La propensione al knowledge sharing dei medici durante la pandemia: uno studio empirico sul ruolo della resilienza e del commitment

Abstract

Nel corso delle situazioni emergenziali la condivisione di conoscenza è cruciale per creare soluzioni e conoscenze comuni. I dati rilevati durante la pandemia da COVID-19 evidenziano l’impatto della resilienza individuale e del commitment organizzativo sulla propensione dei medici a condividere conoscenza. Le implicazioni manageriali ed organizzative sono discusse.

Introduzione

La pandemia da Covid-19 ha impattato su tutto il mondo mettendo a dura prova i sistemi sanitari e i professionisti della sanità, specie quelli coinvolti nella gestione in prima linea dell’emergenza(Greenberg et al., 2020). A livello nazionale, gli organi di governo e i massimi esperti del settore sanitario hanno dovuto individuare metodi per ridurre i rischi associati al nuovo virus, implementando tutte le misure a disposizione per proteggere la popolazione sia nel breve che nel lungo periodo. Le organizzazioni sanitarie sono state coinvolte nel rispondere ad una domanda di assistenza senza precedenti, soprattutto da parte di pazienti in fase acuta, rendendo necessaria una profonda riorganizzazione di risorse e spazi in condizione di emergenza, ma anche di trovare rapide risposte ai protocolli di assistenza fino a quel momento sconosciuti. Questa sfida ha coinvolto tutta la forza lavoro della sanità: medici, infermieri e professionisti sanitari. Un ruolo di particolare interesse lo hanno avuto i medici incardinati in posizioni manageriali, quali direttori di dipartimento, responsabili di unità operative semplici e complesse. Essi sono conosciuti come medici manager e abitualmente sono chiamati a prendere decisioni rispetto alla qualità dell’assistenza e all’efficienza delle strutture da essi dirette, spesso in condizione di pressione temporale. Essi ricoprono un ruolo fondamentale nelle organizzazioni sanitarie poiché supportano sia la definizione che l’implementazione di nuove strategie e aiutano a migliorare le performance delle organizzazioni stesse (Veronesi et al., 2014). Tuttavia, durante la pandemia i medici manager hanno dovuto fare i conti con nuove e inaspettate decisioni da prendere; essi hanno dovuto adattarsi ad una nuova normalità imposta dagli eventi (Lega & Palumbo, 2021; Stoyanova & Stoyanov, 2021; Tesar, 2020).

Nella sfida al nuovo virus uno degli elementi che ha maggiormente colpito è stato la risposta pronta e rapida ad una circostanza fino a quel momento ignota. Uno degli strumenti utilizzati nel costruire una risposta efficace sia da un punto di vista clinico che organizzativo è stata la condivisione di conoscenze e la generazione di soluzioni innovative. Già abitualmente nella professione medica lo scambio di conoscenze e pareri rispetto alle routine cliniche adottate può essere considerata un’attività abituale. I medici sono infatti naturalmente predisposti a diffondere know-how e ad interagire con altri professionisti scambiando idee e opinioni. Tale predisposizione è stata certamente accelerata dallo stato emergenziale, considerando infatti come sia ben noto che nel corso delle situazioni emergenziali la condivisione di conoscenza diviene fondamentale per creare nuove soluzioni e mettere a servizio degli altri professionisti, dei pazienti e dell’intera comunità scientifica le conoscenze sviluppate e apprese anche per prove ed errori.

Tuttavia, cosa ha determinato nei medici manager la propensione a condividere conoscenza? Questo è un interrogativo di estremo interesse. Studi precedenti si sono interessati a questo tema esplorando principalmente gli aspetti tecnici e sociali della condivisione della conoscenza (Kim et al., 2020), senza tuttavia concentrarsi sull’importanza delle caratteristiche individuali attive nella condivisione delle conoscenze in contesti sanitari (Harb et al., 2021). Obiettivo di questo lavoro è quindi colmare questo vuoto in letteratura comprendendo che cosa ha contribuito alla diffusione della conoscenza tra i medici manager durante la pandemia Covid-19 attraverso l’analisi del ruolo giocato dalla resilienza individuale e dal grado di commitment.

