Sebbene fondato su una forte burocratizzazione, il pronto soccorso è un contesto ideale per studiare l’improvvisazione, in quanto contraddistinto dalla convivenza di due logiche conflittuali: una che enfatizza il rispetto delle regole, l’altra che agevola l’utilizzo dell’intuito. Ne deriva che la burocrazia non inibisce l’improvvisazione, bensì ne influenza la messa in atto.
Introduzione
Al fine di diagnosticare la malattia di un paziente, il medico deve integrare una molteplicità di informazioni in un unico prospetto per poi giungere ad una conclusione e prescrivere le cure adeguate. Tuttavia, spesso tale processo non avviene secondo una sequenza lineare, a causa delle situazioni inaspettate e ricche di imprevisti che questi professionisti si trovano a dover affrontare. E’ soprattutto all’interno del pronto soccorso che le pratiche necessitano di essere continuamente modificate e le azioni frequentemente improvvisate, dominando a volte sull’adozione di procedure programmate. Pertanto, pur trattandosi di un ambiente fortemente istituzionalizzato, all’interno del quale si prediligono comportamenti maggiormente prescrittivi, tipici dei sistemi burocratici Weberiani, il pronto soccorso si pone come contesto ideale per lo studio dell’improvvisazione. La domanda di ricerca alla base di questa indagine intende dunque comprendere la modalità con cui si realizza l’improvvisazione all’interno di un ambiente altamente standardizzato e burocratico. Per rispondere a questa domanda, gli autori hanno utilizzato un approccio induttivo, osservando nel tempo il funzionamento di un pronto soccorso di un ospedale portoghese, andando alla ricerca di quei comportamenti del personale che possono essere definiti come “estremi”, “devianti” o “eccezionali”, poiché in contrasto e significativamente distanti da quanto prescritto dai protocolli e dalle linee guida. L’obiettivo è stato quello di comprendere come, nella gestione delle emergenze, i medici riescano a combinare la logica istituzionale fondata sulla razionalizzazione con quella dell’improvvisazione; ovvero, studiare se, nella pratica medica, i principi contenuti nel Giuramento di Ippocrate abbiano la meglio sull’approccio fortemente burocratico e razionale quale quello professato da Weber[1]. Così facendo, questo studio mira a far emergere come l’improvvisazione possa manifestarsi anche in contesti fortemente regolamentati, in termini sia di comportamenti ostensivi, sia di un’improvvisazione c.d. “sotto-traccia” evidenziando che, sebbene l’attività medica sia fortemente vincolata da regole e azioni predefinite, è anche vero che tali regole e azioni sono in parte definite dagli stessi medici.
In generale, questo studio intende dimostrare che la burocrazia, diversamente da quanto si possa pensare, non inibisce l’improvvisazione; piuttosto, ne modifica l’utilizzo e le sue manifestazioni.
Logiche conflittuali nella pratica medica
La pratica medica è un campo dominato da una logica fortemente basata su routine replicabili e razionali, ossia sul consistente ricorso a linee guida, a certificazioni, a best practice così come ai principi della medicina basata sulle evidenze empiriche, vale a dire sulle prove (Evidence-Based Medicine, EBM) (es. Morrell, Learmonth e Heracleous, 2015). In un tale contesto, sembrerebbe non esserci spazio per l’improvvisazione del medico, vale a dire per quei comportamenti guidati dall’intuito e dall’esperienza. In realtà, l’attività medica si contraddistingue per un alto grado di professionalizzazione; ovvero, essa è esercitata da persone che hanno interiorizzato un complesso di regole a seguito di intensi processi di apprendimento e di formazione professionale. Ciò consente ai medici di poter far ricorso alla propria conoscenza tacita nella gestione della specificità del paziente, giungendo ad adottare e combinare protocolli diversi.
Ne deriva che la natura della pratica medica reca in sé un conflitto tra la logica dominante delle routine dettate dall’approccio burocratico e la logica professionale derivante da giudizi basati sull’esperienza e sull’intuito del professionista. Infatti, l’esistenza di una logica fondata su dati, statistiche ed evidenze empiriche, se da una parte facilita la creazione di schemi di azione, dall’altra può limitare l’abilità e il giudizio professionale acquisito con la pratica e l’esperienza dal medico. In realtà, l’improvvisazione risulta essere una componente fondamentale di questa professione, che permea le attività e le decisioni che il medico deve assumere durante il proprio lavoro quotidiano. Il medico, quindi, si trova frequentemente a scegliere tra queste due logiche apparentemente contrastanti, soprattutto nel momento in cui è chiamato ad agire all’interno del pronto soccorso.
