Fidarsi o non fidarsi? Il lato oscuro nelle relazioni di fiducia

Nelle organizzazioni è diffusa l’idea che le relazioni interpersonali di fiducia abbiano un carattere indiscutibilmente positivo. È possibile, però, che esse rivelino caratteri di problematicità ed effetti non sempre positivi. L’articolo sollecita il lettore a riflettere sugli inaspettati effetti negativi che scaturiscono dalle aspettative e dalle motivazioni sottostanti la partecipazione ai rapporti di fiducia.

Il lato oscuro della fiducia 

Tradizionalmente, la fiducia è considerata un’esperienza intrinsecamente positiva, una qualità di cui ogni relazione interpersonale organizzativa dovrebbe dotarsi. Sviluppare fiducia nei rapporti con gli altri, infatti, supporta la collaborazione, il coordinamento e la cooperazione.

Ma è sempre così? Vi sono casi in cui la fiducia tra persone può assumere una connotazione negativa e diventare addirittura pericolosa per una delle parti? Se questa è una possibilità, cosa distingue un’esperienza di fiducia di natura negativa da una di natura positiva?

Il presente studio mette in evidenza le dinamiche attraverso cui i rapporti fiduciari possono dar vita ad un vincolo da cui, una o entrambe le parti della relazione, non riescono a liberarsi rendendo, di conseguenza, i loro comportamenti nocivi e distorti. Alcuni di questi spiacevoli scenari possono essere la conseguenza involontaria di dinamiche assolutamente genuine e sincere; altri, invece, possono essere deliberatamente generati attraverso processi di manipolazione. In entrambi i casi, l’esistenza di una relazione di fiducia rischia di diventare un “calice avvelenato”, ossia qualcosa che apparentemente è considerato e giudicato benefico e virtuoso, ma che in realtà cela un potenziale di esperienze negative ed indesiderate per almeno una delle parti della relazione.

Nelle relazioni con gli altri, siamo portati a pensare che le persone tendano sempre a preferire la fiducia alla sfiducia (Graebner, 2009). Questo studio intende sfidare questa credenza, analizzandola in modo critico, cercando di comprendere se e come la fiducia possa invece farsi portatrice di svantaggi.

Il concetto di fiducia è inevitabilmente legato a un processo, uno scambio relazionale: quello di concedere la fiducia, che richiama il ruolo del c.d. trustor, e quello di ricevere fiducia, il quale ha come protagonista il destinatario di tale processo, ossia la figura del trustee.

Tra queste due parti possono configurarsi due diversi scenari. Un primo in cui A concede fiducia a B, il quale la accoglie e la alimenta ricambiandola attraverso, ad esempio, l’onestà nei suoi comportamenti, l’adempimento degli obblighi che derivano dalla relazione, etc. Un secondo scenario, può invece emergere laddove una delle parti decida di trarre vantaggio dalla fiducia caratterizzante la relazione, avvantaggiandosene in maniera opportunistica o venendo meno ai doveri e obblighi che la relazione di fiducia implica. In questo caso, la fiducia tra A e B può essere compromessa fino a scomparire completamente dalla loro relazione.

Sebbene emerga da una relazione di scambio, la fiducia ha caratteri chiaramente diversi da quelli che distinguono merce di scambio quale il denaro o altre risorse tangibili. E’ una risorsa dotata di intangibilità, in quanto è percepita, sentita, intrisa di un forte valore simbolico; è contraddistinta dal ruolo cruciale svolto dall’identità della parte che, nella relazione, concede la fiducia; infine, è intrisa di un forte valore emotivo. Ne consegue che la fiducia è un fenomeno potenzialmente oneroso e difficile da governare.

