Se stiamo insieme ci sarà un perché: motivazioni e strategie alla base della creazione del Sistema Museale Lucchese

Abstract

Le reti di musei possono rappresentare un valido strumento per affrontare la crescente complessità del contesto in cui essi operano e le pressioni imposte dall’evoluzione del quadro istituzionale di riferimento. Il caso illustrato offre utili spunti per impostare in quest’ottica il processo di creazione di nuove reti museali.

Introduzione

L’utilizzo di reti interorganizzative in campo culturale è un fenomeno di grande interesse nel panorama italiano, sebbene sia tuttora poco studiato in ambito accademico, in particolare per quanto riguarda il settore museale. Lo strumento della rete rappresenta una soluzione stimolante per permettere a questo tipo di istituzioni culturali di reagire alle pressioni e agli shock provenienti dall’evoluzione dell’ambiente esterno e dalle tendenze a livello di policy making, che spingono verso l’elevazione degli standard qualitativi e quantitativi del servizio culturale offerto.

Le reti interorganizzative nel settore pubblico

Negli ultimi tre decenni si è assistito ad un crescente utilizzo della forma della rete – un insieme di organizzazioni che coordinano le loro attività attraverso relazioni interdipendenti tra pari (O’Toole, 1997; Provan et al., 2007) – per affrontare questioni di interesse pubblico, come sanità o istruzione (Provan & Milward, 1995; Agranoff & McGuire, 1998; Emerson & Nabatchi, 2015). Le reti di questo tipo sono solitamente composte da agenzie governative, organizzazioni non profit e for-profit che lavorano insieme (Isett et al., 2011) per fornire un bene o un servizio pubblico in modo più efficiente ed efficace rispetto ad un singolo ente o al settore privato, che potrebbe non essere in grado o non essere disposto a soddisfare le richieste dei policy makers (Agranoff & McGuire, 2001; Milward & Provan, 2003).

Le reti del settore pubblico si distinguono tra formali ed informali. Nel primo caso sono create esplicitamente e consapevolmente con un qualche tipo di accordo per la partecipazione, nel secondo seguono invece un percorso di creazione più organico, emergendo dall’aggregazione spontanea di più attori (Isett et al., 2011). Nelle reti formali, inoltre, alcune delle caratteristiche della rete possono essere imposte da una terza parte esterna. Quando ciò accade, il decisore politico o l’ente pubblico che stimola la formazione della rete ne specifica anche alcuni aspetti, come il quadro di finanziamento, la struttura di corporate governance, le tempistiche di formazione o gli attori ammissibili alla partecipazione (Raab & Kenis, 2009; Popp & Casebeer, 2015; Segato & Raab, 2019). Queste specifiche limitano inevitabilmente la libertà di autodefinizione e l’emergere collettivo dell’identità della rete e possono influire sulla sua capacità di funzionare nel lungo periodo. Imporre dall’esterno le caratteristiche delle reti ha infatti un impatto sulla capacità collaborativa dei membri in termini di vision, fiducia reciproca, definizione degli obiettivi, condivisione delle risorse, e legittimazione, poiché il soggetto che dà il mandato per la creazione della rete spesso ne stabilisce la funzione, rendendo più difficile l’allineamento spontaneo dei membri (Provan & Lemaire, 2012; Popp & Casebeer, 2015).