La logica dell’improvvisazione nel pronto soccorso
L’improvvisazione, scarsamente enfatizzata ma molto rilevante nei contesti medici, è di particolare importanza soprattutto nel pronto soccorso, dove le persone lavorano sotto la costante pressione del tempo e separare pianificazione ed esecuzione è pressoché impossibile.
Il pronto soccorso è infatti un ambiente che dà ampio spazio all’azione improvvisata, la quale consente di gestire in modo efficace le peculiarità di quei casi che, non rientrando in quelli medi, rappresentano delle deviazioni. In tali circostanze, la mancata capacità di improvvisare può perfino mettere in pericolo la vita e la salute del paziente. Ciò è tanto più vero se ad essere valorizzato è un approccio alla cura centrato sulla persona, secondo cui non è richiesto esclusivamente di attenersi ad un insieme di prescrizioni biomediche, bensì sono necessari anche aggiustamenti e adattamenti sulla base di sintomi o dichiarazioni che il paziente stesso esprime.
Detto ciò, il lavoro medico, sebbene possa essere considerato altamente sistematico, si realizza anche passando attraverso un processo di prove ed errori piuttosto che fondandosi esclusivamente sulla pura scienza razionale. Di conseguenza, esso può prevedere l’improvvisazione sia durante la diagnosi sia nella prescrizione del trattamento. In particolare, queste dinamiche si manifestano principalmente nel pronto soccorso, dove vengono spesso a crearsi situazioni di emergenza, eventi urgenti e difficili che, come tali, non possono essere pienamente standardizzati (Crossan e Sorrenti, 1997).
Decodificare la logica dell’improvvisazione nel pronto soccorso
Al fine di rispondere alla domanda di ricerca (“in che modo si manifesta l’improvvisazione all’interno di un ambiente altamente standardizzato e burocratico?”), sono stati raccolti dati di diversa tipologia, principalmente attraverso l’etnografia, le interviste e le interazioni quotidiane all’interno del pronto soccorso di un ospedale portoghese. Ulteriori preziose informazioni sono state reperite grazie alle numerose conversazioni informali intrattenute col personale dell’ospedale, generando relazioni senza le quali l’accesso prolungato al contesto studiato si sarebbe rivelato ben più difficile. L’analisi dei dati ha consentito di evidenziare sette temi di primo ordine, ossia sette principali sistemi di significato che guidano i comportamenti dei partecipanti alla ricerca. A partire da essi, sono stati generati quattro temi di secondo ordine, caratterizzati da un livello di concettualizzazione intermedio, frutto dell’interpretazione individuale della realtà. Tali temi sono descritti di seguito.
L’esposizione pubblica
Il crescente interesse dei media nei confronti della pratica medica (soprattutto quella relativa a casi con esiti negativi), parallelamente ai cambiamenti nelle percezioni dei pazienti circa le prestazioni del personale medico, hanno aumentato l’esposizione pubblica di tale professione. Le cause legali avviate contro i medici sono fortemente aumentate, evidenziando l’emergere di una società progressivamente e legalmente avversa. In conseguenza di ciò e consapevoli del fatto che gli errori nella pratica medica possono mettere seriamente in discussione le loro carriere, i medici si trovano a dover prestare particolare cura nelle relazioni con i loro pazienti. Perfino nei casi in cui i sistemi sanitari nazionali o gli ospedali non dispongano di linee guida, la rigorosa attenzione da parte dell’opinione pubblica nei confronti della professione medica incentiva considerevolmente la tendenza a seguire i protocolli internazionali, per garantire la necessaria protezione in caso di querele. Tale aspetto, pertanto, scoraggia significativamente l’improvvisazione, incentivando a fare le cose nel modo giusto anziché a fare le cose giuste.
La pratica fondata sui protocolli
Questo aspetto richiama l’impegno profuso dai medici nell’applicazione di regole prestabilite (le c.d. best practices internazionali), definite da processi accreditati. Ad esempio, qualsiasi azione compiuta da un medico deve realizzarsi secondo un protocollo: ogni informazione deve essere appositamente registrata nella documentazione del paziente (es. la prima visita, i sintomi, i risultati delle analisi) utilizzando format preimpostati che forniscono la prova empirica che tutto ciò che è stato fatto è corretto e coerente con le procedure. Così facendo, i medici tentano esplicitamente di lasciare una traccia formale delle loro decisioni in risposta alla pressione verso l’adozione di standard operativi, al fine di limitare le possibili conseguenze negative, sia personali che istituzionali, che potrebbero scaturire dal mancato (o parziale) adempimento dei compiti riguardanti la prestazione medica.
