Abstract
Questo studio esplora, attraverso una revisione della letteratura, gli effetti della collaborazione tra operatore e cobot sulle caratteristiche del lavoro evidenziando come l’introduzione dei cobot possa rappresentare al contempo una minaccia e un’opportunità per il work design e sottolineando l’importanza dell’adozione di una prospettiva sociotecnica nella progettazione del lavoro
Introduzione
Una componente importante della trasformazione digitale associata all’Industria 4.0 è la sempre crescente collaborazione tra uomo e macchina (Wang et al., 2020). In linea con questa tendenza si inserisce l’introduzione di robot collaborativi, noti come “cobot“(El Zaatari et al., 2019), utilizzati soprattutto per ottimizzare i micro-processi all’interno delle linee di produzione (McKinsey, 2018), come il prelievo e il posizionamento (pick & place), l’assemblaggio, la consegna, l’avvitamento o l’ispezione, riducendo così il carico di lavoro fisico per gli esseri umani (Kildal et al., 2018). Questa innovazione apporta un notevole incremento lungo la catena del valore della produzione, migliorando la precisione dei processi fino al 90% e comportando una riduzione dei costi del 59% (McKinsey, 2018; Deloitte Consulting, 2017).
La comparsa della nuova generazione di robot collaborativi, che a differenza dei robot tradizionali possono operare senza la necessità di barriere di protezione intorno, presenta nuove sfide per molti aspetti dell’interazione uomo-robot, tra cui la prossimità tra operatore e cobot, il coordinamento durante i processi operativi (Welfare et al., 2019), questioni legate agli aspetti di usabilità dei cobot (Pollak et al., 2020). Poiché i cobot lavorano fianco a fianco con gli esseri umani, condividendo compiti manuali e cognitivi, di routine e no, la ricerca ha iniziato a esplorare le implicazioni dell’introduzione del cobot sui compiti condivisi (Pollak et al., 2020; Belhassein et al., 2022; Jercic et al., 2019), e i suoi effetti sul benessere e sulle prestazioni organizzative (Parker et al., 2020).
Sulla base di tali considerazioni, e adottando come quadro analitico la prospettiva del work design (Hackman & Oldham, 1976, 1980; Parker et al., 2017), questo studio è finalizzato ad esplorare le implicazioni della collaborazione tra operatore e cobot sulle caratteristiche del lavoro ritenute alla base delle prestazioni individuali, quali ad esempio la varietà delle competenze, il contenuto del lavoro, l’autonomia, considerate fondamentali per le prestazioni individuali, come la qualità del lavoro, il benessere, gli stati psicologici positivi e la soddisfazione sul lavoro (Parker et al., 2017; Morgesson & Humphrey, 2006; ecc.,). Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo condotto una revisione della letteratura sull’interazione uomo-cobot e sulle caratteristiche del lavoro, identificando le principali evidenze e lacune nella ricerca esistente. Nonostante questo ambito di indagine sia ancora poco sviluppato, i risultati di questo studio evidenziano che i cobot collaborativi possono influenzare in molteplici modi i diversi aspetti del lavoro, talvolta in modo contraddittorio. Queste evidenze forniscono implicazioni importanti sia per la teoria che per la pratica.
Nuove tecnologie e Work Design
Il concetto di work design si riferisce al contenuto e all’organizzazione dei compiti e delle mansioni, delle relazioni e delle responsabilità lavorative (Parker et al., 2020). Benchè ne siano stati sviluppati più modelli di work design (e.g., Parker et al., 2020; Morgesson & Humphrey, 2006), che si focalizzano su diverse mansioni e caratteristiche lavorative, gli studiosi concordano sul fatto che la progettazione del lavoro influisca su stati psicologici critici, che a loro volta comportano conseguenze individuali e organizzative.
