Nell’era digitale i dati rappresentano un fondamentale asset per le organizzazioni. Un articolo apparso sulla Harvard Business Review analizza come creare valore attraverso strategie di innovazione data-driven che possono essere adottate anche da organizzazioni deputate alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale.
Introduzione
L’evoluzione tecnologica mette continuamente a disposizione di individui e organizzazioni, sia pubbliche che private, strumenti e servizi che permettono di generare ogni giorno enormi moli di dati. IDC stima che nel 2025 l’universo digitale (l’insieme delle informazioni create e copiate ogni anno) raggiungerà una dimensione di 180 zettabytes (180 seguito da 21 zero). La dimensione del fenomeno da sola giustifica la nascita di una data-economy che già presenta numeri di assoluto rilievo. Secondo stime dell’Unione Europea, entro il 2020 verranno creati 100.000 nuovi posti di lavoro direttamente connessi alla gestione dei Big Data, mentre il valore del mercato globale dei Big Data è stimato in 43,7 miliardi di euro già entro il 2019.
Ancora più rilevante è l’impatto della data-economy e delle innovazioni data-driven sulle organizzazioni non direttamente impegnate nel settore. Studi recenti hanno mostrato come aziende che adottano processi decisionali data-driven possono conseguire un incremento del 5-6% in produttività, mentre si stima che l’introduzione dei Big Data nelle 100 più importanti aziende manifatturiere europee potrebbe portare a risparmi quantificabili in 425 miliardi di euro. Queste previsioni portano ad individuare nella innovazione data-driven un’importante opportunità di trasformazione per le organizzazioni, basata sulla capacità di migliorare o sviluppare nuovi prodotti, processi, modelli organizzativi e mercati a partire dai dati e dalla loro analisi (OECD, 2015).
Questo contributo presenta un framework per supportare le organizzazioni nella individuazione di nuove opportunità di creazione di valore attraverso l’uso dei dati in loro possesso o ai quali possono accedere. Il framework, sviluppato sulla base dell’esperienza di IBM con i suoi clienti, è descritto in un articolo di Parmar, Mackenzie, Cohn e Gann pubblicato sulla Harvard Business Review (Pamar et al., 2014). In questo articolo gli autori oltre a descrivere il loro framework, forniscono anche indicazioni operative su come sviluppare strategie di business data-driven, esemplificate attraverso alcuni casi di successo. Tra questi viene citato il caso dell’International Museum of Women che mostra come anche le istituzioni culturali possano implementare con successo strategie di innovazione data-driven. Sulla base di questa osservazione, dopo aver descritto il framework, nella seconda parte del contributo verrà considerata la sua utilità come supporto alla definizione di strategie di innovazione data-driven per gli enti museali.
I pattern dell’innovazione digitale data-driven
Nell’era digitale l’evoluzione tecnologica trasforma continuamente il contesto in cui le organizzazioni si trovano ad operare. L’esplosione informativa che caratterizza il periodo attuale offre nuove opportunità di business per le organizzazioni ma, come hanno evidenziato Beath, Becerra-Fernandez, Ross e Short in un articolo pubblicato nel 2012 dalla MIT-Sloan Management Review (Beath et al., 2012), a condizione che esse sappiano individuare nella enorme mole di dati a cui possono accedere elementi in grado di generare nuovo valore. Il framework descritto in (Parmar et al., 2014), si propone di fornire, anche attraverso indicazioni di carattere operativo, un supporto alle organizzazioni per la definizione di una strategia di sviluppo digitale basata sull’innovazione data-driven.
Il punto di partenza del processo descritto dagli autori mira ad aumentare il grado di consapevolezza delle organizzazioni circa il valore dei dati di cui dispongono o che possono acquisire. A questo fine, il framework propone alcune domande le cui risposte possono guidare l’organizzazione nella definizione di una strategia di innovazione data-driven. In particolare, le domande che ci si deve porre sono:
- Di quali dati già disponiamo?