La specificità dei casi clinici
Questa categoria teorica deriva dalla consapevolezza che le malattie e le relative manifestazioni cliniche possono variare da individuo a individuo. Nonostante la pressione a conformarsi alle regole, non si possono trascurare quei casi in cui è necessario mettere in campo procedure personalizzate, spesso caratterizzate da un approccio per prove-ed-errori, in ragione del fatto che individui con una stessa malattia possono presentare sintomi molto diversi. Pertanto, i protocolli suggeriscono approcci uniformi a problemi disuniformi che, come tali, potrebbero richiedere invece l’adozione di procedure particolari, che non rientrano nei casi medi, ossia in quelli contemplati all’interno delle best practices internazionali. Ecco che vi sono allora situazioni in cui, anziché fondarsi esclusivamente sui protocolli, i medici potrebbero beneficiare dell’applicazione combinata della conoscenza radicata nei protocolli stessi e della propria esperienza clinica, al fine di implementare un’improvvisazione ad hoc.
L’improvvisazione rispetto ai protocolli
Siamo qui nei casi in cui i protocolli risultano essere sufficientemente solidi da rendere la pratica medica prevedibile, ma anche abbastanza flessibili da supportare cambiamenti nei comportamenti. Quanto detto suggerisce perciò che le strutture burocratiche (come quelle ospedaliere) soddisfano due requisiti: garantiscono la protezione contro l’esposizione pubblica della professione medica e, allo stesso tempo, agevolano la personalizzazione della performance. E’ il caso in cui al pronto soccorso giunge un paziente morso da un serpente e il medico, anziché contattare immediatamente il Centro Nazionale Anti-Veleni (come il protocollo richiederebbe), decide innanzitutto di curare il paziente e, solo successivamente, di rivolgersi al centro perché venga preso formalmente atto dell’evento. In maniera simile, un medico può richiedere delle analisi complementari anche senza che vi sia stato un incontro diretto col paziente, bensì utilizzando le informazioni provenienti dal triage. Tuttavia, una volta che tali analisi sono state richieste e debitamente registrate, saranno valutate come se il medico avesse seguito le procedure. I protocolli, quindi, se da un lato garantiscono protezione, dall’altro supportano la valutazione personalizzata di ogni singolo caso, orientando l’improvvisazione rispetto ai protocolli stessi. In questo modo, l’intuito attiva l’azione del professionista sulla base dell’esperienza e della conoscenza pregresse.
I quattro temi concettuali intermedi fin qui delineati sono stati infine combinati in due categorie onnicomprensive, concettualmente più approfondite, che convivono in maniera interdipendente (Clegg, Cunha e Cunha, 2002). Queste sono: il ‘rispetto ostensivo delle regole’ e l’‘improvvisazione sotto-traccia’. La Figura 1 illustra quanto appena descritto.
Il ‘rispetto ostensivo delle regole’ fa riferimento al tentativo intenzionale, dunque volontario, deliberato dei professionisti di aderire alle procedure e rispettare i protocolli. Scaturisce dall’esplicita comunicazione, da parte del medico, delle regole che vengono seguite. Diversamente, l’‘improvvisazione sotto-traccia’ si riferisce all’adattamento improvvisato che ha luogo nello “strato di vita” meno visibile (Manning, 2008). Si tratta di un tipo di improvvisazione che non lascia segni nei documenti formali, per cui, sebbene si verifichi realmente, formalmente non viene registrata, dunque non risulta che si sia mai realizzata. Come recentemente notato da Gherardi et al. (2017), l’improvvisazione organizzativa qui descritta richiama il concetto di ‘shadow organizing’ (organizzazione ombra), ovvero di un processo indeterminato e non osservabile, che prende forma tra elementi organizzativi formali, intenzionali e visibili.