Con l’introduzione dei robot collaborativi, molti dibattiti hanno animato la letteratura accademica e non solo riguardo agli impatti sociali di questa tecnologia. Da un lato, alcuni studi tendono a sottolineare gli effetti positivi, come l’aumento delle competenze cognitive, l’incremento del valore e significato del lavoro e dell’autonomia dei dipendenti (Spencer et al., 2018). A tal fine, il report di McKinsey (2018) evidenzia ad esempio come nelle linee di assemblaggio automobilistico, grazie all’introduzione dei robot collaborativi, la flessibilità nella produzione di modelli in lotti più piccoli è aumentata, portando con sé un incremento delle responsabilità e competenze cognitive per i dipendenti (McKinsey, 2018). D’altra parte, altri studi si concentrano sugli aspetti negativi, e in particolare sulla possibile perdita di posti di lavoro (van Wynsberghe & Comes, 2020). A tale proposito, il rapporto di Deloitte consulting (2017), ad esempio, prevede la sostituzione di milioni di posti di lavoro esistenti con l’introduzione dei robot collaborativi. Inoltre, autori come Frey and Osborne (2017), Schumpeter (2015) hanno messo in luce l’impoverimento della natura del lavoro stesso. Secondo questi fonti si profila la probabilità che i nuovi posti di lavoro diventino più precari e meno gratificanti, le carriere più frammentate e le mansioni semplificate con poco o nessun margine di discrezionalità per l’operatore, in un modo che può essere definito “neo taylorismo”.
Tuttavia, invece di concentrarsi sugli impatti macro della tecnologia 4.0 sul lavoro, autori come Parker et al. (2020) sostengono che la ricerca dovrebbe occuparsi prioritariamente di comprendere quali compiti e mansioni lavorative siano influenzate dall’interazione con i robot collaborativi e quali siano le conseguenze di questo nuovo assetto sul benessere degli operatori e sulle prestazioni organizzative. A tal proposito, gli studi di Parker et al. (2017; 2020) indicano come l’intelligenza artificiale e la tecnologia 4.0 possano influenzare la progettazione del lavoro, evidenziando che la tecnologia digitale è connessa sia in modo positivo che negativo alle seguenti caratteristiche del lavoro: (I) autonomia e controllo, che comprende il processo decisionale sui processi e i metodi di lavoro; (II) varietà e utilizzo delle competenze e abilità, poiché le nuove tecnologie possono offrire maggiori opportunità per impegnarsi in compiti più significativi; (III) abilità e competenze, che includono la varietà di abilità e competenze necessarie per completare il lavoro (Morgeson & Humphrey, 2006); (IV) contenuto del lavoro, che riguarda le esigenze fisiche e cognitive, come il livello di attività fisica o lo sforzo richiesto per il lavoro (Morgeson & Humphrey, 2008), nonché la tipologia e l’intensità dei processi cognitivi richiesti per svolgere il lavoro (Hunter & Hunter, 1984). Poiché la tecnologia non influenza una singola caratteristica del lavoro, ma diversi aspetti contemporaneamente, l’introduzione dei cobot nei processi produttivi richiede una comprensione di come tale tecnologia influisca sulla progettazione del lavoro degli operatori nel settore manifatturiero.
Metodo
Per studiare l’impatto dell’introduzione dei cobot sui compiti e attività dei dipendenti, abbiamo condotto una revisione della letteratura tra marzo e aprile 2022. Sono stati utilizzati prevalentemente i motori di ricerca e database elettronici Scopus, Web of Science e Google Scholar. I criteri di inclusione adottati sono: (i) focus principale sull’introduzione dei cobot, cercando “cobot” o “robot collaborativo” nel titolo, nell’abstract o mediante parole chiave; (ii) esplorazione dell’interazione tra cobot e lavoro, cercando “lavoro”, “dipendente”, “HRM”, “interazione” nel titolo o nelle parole chiave. Il processo di selezione degli articoli è stato condotto in diverse fasi, seguendo il protocollo PRISMA (Moher et al., 2019) (Fig. 1).
Dopo aver rimosso i duplicati, è stato effettuato uno screening iniziale basato sui titoli e gli abstract degli articoli, al fine di escludere quelli in cui i robot collaborativi e il lavoro non fossero l’argomento principale. Gli articoli rilevanti sono stati filtrati in base ai criteri di inclusione e successivamente sono stati analizzati in base ai metadati. Nella fase successiva, la rete di parole chiave è stata particolarmente utile per identificare i cluster tematici, facendo riferimento alle categorie del work design (Parker et al., 2001).
