Le soft skills sono tanto importanti per la prosperità delle organizzazioni quanto difficilmente gestibili. Sfidante è dimostrare ai collaboratori quanto le soft skills abbiano implicazioni concrete e debbano essere oggetto di feedback e formazione. Partecipare al gioco del “Dilemma del Prigioniero” può sensibilizzare i collaboratori a questa opportunità di crescita.
Introduzione
Per prosperare negli attuali scenari di incertezza ed opportunità, le persone devo investire sia nelle hard skills che nelle soft skills. Di conseguenza, i dirigenti si aspettano che i propri collaboratori dimostrino ed eccellano in soft skills strategiche come le abilità relazionali, l’orientamento al lavoro di squadra e la propensione a contribuire allo sviluppo del gruppo (Rothwell e Arnold, 2007; Buonocore, Agrifoglio & de Gennaro, 2021; Mangia et al. 2013). Maniscalco (2010) definisce le soft skills come “un insieme di qualità, abitudini, tratti di personalità, atteggiamenti e orientamenti sociali” che ciascuno possiede in diverse gradazioni e che sono necessarie nella vita quotidiana tanto quanto in quella professionale.
Gibbons e Lange (2000) sostengono che il termine soft skills non rappresenti bene quanto queste abilità siano fondamentali e strategiche per la prosperità ed il benessere delle persone e delle organizzazioni, preferibile sarebbe quindi riferirsi ad esse come core skills. Non è un caso che in diverse parti del mondo anche le istituzioni scolastiche stiamo investendo in programmi formativi utili a coltivarle anche alla luce del fatto che esse facilitano significativamente la occupabilità futura degli studenti (Shariffah, 2013).
Nel consegue che per promuovere una cultura orientata alle elevate prestazioni, un’organizzazione deve fornire ai suoi dirigenti gli strumenti per sensibilizzare i collaboratori sulla centralità delle soft skills e quindi attrezzarli con gli strumenti per valutarle, esprimere feedback e sostenerne lo sviluppo attraverso la formazione.
A differenza delle soft skills, le hard skills sono tipicamente più facili da osservare, quantificare e misurare, oltre che più facili da presentare come skill fondamentali per la qualità del proprio lavoro. Inoltre, sono anche più facili da addestrare, acquisire e gestire perché spesso consentono di ottenere feedback immediati sul loro livello di sviluppo e non richiedono il mettersi in discussione nei propri atteggiamenti ed orientamenti consolidati. Di converso, le soft skills sono in genere più difficili da osservare, quantificare, misurare, gestire e valorizzare come competenze chiave (Yen et al., 2001). Ne risulta che spesso la dirigenza si affidi un po’ fatalisticamente al possesso di queste qualità nei collaboratori come una sorta di insieme di attitudini “innate” su cui le attività di gestione proattiva tendono ad essere rischiose, costose e spesso inefficaci.
Infatti, i responsabili delle decisioni e della direzione delle organizzazioni, sia pubbliche che private, si sentono responsabili del livello con cui i collaboratori soddisfano determinati standard in termini di preparazione accademica e competenze tecniche in aree centrali per il know-how organizzativo (Martinez, 2020). Dall’altro lato invece, non vi è una altrettanto chiara propensione alla responsabile gestione di competenze apparentemente più sfuocate, complesse e sfuggenti come le abilità socio-emotivo-relazionali. Stante invece la centralità di queste “sfumature espressive” per la prosperità delle organizzazioni, diventa fondamentale accompagnare la dirigenza, soprattutto nelle realtà pubbliche dove spesso vi è ancora più “imbarazzo e timidezza” nella gestione attiva delle soft skills, ad identificare, far emergere, “rendere parlabili e misurabili” queste attitudini critiche e strategiche così da stimolare i collaboratori ad affrontare con motivazione ed impegno i percorsi formativi finalizzati a potenziarle (Boyatzis, 2006; Hopkins e Bilimoria, 2008).