Queste dimensioni coesistono e dialetticamente si supportano a vicenda. Ognuna di esse serve una funzione diversa in risposta alle particolarità della pratica medica: una si focalizza sulla figura del paziente e l’altra sul sistema organizzativo e la figura del professionista. Le due dimensioni si alimentano l’una con l’altra, rafforzando la potenza del doppio ruolo della burocrazia. La loro attuazione simultanea, infatti, consente il raggiungimento di due obiettivi: 1) la minimizzazione del rischio legale associato all’attenzione pubblica posta costantemente sulla professione medica e 2) la legittimazione della pratica attraverso la garanzia che la prestazione medica è allineata con l’evidenza scientifica suggerita dai protocolli. Come tali, le due dimensioni costituiscono due distinte logiche in azione. Basti pensare ai medici del pronto soccorso che, nel loro lavoro, applicano una serie di procedure standard che iniziano con la registrazione del paziente e si concludono con il trattamento. Queste procedure routinizzate fungono sia da supporto sia da impedimento all’improvvisazione. Infatti, i medici seguono le regole quando necessario e le utilizzano per protezione dall’improvvisazione nei casi in cui tali regole non funzionino. I protocolli, pertanto, possono essere utilizzati per giustificare sia gli approcci di improvvisazione che quelli di non improvvisazione. Quale esempio di questa pratica, uno specialista potrebbe chiamare un collega per mettere in pratica una procedura tecnica o per realizzare un esame laddove lo specialista stesso rintracci qualcosa di particolare in una radiografia e valuti che questa possa essere un caso in cui emerge chiaramente una discrepanza tra ciò che il paziente dice e ciò che i sintomi fisici esprimono.
Lavorare con e aggirare le linee guida cliniche: implicazioni pratiche
Il lavoro del pronto soccorso induce i professionisti ad interfacciarsi con paradossi pratici costanti più che occasionali. Da un lato, lo staff medico utilizza linee guida cliniche che hanno il fine di garantire un livello di cura medica adeguato e prevenire le responsabilità per l’organizzazione e per i suoi professionisti. Dall’altro lato, essi aggirano tali procedure mediante l’improvvisazione, con lo scopo di gestire casi particolari che non rientrano all’interno di quelli previsti dai protocolli.
Dai risultati emersi dalla presente ricerca è possibile estrarre alcune significative implicazioni. In primo luogo, ‘la buona pratica’ suggerita dai protocolli garantisce protezione formale. In secondo luogo, i protocolli e le regole formali a volte sono utilizzati come un rituale, senza tuttavia impedire l’improvvisazione che consente di personalizzare la pratica a casi specifici che lo richiedano. In questo senso, i protocolli non solo dettano il funzionamento dell’organizzazione formale, bensì offrono ai professionisti anche la possibilità di coltivare e utilizzare conoscenza tacita, diversamente dalle regole predefinite. La burocrazia, pertanto, non limita l’improvvisazione; piuttosto, ne modella l’utilizzo e l’espressione formale. Ovvero, l’improvvisazione può persistere anche all’interno di ambienti organizzativi fortemente basati sull’utilizzo di procedure (quali gli ospedali) (Cunha, Cunha e Kamoche, 1999). Tale prospettiva si pone in linea con la recente trasformazione dell’Evidence-Based Medicine, che ha segnato un passaggio da un depotenziamento dell’intuito e della conoscenza degli esperti nella pratica medica, alla considerazione che essi in realtà consentano di mettere in pratica un ‘giudizio interpretativo’ e un ‘approccio casistico’.
Parallelamente ad un’organizzazione formale, ve ne è dunque una che agisce sotto-traccia; uno spazio in cui le azioni possono essere messe in atto al di fuori delle logiche dominanti e che agevola l’emergere dell’improvvisazione (improvising) sulle procedure formalizzate. I medici si servono delle risorse di un sistema burocratico per sviluppare il loro giudizio, il buon senso: uniscono la conoscenza esplicita incorporata nei protocolli con quella tacita risultante dalla loro esperienza, in quanto nessuna delle due da sola sembra essere sufficiente.
All’interno del pronto soccorso, ambiente soggetto ad elevata complessità istituzionale (Besharov e Smith, 2014), l’atto di improvvisare consente ai medici di utilizzare la loro esperienza, pur beneficiando della protezione derivante dal rispetto delle regole. Inoltre, improvvisare all’interno di una certa prescrizione può essere visto come una reazione a (e una conferma de) la necessità di adottare un approccio ‘casistico’ alla cura, consentendo ai medici di mantenere la loro autonomia.
Sul piano dello sviluppo personale, guidare (mentoring) i nuovi medici significa aiutarli ad apprendere in che modo e in quali momenti utilizzare il loro giudizio, in che modo servirsi del sistema per eludere le sue stesse imposizioni. Se le regole possono essere viste come ‘strategie’ che concedono il ‘potere della conoscenza (scientifica)’, l’improvvisazione diventa ‘sapere tattico’. Comprendere questo fenomeno mette in luce una (apparente) minoranza di deviazioni dalle regole la cui pratica resiste a ed ignora la maggioranza dei comportamenti adottati nel campo sanitario.