- A quali dati abbiamo accesso ma ancora non registriamo?
- Quali dati potremmo generare con i nostri prodotti e attraverso le nostre attività?
- Quali dati potremmo ottenere da altri soggetti e che sono utili per noi?
- Quali dati sono detenuti da altri soggetti e che potrebbero essere utilizzati in iniziative congiunte?
Sulla base delle risposte a queste domande, l’organizzazione può iniziare a definire idee di innovazione data-driven, avendo come guida cinque possibili pattern di innovazione che Parmar e colleghi hanno individuato attraverso l’esperienza sviluppata da IBM con i suoi clienti. La tabella 1 riporta i cinque pattern di innovazione digitale, con l’indicazione di alcuni casi particolarmente esemplificativi. La successiva tabella 2 riporta invece le domande che secondo gli autori possono guidare un’organizzazione nell’approfondire la comprensione dei cinque pattern e nell’individuare una propria strategia di innovazione digitale.
Tabella 1: I pattern di innovazione secondo (Parmar et al., 2014)
PATTERN DI INNOVAZIONE | ESEMPIO |
“augmented products”: usare i dati che gli oggetti fisici generano (o possono generare) per migliorare un prodotto/servizio o per creare nuovo valore | L’uso di contatori intelligenti che permettono ai fornitori di energia di definire politiche di pricing basate sugli stili di consumo degli utenti, e di fornire agli utenti informazioni di dettaglio in tempo reale sull’andamento dei proprio consumi |
Digitalizzare gli asset fisici | L’International Museum of Women che ospita mostre online di opere d’arte create da donne |
Combinare i dati provenienti da varie fonti | Il progetto Agile Urban Logistics lanciato dalla città di Londra per ottimizzare la consegna di merci dentro la città combinando dati sulle consegne programmate dai distributori con informazioni in tempo reale sul traffico all’interno della città |
Commercializzare i dati | La partnership tra Tom Tom e Vodafone per rilevare, attraverso la posizione degli utenti dei servizi Vodafone, le condizioni del traffico da comunicare ai clienti di Tom Tom |
Trasformare una competenza in servizio | Il sistema Global Expense Reporting di IBM, originariamente sviluppato per esigenze di controllo interno, che è stato successivamente trasformato in un servizio commercializzato da IBM che ha così sviluppato una nuova area di business |
Tabella 2: Guida all’applicazione dei pattern di innovazione (Parmar et al., 2014)
PATTERN DI INNOVAZIONE | DOMANDE GUIDA |
augmented priducts
|
Quali dati sono connessi ai nostri prodotti e al loro uso?
Quali dati già conserviamo, e quali sarebbe opportuno conservare? Quali indicazioni potremmo ricavare dai dati? In che modo queste indicazioni potrebbero generare valore per noi, per i nostri clienti, i nostri fornitori, i nostri competitori o anche per attori di altri settori economici? |
Digitalizzare gli asset fisici | Quali dei nostri asset sono interamente o per loro essenza digitali?
Come possiamo usare la loro natura digitale per migliorarne o aumentarne il valore? Disponiamo di asset fisici che potrebbero essere trasformati in asset digitali? |
Combinare i dati provenienti da varie fonti | Come potremmo combinare i nostri dati con quelli in possesso di altri soggetti per creare nuovo valore?
Possiamo agire da catalizzatori per la creazione di valore attraverso l‘integrazione di dati detenuti da altri soggetti? Chi potrebbe trarre vantaggio da questa integrazione e quale modello di business potrebbe rendere l’integrazione attrattiva per noi e per i nostri partner? |
Commercializzare i dati | Come potremmo strutturare e analizzare i nostri dati per generare informazione a valore aggiunto?
Questi dati hanno un valore per noi, per i nostri clienti attuali, per potenziali nuovi clienti o per un altro settore economico? |
Trasformare una competenza in servizio | Disponiamo di una competenza specifica che potrebbero essere di valore per altri?