Il processo della fiducia si sviluppa attraverso tre fasi principali: una prima fase in cui il potenziale trustor produce il suo giudizio sul grado di affidabilità dell’altra parte, misurata in termini di aspettative circa la sua benevolenza e integrità. Sulla base di tale giudizio, prende forma la decisione di concedere o meno fiducia. La fase finale, risultante dalla decisione, si concretizza dunque nel vero e proprio scambio di fiducia il quale implica un’assunzione del rischio (risk-taking act) da parte del trustor nei confronti del trustee. L’oggetto e l’evolversi della fase di scambio di fiducia determinano la natura dell’esperienza, positiva o negativa, che dalla fiducia scaturirà.

Un esempio reale di esperienza negativa può essere rintracciato nell’eccesso di fiducia che fin troppe persone riponevano nel top management della Enron, prima che, nel 2001, la colossale truffa contabile fosse resa pubblica. Laddove la fiducia venga riposta nel modo sbagliato infatti (venendo concessa a persone non meritevoli), è probabile incorrere in conseguenze indesiderate per chi tale fiducia concede (il trust giver).

Tuttavia, il fine di questo lavoro è quello di comprendere meglio il “lato oscuro” della fiducia: un lato oscuro che, anziché derivare da una fiducia mal riposta, risulta da un processo che produce una situazione indesiderata e/o svantaggiosa, sebbene inevitabile, per una o entrambe le parti coinvolte. I paragrafi che seguono approfondiscono questo aspetto.

Le fonti del “dark side” della fiducia

Secondo gli autori del presente lavoro, gli effetti indesiderati della fiducia derivano principalmente da due fattori: gli obblighi indesiderati che scaturiscono dalla relazione fiduciaria e le motivazioni sottostanti il coinvolgimento delle parti nella relazione stessa.

Obblighi indesiderati

Solitamente la fiducia scaturisce dai processi sociali di scambio i quali generano reciprocità che, a sua volta, rinforza la fiducia in modo tale che chi riceve tende a ricambiare in base all’offerta ricevuta. La regola sembra suggerire che “un individuo che offre qualcosa ad un altro, implicitamente lo obbliga a contraccambiare. Al fine di liberarsi di questo obbligo, il ricevente deve, a sua volta, provvedere a fornire benefici all’altro individuo”.

Così concepite, le relazioni sociali sono dunque capaci di creare dei potenti legami che necessitano di una costante conferma affinché possano durare e prosperare nel tempo, anche laddove tali relazioni siano ispirate da offerte “gratuite” che tradizionalmente non implicano di ricambiare “il regalo ricevuto”. Una conseguenza di ciò è quella per cui la norma di reciprocità (insita in ogni relazione sociale) delimita, e a volte perfino impone, il contenuto dello scambio nella relazione, limitando e vincolando le scelte che le parti coinvolte potrebbero compiere. Dati questi vincoli, venir meno agli obblighi implicitamente imposti dalle relazioni sociali può risultare assai difficile. Gli autori evidenziano tre scenari principali in cui gli obblighi derivanti dalle relazioni di fiducia possono dar vita ad effetti negativi ed inattesi per una o entrambe le parti.

La resistenza a concedere fiducia

Un primo scenario è quello in cui il soggetto B (potenziale destinatario della fiducia) invita il soggetto A (il potenziale concedente la fiducia) a fidarsi di lui. Nel caso in cui A nutra delle aspettative positive che B sia affidabile, si crea una situazione di normale e genuina fiducia tra le parti. Al contrario, potrebbe succedere che A nutra scarse aspettative positive nei confronti di B e/o percepisca che fidarsi di lui potrebbe rivelarsi un atto imprudente. In questo caso, il dilemma per A emerge in quanto, malgrado l’esitazione nel concedere fiducia, imposizioni sociali e vincoli interpersonali, rendono problematico declinare tale richiesta. Infatti, un rifiuto da parte di A getterebbe diffamazione e segnali negativi su B (in particolare, sul suo status), danneggiando la loro relazione; ulteriormente, richiederebbe di essere giustificato, implicando notevole imbarazzo per A.