Nello scenario attuale talvolta si possono incontrare dirigenti, ancora una volta più tipicamente nel settore pubblico, che non sono pienamente convinti dell’importanza delle soft skills per l’efficace raggiungimento degli obiettivi della propria organizzazione. Tra quelli invece che ne hanno capito il valore vi possono essere dirigenti che hanno maturato delle convinzioni distorte e fuorvianti su quali siano le soft skills chiave e su come possano essere misurate e promosse. Molti poi lamentano l’inefficacia ed il costo della formazione orientata a queste competenze, rimpiangendo la qualità e l’efficacia della ricaduta operativa della formazione orientata alle hard skills che consente una chiara e puntuale certificazione dei livelli di competenza maturati dai collaboratori.
Ne deriva che ancora oggi molti dirigenti fanno affidamento sulle competenze tecniche dei propri collaboratori a scapito delle competenze socio-emotive, persistendo nel non riconoscere quanto quest’ultime, soprattutto nel lungo periodo, siano critiche per il successo dell’organizzazione (Muzio et al., 2007). Inoltre, puntare solo sulla misurazione e sullo sviluppo delle abilità hard dei collaboratori li rende più orientati al compito e al pedante rispetto di regole e procedure ma meno orientati alle relazioni e all’intraprendenza.
Sul versante delle azioni da intraprendere per migliorare questo scenario, la prima iniziativa dovrebbe essere finalizzata a rendere consapevoli dirigenti e collaboratori di come le proprie attitudini emotive e sociali abbiano un impatto diretto e misurabile sulla prosperità e capacità generativa della propria organizzazione.
Gli studi sul successo economico condotti dalla Carnegie Foundation of Advance Teaching, e successivamente confermati dal Carnegie Institute of Technology, hanno dimostrato che il 15% del successo di una persona attribuibile alle sue conoscenze e competenze tecniche, mentre l’85% è dovuto alle abilità di “ingegneria umana”, ovverosia a come sa gestire sé stesso e le relazioni cooperative con gli altri (Carnegie, 1981).
Questi dati, pur convincenti e confermati da numerosi studi, hanno il limite di aver un impatto spesso non sufficiente per mobilitare consapevolezza e motivazione al cambiamento in collaboratori convinti di essere già in possesso di skill sociali soddisfacenti e comunque tendenzialmente più elevate della media. Infatti, gli esseri umani sono spesso vittima della distorsione della overconfidence (Kahneman & Tversky, 1996), che porta a sovrastimare le proprie abilità, per cui si è convinti che le proprie capacità (siano esse quella di guidare l’auto o di saper gestire con successo il proprio matrimonio) siano nettamente superiori rispetto alla media. Più le competenze oggetto di autovalutazione, come nel caso delle soft skills, sono “sfuocate”, non ben definite e dagli effetti non immediatamente misurabili, più è alta la probabilità di cadere nella trappola di “superiorità” con conseguente refrattarietà ad ogni opportunità di miglioramento e svalorizzazione (o peggio, avversione) verso ogni tentativo di feedback sulle proprie attitudini socio-emotive.
Per contrastare queste propensioni disfunzionali è utile offrire a dirigenti e collaboratori, soprattutto in settori come quello pubblico dove le conseguenze dei propri atteggiamenti sociali disfunzionali tendono ad essere meno immediati ed evidenti, delle opportunità esperienziali che permettano di “tradurre in numeri” e “prestazioni misurabili” l’impatto delle proprie soft skills sulla prestazione di gruppo. Queste opportunità esperienziali sono disponibili dagli anni Cinquanta del secolo scorso in modo semplice, coinvolgente ed immediato dalle intuizioni di matematici ed economisti che hanno sviluppato la “teoria dei giochi”, e tra questi uno di quelli più noti, ecologici ed impattanti: il Dilemma del Prigioniero Ripetuto (DPR).
Il Dilemma del Prigioniero Ripetuto
Il DPR rappresenta l’icona dei giochi economici, una dinamica dove vengono stimolati al contempo orientamenti di tipo competitivo/predatorio e di tipo cooperativo/generativo. A tal fine, il gioco coinvolge due gruppi in una relazione di interdipendenza, in cui il successo di ciascuno dipende anche dalle scelte dell’altro. La versione iterata del gioco evidenzia l’interdipendenza delle interazioni sociali: ogni scelta di un gruppo comunica all’altro come esso si rappresenta la relazione, anche in assenza di comunicazione verbale diretta e quindi implicitamente, così come impliciti e “non detti” sono spesso gli aspetti più importanti della vita organizzativa. Nelle relazioni ripetute dove c’è interdipendenza, rappresentare gli altri come avversari non permette a nessuno nel lungo periodo di raggiungere una condizione di pieno benessere.
