Il 7 febbraio 2020, sulle note del brano Together In Electric Dreams di The Human League, si è chiuso il XXI Workshop di Organizzazione Aziendale svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano. In quel giorno, nessuno avrebbe potuto immaginare l’inizio di quello che sarebbe diventato da lì a poco un vero e proprio esperimento sociale-organizzativo legato all’emergenza COVID-19. Un esperimento che ha reso ancora più centrale il tema della conferenza: la tecnologia e i suoi effetti sul lavoro e sulle persone.
Il lavoro da remoto e conseguentemente l’utilizzo della tecnologia ha registrato una crescita più che esponenziale. Nell’ottobre 2019, l’Osservatorio del Politecnico di Milano stimava circa 570.000 lavoratori in modalità home working, mentre durante il lockdown dell’aprile 2020, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, questi erano circa 1.850.000. La pandemia ha, dunque, accelerato il processo di trasformazione digitale, impattando profondamente su pratiche e processi aziendali ed esplorando nuove modalità di lavoro.
Il lavoro oggi è sempre più dipendente dalla tecnologia. I lavoratori sono immersi in “ubiquitous working environment” dove gli spazi e i tempi di lavoro sono sempre meno separati da quelli della sfera privata dell’individuo. Questa ridotta separazione, se non addirittura annullata in qualche caso, richiede, allora, un profondo ripensamento dei meccanismi di coordinamento e delle modalità di gestione delle dinamiche collaborative e cooperative. Tuttavia, sebbene la situazione contingente abbia portato le imprese private e pubbliche a cimentarsi col disegno di approcci organizzativi e gestionali idonei a far fronte alle attuali sfide impreviste, gli effetti sul job design, sul lavoro e, di conseguenza, sulla gestione delle risorse umane, sono ancora temi poco conosciuti (Cascio & Montealegre, 2016; Parker & Grote, 2020).
La tecnologia può essere un fattore di empowerment se gestita come strumento di supporto alla motivazione e al benessere, all’equilibrio vita-lavoro, alla performance individuale e organizzativa, alla soddisfazione lavorativa, al commitment organizzativo (nella sua forma affettiva, Meyer, Allen, & Gellatly, 1990) e ai comportamenti di cittadinanza organizzativa (Cascio & Montealegre, 2016). Tuttavia, il costante cambiamento delle condizioni e delle modalità di lavoro digitali richiede più di prima di essere disposti ad adattarsi ad applicazioni, funzionalità e flussi di lavoro in evoluzione. Inoltre, si assiste ad aspettative crescenti da parte dell’organizzazione e dei capi affinché il lavoratore sia multitasking e sempre più connesso (Parker & Grote, 2020). In aggiunta, il sovraccarico di informazioni, l’insicurezza legata ai frequenti aggiornamenti sia delle attività da svolgere sia degli strumenti utilizzati, la continua necessità di apprendere nuove modalità operative e i problemi tecnici associati all’uso organizzativo di tali soluzioni tecnologiche possono generare degli effetti negativi sui lavoratori (Ayyagari et al., 2011; Tarafdar et al., 2011). Soprattutto in una condizione di privazione della libertà di movimento come quella sperimentata durante l’emergenza sanitaria, chi non è in grado di affrontare una situazione così totalizzante può sperimentare stress e sviluppare comportamenti compulsivi e di dipendenza (ad esempio, controllare continuamente la posta elettronica o avere difficoltà a controllare il tempo trascorso sulle piattaforme digitali e sui social media).