Sono numerosi gli esempi di questo tipo rintracciabili all’interno delle organizzazioni. Alcuni lavoratori potrebbero dover collaborare con colleghi che ritengono essere inaffidabili o inadeguati. In questo caso, il soggetto B potrebbe essere un venditore noto per essere pigro e noncurante ma che insiste per avere la possibilità di riscattare se stesso trattando, per conto del suo team, con un cliente importante. Ancora, è questo il caso delle relazioni che si creano tra manager e subordinati in cui questi ultimi si convincono che “è importante fidarsi dei propri superiori” (“we’ve got to trust them”); o ancora, di molti imprenditori che, guidati da input fiduciari ingannevoli, si impegnano in accordi contrattuali con investitori nonostante ciò vada contro il loro giudizio.

In realtà, la sollecitazione della fiducia impone conseguenze poco desiderabili anche per il destinatario (soggetto B). Caldeggiare un individuo (A) a concedere la sua fiducia può accrescere la vulnerabilità di B nel mancare di rispettare le aspettative che di conseguenza si creano dalla parte di A. Riprendendo il caso del venditore, non gli sarà concessa alcuna possibilità di sbagliare nel riportare al cliente la proposta del suo gruppo. Fallire nel rispettare tali aspettative può dar vita ad effetti deleteri sulla motivazione, il morale, il commitment e, inevitabilmente, la fiducia dei colleghi.

La fiducia indesiderata

In questo scenario, il destinatario della fiducia (soggetto B) viene informato di ricevere la fiducia da A. Nonostante ciò, B preferirebbe rifiutare tale fiducia in quanto accettarla significherebbe rispondere ad aspettative, e ai relativi obblighi, circa comportamenti futuri che B potrebbe trovare difficile rispettare. Tuttavia, B non si sente nelle condizioni di poter declinare tale fiducia.

L’indesiderabilità della fiducia può emergere nei seguenti casi:

  1. B non è certo della propria capacità di adempiere agli obblighi derivanti dal rapporto fiduciario. E’ il caso in cui, ad esempio, siamo di fronte ad un soggetto con una bassa percezione circa la propria self-efficacy;
  2. B non è in grado di sostenere la pressione degli obblighi derivanti dalla fiducia, in quanto ritiene che ciò potrebbe perfino mettere a repentaglio il suo benessere mentali e/o fisico;
  3. B ritiene che il rispetto degli obblighi del rapporto fiduciario potrebbe andare fortemente contro i propri interessi o la propria etica (Flores e Solomon, 1998).

Ciò evidenzia che ricevere la fiducia da qualcuno può vincolare fortemente le scelte del destinatario e risultare, pertanto, un atto indesiderato, in particolare nei casi in cui il trust giver se ne serva al fine di costruire una vera e propria “trappola” di obblighi per il trustee.

Alcuni esempi provenienti dai contesti organizzativi sono i seguenti. Un manager può decidere di attivare interventi di empowerment su dipendenti sotto-qualificati e poco motivati che, come tali, possono non avere una adeguata self-efficacy. Come è facile immaginare, non tutti i lavoratori intendono ricevere maggiori responsabilità, maggiori poteri; ossia, non tutti desiderano essere considerati affidabili. Vi sono casi, infatti, in cui essere coinvolti in programmi di empowerment viene percepito dai destinatari come uno strumento per appesantire il loro carico lavorativo e le loro responsabilità senza che vi sia un incremento della retribuzione proporzionale allo sforzo richiesto (Mabey e Skinner, 1998).

Un secondo esempio è fornito dai lavoratori che vengono designati come “top talents”, ma che percepiscono tale decisione come fonte di ulteriori responsabilità, percepite come poco allettanti e gravose.

All’interno di questa categoria rientrano anche quei casi in cui un importante cliente imponga al suo fornitore una scadenza per la consegna delle merci chiaramente irrealistica ed impossibile da rispettare. L’importanza che tale cliente riveste fa sì che un potenziale rifiuto nella consegna possa danneggiare radicalmente la relazione tra i partner.