Si tratta, come nella maggior parte delle dinamiche organizzative, di un gioco a somma non zero, ovverosia un gioco in cui qualsiasi beneficio ottenga uno delle parti non determina necessariamente una perdita analoga per gli altri. In termini positivi è sostanzialmente un gioco che consente a tutte le parti la possibilità di crescere e prosperare insieme. In termini negativi è un gioco che, se mal gestito, può trasformare in catastrofica ed “infernale” la interdipendenza con gli altri. Se pensiamo a come nelle organizzazioni i colleghi possano al contempo rappresentare la propria più preziosa risorsa così come la propria più pesante zavorra, è facile concordare sul fatto che il DPR abbia un forte potenziale nel rappresentare con elegante semplicità le dinamiche relazionali ed organizzative.
L’essenza del gioco sta alla base della logica della prosperità sociale: per generare valore con gli altri è necessario al contempo tenere a bada la paura di essere depredati e sfruttati dagli altri (il gioco, come la vita, rende apparentemente vantaggioso approfittare degli altri giocatori) ed al contempo tenere a bada la propria personale tentazione (ingordigia) a prendersi un immediato, miope e apparentemente facile vantaggio sugli altri.
In altre parole, per eccellere nel DPR è necessario esprimere due dei valori che le scienze economico-comportamentali hanno dimostrato essere cruciali per produrre qualsiasi tipo di benessere ed evoluzione: fiducia interpersonale e gestione della paura di subire perdite.
Stante queste premesse il gioco crea una condizione di conflitto emotivo, morale e decisionale nei giocatori e tra i giocatori. Tensioni che hanno la capacità di rappresentare un terreno ideale per mettere alla prova le soft skills dei partecipanti. Infatti, per generare valore nel DPR è necessario mettere in gioco alla massima espressione la propria “intelligenza emotiva”, ovverosia la capacità di riconoscere e gestire le proprie ed altrui emozioni.
In quanto gioco con una precisa metrica e quindi con payoff ben chiari, il DPR consente di mettere immediatamente in evidenza una diretta relazione tra la qualità delle soft skills dei giocatori e la levatura dei punteggi che si riescono ad ottenere. Non è quindi un caso se il DPR è stato ampiamente studiato in discipline come l’intelligenza artificiale, l’economia, la biologia, la matematica e le scienze sociali (Burguillo, 2010).
Fare esperire ai propri collaboratori il DPR può aiutare la gestione delle soft skills in almeno tre modi: offrendo opportunità di apprendimento attivo, aiutando concretamente e tangibilmente a capire come queste “abilità morbide” abbiano delle conseguenze estremamente solide e misurabili, e soprattutto offrendo nel debrifing una costellazione di soft skills ben definite su cui puntare per contribuire alla prosperità organizzativa (Axelrod, 1981).
Secondo Crookall, infatti, “il vero apprendimento non viene dal gioco, ma dal debriefing, …[che] è l’elaborazione dell’esperienza di gioco per trasformarla in apprendimento […] Il debriefing è più lungo e coinvolgente per i partecipanti del gioco stesso” (Crookall, 2010, 907-908).
L’obiettivo della presente ricerca è quello di osservare se l’esperienza del DPR arricchita da un approfondito successivo debriefing abbia la capacità di sensibilizzare i dirigenti-partecipanti verso il ruolo critico/strategico delle soft skills per la generazione di valore organizzativo. Inoltre, l’obiettivo è indagare se i dirigenti si spingono a ritenere che l’esperienza del DPR possa avere un potenziale per sensibilizzare anche i propri collaboratori rispetto a quanto sia cruciale e concretamente impattante investire sulle proprie soft skills aprendosi, di conseguenza, alla disponibilità a ricevere feedback sul proprio livello di evoluzione su queste dimensioni e al coinvolgimento attivo in programmi formativi di potenziamento specifico e mirato delle proprie competenze socio-emotive.