L’introduzione di nuove tecnologie può, quindi, da un lato migliorare la qualità della vita lavorativa, dall’altro peggiorarla con effetti negative sulla salute mentale, il benessere, l’engagement e la performance delle persone (Parker & Grote, 2020). Come sempre, non esiste un approccio “one-size-fits-all”. Di conseguenza, al fine di un’integrazione piena delle competenze, delle attitudini, dei valori, dei bisogni e delle aspettative individuali, nella progettazione delle modalità di lavoro basate sulle nuove tecnologie è necessario tenere conto del bilanciamento degli aspetti sociali e organizzativi. Secondo una prospettiva sociomateriale, infatti, gli aspetti sociali e tecnologici sono reciprocamente intrecciati (entangled) ed emergono insieme (Orlikowski, 2007). Parafrasando dunque il titolo del romanzo di fantascienza scritto da Dick nel 1968[1] a cui si ispirava la conferenza WOA2020, a fronte della costante immersione in ecosistemi digitali, riusciranno le organizzazioni a farsi carico delle sfide della digitalizzazione mettendo al centro le persone e sostenendo la loro resilienza, tolleranza allo stress e flessibilità? Oppure l’enfasi sulla tecnologia e modalità di lavoro sempre più “phygital”, in cui cioè le esperienze online e quelle offline si fondono assieme, porteranno i lavoratori a sognare pecore elettroniche, piuttosto che pecore reali, per addormentarsi?
Questo numero speciale di Prospettive in Organizzazione raccoglie alcuni dei migliori contributi presentati durante la conferenza WOA2020 sul tema degli effetti della tecnologia sul lavoro e sui lavoratori. In particolare, i nove contributi della sezione Prospettive di Ricerca offrono interessanti riflessioni ed evidenze empiriche sul tema delle nuove modalità di lavoro come lo smart working e il coworking, gli effetti sul clima organizzativo, le nuove competenze come quelle legate all’esercizio della leadership attraverso la tecnologia o il self-management, il tema dell’addiction e della dipendenza dai social media. A questa sezione si affiancano gli invited-contribution della sezione Punti di vista in cui tre esperti sviluppano osservazioni ed esperienze discusse durante la round table finale del WOA2020 che intendeva offrire riflessioni di più ampio respiro sugli effetti della digitalizzazione sul lavoro e sulla società.
Per quanto riguarda le nuove modalità di lavoro, Claudia Dossena e Francesca Mochi distinguono tra smart working e telelavoro coinvolgendo professionisti di vari settori knowledge-intensive in un’analisi volta ad identificare quali sono le caratteristiche a livello macro, meso e micro che devono essere presenti affinché si possa effettivamente parlare di smart working. Giulia Flamini, Rocco Palumbo e Massimiliano M. Pellegrini analizzano, invece, le implicazioni dello smart working dal punto di vista dell’equilibrio vita-lavoro e del benessere lavorativo. Lavorare da remoto può pregiudicare il benessere dei lavoratori e rendere complessa la gestione dell’interfaccia tra vita privata e lavoro. Anche in virtù del maggior carico cognitivo che il lavoro da remoto abilitato dalla tecnologia implica, stanno mutando la natura e il ruolo della leadership nel supportare i bisogni degli individui, con il conseguente cambiamento organizzativo necessario per adottare lo smart working. Ne discutono Teresina Torre e Daria Sarti che hanno analizzato come l’introduzione e la diffusione delle nuove tecnologie fa emergere una nuova forma di leadership – e-leadership – e quali sono le competenze necessarie per esercitare influenza in situazioni mediate dalle nuove tecnologie. Allo stesso modo, Michela Iannotta e Chiara Meret analizzano come la leadership possa agire da agente del cambiamento e propongono un modello per supportare l’implementazione dello smart working in azienda attraverso la leadership.
La riorganizzazione degli spazi fisici di lavoro e l’utilizzo spinto della tecnologia ha posto l’accento anche su altre modalità di organizzazione del lavoro come, ad esempio, il coworking o le forme organizzative temporanee come task force, eventi o, più frequentemente, team di progetto. Attraverso una scoping review, Maria Laura Toraldo, Maddalena Sorrentino, Gianluigi Mangia e Pedro Almeido Couto mappano i principali temi trattati nel filone di ricerca sul coworking indagando i processi di innovazione che avvengono all’interno di questi spazi collaborativi. Ludovica Leone, Anna Chiara Scapolan e Fabrizio Montanari, invece, indagano i meccanismi attraverso cui gli spazio collaborativi possono supportare identità, visibilità e legittimazione professionale dei lavoratori digitali. Lazazzara, Bua e Gilardi spostano l’attenzione sulla percezione dei lavoratori di aziende che adottano forme organizzative temporanee e propongono un nuovo costrutto di clima organizzativo che aiuta i manager e i professionisti HR a adottare azioni volte a supportare la temporaneità in azienda.