I vincoli fiduciari nei rapporti di lunga data

Il focus di questo terzo scenario è quello in cui le parti siano legate da un rapporto di lunga data. La relazione tra A e B, avviata su basi positive e genuine, nel tempo si è trasformata in modo tale da rendere la fiducia di cui B gode non più vantaggiosa per B stesso. B potrebbe, nel tempo, non essere più capace o disposto ad adempiere agli obblighi derivanti dalla relazione di fiducia a causa di, ad esempio, incapacità o richieste concorrenti e contrastanti.

Tipicamente, ciò accade nel seguente caso: più è potente il legame sociale tra A e B (dovuto agli investimenti in fiducia e al conseguente indebitamento), più difficile risulta respingerlo oppure agire contrariamente agli obblighi che lo stesso genera. Quanto detto è dovuto alla rigidità e agli effetti di chiusura di cui i rapporti di lunga data, storicamente generatori di successi, sono portatori.

Esempi rintracciabili nei contesti organizzativi sono le ricadute derivanti dal fallimento nelle trattative tra il top management e i sindacati. Il soggetto B, come rappresentante sindacale, potrebbe aver raggiunto un livello oltre il quale non è in grado di accettare una decisione gravosa come la perdita di posti di lavoro o il congelamento dei salari, malgrado gli obblighi derivanti dalla partnership in essere. Un ulteriore esempio è dato dal fornitore che da tempo vende la propria merce ad un cliente tanto importante quanto eccessivamente esigente e che si trova ad affrontare conseguenze, nella relazione, problematiche e non più tollerabili (Cox, 2001).

La parte che continua a nutrire fiducia potrebbe non essere in grado di decifrare i segnali della parte che intende ritirarsi dalla relazione. Ciò suggerisce che una lunga storia di scambio fiduciario redditizio può diventare un peso insostenibile qualora la fiducia non sia più attrattiva e interessante.

L’importanza delle motivazioni

Così come accade per gli obblighi derivanti dai rapporti di fiducia, anche i motivi sottostanti la partecipazione delle persone in tali rapporti possono dar vita a scenari negativi.

Tradizionalmente, si rifiuta di pensare che alla base di un rapporto di fiducia ci possa essere un interesse personale. In realtà, come dimostrato dagli scenari appena descritti, gli autori evidenziano il rischio che i detentori del potere, all’interno di una relazione sociale, utilizzino la loro posizione privilegiata per influenzare il comportamento delle controparti (Brandts e Charness, 2003).

A tal proposito, la ricerca suggerisce due diversi scenari di seguito descritti.

Il ritiro della fiducia

In questo scenario, per una serie di ragioni connesse al venir meno delle condizioni che hanno originariamente giustificato la nascita del rapporto di fiducia tra A e B, A decide di ritirare la fiducia a B.

Questa decisione può avere forti ripercussioni sull’immagine, la reputazione e lo status di B nei gruppi sociali di appartenenza, generando umiliazione, vergogna, imbarazzo e senso di colpa per essere venuto meno alle aspettative di affidabilità di A.

Sebbene la scelta di ritirare la fiducia nei confronti di un soggetto possa essere il frutto di ragionevoli motivazioni, vi sono casi i cui essa diventa uno strumento tramite cui manipolare e controllare la controparte. Il fine, generalmente, è quello di conquistare la (forzata) cooperazione e sottomissione dell’altro.

Un esempio può essere dato dal fatto che A imponga a B di svolgere determinati compiti, pena la sua esclusione e allontanamento dal team di cui fa parte o addirittura la sua mancata promozione a un livello superiore.

Come descritto in alcuni degli scenari relativi agli obblighi derivanti dai rapporti fiduciari, anche in questo caso la fiducia diventa un potente strumento di controllo.

La falsa fiducia

Quest’ultimo scenario individua quei casi in cui, nonostante l’iniziale intento da parte di A di concedere fiducia a B, la relazione prosegue senza che tale intento sia accompagnato da una reale manifestazione dello stesso. Ne deriva che A metta costantemente in atto rigide attività di controllo dei comportamenti di B, chiaro segnale di una mancanza di fiducia in lui/lei.