Diffondere o no la conoscenza?

La diffusione della conoscenza consiste nel condividere le migliori pratiche, creando nuova conoscenza e agevolando l’apprendimento (Bartol & Srivastava, 2002). Studi dimostrano che la diffusione della conoscenza, all’interno delle organizzazioni, apporta numerosi benefici in particolare in quelle ospedaliere, poiché consente di essere più efficienti ed efficaci e agevola la risoluzione dei problemi quotidiani a cui i medici si trovano di fronte facendo in modo che essi possano fornire un servizio migliore all’utente finale (Harb et al., 2021; Surve & Natarajan, 2015).

La condivisione della conoscenza assume una connotazione ancora più importante nel momento in cui ci si trova in un contesto di crisi, come lo è stato quello della pandemia da Covid-19. Studi precedenti hanno dimostrato che una comunicazione efficace, la condivisione della conoscenza, la gestione appropriata del rischio e delle persone e delle buone capacità decisionali aiutano ad affrontare nel migliore dei modi queste situazioni di crisi (Johnson, 2017; Kim & Lim, 2020). Il giusto mix di questi fattori è una condizione necessaria per avere una gestione efficiente dei periodi di crisi e per prepararsi al meglio a ciò che si verrà a configurare dopo aver affrontato la crisi.

Gli antecedenti alla diffusione della conoscenza

La resilienza individuale

La resilienza si è dimostrata, durante la pandemia, una delle risorse più utili per una risposta effettiva alla crisi sanitaria. La resilienza può essere definita come una abilità dinamica di affrontare, reagire e superare un evento stressogeno (Tugade & Fredrickson, 2004). Gli psicologi definiscono la resilienza come l’abilità individuale di mantenere un certo equilibrio durante e dopo situazioni di difficoltà, continuando altresì a crescere e ad imparare da esperienze traumatiche (Wiig et al., 2020). Contribuiscono a sviluppare la resilienza l’autoefficacia, la soddisfazione individuale, l’apertura al cambiamento, l’abilità di problem-solving e di reagire positivamente a situazioni di per sé negative (Tugade & Fredrickson, 2004).

Durante la pandemia il ruolo della resilienza è stato indentificato come fondamentale specie per i professionisti della salute, rendendoli in grado di mantenere elevato il loro livello di benessere, anche quando la pandemia stava esercitando una pressione crescente in temini di stress e burnout. Bozdağ e colleghi (2020) riportano una relazione positiva tra elevati livelli di resilienza e qualità del lavoro, di vita e soddisfazione lavorativa. Altri lavori, che si sono concentrati nello studio della resilienza dei medici durante il periodo pandemico, hanno dimostrato che essi generalmente hanno elevati livelli di resilienza e ciò li aiuta a adattarsi alla situazione di emergenza mostrando un maggior spirito di abnegazione per superare le difficoltà e a far diminuire l’ansia e la depressione. Inoltre, gli elevati livelli di resilienza hanno aiutato il personale sanitario a riprendersi meglio dal trauma causato dalla pandemia (Lin et al., 2020; Liu et al., 2020).