C’è un modo per standardizzare questa competenza per renderla usabile in maniera diffusa? Possiamo fornire questa competenza sotto forma di servizio digitale? Chi, nel nostro settore o in altri, potrebbe trovare utile questa competenza? In cha modo la raccolta, gestione e analisi dei nostri dati potrebbe aiutare a sviluppare una competenza che potremmo distribuire come servizio? |
Come si può facilmente osservare, il framework può essere direttamente implementato come un insieme di linee guida per la definizione di una strategia di innovazione data-driven. Ci si può quindi chiedere se queste linee guida possano essere utilmente adottate anche dagli enti preposti alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale, e in particolare dai musei che sono chiamati a ridefinire la propria missione e funzione in un mondo in cui le opportunità di entertainment e di educazione abbondano.
Nel loro processo di evoluzione digitale, i musei sempre più adottano tecnologie digitali e sistemi il cui uso genera grandi quantità di dati (per esempio, sistemi di gestione dei punti vendita, social media, siti web interattivi, sistemi per il tracciamento, la profilazione e la personalizzazione dell’esperienza degli utenti). Tuttavia, la raccolta e l’analisi di questi dati può generare effetti positivi sulla gestione dei musei e sulla qualità dell’esperienza offerta ai visitatori, solo se fondata su una chiara strategia di innovazione data-driven. Nella prossima sezione, il framework di (Parmar et al., 2014) verrà utilizzato per descrivere alcuni casi di innovazione in ambito museale, con l’obiettivo di esemplificare alcune possibili strategie di sviluppo digitale data-driven.
Le opportunità di innovazione data-driven nei musei
L’esplosione dell’universo digitale e l’emergere di nuove opportunità legate alla innovazione data-driven rappresentano fenomeni di portata generale che non impattano solo sulle organizzazioni business-oriented. L’evoluzione tecnologica cambia il contesto di riferimento anche per le istituzioni deputate alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale con possibili conseguenze anche in termini di ridefinizione della loro stessa funzione e missione. Nel caso dei musei, in particolare, la definizione di una strategia di sviluppo basata sull’uso delle tecnologie digitali è stata individuata come una priorità dal panel di esperti internazionali che a partire dal 2010 contribuiscono al The NMC Horizon Report: Museum Edition pubblicato annualmente dal The New Media Consortium (www.nmc.org) e giunto nel 2016 alla sesta edizione (Freeman et al., 2016).
L’obiettivo della serie di report pubblicati da NMC è quello di indicare, a partire dalle opportunità offerte dall’evoluzione delle tecnologie, possibili linee di sviluppo digitale per i musei, di breve, medio e lungo periodo. Inoltre, ogni anno il report individua e aggiorna un elenco di sfide che i musei devono affrontare per ridefinire la loro missione e la loro funzione nella società digitale. I trend e le sfide individuate nel report del 2016 sono riassunti nella Figura 1. In questa sezione il framework di (Parmar et al., 2014) verrà utilizzato per inquadrare alcune delle indicazioni che emergono dai report NMC, con l’obiettivo di mostrare come il riferimento a questo framework possa effettivamente supportare i musei nella definizione di strategie di innovazione digitale data-driven.
Pattern di innovazione 1: augmented products
Il ruolo dei musei si sta sempre più trasformando dalla collezione, catalogazione, conservazione ed esposizione al pubblico di oggetti, alla co-creazione con i visitatori di un’esperienza sempre più interattiva e personalizzata. Alla visione “paternalistica” per cui il museo deve fornire ai suoi visitatori un’interpretazione di ciò che vede, si affianca (e a volte si sostituisce) la possibilità per il visitatore di costruirsi un percorso, un’interpretazione e un significato personale a partire dalle informazioni che sono associate ad ogni oggetto in un’esposizione. Informazioni relative alla acquisizione dell’oggetto, informazioni circa il contesto della sua creazione, la rete di relazioni che la legano ad altre opere, ecc. possono supportare i visitatori nella co-creazione di una propria esperienza. Molte di queste informazioni sono normalmente contenute negli archivi informativi dei musei. Metterle a disposizione dei visitatori in forma strutturata, permettere loro di manipolarle e interpretarle è un modo per arricchire l’esperienza dei visitatori, abilitando la co-creazione di valore attraverso un’esperienza digitale.