Un esempio è offerto dalla situazione in cui B, in qualità di project leader, pur avendo piena autonomia nello svolgimento del suo lavoro, è tenuto ad informare il suo supervisore (A) prima di assumere qualunque decisione importante. L’autonomia di B è dunque una chimera, in quanto, non detenendo questi un vero e proprio potere, non possiamo dire che gli sia stata effettivamente riconosciuta una reale fiducia.

Un altro esempio è l’attivazione, da parte del management, di piani fittizi di empowerment che concedono alle persone una discrezione limitata alle attività di poco conto, negandola su questioni sostanziali e di interesse strategico.

È da notare che da tale situazione derivano reazioni fortemente negative sia per il destinatario della fiducia a cui la stessa è stata ritirata (soggetto B) sia per colui che la fiducia aveva originariamente concesso (soggetto A). Richiamando il sopra citato esempio dei programmi di empowerment, è frequente che A sia frenato nel concedere potere ai suoi subordinati perché ritiene che essi non siano in grado di raggiungere adeguate performance (Spreitzer e Mishra, 1999). Dal punto di vista di A, concedere fiducia ai suoi collaboratori implica una considerevole assunzione di rischio che può mettere a repentaglio la sua immagine di manager qualificato e responsabile.

Questo particolare scenario pone l’accento sul rapporto tra fiducia e propensione al rischio. Sono questi due fenomeni distinti, benché correlati oppure la propensione al rischio è l’unica credibile dimostrazione dell’esistenza di una relazione di fiducia?

In maniera simile, emerge il dibattito sul legame tra fiducia e forme di controllo, quali il monitoraggio e le clausole contrattuali. Questo ultimo scenario potrebbe suggerire che questi due elementi spingano verso direzioni opposte, neutralizzando l’una l’effetto dell’altro. Ciò nonostante, vi sono alcune forme di controllo considerate accettabili, tali da rendere complementare, anziché un sostituto, il ruolo svolto dalla fiducia e dal controllo stesso. E’ questo il caso in cui chi riceve fiducia (il soggetto B) accetta una qualche forma di controllo del suo lavoro se questa è ragionevole. B potrebbe difatti percepire i controlli di A come indicativi della sua competenza e del suo autentico interesse nei confronti del loro rapporto. Diversamente, nel caso in cui B percepisca la fiducia ricevuta da A come apparente, ogni forma di controllo da questo esercitata potrebbe tradursi in una sorta di punizione.

Conclusioni

Considerare la fiducia solo in termini positivi e come una relazione sempre auspicabile rischia di limitare la capacità di comprendere a pieno la natura e la complessità di questo processo relazionale.

Nell’analisi condotta dagli autori si evidenzia che le condizioni in cui il rapporto fiduciario viene alla luce possono renderlo un’esperienza più o meno positiva. A determinare la qualità di tale esperienza contribuiscono due principali fattori: da un lato gli obblighi derivanti dalla relazione di fiducia, dall’altro i motivi e gli interessi che sottostanno la partecipazione delle persone a tale relazione.

Bibliografia

Brandts, J. and Charness, M. (2003). Truth or consequences: An experiment. Management Science, 49, 116–30.

Cox, A. (2001). Understanding buyer and supplier power: A framework for procurement and supply competence. Journal of Supply Chain Management, Spring, 8–15.

Flores, F. and Solomon, R. C. (1998). Creating trust. Business Ethics Quarterly, 8(2), 205–32.

Graebner, M. E. (2009). Caveat venditor: Trust asymmetries in acquisitions of entrepreneurial firms. Academy of Management Journal, 52, 435–72.

Mabey, C. and Skinner, D. (1998). Empowerment in an executive agency? A grass-roots assessment of strategic intent. International Journal of Public Sector Management, 11, 494–508.

Spreitzer, G. M. and Mishra, A. K. (1999). Giving up without losing control: Trust and its substitutes’ effects on managers’ involving employees in decision-making. Group and Organization Management, 24(2), 155–87.

 

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