Sul piano individuale, inoltre, la maggiore adozione della tecnologia al lavoro richiede lo sviluppo di competenze di self-management e la gestione dei fenomeni di dipendenza e addiction. Ludovico Bullini Orlandi, Gabriele Morandin e Marcello Russo analizzano uno specifico comportamento proattivo, il job crafting, in cui, secondo una logica di self-management, le persone reinterpretano il proprio ruolo per dare un senso al proprio lavoro aumentando così la motivazione. Za, Ceci, Masciarelli e Iaia, invece, analizzano la relazione tra il cinismo sociale e la dipendenza dai social network che sono sempre più diffusi anche nei contesti organizzativi e potrebbero essere oggetto di comportamenti opportunistici da parte degli utenti.
Infine, nella sezione Punti di Vista, tre esperti offrono la loro interpretazione sul tema della digitalizzazione e dei suoi effetti sul concetto stesso di lavoro, nell’ambito della Pubblica Amministrazione e sugli spazi di lavoro collaborativi. Nel suo articolo Rossella Cappetta discute della centralità del lavoro e dell’analisi organizzativa per interpretare i cambiamenti rilevanti in corso. Filomena Buonocuore offre una visione sullo stato dell’arte della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e sui principali ostacoli ad una piena realizzazione di un processo di digital transformation nel pubblico. Infine, Fabrizio Montanari offre la sua prospettiva sul tema degli spazi collaborativi e di come l’emergenza COVID-19 ha mutato e muterà le modalità di fruizione di questi ambienti.
È evidente che questo numero speciale non ha la pretesa di esaurire tutti i temi legati alle nuove modalità di lavoro abilitate dalle nuove tecnologie. Tuttavia, la questione di come la tecnologia stia cambiando il lavoro e i lavoratori è una sfida per gli studiosi di organizzazione aziendale diventata quanto mai urgente e prioritaria. Ed è importante, oggi più che mai, che dalle riflessioni teoriche si passi alle applicazioni pratiche per accompagnare imprese e manager a sfruttare al meglio il forte stimolo verso la digitalizzazione del lavoro che stiamo vivendo e che consentirà loro non solo di sopravvivere, ma anche di fare un salto qualitativo e competitivo.
Bibliografia
Ayyagari, R., Grover, V., & Purvis, R. (2011). Technostress: technological antecedents and implications. MIS Quarterly, 35(4), 831–858.
Cascio, W. F., & Montealegre, R. (2016). How Technology Is Changing Work and Organizations. Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior, 3(1), 349–375
Meyer, J. P., Allen, N. J., & Gellatly, I. R. (1990). Affective and Continuance Commitment to the Organization: Evaluation of Measures and Analysis of Concurrent and Time-Lagged Relations. Journal of Applied Psychology, 75(6), 710–720.
Orlikowski, W. (2007). Sociomaterial practices: Exploring technology at work. Organization Studies, 28(9), 1435–1448.
Parker, S.K., Grote, G.: Automation, Algorithms, and Beyond: Why Work Design Matters More Than Ever in a Digital World. Appl. Psychol. 0, 1–45 (2020).
Tarafdar, M., Tu, Q., Ragu-Nathan, T.S. & Ragu-Nathan, B. S. (2011) Crossing to the dark side: examining antecedents and consequences of technostress. Communications of the ACM, 54, 113–120.
[1] Philip K. Dick (1968), Do Androids Dream of Electric Sheep?, Doubleday, New York