Il commitment

Il commitment riflette l’attitudine con cui l’individuo si pone nei confronti dell’intera organizzazione ed è tipicamente legato al coinvolgimento e alla soddisfazione lavorativa (Mowday et al., 2013). In generale, il commitment organizzativo può essere definito come il legame esistente tra un lavoratore e la propria organizzazione, il quale rende meno probabile l’abbandono volontario di quest’ultima (Meyer & Allen, 1991). Esso risulta indipendente dalle intenzioni comportamentali che le persone possono avere. Nella più ampia cornice del commitment un ruolo particolarmente degno di attenzione è l’affettività percepita dal dipendente nei confronti dell’organizzazione. Tale forma di commitment, definito affettivo, si configura come un forte legame con l’organizzazione che emerge tra i dipendenti che sentono di essere supportati da essa, trattati in modo equo ed uniforme all’interno del proprio gruppo di lavoro. I dipendenti con un maggiore impegno affettivo hanno meno probabilità di incedere in comportamenti di assenteismo patologico. Il commitment affettivo implica migliori prestazioni lavorative: grazie a comportamenti positivi in linea con una corretta cittadinanza organizzativa, maggiore soddisfazione sul lavoro e maggiore impegno, contribuendo in questo modo ad una maggiore produttività, nonché in linea generale a mantenere un clima organizzativo positivo ed equilibrato. Solitamente le persone che mostrano alti livelli di commitment nei confronti della loro organizzazione sono particolarmente interessate a che le attività e i risultati raggiunti siano in linea con i principi dell’organizzazione, al fine di accrescerne la reputazione e ad aumentare la sensazione di orgoglio nel farne parte. Nelle organizzazioni sanitarie, in cui spesso ai professionisti è richiesto di svolgere comportamenti extra ruolo, la dimensione comportamentale appare fondamentale. Ad esempio, essa è la spinta attraverso cui i medici manager accettano di agire nel loro doppio ruolo clinico e gestionale allo stesso tempo (Mascia et al., 2015). I dipendenti con alti livelli di commitment sono maggiormente propensi ad operare comportamenti produttivi ed innovativi al fine di aumentare il bagaglio di conoscenze e competenze messe a disposizione dell’organizzazione specie quando su tali competenze si basa l’accrescimento della probabilità di superare momenti difficili e critici.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, obiettivo del presente lavoro è comprendere come questi due fattori abbiano contribuito alla diffusione della conoscenza tra i medici manager durante la pandemia Covid-19.

Metodo

Campione e questionario

La ricerca è stata condotta tra Novembre e Dicembre 2020, periodo caratterizzato dalla presenza della pandemia da Covid-19. I dati sono stati raccolti attraverso la somministrazione di un questionario online a 114 medici italiani che erano iscritti ad un corso universitario online in management sanitario. La partecipazione è stata volontaria ed anonima. Ad ogni intervistato è stato chiesto di sottoscrivere un consenso informato a tutela dell’utilizzo dei dati in accordo con la legge italiana, se il consenso non veniva reso la rilevazione veniva immediatamente sospesa.

Tutte le domande del questionario sono state poste in italiano e principalmente riguardavano la resilienza individuale, il commitment, la diffusione di conoscenza e i dati personali. Il campione finale è composto da 114 medici manager, la cui maggioranza è composta da uomini (62.28%) con più di 50 anni di età (88.60%).

Variabili

La diffusione della conoscenza è misurata attraverso la scala ideata da Shamim et al. (2017) che segue un andamento Likert a 7 punti (1= raramente, 7= frequentemente). Questa scala consente di valutare quanto i medici sono propensi a condividere la conoscenza, accettare suggerimenti, collaborare con altri colleghi e scambiare idee con altri membri del proprio gruppo di lavoro.

La resilienza individuale è stata misurata utilizzando la versione breve (10 item) della scala Connor-Davidson (2003). Essendo una scala additiva i risultati variano tra 0 e 40, dove 40 implica il massimo livello di resilienza individuale.

Il commitment è stato misurato basandosi sull’approccio di Bergami and Bagozzi (2000) che consente di misurare il commitment dei medici nei confronti dell’organizzazione. Maggiori sono i valori ottenuti, maggiore è il livello di commitment.  Le risposte relative alla resilienza individuale e commitment seguivano l’andamento di una scala Likert a 5 punti (da per niente d’accordo a fortemente d’accordo).

Nella parte relativa ai dati personali sono stati richiesti l’età, il genere e il ruolo ricoperto nell’organizzazione.

Analisi

I dati sono stati analizzati attraverso tecniche quantitative e utilizzando il software Stata 16. Per confermare la validità delle scale e dei costrutti utilizzati, è stata effettuata una Confirmatory Factor Analysis. In dettaglio, gli item sono stati tutti considerati nell’analisi e hanno assunto factor loanding che variano da 0.386 – 0.781 per la scala relativa alla diffusione della conoscenza e da 0.540 a 0.874 per la scala del commitment. Il Cronbach α ha assunto per entrambe le scale valori superiori a quello richiesto di 0.700 (Nunnally & Bernstein, 1994) (diffusione della conoscenza 0.867 e commitment 0.783). Rho_A e la Composite Reliability sono state stimate per controllare la convergent validity delle scale e i risultati sono stati ben superiori al valore richiesto di 0.600 (Dijkstra & Henseler, 2015) (diffusione della conoscenza 0.883 e 0.890 e commitment 0.794 e 0.865, rispettivamente).