Esempio
Il progetto CHIP del Rijksmuseum di Amsterdam: www.nwo.nl/en/research-and-results/research-projects/i/08/1808.html
Il progetto Pen del Cooper-Hewitt, Smithsonian Design Museum: www.cooperhewitt.org/new-experience/designing-pen/
Pattern di innovazione 2: digitalizzare gli asset fisici
La digitalizzazione delle opere è ormai una pratica diffusa nei musei, soprattutto per finalità di documentazione e archiviazione. Tuttavia, una volta che le opere siano state digitalizzate, l’intero modello di museo può essere ripensato in chiave interamente digitale. E’ questo l’esempio dell’International Museum of Women descritto anche in (Parmar et al., 2014).
L’International Musem of Women (integrato nel Global Fund for Women dal 2014) è un museo interamente virtuale che organizza esposizioni virtuali di opere create da donne. Attorno al museo si è creata una comunità di 10000 artisti che partecipano alle esposizioni online e con i quali i 600000 visitatori all’anno del museo possono interagire direttamente. La virtualizzazione del museo ottenuta attraverso la completa digitalizzazione delle opere e delle esposizioni ha permesso di raggiungere un elevato numero di visitatori e ne ha anche fatto un “museo partecipato”, non solo per l’elevato numero di persone che ne seguono le attività sui social networks, ma soprattutto perché si basa su un modello di museum-curated but user-generated content.
Esempio
International Musem of Women: exhibitions.globalfundforwomen.org/
Pattern di innovazione 3: Combinare i dati provenienti da varie fonti
La collaborazione inter-istituzionale è uno dei trend fondamentali individuati nel report di NMC. La condivisione di risorse informative è lo strumento che permette ai musei (anche ai più piccoli) di ampliare il proprio pubblico, aumentare l’offerta e arricchire ulteriormente l’esperienza dei visitatori. Un esempio di collaborazione tra musei è il progetto #MuseumInstaSwap con il quale 10 musei londinesi hanno condiviso e scambiato per una settimana opere con il proprio account Instagram. Attraverso la collaborazione i musei che hanno partecipato al progetto hanno evidenziato sorprendenti relazioni inter-disciplinari che hanno permesso a una platea condivisa di potenziali visitatori di scoprire nuovi musei e di considerare sotto una nuova prospettiva gli oggetti esposti nei musei frequentati solitamente.
Esempio
#MuseumInstaSwap: wellcomecollection.org/articles/museuminstaswap/
Pattern di innovazione 4: Commercializzare i dati
Come conseguenza della esperienza digitale offerta ai visitatori, i musei raccolgono e memorizzano una grande quantità di dati personali (includendo in questa categoria tutti i dati generati dai comportamenti dei visitatori). Nell’economia digitale, i dati personali rappresentano una risorsa di grande valore economico per i soggetti che li detengono. Questi dati sono soggetti a forme particolarmente rigide di protezione per le normative relative alla tutela della privacy. Tuttavia, a seguito di una iniziativa lanciata dal World Economic Forum (WEF, 2011), si è aperto un dibattito, sia a livello accademico che a livello politico, circa la possibilità di liberare il valore dei dati personali attraverso il coinvolgimento attivo dei soggetti cui essi si riferiscono, passando da un modello di gestione dei dati personali e della privacy organization-centric a un modello user-centric.
Al momento, per motivi di compliance, è consuetudine per i musei adottare politiche di privacy molto restrittive che escludono la commercializzazione dei dati personali. Tuttavia, qualche importante istituzione culturale già non esclude di principio questa possibilità. Per esempio, il Privacy and Data Protection Statement del Museum of London si limita ad assicurare che nessuna informazione personale verrà commercializzata senza aver prima ottenuto il consenso degli interessati.