Questi aspetti sono particolarmente delicati nella fase di costituzione delle reti interorganizzative. Secondo il modello proposto da Segato e Raab (2019), il processo di formazione delle reti interorganizzative si articola in tre fasi: negoziazione, impegno ed esecuzione, che possono essere svolte in modo sequenziale o sovrapporsi. La fase di negoziazione, preparatoria rispetto alla creazione vera e propria della rete, consente agli attori di stabilire le precondizioni per la definizione dei loro rapporti: gli attori si identificano a vicenda, vengono esplorate le opportunità di collaborazione, si raggiunge una comprensione condivisa dell’obiettivo della collaborazione e i membri iniziano a definire le ipotesi iniziali sullo scopo della rete e sulla struttura decisionale. Nella seconda fase vengono costituite le strutture formali e stabili per sostenere le attività condivise. Gli attori iniziano a lavorare sulla legittimazione interna della rete, sul rafforzamento della fiducia reciproca e sui meccanismi di leadership attraverso la condivisione di informazioni e conoscenze. Il ruolo del leader della rete è particolarmente importante in questa fase per mediare tra i diversi obiettivi e aspettative dei membri. L’ultima fase del processo di formazione della rete è quella dell’esecuzione, in cui la rete si attiva attraverso azioni collaborative concrete. La mission e gli obiettivi sono stati definiti, i risultati dell’attività di rete iniziano a essere prodotti e la collaborazione diventa riconoscibile all’esterno.

Le reti museali

Le reti interorganizzative sono piuttosto diffuse nel settore culturale (Scheff & Kotler, 1996; Bagdadli, 2001, 2003; DiMaggio, 2011). A titolo di esempio, limitandoci a considerare altre esperienze italiane, abbiamo evidenza dell’uso di reti per teatri e musei (Zan, 1999; Bagdadli, 2003), distretti culturali (Lazzeretti, 2003) e sistemi di offerta turistica integrata (Collodi et al., 2004; Venturini, 2004). Le ragioni della formazione di reti culturali sono state individuate da Bagdadli (2003) come: efficienza economica, isomorfismo (DiMaggio & Powell, 1983) e complementarietà delle risorse (Chung et al., 2000).

Le caratteristiche dei musei italiani sono particolarmente adatte alla forma della rete: sono infatti generalmente pubblici e gestiti da enti locali, di piccole dimensioni, molto numerosi, diffusi sul territorio a livello capillare, con una forte relazione con la storia e la cultura della loro comunità di riferimento. Inoltre sono caratterizzati da una cronica carenza di risorse (Bagdadli, 2003; Montella, 2014). Tutti questi aspetti rendono le reti uno strumento fondamentale per far emergere le connessioni tra le collezioni di diversi musei di una stessa area e tra i musei e il contesto territoriale, al fine di sfruttarne appieno il valore culturale strategico e costituire sinergie anche a livello operativo (Montella, 2003; Soren, 2009; Ferrari, 2013). Sebbene la prospettiva pratica mostri numerose esperienze di creazione e gestione di reti culturali, sono state tuttavia condotte pochissime ricerche scientifiche in merito. Alcuni dei principali risultati possono essere ricondotti a Bagdadli (2003), che descrive le reti museali come burocratiche – la relazione tra le reti è formalizzata attraverso un accordo scritto – , fortemente centralizzate attorno a un’autorità locale che agisce come sponsor principale della rete; con un livello di connettività medio-basso; incentrate su attività di valorizzazione, promozione, informazione e comunicazione a supporto della gestione di progetti condivisi.

Montella (2014) individua quattro fasi nel processo di formazione della rete museale: analisi di tutti i musei di interesse e segmentazione in base a parametri quali: caratteristiche della collezione, rilevanza, natura della proprietà, ecc; processo di valutazione basato sui criteri di accreditamento regionale dei musei (o autovalutazione da parte del personale impiegato nei musei), e successiva identificazione della situazione e dei bisogni di ciascun museo; definizione degli standard di strutture e servizi che la rete museale dovrebbe raggiungere, tenendo conto delle normative tecniche nazionali, degli obiettivi realisticamente raggiungibili, e delle risorse disponibili; definizione di una strategia per raggiungere gradualmente gli obiettivi fissati nella fase precedente, identificando aree specifiche di intervento basate sulle priorità evidenziate dalla fase di autovalutazione.

I fattori di cambiamento e shock nel settore museale italiano

Diversi trend hanno contribuito a plasmare il dibattito attorno al management dei musei negli ultimi decenni, in particolare per quanto riguarda l’evoluzione del ruolo che queste istituzioni svolgono nella società e gli strumenti necessari per permettere loro di realizzarlo. È ormai assodato che i musei sono spazi al servizio della società, con funzioni che vanno oltre la semplice conservazione e ricerca, valorizzando l’uso delle collezioni per favorire il dialogo, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile (ICOM, 2004; UNESCO, 2015).

