cambiamento è ben radicata. Ciononostante, non tutte le pratiche di gestione delle risorse umane hanno avuto simile impatto sugli addetti. Va inoltre tenuto presente che abbiamo indagato percezioni e comportamenti degli addetti solo successivamente all’intervento, mentre sarebbe stato opportuno un confronto pre/post cambiamento. La nostra rilevazione è stata condotta dopo un breve lasso di tempo dall’introduzione delle nuove pratiche gestionali e ha colto i primi risultati della trasformazione: un periodo di analisi più lungo potrebbe consentire di apprezzare la dinamica di consolidamento di un cambiamento durevole.
Nonostante questi limiti, il nostro lavoro offre degli spunti interessanti all’intersezione degli studi sulla gestione delle risorse umane, sul cambiamento organizzativo e sul lean management che, riteniamo, possono ispirare nuove ricerche e guidare l’azione dei manager.
Bibliografia
Bouranta, N., Psomas, E., & Antony, J. (2022). Human factors involved in lean management: a systematic literature review. Total Quality Management & Business Excellence, 33(9-10), 1113-1145.
Jadhav, J.R., Shankar, S.M. & Santosh, B.R. (2014). Exploring barriers in lean implementation. International Journal of Lean Six Sigma, 5(2), 122–148.
Kaur Paposa, K., Thakur, P., Antony, J., McDermott, O., & Garza-Reyes, J. A. (2023). The integration of lean and human resource management practices as an enabler for lean deployment–a systematic literature review. The TQM Journal, 35(8), 2598-2620.
Kim, W. C., & Mauborgne, R. (2003). Tipping point leadership. Harvard Business Review, 81(4), 60-69.
Oreg, S., Bartunek, J. M., Lee, G., & Do, B. (2018). An affect-based model of recipients’ responses to organizational change events. Academy of Management Review, 43(1), 65-86.
Oreg, S., Vakola, M. & Armenakis, A. (2011). Change recipients’ reactions to organizational change: A 60-year review of quantitative studies. The Journal of Applied Behavioral Science, 47(4), pp.461–524.
Peccei, R., Giangreco, A. & Sebastiano, A. (2011). The role of organisational commitment in the analysis of resistance to change: Co-predictor and moderator effects. Personnel Review, 40(2), 185–204.
Ragin, C. (2000). Fuzzy-set Social Science. University of Chicago Press, Chicago. Womack, J.P. & Jones, D.T. (2003). Lean thinking. Banish waste and create wealth in your corporation, Free Press.