Infine, sono state calcolate le correlazioni tra le variabili d’interesse e sono state effettuate delle regressioni lineari per entrare ancora più nel dettaglio dei risultati.

Risultati

La Tabella 1 riporta le principali statistiche descrittive e le correlazioni secondo il metodo Spearman delle variabili d’interesse. È importante notare come le variabili resilienza individuale e commitment siano positivamente e significativamente correlate con la variabile relativa alla diffusione della conoscenza.

Tabella 1. Statistiche descrittive e correlazioni

VariabiliMediaDev. Std.123456
1. Diffusione della conoscenza0.0000.9561
2. Resilienza individuale30.9565.3870.284**1
3. Commitment0.0000.9240.318***0.219*1
4. Età2.3330.6740.055-0.0530.092*1
5. Genere a0.3770.4870.0440.142*0.113*-0.269**1
6. Ruolo1.5611.377-0.087*0.0400.085*-0.133*0.214*1

N=114. *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001.

a 0= uomini e 1= donne.

La Tabella 2 riporta i risultati delle regressioni: il Modello 1 considera solo le variabili di controllo, mentre il Modello 2 introduce le variabili d’interesse, cioè la resilienza individuale e il commitment. I risultati mostrano l’esistenza di una relazione positiva e significativa tra la resilienza individuale e la diffusione della conoscenza (β=0.041, p<0.01). In dettaglio, al crescere dei livelli di resilienza individuale, cresce la propensione alla diffusione della conoscenza. Per ciò che concerne il commitment, i risultati mostrano, anche in questo caso, l’esistenza di una relazione positiva e significativa con la diffusione della conoscenza (β=0.298, p<0.001). Quindi al crescere dei livelli di commitment corrisponde una maggiore propensione alla diffusione della conoscenza. Invece, tutte le variabili relative ai dati personali non hanno riportato significatività.

Tabella 2. Risultati delle regressioni

 Modello 1Modello 2
Variabile dipendente: Diffusione della conoscenzaCoefficientiErrore StandardCoefficientiErrore Standard
Constante-0.368*0.547-1.386*0.711
Variabili di controllo    
Età0.1070.1400.0880.130
Genere0.2470.1970.1090.185
Ruolo-0.1430.186-0.1580.173
Effetti principali    
Resilienza individuale  0.041**0.016
Commitment  0.298***0.093
R-squared0.0190.170***
Adj R-squared-0.0080.131
RMSE0.9600.891

N=114 – *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001

Discussioni

Durante la pandemia le organizzazioni sanitarie di tutto il mondo si sono dovute attivare davanti alla prova di un virus violento e sconosciuto, chiamando in campo tutte le abilità, le competenze e le abilità dei professionisti in esse impegnati. Sebbene tutto il personale sanitario sia stato coinvolto in prima linea nella gestione di pazienti complessi e in gravi condizioni, i medici manager hanno dovuto aggiungere a questi compiti anche quelli legati all’organizzazione di risorse, spazi, nonché all’attenzione e alla cura della sicurezza fisica e psicologica dei loro collaboratori e colleghi.

Per questa ragione l’impegno da parte dei medici manager ha chiamato in causa competenze comportamentali ritenute fondamentali non solo ai fini della resistenza all’emergenza, ma specialmente alla capacità di porre in essere soluzioni nuove, efficaci e innovative. Ciò è stato possibile grazie alla loro predisposizione alla condivisione di contenuti, conoscenze e informazioni con colleghi e pari a loro volta e nello stesso tempo coinvolti nella gestione dell’emergenza.