Per bilanciare il trade-off tra conservazione e valorizzazione delle collezioni sono necessari nuovi modelli e strategie di governance per i musei. Questa necessità è amplificata dalla generale carenza di risorse pubbliche nel settore culturale e, negli ultimi anni, dalla crisi economica che ha visto l’imposizione di restrizioni di bilancio ai musei pubblici in molti Paesi (Alfano et al., 2022). A partire dagli anni ’80, infatti, la dottrina del New Public Management (NPM) (Hood, 1995) ha promosso la diffusione di un approccio economico-gestionale e di spending review nelle organizzazioni del settore pubblico, incluso quello culturale – nella convinzione che ciò potesse migliorarne la performance a fronte di una limitata disponibilità di risorse – incentivando di pari passo l’uso di strumenti di misurazione delle attività per la definizione degli obiettivi e la verifica dei risultati raggiunti.

A questa serie di pressioni di natura istituzionale si aggiungono quelle provenienti dal contesto esterno, come la rivoluzione digitale ed il suo impatto sulle abitudini di comunicazione e impiego del tempo libero dei pubblici di riferimento delle istituzioni culturali, che hanno portato a una riconfigurazione del tradizionale ecosistema di business all’interno delle industrie culturali e creative (Salvador et al., 2019). Tali cambiamenti richiedono lo sviluppo di competenze e abilità chiave all’interno delle organizzazioni culturali, e l’integrazione di spazi fisici e virtuali all’interno delle attività, come pure l’attenzione a strategie di promozione e comunicazione, di cruciale importanza per il coinvolgimento degli stakeholder.

La creazione di reti di musei è stata spesso individuata come un possibile strumento per rispondere a questa crescente complessità, nel rispetto dei principi di efficienza e razionalizzazione richiesti dai policy makers. Sin dalla fine degli anni ’70, in Italia è stata infatti introdotta la nozione di “sistema museale” nelle disposizioni legislative delle Regioni (Pellegrini, 2006). Anche l’Atto di Indirizzo ministeriale del 2001 (dm 10 maggio 2001), che ha fornito una prima bozza di standard qualitativi per i musei italiani, evidenzia la necessità di costruire relazioni con l’ambiente circostante. In questo contesto si sono inserite le disposizioni del Ministero dei Beni Culturali che compongono la cosiddetta “Riforma Franceschini”, che tra il 2014 e il 2020 ha riorganizzato i musei statali italiani in termini di struttura, governance, regole contabili e finanziarie, in ottica NPM, con l’intenzione di allinearli alle best practices internazionali (Alfano et al., 2022). La riforma, sebbene rivolta ai soli musei statali, ha rappresentato un fattore di shock per l’intero panorama museale italiano, poiché ha lanciato un segnale di cambiamento netto rispetto al passato ed ha contribuito ad innalzare le aspettative nei confronti della gestione museale, della qualità della programmazione, delle attività di outreach, della trasformazione digitale in tutto il settore. Inoltre, il dm 21 febbraio 2018, n.113 ha istituito il Sistema Museale Nazionale, a cui possono aderire anche i musei non statali se la loro attività soddisfa specifici standard qualitativi, incrementando ulteriormente le pressioni a carico dei singoli istituti per quanto riguarda la loro organizzazione, gestione e programmazione strategica.

Il caso: la creazione del Sistema Museale Territoriale della Provincia di Lucca

I fenomeni illustrati a livello teorico nella sezione precedente trovano rappresentazione nel caso oggetto del presente studio, che analizza il processo di costituzione del Sistema Museale Territoriale della Provincia di Lucca (di seguito SML).