Adottando un modello user-centric di gestione dei dati personali, la possibilità di usare questi dati, anche a fini commerciali, è sottoposta al controllo da parte dei soggetti cui i dati si riferiscono (in qualità di data owners). Nel quadro di un museo partecipato, e con il coinvolgimento attivo dei data owners nella decisione circa la possibilità o meno di commercializzare i dati che li riguardano, la commercializzazione dei dati personali potrebbe rappresentare per un museo una forma di finanziamento volontario da parte dei suoi visitatori.
Esempio
Il programma “Rethinking Personal Data” del World Economic Forum: www.weforum.org/reports/personal-data-emergence-new-asset-class
Pattern di innovazione 5: Trasformare una competenza particolare in servizio
A fianco delle tipiche attività museali, sempre più musei offrono servizi professionali rivolti sia a clienti pubblici che privati. Si tratta di servizi costruiti sulle competenze sia scientifiche che manageriali sviluppate per esigenze legate alla gestione del museo ma che possono essere di valore anche per altri soggetti. Così, per esempio, il Van Gogh Museum di Amsterdam oltre a servizi di consulenza per l’acquisizione di oggetti o per organizzare esposizioni per conto di soggetti terzi (servizi offerti da molti musei), sulla base dell’esperienza maturata nella gestione del museo offre anche servizi per la gestione di edifici che richiedono particolari accorgimenti (sustainable design, illuminazione, climatizzazione, sicurezza, ecc.) o anche la gestione dei flussi di persone.
Un altro interessante esempio è il Natural History Museum di Londra che, tra gli altri servizi, offre anche servizi di consulenza e formazione manageriale.
Esempio
Servizi commerciali del Van Gogh Museum di Amsterdam: www.vangoghmuseum.nl/en/business/professional-services
Servizi commerciali del Natural History Museum di Londra: www.nhm.ac.uk/business-services/training.html
Discussione
L’illustrazione nella sezione precedente di alcuni casi di innovazione nei musei ha evidenziato come il framework di (Parmar et al., 2014) possa effettivamente essere applicato anche al caso delle organizzazioni deputate alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale. Tuttavia, come sempre avviene nei processi di innovazione abilitati dalle ICT, anche nel caso delle innovazioni data-driven, l’impatto positivo della tecnologia sui processi di produzione di valore viene massimizzato quando l’innovazione tecnologica è accompagnata da processi di trasformazione organizzativa.
La necessità di attuare questi processi di trasformazione organizzativa, che comportano anche la ridefinizione degli skills e delle competenze, è particolarmente rilevante per le istituzioni museali. Il nuovo ruolo che si va delineando per i musei richiede infatti che essi assumano un approccio service-oriented per creare una nuova esperienza visitor-centered.
Come i report NMC hanno ripetutamente sottolineato negli anni, questa trasformazione presuppone che il personale dei musei, ad ogni livello, assuma una visione olistica dei sistemi, collezioni, valori, culture e processi che costituiscono un museo, superando la tradizionale struttura a silo per assumere una mentalità più orientata ai progetti.
Nel caso delle innovazioni data-driven questo diviene un punto critico cruciale. Infatti, mentre sono ormai ampiamente disponibili strumenti per l’analisi dei dati e per supportare processi decisionali data-informed, nella maggior parte delle istituzioni museali ancora manca una strategia per la raccolta, analisi e valorizzazione dei dati. Che il problema non sia semplicemente un problema di maturità tecnologica è confermato anche dal più recente report NMC che pone la definizione di una strategia digitale e il miglioramento delle competenze digitali del personale tra le sfide più facilmente risolvibili (si veda la figura 1).