Risultati
I risultati della revisione della letteratura indicano che le prime pubblicazioni sull’argomento risalgono al 2016, quando l’adozione dei cobot è aumentata parallelamente allo sviluppo delle tecnologie 4.0. Per quanto riguarda i principali temi trattati nei vari paper, la Tabella 1 presenta un overview di come l’introduzione del cobot può avere simultaneamente effetti positivi e negativi sui diversi aspetti del lavoro degli operatori dell’Industria 4.0.
Mancanza di autonomia o maggiore proattività?
Secondo diversi autori (Smids et al., 2019; Cascio et al., 2016; Lanzing, 2016, ecc.), l’introduzione dei cobot comporta un aumento del livello di standardizzazione del lavoro, riducendo lo spazio per la creatività e il processo decisionale e minando quindi l’autonomia del lavoratore. Ad esempio, in alcune specifiche attività la sequenza delle operazioni da svolgere dipendeva fortemente dalla velocità e/o dal momento in cui il cobot lavorava (Welfare et al., 2019). Inoltre, i robot collaborativi incorporano sistemi di intelligenza artificiale che spesso coinvolge apprendimento automatico e reti neurali artificiali, difficili da comprendere oltre il livello superficiale da parte degli operatori. Questo fenomeno, comunemente noto come “opacità dei sistemi artificialmente intelligenti” (Burrell, 2016), può portare a sentimenti di alienazione e riduzione dell’autonomia dei dipendenti (Burrel et al., 2016), con la conseguente minore percezione da parte dell’operatore di contribuire ai risultati organizzativi generando valore aggiunto. D’altra parte, altri studi hanno presentato esempi di lavoro progettato in modo da lasciare più spazio all’azione autonoma dell’operatore. Ad esempio, Wingfield (2017) evidenzia come un dipendente di un magazzino Amazon utilizzi sicuramente di più le proprie capacità di comprensione, giudizio e decisione durante la supervisione dei robot rispetto a quando svolge altre attività (ad esempio, impilare bidoni di plastica). Berkers et al. (2022) mostrano che in uno dei magazzini osservati il lavoro è stato intenzionalmente (ri)progettato per fornire un livello più elevato di autonomia all’operatore durante la collaborazione con il cobot.
Maggiore o minore varietà dei compiti?
Diversi studi (Belhassein et al., 2022; Berkers et al., 2022) sostengono che, poiché i cobot hanno assunto alcuni compiti dei dipendenti, il numero di compiti svolti dagli operatori è diminuito e non viene compensato da nuove mansioni. Secondo Berkers et al. (2022), attività come la pianificazione di un percorso, il camminare e la ricerca di un prodotto nel magazzino non fanno più parte della descrizione del lavoro dell’operatore. Inoltre, attività più complesse come la gestione degli errori o la supervisione di un cobot vengono raramente assegnate agli operatori stessi. L’effetto prevalentemente negativo dell’introduzione dei cobot sulla varietà delle attività può essere spiegato anche dall’approccio di progettazione del lavoro focalizzato principalmente sulla funzionalità tecnologiche, e non sul design del cobot in prospettiva sociotecnica. Dall’altro lato, altri studi evidenziano che, mentre i cobot svolgono compiti ripetitivi e fisicamente impegnativi, i lavoratori possono dedicare il tempo a nuove attività ad alto valore aggiunto. Ad esempio, i dipendenti possono occuparsi di preparare i prodotti per lo stoccaggio, pulire e riparare le macchine, programmare cobot e altri macchinari, progettare nuovi lavori collaborativi con cobot, gestire piccoli progetti interni, controllare la qualità, pianificare la produzione, realizzare disegni tecnici e svolgere altre attività nella produzione (Kadir et al., 2018).
Maggiore o minore significatività del compito?