Lo stimolo alla creazione del SML si può individuare nelle politiche della Regione Toscana, che negli ultimi anni incentivano l’organizzazione in reti del patrimonio culturale diffuso della regione. Le priorità strategiche regionali per il 2019 comprendevano infatti una serie di iniziative volte al rafforzamento della rete museale toscana, a cui ha fatto seguito, nell’agosto 2019, un bando volto a favorire la creazione di nuove reti museali locali. In particolare, il bando finanziava le reti di musei per la creazione di documenti amministrativi – come il regolamento e il bilancio della rete museale per il 2020, nonché l’aggiornamento o la creazione degli statuti di tutti i musei coinvolti – e per lo sviluppo di strumenti informatici di condivisione delle informazioni.

In risposta al bando, la Provincia di Lucca, insieme alla Fondazione Paolo Cresci che gestisce il Museo Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana di Lucca, ha scelto di promuovere la creazione del SML proponendo l’idea ai musei situati nella provincia di Lucca, raccogliendo le candidature e – una volta vinto il bando e i relativi finanziamenti – agendo come capofila e rappresentante istituzionale dei 26 musei membri. Le richieste del bando regionale hanno rappresentato in questo caso un’opportunità per concepire un progetto di rete molto più approfondito, che non si limita al soddisfacimento di requisiti amministrativi, ma viene utilizzato come strumento per riflettere sulla mission dei musei, potenziarne la strategia, reagire alle pressioni provenienti dal policy maker e affrontare le sfide poste dal contesto esterno.

A seguire vengono presentati i risultati del case study esplorativo (Yin, 2011) costruito per valutare la situazione di partenza dei diversi musei aderenti al SML dal punto di vista dell’organizzazione interna, delle infrastrutture, delle risorse umane, delle attività di gestione delle collezioni, della comunicazione e dell’interazione con gli stakeholder,e le sfide e le opportunità connesse alla creazione della rete museale. La Tabella 1 riassume il materiale utilizzato per l’analisi del caso.

Tabella 1 – Materiale utilizzato nell’analisi del case study

Fonte: nostra elaborazione

La situazione di partenza dei musei della rete

La rete SML comprende 26 musei, situati in tutta la provincia di Lucca (vedi mappa in Figura 1), con situazioni molto varie dal punto di vista geografico, culturale, sociale ed economico: dal centro della città di Lucca, ai piccoli paesi della zona montana della Garfagnana, alla costa turistica della Versilia.

Figura 1 – Distribuzione geografica dei musei del SML

Fonte: nostra elaborazione

La Tabella 2 mostra come l’eterogeneità dei musei del SML si presenti anche per i parametri di gestione privata o pubblica – con tutte le conseguenze gestionali e organizzative che questa differenza comporta – e di tipologia delle collezioni (si veda la Tabella 2 per un elenco dettagliato).

Tabella 2 – Elenco e caratteristiche dei musei del SML

Fonte: nostra elaborazione

I dati sul numero di visitatori (Figura 2), mostrati per l’anno 2019 al fine di neutralizzare gli effetti della pandemia Covid-19, mostrano una netta separazione dei musei SML in due categorie: i grandi attrattori, che – grazie alla loro posizione geografica nelle aree più turistiche della provincia o alla natura delle loro collezioni – ricevono tra i 15.000 e i 25.000 visitatori all’anno; e i musei locali, non ancora toccati dal turismo di massa e con collezioni di interesse locale, o al massimo nazionale, che sono visitati da meno di 5.000 persone all’anno.