Quali indicazioni il framework di Parmar e colleghi può fornire per i processi di progettazione e implementazione di innovazioni data-driven nei musei? Per quanto il successo dei processi di trasformazione organizzativa dipenda spesso da fattori contingenti, sulla base dell’esperienza acquisita sul campo in (Parmar et al., 2014) vengono individuati alcuni aspetti caratteristici nei processi di innovazione digitale che possono essere considerati fattori di successo. Tali aspetti riguardano:
- ruolo forte della tecnologia: il coinvolgimento del responsabile delle tecnologie (sia esso il Chief Information Officer o il Chief Technology Officer) è considerato un fattore di successo, a condizione che il focus sia sulla creazione di valore e non su obiettivi di efficienza
- input dall’esterno dell’organizzazione: lo sviluppo di idee innovative spesso dipende da stimoli e pressioni che provengono dall’esterno, dai clienti, dai fornitori, da settori affini
- presenza di una leadership motivata: quanto più un’idea è innovativa, tanto più è necessaria la presenza di una leadership in grado di superare gli ostacoli che inevitabilmente si presenteranno
- coinvolgimento emotivo: le iniziative di successo vanno oltre il semplice livello intellettuale e diventano quasi una missione per le persone coinvolte
Nella loro portata generale, queste indicazioni possono applicarsi anche nel caso delle organizzazioni deputate alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale. Tuttavia, anche sulla base di quanto emerge dai report NMC, ci sono alcuni aspetti su cui appare opportuno integrare le indicazioni di (Parmar et al., 2014).
Nei prossimi anni i musei si troveranno sempre più ad affrontare le sfide dell’universo digitale e della innovazione data-driven. Da questo punto di vista, non potranno prescindere dalla adozione di un adeguato modello di data governance, senza il quale ogni strategia di innovazione data-driven rischia di apparire estemporanea e a forte rischio di fallimento. Nel loro articolo Parmar e colleghi non considerano questo aspetto, limitandosi a ribadire il ruolo centrale della tecnologia e identificando nella figura del CIO/CTO il ruolo fondamentale per i processi di innovazione data-driven. Tuttavia, come viene rilevato in (Beath et al., 2012), mentre i ruoli connessi alla gestione IT sono particolarmente competenti per ciò che riguarda la raccolta, la memorizzazione e la protezione dei dati, spesso non hanno la giusta prospettiva per elaborare una visione strategica in grado di trasformare i dati in valore. In questo senso, appare quindi più rilevante l’indicazione argomentata nell’articolo di Beath e colleghi secondo cui “within organizations, business leaders must take the lead in making better use of data”, mentre “IT can take the lead in ensuring safe, reliable, cost-effective data storage and access, and in advancing enterprise-wide understanding of storage options and cost-effective data access”. Da questo punto di vista, l’adozione di un modello di data governance, che presuppone una chiara attribuzione di ruoli, competenze e responsabilità appare come una fondamentale condizione di tipo organizzativo per abilitare i processi di innovazione data-driven, soprattutto nel caso delle organizzazioni data-intensive come i musei e le istituzioni preposte alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale sempre più tenderanno ad essere nell’era digitale.
Bibliografia
Beath, C., Becerra-Fernandez, I., Ross, J. S. & Short, J. (2012). Finding value in the information explosion. MIT Sloan Management Review, 53(4). 18-20.
Freeman, A., Adams Becker, S., Cummins, M., McKelroy, E., Giesinger, C. & Yuhnke, B. (2016). NMC Horizon Report: 2016 Museum Edition. The New Media Consortium. Austin, Texas. 2016
OECD (2015). Data-Driven Innovation: Big Data for Growth and Well-Being.
OECD Publishing. Paris, 2015
Parmar, R., Mackenzie, I., Cohn, D. & Gann. D. (2014). The New Patterns of Innovation: How to Use Data to Drive Growth. Harvard Business Review, Jannuary-February 2014. 86–95
WEF (2011). Personal Data: The Emergence of a New Asset Class. World Economic Forum. Geneva, Switzerland, 2011