Da una parte, la ricerca mostra che l’introduzione dei cobot ha comportato una riduzione di alcune attività cognitive non routinarie, come ad esempio la ricerca costante di informazioni (ad esempio, il monitoraggio sullo schermo del computer per identificare i prodotti necessari), l’esercizio del pensiero critico e il controllo degli ordini (Berkers et al., 2022; Senders et al., 2018). Lo studio di Berkers et al. (2022) fornisce esempi di cobot che si occupano di compiti cognitivi. Ad esempio, i cobot “pick to light” o “pick to voice” svolgono operazioni di picking in magazzino in modo rapido e preciso utilizzando segnali luminosi o vocali. Inoltre, il cobot responsabile del controllo non solo pesa le scatole, ma confronta anche il peso effettivo con quello previsto per rilevare eventuali errori, riducendo così la distanza tra l’elaborazione informatica e i processi cognitivi umani. Senders et al. (2018) sostengono inoltre che, attraverso l’apprendimento automatico (machine learning), i cobot assumeranno compiti sempre più impegnativi, il che potrebbe far percepire ai lavoratori una minore importanza nella propria organizzazione. Inoltre, i cobot consentono l’automazione di alcune attività correlate a compiti analitici cognitivi e interpersonali, che richiedono adattabilità situazionale, riconoscimento visivo e linguistico, nonché creatività, originalità, percezione sociale e risposta empatica verso la controparte umana (Acemoglu, 2018). Tuttavia, altri studi dimostrano che, quando i cobot si assumono alcuni compiti noiosi, gli operatori hanno la possibilità di concentrarsi su compiti apparentemente più significativi. Smids et al. (2019) e Senders et al. (2018) sostengono a tal fine che, se i dipendenti si percepiscono come membri in squadra con i robot, possono concentrarsi sul raggiungimento di migliori risultati condivisi. Questi studi suggeriscono che compiti cognitivi come la memoria a breve termine, il miglioramento della concentrazione e la riduzione degli errori potrebbero trarre vantaggio dal supporto dei cobot. Inoltre, Welfare et al. (2019) evidenziano che la riduzione dei tempi di attesa ha principalmente effetti positivi per gli operatori, che utilizzano il tempo libero per svolgere altre mansioni più interessanti.
Ridurre il carico fisico e aumentare quello mentale?
Anche se i cobot hanno sollevato gli operatori umani da compiti faticosi e monotoni, ciò non è necessariamente percepito come un miglioramento delle condizioni di lavoro da parte dei lavoratori. Alcuni studi riportano, infatti, che il ritmo di lavoro impostato dal cobot può determinare arbitrariamente il ritmo di lavoro dell’operatore umano (Argyle et al., 2021), portando ad un aumento del carico di lavoro mentale durante l’attività lavorativa. Questa dinamica è influenzata dalle relazioni tra le richieste del compito fisico e cognitivo, il carico di lavoro dell’operatore, le prestazioni del compito e le influenze esterne e interne (Charles e Nixon, 2019), che a loro volta possono essere influenzate da fattori come la richiesta di tempi stretti, l’esperienza individuale e i fattori ambientali. Ad esempio, Jaehrling et al. (2018) sostengono la crescente pressione per ridurre i tempi di consegna porta gli operatori a percepire un aumento del carico di lavoro (Charles e Nixon, 2018). Lo studio di Pham et al. (2018) evidenzia inoltre che nei magazzini di Amazon, a causa della velocità e precisione dei cobot, gli operatori umani percepiscono un’accelerazione e un’intensificazione del lavoro. Quindi, a fronte di un alleggerimento del carico fisico, l’introduzione dei cobot può portare a un aumento del carico mentale per gli operatori umani, a causa del ritmo imposto dalla macchina e di altri fattori.
Upskilling o Downskilling: lo sviluppo umano viene minacciato?