Figura 2 – Numero di visitatori dei musei del SML nel 2019

Fonte: nostra elaborazione

Il questionario sulla situazione individuale e sulla dotazione di risorse dei singoli musei della rete fornisce dati utili per individuare alcune aree critiche, dove le sinergie derivanti da un’azione collettiva potranno avere un impatto positivo:

  • Infrastrutture (strutture adeguate per la conservazione, le mostre, le attività educative, gli spazi per la comunità, l’accoglienza dei visitatori e l’accessibilità): il 25% dei musei dichiara che le proprie strutture non sono idonee ai fini della conservazione e il 19% di essi non dispone di spazi adeguati per le mostre, l’educazione e le attività comunitarie;
  • Risorse umane: il 38% dei musei non ha un direttore formalmente identificato, il 56% non ha un responsabile della comunicazione e il 38% non ha un responsabile dei progetti educativi.
  • Pianificazione: solo il 37% dei musei prepara un piano annuale di attività (mostre, conferenze, pubblicazioni, ecc.). Il 62% redige un programma annuale di attività educative. Nel 75% dei musei mancano completamente i progetti per le attività di fundraising.
  • Offerta al visitatore: il 44% dei musei analizzati non offre sconti o biglietti cumulativi in collaborazione con altre istituzioni. Inoltre, solo il 25% coordina gli orari di apertura con altri musei e istituzioni locali.
  • Conservazione e studio delle collezioni: vengono svolte con costanza solo le attività di manutenzione ordinaria, mentre le attività che richiedono maggiori risorse o una pianificazione strategica sono svolte con minore frequenza. È il caso dell’attività di ricerca sulle collezioni (37% dei musei) e della programmazione di mostre temporanee (31% dei musei).
  • Accountability e rapporto con gli stakeholder: solo il 44% dei musei analizzati pubblici rapporti periodici sulle attività e sulle performance, e il 37% include nelle attività di programmazione strategica anche l’analisi e il coinvolgimento degli stakeholder. Il 44% dei musei mette in atto iniziative condivise di studio e ricerca con le istituzioni locali, e il 50% definisce e promuove itinerari culturali locali per i turisti.

Opportunità e sfide

Nonostante le richieste del bando regionale che ha costituito la causa materiale della costituzione del SML si limitassero a compiti amministrativi di base, la rete museale si è dotata di una struttura ben definita di corporate governance e si è posta obiettivi interni di più ampio respiro, strutturati intorno a 5 priorità: la cooperazione finanziaria e organizzativa, la condivisione dei servizi museali, la promozione del dialogo tra i membri della rete e con la comunità circostante, il potenziamento delle attività di comunicazione, la formazione e la responsabilizzazione delle risorse umane attraverso la condivisione di informazioni, strumenti e buone pratiche.

Alla base di questa scelta risiede la convinzione che la rete rappresenti una risorsa per soddisfare le necessità dei membri bilanciando il bisogno intrinseco di miglioramento nella capacità strategica e nella qualità dell’offerta con le necessità imposte dalle tendenze esterne di cambiamento.

Dal punto di vista del potenziamento delle carenze interne, evidenziate dal questionario presentato nella sezione precedente, per il SML è possibile implementare programmi strategici di miglioramento facendo leva sulle sinergie date dalla condivisione di risorse tra i membri in ambito scientifico, didattico, di promozione e di comunicazione e gestione, ed in questo modo migliorare i servizi offerti, valorizzare le collezioni ed elevare la qualità professionale degli addetti museali.

Nello specifico, le linee di indirizzo per il biennio 2022-2023 condivise tra i membri del SML puntano a:

  • Migliorare gli standard di sicurezza e accessibilità, in particolare per i musei più piccoli;
  • Organizzare corsi di formazione per le risorse umane, in ambito di innovazione digitale, social media management, accessibilità, catalogazione delle collezioni;
  • Rafforzare l’offerta didattica aumentando le attività e i laboratori nei singoli musei o attivandoli dove ancora non esistono, lanciando un programma di attività a tema tra più musei della rete, modernizzando i materiali formativi a disposizione;
  • Potenziare le infrastrutture digitali;
  • Portare avanti la catalogazione e l’inventario di tutte le collezioni;
  • Lanciare nuove iniziative di comunicazione e di marketing a livello della rete (creazione e utilizzo dei profili social, realizzazione di eventi a tema, preparazione di materiale promozionale);
  • Realizzare un piano di indicatori per la misurazione delle performance della rete, fornendo alle direzioni dei singoli musei e della rete elementi utili per ottimizzare la pianificazione strategica.