Lo studio
Sono stati coinvolti 70 dirigenti della PA che operano nella regione Puglia. Il campione era a prevalenza femminile (55 donne e 15 uomini) e con età media di circa 40 anni. Sono state organizzate tre classi in cui i partecipanti hanno avuto modo di giocare il “Dilemma del Prigioniero Ripetuto” (DPR) a squadre.
I partecipanti sono stati arbitrariamente suddivisi in due gruppi separati in due locali non comunicanti. A ciascun gruppo è stato spiegato che l’obiettivo della simulazione era, come nella vita, semplicemente quello di massimizzare il risultato per il proprio gruppo non occupandosi dei rendimenti della controparte. Per ogni tornata della simulazione ciascun gruppo doveva decidere, all’oscuro delle scelte dell’altro, se inviare una carta verde od una carta rossa alla controparte. In base alla scelta di ciascun gruppo, per ogni tornata potevano determinarsi quattro possibili risultati per ognuno dei due gruppi, che chiameremo A e B, così come rappresentato nella tabella seguente.
Prima di iniziare è stato specificato che il numero delle tornate in cui scegliere tra carta verde e rossa era indefinito; quindi, il gioco poteva terminare in ogni momento così come proseguire. Inoltre, I partecipanti sono stati informati che l’altro gruppo aveva ricevuto le stesse identiche istruzioni e tabelle.
Al termine della simulazione, è stato effettuato un esteso debriefing in cui i partecipanti hanno avuto modo di analizzare e riflettere sulle dinamiche interpersonali emerse durante il gioco, guidati dal docente/sperimentatore e seguendo le raccomandazioni riportare in altri studi in cui il DPR è stato usato a scopi formativi (Bruno, Dell’Aversana & Guidetti, 2018; Holt & Capra, 2000).
La settimana successiva al debriefing è stato somministrato un primo questionario in cui sono state poste le seguenti domande:
Domanda 1a
Immaginandosi nel ruolo di coordinatore di una decina di persone in una PA, la invitiamo a valutare da 1 a 7 quanto ritiene possa essere critico ciascuno dei suoi seguenti compiti:
- Valutazione delle competenze tecniche (valutazione)
- Valutazione delle competenze relazionali/soft skills (feedback)
- Dare dei feedback sulle competenze tecniche (importanza)
- Dare dei feedback sulle competenze relazionali/soft skills
- Far capire l’importanza delle competenze tecniche
- Far capire l’importanza delle competenze relazionali/soft skills
Domanda 1b
Inoltre, quanto ritiene possa essere critico motivare i propri collaboratori?
Questa prima domanda è stata posta anche ad un gruppo (gruppo di controllo) composto dallo stesso numero di partecipanti, con caratteristiche analoghe al nostro campione (gruppo sperimentale), che però non aveva partecipato al DPR. I risultati della domanda 1a sono riportati in Figura 1, mentre quelli della domanda 1b sono riportati in Figura 2.
Domanda 2
Da 1 a 7 quanto ritiene che far partecipare i propri collaboratori ad una sessione di simulazione del “Dilemma del Prigioniero Ripetuto” possa aiutare loro a comprendere effettivamente il valore delle soft skills per il benessere e la produttività della PA e quindi ad accettare costruttivamente dei feedback sulle loro abilità relazionali?
La risposta alla domanda 2 è riportata in Figura 3.
Domanda 3
La invitiamo ad immaginare di coordinare un team di una decina di persone in una PA. Un giorno un consulente coinvolge i suoi collaboratori in un torneo di “dilemma del prigioniero ripetuto”. Ciascun collaboratore affronta quindi una decina di tornate di gioco con ciascun altro collega e alla fine il punteggio complessivo ottenuto viene calcolato per ogni persona.
La invitiamo ad immaginare il collaboratore che ha ottenuto il punteggio più alto in questo torneo e a descrivere in poche righe quale immagina possano essere le sue soft skills in ambito lavorativo.
I risultati della domanda 2 sono stati analizzati tramite analisi del testo, rilevando gli attributi riportati dai partecipanti e dando loro un peso a seconda del numero totale di ripetizioni. Sono stati inclusi solo gli attributi riportati più volte dal campione. La Figura 4 mostra un’immagine riepilogativa con gli attributi che sono stati riportati il maggior numero di volte. I quattordici attributi con il numero di ripetizioni più alto sono stati utilizzati per l’ultima domanda (domanda 4).