L’introduzione dei cobot può avere effetti contrastanti sulle competenze e lo sviluppo dell’operatore umano. Da un lato, può portare a un’accelerazione della standardizzazione del ciclo produttivo e dei compiti, spostando le competenze specifiche richieste dall’operatore al cobot. Ciò può comportare il rischio di dequalificazione, poiché le capacità di apprendimento dei cobot (machine learning) diventano sempre più avanzate. Di conseguenza, la necessità di addestramento degli operatori può diminuire e molte competenze dei dipendenti possono diventare obsolete. Questo può portare a una perdita di significato del lavoro e a una minore autorealizzazione dei lavoratori (Smids et al., 2019). D’altra parte, lavorare con i cobot può offrire opportunità di apprendimento di nuove competenze tecniche. Ad esempio, l’affrontare processi produttivi complessi con l’uso dei cobot richiede la programmazione intuitiva[1], che consente anche agli operatori non esperti di creare e modificare i programmi dei cobot, favorendo l’upskilling degli operatori (Berkers et al., 2022; El Zaatari et al., 2019). Tuttavia, uno studio di Parker et al. (2020) suggerisce che tali opportunità di upskilling sono ancora limitate e che il potenziale di miglioramento delle competenze tecniche si realizza raramente.
Implicazioni dello studio
Con l’introduzione dei cobot la discussione accademica e non solo si è concentrata principalmente sugli aspetti funzionali della collaborazione uomo-cobot e anche sulle sue implicazioni sul futuro del lavoro. In questo studio, tuttavia, abbiamo esplorato le implicazioni della collaborazione tra l’operatore umano e il cobot sulle caratteristiche del lavoro, come l’uso delle competenze, la varietà delle attività umana, il contenuto del lavoro e l’autonomia; secondo le teorie del work design tali caratteristiche sono alla base delle prestazioni individuali (Parker et al., 2017; Morgesson e Humphrey, 2006). I risultati mostrano le contraddizioni che contraddistinguono attualmente le caratteristiche del lavoro alla luce dell’introduzione dei cobot nei processi produttivi, nonché i rischi e le opportunità ad esse associati. Tali risultati contraddittori indicano che è importante analizzare l’adozione del cobot in termini di strategie di work design e gestione delle risorse umane. Come può la tecnologia dei cobot essere depotenziante e contemporaneamente abilitante a livello del compito specifico? A tal proposito, Edwards e Ramirez (2016) suggeriscono di concentrarsi su diverse dimensioni delle tecnologie 4.0, considerandone sia gli effetti previsti che quelli non intenzionali, gli effetti diretti e quelli indiretti, per capire come la loro adozione, implementazione e utilizzo modellano il lavoro e l’organizzazione.
I risultati di questo studio forniscono implicazioni importanti per la progettazione del lavoro e per la gestione delle risorse umane. In effetti, loro sottolineano l’importanza di considerare l’integrazione dei sistemi sociale e tecnico nella progettazione del lavoro fin dalle prime fasi del processo di trasformazione tecnologica, evitando un approccio tecno-centrico. A tal fine, anche il report di Deloitte (2017) sostiene che le aziende manufatturiere che coinvolgano i dipendenti sin dall’inizio del processo di design e implementazione dei cobot per promuovere una corrispondenza funzionale tra le richieste della collaborazione uomo-cobot e le competenze dei lavoratori, non solo sostengono la motivazione e il coinvolgimento dei dipendenti ma raggiungono, in generale, risultati migliori (Berkers et al., 2022). Nella progettazione delle linee di produzione basate sui cobot, è quindi necessario evitare che i dipendenti siano assegnati a compiti monotoni e alienanti che richiedono solo competenze di base, o a compiti troppo impegnativi in cui si prevede un alto rapporto di produzione[2]. Poiché le attività lavorative possono favorire l’autostima, il riconoscimento sociale e la valorizzazione delle capacità e dei risultati individuali (Delle Fave e Massimini, 2005), la gestione delle risorse umane deve prestare attenzione agli aspetti stimolanti della progettazione del lavoro, al fine di raggiungere gli obiettivi sociali, oltre a quelli tecnologici ed economici.
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[1] Funzionalità di programmazione che dà al cobot la capacità di agire flessibilmente e/o essere programmato in modo intuitivo. Ad esempio, un operatore controlla un cobot tramite un canale di comunicazione che può essere verbale (discorso) o non verbale. Il ruolo off-line del programmatore è quello di programmare e definire le possibili azioni del cobot e il controllo del movimento sottostante (El-Zaatari, 2019)
[2] Il rapporto di produzione misura la produzione effettiva per un periodo. Viene misurata in ore di manodopera diretta, si confronta con le ore preventivate per un centro di produzione.