Le organizzazioni sanitarie sono di tipo knowledge-based, poiché la loro capacità di rispondere ai bisogni di salute dei pazienti dipende dal patrimonio di conoscenze e da come esso viene utilizzato per risolvere i problemi clinici. I bisogni dei pazienti sono soddisfatti nella misura in cui le conoscenze a disposizione sono utilizzate e veicolate nei comportamenti individuali di medici, infermieri e altri professionisti sanitari (Di Vincenzo & Mascia, 2017). La propensione alla condivisione presuppone dunque la presenza di alcune caratteristiche individuali specifiche. Dai risultati del presente studio, come atteso, emergono particolarmente significativi i ruoli giocati dalla resilienza individuale e dal commitment verso l’organizzazione.

La prima variabile, divenuta ben nota durante il periodo della pandemia per indicare la capacità di sistemi, organizzazioni ed individui non solo di resistere alla crisi ma soprattutto di reagire in maniera propria, appropriata, rapida ed efficace si dimostra predittiva della propensione alla condivisione di conoscenza, come a significare che nell’incertezza della pandemia i professionisti dotati di maggiore resilienza non si sono scoraggiati ma anzi hanno creato un network di legami e conoscenze con cui hanno costruito per le loro organizzazioni, i loro pazienti e la comunità scientifica in generale nuove linee guida, protocolli e piani di azione volti a limitare e contrastare la diffusione e gli effetti del virus.

La seconda variabile, il commitment, anch’essa ben nota nel panorama del comportamento organizzativo, ha dimostrato un impatto positivo sulla diffusione di conoscenza come a testimoniare che il grado con cui le persone credono e sono legate alla propria organizzazione e al proprio ruolo è determinante per la spinta alla condivisione e al networking specie in condizioni di incertezza.

Il networking e la propensione a scambiare e condividere conoscenza sono centrali nella prospettiva del knowledge management, soprattutto per quanto riguarda la diffusione della conoscenza tacita, ovvero quella basata sull’esperienza. Per essere trasferite queste conoscenze devono essere socializzate attraverso delicati processi di interazione interpersonale che consentano un passaggio “di livello”, da quello individuale a quello di gruppo, organizzativo o addirittura inter-organizzativo.

Implicazioni manageriali

I risultati presentati hanno importanti implicazioni sia per i manager sanitari che per i policy makers. La diffusione di conoscenza è stata durante la pandemia una delle principali strategie che i professionisti della sanità hanno messo in campo per rispondere in modo efficace e rapido all’enorme incognita posta dal nuovo virus. Sebbene i medici siano già fisiologicamente propensi allo scambio di conoscenze e routine e ciò faccia parte delle caratteristiche della loro professionalità maggiore attenzione dovrebbe essere posta sugli strumenti manageriali e sulle caratteristiche comportamentali sviluppabili al fine di sostenere questo comportamento virtuoso di condivisione della conoscenza.

Al fine di non disperdere le occasioni di scambi di conoscenza potrebbe essere utile aumentare l’impiego di strumenti di condivisione di documenti sia inter che intra organizzativi, eliminando altresì il rischio di perdere conoscenze in corrispondenza di variazioni nella composizione delle unità e dei gruppi di lavoro come avvenuto durante la pandemia. L’impiego di questi strumenti (repository, team di lavoro, riunioni di audit) presuppongono un atteggiamento attivo da parte dei professionisti chiamati ad utilizzarli, nonché un adeguato livello di formazione circa il loro impiego e utilità. Dunque, spetta al management non solo mettere a disposizione gli strumenti, ma anche verificarne il corretto impiego, e aiutare lo sviluppo di una cultura della condivisione.

Per quanto attiene le caratteristiche comportamentali utili a predire la volontà di condividere conoscenza, la pandemia ha insegnato che il benessere mentale degli operatori è parimenti importante rispetto a quello fisico. Per tale ragione la presenza del tratto della resilienza non deve essere considerata una circostanza fortuita ma sono necessari investimenti e percorsi dedicati al suo mantenimento assieme alla presa in carico globale anche da un punto di vista psicologico degli operatori.

Infine, la variabile del commitment non deve essere considerata semplicemente alla stregua della determinazione di atteggiamenti positivi sul lavoro, quanto piuttosto una dimensione su cui puntare l’attenzione per mantenere allineati i valori dell’organizzazione con quelli delle persone che in essa operano, rendendo così possibile un accrescimento dell’impegno verso i task e le potenzialità esprimibili dall’organizzazione.

Referenze

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