Per quanto riguarda invece l’utilizzo della rete museale come strumento per affrontare le pressioni e i rapidi mutamenti imposti ai musei dagli shock causati dalle scelte dei decisori politici e dall’evoluzione del contesto sociale, culturale ed economico, è interessante notare che l’azione collettiva viene interpretata dal SML come uno strumento per imporsi sull’esterno in modo più incisivo di quanto non sia possibile ai singoli membri, acquisendo voce e legittimazione. Ciò si manifesta sotto il profilo della ricerca di fonti di finanziamento, ma anche, per esempio, nell’opportunità per il SML di fungere da veicolo per portare anche i piccoli musei a soddisfare gli standard di qualità definiti dai programmi di accreditamento ministeriali, che altrimenti sarebbero stati al di fuori della loro portata e li avrebbero penalizzati nella visione del policy maker. Nella stessa logica, un’ulteriore esigenza condivisa da tutti i membri della rete è l’adeguamento tecnologico, ed anche in questo caso il SML offre opportunità di sviluppo di competenze trasversali ICT e di miglioramento delle infrastrutture digitali scarsamente accessibili altrimenti ai singoli musei partecipanti, ma fondamentali per l’interazione con l’esterno.

Per raggiungere gli obiettivi strategici comuni la sfida più rilevante che si preannuncia per il SML è data dall’elevata eterogeneità dei suoi membri: saper costruire significati condivisi all’interno di questa diversità, valorizzando le caratteristiche specifiche di ciascun elemento e mediando le divergenze e le conflittualità che questo può comportare non è facile. Per far questo, il SML si sta concentrando sulla individuazione di sottogruppi di musei con caratteristiche comuni all’interno della rete, per trovare un terreno comune tra loro e promuovere la creazione di percorsi strategici e – allo stesso tempo – sulla costruzione di competenze e sulla condivisione di buone pratiche che possano essere utili a tutti i membri, indipendentemente dalle loro differenze.

Conclusioni

A fronte di un contesto caratterizzato da forti pressioni per il miglioramento della qualità dell’offerta, rigidi vincoli di bilancio, rapidi mutamenti nelle abitudini dei pubblici di riferimento, e un cambio di passo spesso destabilizzante nelle politiche di gestione museale a livello ministeriale, il caso di studio illustrato mostra come i piccoli musei locali possano reagire attraverso la scelta di costituire una rete interorganizzativa. Lo strumento della rete viene interpretato in questo caso come un’utile fonte di sinergie per migliorare le carenze a livello di infrastrutture, risorse umane, capacità di pianificazione strategica, qualità dell’offerta – onnipresenti nei piccoli musei. Allo stesso tempo, la rete risponde alla necessità dei musei del SML di raggiungere una massa critica nel dialogo con i propri interlocutori, siano essi finanziatori, decisori politici, o comunità di utenti. Per realizzare quanto si propone, il SML dovrà prestare attenzione all’eterogeneità dei suoi membri, e proporre loro soluzioni rispettose delle particolarità di ciascuno, senza però stravolgere la natura comunitaria della rete.

Questo studio, con i limiti imposti dallo strumento del case study qualitativo, vuole contribuire a stimolare la discussione accademica sull’utilizzo delle reti interorganizzative in ambito culturale, ancora poco sviluppata sia nel panorama internazionale che, soprattutto, in quello italiano.

Sul piano pratico, si contribuisce al già significativo corpus di esperienze operative in materia di reti museali in Italia, mostrando le riflessioni, le opportunità e le sfide connesse all’impostazione di una strategia di azione collettiva di ampio respiro nel momento della costituzione di una rete, dietro la spinta di pressioni e shock dovuti sia al contesto esterno che alla situazione di partenza dei musei partecipanti. Il caso esaminato potrà fornire spunti operativi ad istituzioni che vogliano intraprendere lo stesso percorso, così come ai decisori politici che intendano incentivare la costituzione di reti di istituzioni culturali.

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