Conclusioni
La pratica medica, così come quella manageriale, può trovarsi a metà tra la costrizione verso l’adozione di un approccio basato sulle evidenze e il richiamo all’utilizzo e alla messa in atto dell’esperienza e della professionalità del medico. Un esempio è dato dalle best practices: un medico che applica una buona pratica fondata sulle prove senza considerare le peculiarità dei pazienti, probabilmente non è migliore di un manager che adotta delle leve manageriali senza preoccuparsi delle specificità dell’organizzazione. Le pratiche mediche infatti richiamano fortemente quelle manageriali. E’ quanto alcuni studiosi hanno evidenziato nei loro studi (Pfeffer e Sutton 2006): nella risoluzione dei problemi o, più in generale, nella gestione delle attività interne alle loro organizzazioni, la gran parte dei manager non si preoccupa di individuare ed applicare la routine ogni volta più efficace. Le loro decisioni (e, dunque, i loro comportamenti) tendono piuttosto a derivare dall’utilizzo dell’esperienza pregressa, dell’intuito, nonché dalla costante ricerca di nuove informazioni, nuove idee e nuove pratiche sia nel loro ambiente organizzativo che nell’ambiente esterno[2].
In questo studio, gli autori dimostrano che i professionisti che svolgono la loro attività all’interno di una burocrazia fortemente regolata come quella su cui si fonda il funzionamento di un ospedale, nello svolgimento del loro lavoro adottano una logica che combina il rispetto ostensivo delle regole con l’improvvisazione c.d. sotto-traccia, ispirata dalla loro esperienza professionale nonché dalla contingenza che si trovano a dover gestire. Ciò implica che i medici portano avanti le loro attività basandosi su una logica istituzionale delle regole e, contemporaneamente, improvvisano ogni qualvolta ve ne sia la necessità; dunque, manifestano conformità ai protocolli, pur preservando la loro autonomia. Pertanto, al di là dei vincoli imposti dal rispetto delle regole, è anche vero che tali regole in parte sono definite dai medici stessi che, improvvisando, danno vita a comportamenti apparentemente conformi ai protocolli ma in realtà devianti dai loro dettami. Ne deriva che la burocrazia di per sé contiene al proprio interno la potenzialità per generare comportamenti improvvisati come frutto di una dialettica relazionale tra la struttura (vincoli) e la libertà (autonomia).
L’improvvisazione avviene dunque in quelle parti dell’organizzazione che agiscono sotto-traccia, realizzandosi comunque attraverso la prescrizione, preservando il rafforzamento degli standard e la salvaguardia della facciata istituzionale.
Bibliografia
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Pfeffer, J. e Sutton, R. I. (2006). Evidence-based management. Harvard Business Review, 84(1), 62-74.
[1] Il Giuramento, che viene prestato dai medici prima di avviarsi alla professione, prende il nome dal medico greco Ippocrate (460-375 a.C.) a cui il giuramento stesso è attribuito. I principi espressi nel giuramento evidenziano gli ideali della sacralità, contrastando il rispetto rigoroso delle procedure chirurgiche e suggerendo, quindi, un approccio alla professione medica alquanto innovativo per l’epoca, teso a conferire un carattere maggiormente autonomo e fondato sul giudizio ad una pratica fino a quel momento esclusivamente empirica. Tra i suoi dettami emerge l’attenzione all’adeguamento della conoscenza scientifica, delle applicazioni tecnologiche e delle abilità tecniche alle specifiche caratteristiche del paziente, al di là delle prescrizioni e dei protocolli. Al contrario, Weber (1864–1920), padre fondatore degli studi sociologici, ritiene che la burocrazia sia il modello ideale in grado di assicurare l’efficienza delle organizzazioni. Radicata su un sistema di norme di condotta, procedure e doveri, la burocrazia limita fortemente il ruolo della discrezionalità e dell’intuito nell’operato degli attori sociali, spersonalizzandone i comportamenti.
[2] Preme qui ricordare, tuttavia, che i manager, a differenza dei medici, tendono a limitare l’applicazione di procedure fondate su prove, dati ed analisi (ovvero, quelle, che in medicina trovano fondamento nella Evidence-Based Medicine) in quanto la disponibilità di tali evidenze nell’ambito delle aziende è generalmente più ridotta di quanto lo sia nelle organizzazioni sanitarie. Considerato infatti che le realtà aziendali si presentano con una varietà molto ampia rispetto a quanto si possa dire per gli essere umani (es. si pensi alla dimensione aziendale, alla loro forma organizzativa, alle interazioni interne, ai rapporti di potere, etc.), imporre ai manager di applicare delle “ricette” prestabilite potrebbe risultare alquanto rischioso, in quanto tale ricetta, seppure valida in un contesto aziendale, potrebbe rivelarsi totalmente fallimentare se applicata in un altro.