Domanda 4
La invitiamo a valutare, da 1 a 7, gli aspetti attitudinali che consentono di giocare il DPR in maniera ottimale (strategia del TIT FOR TAT) sulla base di quella che ritiene essere la loro importanza per la qualità del lavoro nella PA.
I risultati della domanda 4 sono riportati in Figura 5 e riportati in ordine di importanza. L’analisi è stata condotta confrontando la media dei singoli attributi con la media generale di tutte le valutazioni (valore 5,13). Sono stati così individuati tre gruppi di attributi: poco importanti, moderatamente importanti e infine molto importanti
Discussione
Nella nostra analisi, le condizioni necessarie per la creazione di valore vengono a determinarsi quando gli individui mettono in campo degli appropriati processi di problem-solving e decision-making coadiuvati da un certo livello di maturità emotiva e relazionale (Decastri et al., 2021). Non è un caso, infatti, che le soft skills rientrino ormai a pieno titolo tra i fattori di successo individuale (Goleman, 1996) e organizzativo (Deming, 2017). Tuttavia, la consapevolezza circa il peso e il ruolo di queste risorse all’interno delle organizzazioni, ed in particolare in quelle pubbliche, resta spesso fumosa e riducibile ad un generico “buon senso” assimilabile ad una conoscenza istintiva e viscerale, piuttosto che ad un insieme definito di attitudini e orientamenti.
Questa affermazione è in parte corroborata dai nostri risultati, che evidenziano un effetto di sensibilizzazione, imputabile alla simulazione e al successivo debriefing, verso il ruolo cruciale che le competenze socio-emotive ricoprono nel contesto organizzativo della PA. In particolare, i nostri risultati rilevano come, nel campione di controllo non sensibilizzato, i compiti relativi alla valutazione, al fornire feedback e al far capire l’importanza delle competenze relazionali vengano considerati similmente strategici rispetto a quelli relativi alle classiche competenze tecniche.
Confrontando questo risultato con quello ottenuto coi dirigenti che hanno preso parte alla simulazione, si può dedurre che il fatto di percepire come più critici i compiti riguardanti la gestione delle competenze relazionali (rispetto a quelle tecniche) rifletta, almeno in parte, l’accresciuta consapevolezza circa il ruolo delle attitudini socio-emotive per il benessere nelle organizzazioni. In particolare, proprio il “far capire l’importanza delle competenze relazionali ai propri collaboratori” è stato valutato come un compito molto più strategico dello stesso compito riferito alle competenze tecniche, a dimostrazione del fatto che ci sia stato un effettivo cambiamento di punto di vista conseguente all’esperienza del DPR.
La mancanza di una piena consapevolezza circa l’importanza di certi processi socio-emotivi e soprattutto delle conseguenze relative ad una gestione non appropriata di certe attitudini, non è un fatto sorprendente. Le scienze cognitive hanno infatti ampiamente dimostrato l’esistenza di una generale tendenza dell’essere umano ad agire in maniera inconsapevole rispetto a quelli che sono i suoi stessi processi di pensiero e stati emotivi (Kahneman, 2011). Si prenda come esempio il bias dell’overconfidence, che porta ad una sistematica sovrastima delle proprie capacità o possibilità, e che evidenzia una difficoltà oggettiva nella valutazione delle proprie competenze (Kahneman & Tversky, 1996). In questo senso la partecipazione attiva al DPR, rafforzata da un approfondito debriefing capace di stimolare un ragionamento analitico, sanamente autocritico e costruttivo circa le dinamiche che obiettivamente hanno contribuito a generare o distruggere valore nel gioco, può funzionare come intervento di debiasing (Arkes, 1991).
Superata questa distorsione della sicumera rispetto alla presunta eccellenza delle vette raggiunte dalle proprie soft skills sarà più facile per il dirigente farsi aperto promotore verso i propri collaboratori di un virtuoso e vivificante percorso di feedback e crescita verso più alti standard di intelligenza sociale ed emotiva.
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